Sinassario dei santi italici ed italo greci
per il 25 Ottobre
Santo Miniato
secondo la tradizione un Re
armeno martire a Firenze sotto Decio nel
251
San
Miniato, primo Martire fiorentino.
Miniato, secondo la venerabile tradizione , sarebbe stato un Re armeno, di
passaggio da Firenze, durante la persecuzione di Decio, cioè nel 250. Rifiutò
il sacrificio agli dei. La tradizione scritta subito dopo il Mille, ricorda numerosi
tormenti ai quali venne inutilmente sottoposto: uscì illeso da un forno
arroventato; si liberò miracolosamente dei ceppi che lo stiravano sul
cavalletto; fece stramazzare un leone, con un segno di Croce, nell'anfiteatro
che sorgeva fuori della città, verso levante, e di cui si riconosce ancora il
ricurvo perimetro.
Finalmente venne decapitato.E la tradizione continua a narrare: dopo la decapitazione,
Miniato si rialzò , e, afferrata la propria testa in mano, si mise a correre verso quello che veniva chiamato
mons fiorentinus, il Monte di Firenze, folto di ulivi e di lauri. Lassù
giacque, testimoniando chiaramente la sua volontà di esservi sepolto e onorato.
Accanto alla Tradizione , oggi si ipotizza che Miniato sia stato un autentico fiorentino,
forse di bassa condizione e che il suo martirio avvenisse, non nell'anfiteatro
ma dove l'Arno faceva un'ansa, detta " gorgo ". Da tempo
immemorabile, i Fiorentini veneravano una Croce, chiamata la Croce al Gorgo che
- molto probabilmente - segnava il luogo dove il primo Martire fiorentino
testimoniò col sangue la propria fede.
Entrando nella chiesa di San Miniato e salendo sull'alto presbiterio, si può
vedere, nel mosaico dell'abside, il Martire fiorentino raffigurato come un Re ,
insieme con la Vergine, al lato del Cristo, giudice e Sovrano.
Santi Teodosio Lucio
Marco e Pietro martiri a Roma sotto Claudio II il Gotico con 46 soldati e 106 civili
(nel 269)
probabilmente
del gruppo di pellegrini che dalla Persia si erano recati a Roma per visitare le tombe degli apostoli
Il
respiro concesso ai cristiani dall'editto di Gallieno non fu infatti di lunga
durata per i fedeli di Roma e durante il breve regno di Claudio II, il sangue
dei martiri scorse nuovamente nella città imperiale (P. Allard, Les
dernières persecutions du troisième siècle, 3 ed.).
Santi
Proto,presbitero,Gianuario diacono e Gavino soldato martiri sotto Diocleziano a Porto Torres
presso Sassari in Sardegna nel 303
Il
nome Gavino deriva dal latino ‘Gabinus’, nome etnico che vuol dire ‘abitante di
Gabium’, antica località del Lazio, per questo è conosciuto anche come Gabino,
usato prevalentemente nell’Impero romano, come il padre di s. Susanna, s.
Gabino (19 febbraio).
Nella basilica di San Gavino a Porto Torres, un pittore del XVII secolo ha
rappresentato il martirio di Gavino, Proto e Gianuario; il primo è in divisa
militare romana, gli altri due in abiti ecclesiastici, anziano con barba Proto
e giovane Gianuario.
L’anonimo estensore della ‘Passio’ del XII sec., pervenuta dall’abbazia di
Clairvaux, poté utilizzare le poche notizie riportate dal ‘Martirologio
Geronimiano’ del VI secolo, cioè i loro nomi, la città e la data del martirio.
Gavino era morto decapitato il 25 ottobre 303 ca. al tempo della persecuzione
di Diocleziano; Proto e Gianuario ebbero stessa sorte il 27 ottobre, due giorni
dopo.
La ‘Passio’ narra che Proto sacerdote e Gianuario suo diacono, erano nati in
Sardegna e allevati a Turris (in seguito Turres e poi Porto Torres), fondata
nel 46 a.C., situata nel Golfo dell’Asinara, di fronte all’omonima isola; e
predicavano il Vangelo sul Monte Agellus, quando fu pubblicato l’editto di
Diocleziano e Massimiano, per la persecuzione contro i cristiani.
Alcuni pagani del luogo, irritati per la loro presenza, si recarono in Corsica,
dove risiedeva il preside Barbaro, inviato nelle due grandi isole per fare
applicare l’editto imperiale, e denunziarono la loro presenza.
Barbaro li fece arrestare e condurre alla sua presenza, alle loro convinte
risposte, ordinò di portare Proto nelle isole ‘Cuniculariae’(arcipelago della
Maddalena), mentre trattenne Gianuario con la speranza di convertirlo.
Trasferitosi in Sardegna a Turris, il preside Barbaro fece rientrare Proto
riunendolo a Gianuario e ancora una volta, cercò di convincerli a ritornare al
paganesimo.
Al loro fiero rifiuto li fece torturare, lacerando le loro carni con unghie di
ferro; poi feriti furono messi in prigione, sotto la custodia di un soldato
semplice di nome Gavino; il soldato di idee non ostili ai cristiani, colpito
dal loro comportamento e dalle loro parole, li liberò chiedendo solo di
ricordarsi di lui nelle loro preghiere
I due fuggitivi lasciarono la città e si rifugiarono in una caverna; il giorno
seguente il preside Barbaro ordinò che gli fossero portati i due prigionieri,
ma il soldato Gavino, professandosi cristiano, confessò di averli liberati.
Fu subito condannato a morte e mentre lo conducevano sul luogo del supplizio,
lungo la strada incontrò una donna cristiana che l’aveva spesso ospitato, la
quale gli diede un velo per bendarsi gli occhi; Gavino fu decapitato vicino al
mare e il suo corpo gettato dalle rupi nelle onde, dove scomparve.
Dopo la morte Gavino apparve a Calpurnio marito della donna cristiana e dopo
averlo aiutato a rialzare le sue bestie cadute, gli affidò il velo prestatogli,
dicendo di restituirlo a sua moglie.
Quando l’uomo tornò a casa, trovò la moglie piangente per la morte di Gavino,
ma Calpurnio non poteva crederci visto che l’aveva incontrato lungo la strada,
tanto è vero che gli aveva dato il velo per lei; ma una volta spiegato il velo,
si accorsero che era macchiato di sangue.
Poi il martire Gavino apparve ai due fuggitivi nella caverna, invitandoli a
tornare a Turris per ricevere come lui il martirio; Proto e Gianuario
obbedirono e furono decapitati il 27 ottobre
Santo
Gaudenzio nato a Brescia,monaco a
Cesarea in Cappadocia e poi vescovo di Brescia(verso il 410 )
Quello
che sappiamo di lui si ricava in parte dai suoi scritti, da lettere di
contemporanei e dalle vicende che lo hanno coinvolto. È bresciano di origine,
ma non si sa niente della famiglia, della nascita e della gioventù. Lo
troviamo, forse già sacerdote, al fianco del settimo vescovo bresciano,
Filastrio. Di sicuro ha fatto buoni studi e gode di largo prestigio tra i
concittadini. Infatti, quando Filastrio muore (nel 387 o 388), clero e fedeli
designano lui come successore.
Ma Gaudenzio al momento sta percorrendo come pellegrino i luoghi santi; è anzi
uno dei pionieri di questi pellegrinaggi. I bresciani allora mandano in
Palestina una delegazione per farlo rientrare al più presto. Lui accetta con
qualche difficoltà, perché si considera scarso come scrittore di teologia,
mentre questo all’epoca è compito fondamentale di ogni vescovo, con tanti punti
di fede da precisare, con la varietà di dottrine e di dottrinari che ci sono in
giro. (Il vescovo Filastrio ha scritto molto su eresie ed eretici).
Ma infine si convince ad accettare, anche perché la sua nomina è sostenuta da
Ambrogio, vescovo di Milano. Così, intorno all’anno 390 viene consacrato vescovo,
alla presenza di Ambrogio venuto da Milano, che poi lo chiama nella sua città
per una serie di prediche. (Milano è capitale dell’Impero romano d’Occidente:
vi risiedono la famiglia imperiale, il governo e i comandi militari). Non si
ritiene degno di stendere trattati, e non crede che le sue omelie meritino di
essere trascritte. E invece proprio questo accade: da un lato, le trascrivono
molti preti per servirsene nella loro predicazione; dall’altro, c’è chi gli
richiede più larghe spiegazioni di cose dette da lui in chiesa; e allora gli
tocca scrivere. Uno dei più vivaci intellettuali del tempo, Tirannio Rufino di
Aquileia, gli scrive: «Il tuo è un ingegno così vivo che bisogna proprio
scrivere e pubblicare quello che dici nelle prediche e nelle conversazioni»..
La sua esperienza dell’Oriente gli procura un’importante missione nel 406. A
Costantinopoli, il patriarca Giovanni Crisostomo è stato mandato in esilio per
la seconda volta, a opera di Eudossia, moglie dell’imperatore Arcadio. Papa
Innocenzo I manda Gaudenzio e altri quattro vescovi a Costantinopoli per
incontrare Arcadio, promuovere un concilio e ottenere la libertà per il
patriarca. Ma l’impresa fallisce: i vescovi vengono bloccati e rimandati
indietro prima di arrivare a Costantinopoli.
E Gaudenzio ritorna a Brescia, dove fa sorgere una chiesa dal nome insolito:
Concilium Sanctorum. «Il nome voleva dire: qui c’è una collezione di santi; e i
santi sono le reliquie degli apostoli che aveva portato san Gaudenzio nel suo
ritorno dalla Terrasanta»: così ha spiegato questo nome Paolo VI, bresciano,
parlando a un pellegrinaggio di suoi concittadini nel 1970. Gaudenzio è stato
sepolto in quella chiesa nel 411 o 412, già venerato come santo dal popolo.
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Santo Arduino
confessore della fede a Ceperano(verso il 627)
Secondo
una venerabile tradizione Sant’Arduino sarebbe nativo dell’Inghilterra,
di stirpe pagana. Sant’Agostino di Canterbury, celebre evangelizzatore
dell’isola, lo convertì al cristianesimo e gli conferì l’ordinazione
sacerdotale. Per un certo tempo Arduino esercitò il suo ministero dedicandosi
intensamente alla preghiera ed al digiuno, finchè insieme ad altri santi
pellegrini, Gerardo, Bernardo e Folco, decise di intraprendere la visita dei
luoghi santi in Palestina. Al ritorno da questo lungo viaggio si sarebbe
fermato a Ceprano, in provincia di Frosinone, ove fu però colpito dalla peste
allora dilagante e trovò così la morte il 28 luglio 627. Gli fu data sepoltura
nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Il suo culto, a Ceprano, fu sempre costante
e continuo , e sin dal 1531 venne approvato dal Papa Clemente VII Verso il ‘600 il vescovo di Veroli, Eugenio
Fucci, compì una ricognizione delle reliquie ed un’altra fu effettuata il 31
luglio 1863 dal vescovo Fortunato Maurizi, in occasione del nuovo altare
dedicato al santo. In realtà già il 18 luglio 1621 il comune di Ceprano, come
risulta dai suoi atti consiliari, aveva effettuato uno scambio di reliquie con
il comune di Santo Padre al quale ne aveva ceduta una di Arduino. Il capo
inltre, precedentemente separato dal corpo e legato in argento, fu adornato con
maggiore fasto nel 1766. Una reliquia del santo si trova anche presso Rocca
d’Arce, in diocesi di Aquino, ove nel 1779 fu trasferita in una nuova chiesa
dalla vecchia cappella in demolizione a lui dedicata.