Saint NIL de Rossano en Calabre, illustre figure du monachisme italo-grec, fondateur du monastère de Grotta-Ferrata près de Rome, ascète et prophète (1004 ou 1005). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome IX du Supplément aux Ménées.)
This St. Nilus is named "the Younger" or "the New" to distinguish him from the 5th c. St. Nilus. He was a Calabrian Greek who married (or, by some accounts, lived unlawfully) and had a daughter. Urged to profound repentance by a grievous illness, he became a deeply pious monastic. He moved the sites of his monastic labours to the environs of Orthodox Rome to escape the depredations of the Hagarenes (Muslims). There, in 1004 A.D., at the place which now is called Grottaferrata, the Most Holy Mother of God appeared to him and bade him establish the famed Eastern rite monastery (which later fell into the hands of the separated Roman Church). St. Nilus was renowned for his ascetic life, his gifts in the realm of theology, and for founding or re-establishing monastic life in many different locations, working with Eastern and Western rite communities alike (in that respect, he resembles the equals-to-the-Apostles Cyril and Methodius). The Saint spent some time living at Monte Cassino at the Western rite monastery founded by St. Benedict. In 1005, on Sept. 26 (some say Dec. 27), at the holy monastery of St. Agatha in Tusculum, the holy monastic founder and father to many reposed in sanctity. O Holy Father Nilus, pray to God for us!
L'Italia meridionale conosce i monaci d'Oriente
con la loro liturgia al tempo del dominio bizantino. Con l'espansione
araba la Calabria si popola di comunità guidate dalla regola di san
Basilio, che attirano anche discepoli del posto. Come un calabrese di
Rossano, Nicola, che diventerà monaco col nome di Nilo (910-1004). Vive
prima in comunità, poi si fa eremita, con dedizione totale a preghiera e
studio. Legge i Padri della Chiesa, compone inni, trascrive testi con
grafia rapida ed elegante. È maestro di nuovi monaci a Rossano, con un
metodo selettivo. Devono essere studiosi, eccellenti anche in
calligrafia e canto. Quando si accorge di essere ormai un'autorità
locale, fugge in territorio longobardo, verso il principato di Capua.
Qui, per quindici anni, Nilo educa monaci di rito orientale, mantenendo
amabili rapporti con i monaci benedettini di Montecassino. Trascorre
dieci anni a Gaeta dove vede finire il primo millennio. E da qui parte,
novantenne, per fondare l'abbazia di Grottaferrata vicino Roma. Si
spegne nel vicino monastero greco di Sant'Agata.
http://www.santiebeati.it/dettaglio/72100
Lo stesso giorno, memoria del nostro Padre Teoforo NILO di Calabria[1] .
San Nilo nacque nel 910, in seno ad una delle più illustri famiglie di Rossano, capitale
di Calabria, una delle rare città che per la protezione della Madre di
Dio, era sfuggita al pericolo saraceno. Poiché i genitori di Nilo non
tardarono a morire, fu affidato alle cure di sua sorella, primogenita, e
ricevette una educazione molto raffinata. Egli godeva a restar solo per
consacrarsi alle letture delle Sante Scritture e della vita dei santi, e
si teneva lontano dai costumi depravati del suo tempo. Ma non avendo
guida spirituale, il giovane si lasciò prendere dal laccio del piacere e
si innamorò di una ragazza della città, da cui ebbe ben presto una
figlia. In seguito ad una malattia, da cui guarì rapidamente
attraversando un fiume, Nilo comprese che Dio lo chiamava ad una vita
più perfetta. Egli abbandonò subito tutto ciò che lo teneva legato al
mondo e andò al monastero del Monte Mercurion per essere ricevuto come
monaco. Ma, essendo stati minacciati i monaci di severe rappresaglie se
accettavano il giovane aristocratico, Nilo fu costretto a proseguire il
suo viaggio fino al monastero di San Nazario, dove ricevette il santo
abito monastico dopo quaranta giorni. Poco tempo dopo poté tornare al
Monte Mercurion per mettersi sotto la direzione spirituale dei
venerabili asceti Zaccaria e Fantino[2] . L’obbedienza di Nilo fu
severamente provata dai suoi padri spirituali ma mostrò un tale zelo per
la rinuncia alla volontà propria ed un tale amore per la solitudine che
non tardò ad essere autorizzato a ritirarsi in una grotta dei dintorni,
per intrattenersi, senza sosta, avanti al Dio invisibile come se fosse
visibile.
Durante il soggiorno in questa grotta, san Nilo iniziò con
ardore a sottomettere la sua carne alle leggi dello spirito. Egli
ignorava l’uso di vino o di ogni nutrimento cotto e restava sovente,
due, tre o cinque giorni senza mangiare. Dal mattino alla terza ora, si
dedicava al suo lavoro manuale, la calligrafia, che era l’occasione per
lui di penetrare più profondamente le Sante Scritture e le opere dei
Padri. Dalla terza alla sesta ora, si teneva avanti alla croce,
recitando salmi e prostrazioni (metanie). Dalla sesta alla nona ora si
sedeva per leggere e meditare le scritture e i Santi Padri, poi
celebrava l’ufficio della Nona e i Vespri. Alla fine dell’ufficio usciva
dalla grotta per fare una piccola passeggiata e offriva la loro parte
ai suoi sensi, contemplando la bellezza della creazione e glorificando
Dio nelle sue opere. Egli prendeva in seguito il suo magro pasto fatto
di pane, di legumi secchi o di qualche frutto poi si concedeva tutto al
più un’ora di sonno, prima di trascurare tutta la notte in preghiera
facendo più di cinquecento metanie. Egli viveva nella più stretta
povertà e indossava on ogni periodo una grossa tunica di peli di capra,
che cambiava solo una volta l’anno, quando era coperta di vermi.
Malgrado questi sforzi ascetici, il santo traeva ogni giorno vantaggio
dall’umiltà, condannandosi da se stesso in tutto e considerando che
viveva nella solitudine a causa della sua debolezza e che i cenobiti lo
superavano nelle loro opere. Egli versava abbondanti lacrime e lottava
senza sosta contro gli assalti dei demoni che volevano indurlo in
tentazione con immagini o false visioni e cercavano di fargli lasciare
la grotta. Quando la tentazione diventava troppo forte, il santo fingeva
di acconsentirvi. Cominciava a partire; ma, sul cammino, sospendeva un
vecchio vestimento ad un albero e si prostrava davanti come se si
trattasse del suo padre spirituale che gli chiedeva la ragione della sua
partenza. Confuso e non sapendo cosa rispondere, tornava allora nella
grotta, incoraggiato dalla fiducia del sostegno delle preghiere del suo
Anziano. Dopo più di dieci anni di lotte e soprattutto di umile offerta
della sua debolezza al Signore, Dio gli accordò la vittoria sulle
tentazioni della carne e la grazia dell’impossibilità. Egli divenne
molto stimato nella regione e ammirato sia dai saraceni che dai
cristiani.
Qualche tempo più tardi, il demone, costantemente tenuto
in scacco nella guerra interiore che egli conduceva contro il Santo,
passò all’assalto con prove esteriori. Gli inflisse delle malattie per
impedirgli di compiere il suo programma quotidiano, ma Nilo resistette a
tutti gli attacchi. Quando il demone lo rese afono per impedirgli di
recitare i salmi, il santo contrattaccò immediatamente con la preghiera
silenziosa. Una notte il Maligno gli apparve in maniera visibile, lo
colpì e lo lasciò mezzo morto, ma il santo continuò a pregare. San
Fantino finì per convincerlo a ritornare per un po’ al monastero, a
causa della sua santità. Nilo obbedì, ma appena si ristabilì, ritornò
nella sua grotta, malgrado il desiderio dei fratelli di farlo egumeno.
Nilo accettò ben presto di prendere un novizio, Stefano, verso il quale
si mostrò duro ed esigente, ma senza alcuna collera. Come un padre
attento all’educazione di suo figlio, faceva crescere in Stefano l’uomo
interiore, confermandolo nell’ascesi, la rinuncia e l’umiltà. Per
aiutare il ragazzo a lottare contro il sonno, Nilo gli confezionò uno
sgabello ad un solo piede e gli impedì di utilizzare qualunque altra
sedia: di modo che quando cominciava ad essere preso dal sonno, Stefano
cadeva a terra. Ma il suo amore per il discepolo era tale che, quando il
monastero di Fantino fu preso dai saraceni, Nilo, pensando che il suo
discepolo fosse stato catturato e inviato come schiavo, volle
presentarsi ai barbari per non abbandonarlo.
Verso il 956, Nilo ed
alcuni suoi discepoli furono costretti a lasciare la loro grotta a causa
di una nuova invasione dei saraceni e andarono nei dintorni di Rossano,
per installarsi nel piccolo oratorio di san Adriano. Dodici altri
discepoli si aggiunsero ben presto ad essi. Nel monastero così
costituito, i fratelli non cessavano di vivere nella stessa austerità e
nella stessa povertà di Nilo nella sua grotta. Malgrado il suo amore per
i fratelli, Nilo sopportava difficilmente la vita comune e ricordava
con nostalgia la dolcezza della solitudine. La sua conoscenza
infallibile dei misteri della Scrittura, la sua saggezza e il suo
discernimento spirituale attirarono in lui un gran numero di visitatori,
nonché i più grandi personaggi dell’impero. Egli ricevette tutti senza
fare distinzioni di rango e insegnava loro ciò che gli dettava lo
Spirito Santo, lasciandoli pieni d’ammirazione avanti alla sua scienza.
Malgrado le resistenze della sua umiltà, venivano condotti a lui malati e
posseduti perché egli li guarisse con la sua preghiera. Nilo accettava
solo di ungerli con l’olio di una lampada prima benedetto da un prete.
Essi venivano effettivamente guariti ma il santo attribuiva la causa
alla preghiera della Chiesa. Da allora, guarì non solo un gran numero di
malati ma andava anche in aiuto a coloro che soffrivano ingiustizie.
Egli non esitava di uscire dalla sua grotta per andare in città o per
percorrere a piedi grandi distanze al fine di far trionfare il diritto e
la giustizia. Quando gli abitanti di Rossano di rivoltarono contro
l’autorità, Nilo intervenne personalmente ed esortò il magistrato
Niceforo al perdono. Egli acquisì così una tale reputazione che alla
morte del vescovo, venne scelto come successore ma il santo fuggì dalle
acclamazioni del popolo, infilandosi nella montagna.
Malgrado i
rifiuti ripetuti di san Nilo, gli abitanti della regione non cessavano
di fare donazioni al monastero, che si arricchì. Il santo stesso era
onorato perfino alla corte di Costantinopoli, così decise di fuggire in
Campania, n territorio latino, dove era sconosciuto, così da poter
ritrovare la quiete e la austerità di vita, senza la quale non poteva
trovare Dio. Ma la sua reputazione lo anticipò. Quando arrivò al
monastero fondato da san Benedetto, al monte Cassino, i monaci latini lo
ricevettero solennemente “come se Benedetto stesso fosse resuscitato
dai morti”. Egli ottenne per lui ed i suoi discepoli, una dipendenza
vicina al grande monastero dove potevano celebrare gli offici in greco:
<< affinché Dio sia tutto in tutti >>. Nilo redasse un
officio a gloria di san Benedetto e andò al grande monastero per
celebrare con i suoi monaci una veglia di tutta la notte secondo il rito
bizantino. Alla fine della festa, i monaci benedettini ruppero la loro
disciplina abituale per precipitarsi verso Nilo e assalirlo con domande
spirituali. Malgrado la sua fermezza nella fede dei Santi Padri, san
Nilo mostrò una grande apertura di spirito in merito alla differenza tra
Greci e Latini. Sulla questione del digiuno del sabato praticato dai
Latini, rispose; << Che noi mangiamo o che voi digiunate, è tutto a
gloria di Dio che lo facciamo >>. Poiché il monastero di San
Michele in Valleluce era a sua volta diventato ricco e la vita era più
facile, Nilo l’abbandonò proponendo a coloro che volevano seguire la via
stretta del Vangelo, di partire con lui. Egli andò nel Ducato di Gaeta e
fondò il monastero di Serperi su una arida montagna, dove con i suoi
compagni si consacrarono ad un aspro lavoro e alla salmodia perpetua. Il
santo anziano era sempre più spesso assalito dalla malattia, ma non
cessava di potenziare la sua ascesi. Egli cadeva sovente in estasi e non
rispondeva alle domande che gli venivano poste se non con versi di
salmi o parole della Santa Liturgia. Quando ritornava in sé e gli veniva
chiesto dove si trovasse, si scusava dicendo che era vecchio e
strampalato. Malgrado il suo ritiro, interveniva spesso presso i potenti
per far regnare la giustizia e la mansuetudine. Così quando Filagetone
il Calabrese, dopo aver tentato di impadronirsi del seggio papale, fu
castigato dal Papa e dall’imperatore, Nilo andò di persona a Roma per
intercedere il suo favore. L’imperatore Ottone III, vivamente colpito
dal santo, gli rese visita nel suo monastero qualche tempo più tardi.
Alla proposta del sovrano di venirgli in aiuto materialmente, Nilo
rispose: << Io non ho bisogno del tuo regno, ma tu di salvare la
tua anima >>. Dieci anni dopo la fondazione di Serperi, Nilo
lasciò ancora una volta ciò che lo legava al mondo per andare nei
dintorni di Roma, al monastero di Sant’Agata, che scelse per morire. Ben
presto raggiunto dai suoi discepoli, designò uno di essi come
successore, si preparò pacificamente alla morte e rese la sua anima a
Dio, dopo essere rimasto due giorni continuamente in preghiera (26
settembre 1005). Il suo corpo fu ben presto trasferito a tre miglia da
là, nell’attuale monastero di Grottaferrata (Crypto-Ferris), di cui è
considerato come il fondatore e dove i suoi discepoli continuarono a
vivere secondo la tradizione bizantina.
Note:
1) San Nilo non è menzionato nei sinassari bizantini. Qui è aggiunto
per segnalare l’importanza della presenza monastica bizantina
nell’Italia del Sud, regione che con la Sicilia, restò legata alla
Chiesa Ortodossa fino al 15°-16° secolo.
2) San Fantino è commemorato
il 30 agosto. Termina la sua vita a Salonicco e fu uno dei personaggi
che con la loro esistenza unirono regioni ben distinte del mondo
cristiano.
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=3789:26-09-memoria-del-nostro-padre-teoforo-nilo-di-calabria&catid=191:settembre&lang=it
Oggi ricorre la mememoria del nostro Santo Nilo, detto il Giovane. Figura
eccelsa, ma non unica, del monachesimo italo-greco.
Egli fu fondatore di
vari monasteri tra cui, in primi quello di S. Adriano e
Natalia, quindi dopo lungo peregrinare ( caratteristi peculiare del monachesimo
italo-greco non è stato la " stabilitas loci" del monachesimo occidentale , ma
il viaggiare per luoghi desolati ed inaccessibili alla ricerrca costante
dell'esichia. Quindi una tendenza innata all'eremitismo. Del resto i cenobi
greci furono relativamente tardi, mentre
caratteristiche furono le Laure.......
L'icona edita da padre Giovanni, raffigura S. Nilo con un cariglio in cui
paragona il monaco ad un angelo.
Questo si rifà ad un episodio della vita di NIlo.
Quesi, cono i suoi compagni, dopo aver abbandonato la calabria e il mercurion, a
causa delle continue incursioni arabe si reca a Montecassino, e riceve
dall'abate Aligerno, un methochion del Monastero benedettino in località
Valleluce, dove potersi stabilire.
Arrivata la festività liturgica di San Benedetto, i monaci greci sono invitati a
celebrare la Liturgia prorpio in quel giorno nel cenobio benedettino, e li NIlo
ed i compagni cantano il canone a San Benedetto, composto proprio da NIlo.
Al
termine della S. Liturgia,, durante un'agape tra monaci, i benedettini
chiesero a Nilochi fosse un monaco. Egli rispose che il monaco è un angelo che
opera azione di grazia e misericordia.........
Dopo la morte dell'abate benedittino ne fu eletto un'altro ( Mansone ???? non
ricordo bene)..... corrotto e mondano.
I calabresi partirono da Valleluce e si recarono a Serperi, dove il Principe
longobardo di Capua aveva donaoto loro un esicastirion ( dall'aspetto di una
topaia).Da Li ormai vecchissimo, il gheron Nilon arrivò a Tuscolo e nel
monastero di Santa Agata rese lo spirito.
Gabriele Cassata
leggere anche
L'avventurosa vita di San Nilo da Rossano
http://www.oresteparise.it/Articoli12/mezzo2012_32bis.html
e con annessa bibliografia
http://www.treccani.it/enciclopedia/nilo-il-giovane-santo_%28Dizionario-Biografico%29/
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1987805227982977&set=a.1001927373237439&type=3&theater