domenica 14 giugno 2020

Santi italo greci mese di maggio



31  Maggio

+ Marco, Metropolita Calabriensis


Al concilio di Nicea, nel 325, era presente Marco di Calabria, uno dei sette delegati occidentali, unico della penisola italiana, ritenuto da alcuni vescovo di Brindisi, da altri vescovo di Otranto. Un elemento interessante è il titolo di “metropolita”, attribuito al vescovo Marco, il quale fa pensare agli albori di una provincia ecclesiastica già dal principio del IV secolo nella penisola salentina meridionale.








+Il 29 di questo mese, memoria dei Santi Conone (Cuono) e Conello Martiri ad Iconio, e venerati ad Acerra in Campania.
La storia dei Santi Protettori di Acerra ci è stata tramandata da alcuni manoscritti del V secolo. Il nome originale di questi santi è quello di S. Conone e Conello.
Si tramanda che Conone fosse un ingegnere idraulico, uomo di agiate condizioni economiche nella sua città di Iconio in Isauria, piccola regione dell'Asia Minore. Egli era cristiano, come la maggior parte degli abitanti della zona in cui il Cristianesimo si era diffuso moltissimo per la predicazione di S. Paolo.
Conone, ormai vedovo, decise di vivere da monaco.
Di suo figlio Conello sappiamo che era un ragazzo che seguì il padre in tutte le sue scelte, anche in quella monacale, che era Diacono della comunità cristiana di Iconio e che era un giovane molto impegnato e riscuoteva la stima della gente fra cui viveva.
A quel tempo, il prefetto Domiziano, che aveva l'incarico di far sentire che il potere dell'imperatore era più forte di qualunque altro, cominciò ad accanirsi contro Conone e Conello.
Al processo seguirono torture e supplizi per Conone e Conello i quali affrontarono coraggiosamente la morte testimoniando la loro fede, il 29 Maggio 275.
Il culto dei Santi Cuono e Figlio è vivo ad Acerra già prima del 1079. A portare qui il culto e le reliquie dei Santi, si pensa siano stati o dei fedeli che fuggivano dagli iconoclasti, o dei pellegrini di ritorno dalla Terra Santa.
Ai SS. Patroni fu dedicata una chiesa dove ancora oggi sono custodite le statue che li raffigurano con la pelle nera (forse in segno del martirio subìto: la graticola e poi il fumo), mentre nella Chiesa cattedrale sono offerte alla venerazione dei fedeli le reliquie dei Santi (ulna di un braccio di S.Cuono) che furono consegnate alla città di Acerra, con una solenne cerimonia religiosa nel 1688 dal Vescovo di allora, mons. De Angelis, che le aveva ricevute da Roma.
Nel 1806 entrò in Acerra un generale francese che venne ospitato nel palazzo ex-baronale della signora Caterina Ungaretti, moglie del cavaliere Francesco Spinelli. Questi, girando per Acerra, entrò nella chiesa dei SS. Patroni e, quando vide le statue, si fece pallido ed esclamò: "Per Dio, sono loro!" e raccontò che aveva incontrato i due santi quando stava entrando nella città e al Gaudello il Santo gli aveva ordinato: "Generale, bada a non far del male agli Acerrani, essi mi appartengono. Guai a chi tocca i miei figli!". Così il Generale si decise a partire subito.
Si racconta ancora che il 25 Aprile 1872 dal Vesuvio sorse un'immensa nube nera che cominciò ad espandersi sulla pianura acerrana. Il popolo ricorse all'intercessione dei Santi portando la statua e le reliquie in processione. Dopo pochi minuti si alzò un vento che allontanò la nube sgombrando il cielo acerrano.


✠ Il 26 di questo mese, memoria del nostro santo padre Pardo di Larino, vescovo di una città del Peloponneso.
La dignità di vescovo non è messa in discussione dagli studiosi, quello che invece li fa trovare discordanti è la città di cui fu vescovo. Un gruppo di esperti afferma che san Pardo fu vescovo di Larino (Campobasso) nel Molise, considerandolo il primo della sede episcopale.
Mentre un’altro gruppo afferma che fu vescovo di una città del Peloponneso in Grecia, del quale la leggenda racconta, che costretto a fuggire dalla sua sede a causa della persecuzioni (forse quelle derivate dall’iconoclastia), si rifugiò a Roma presso il papa Gregorio II.
Il pontefice gli offrì più volte un’altra sede episcopale, ma egli rifiutò costantemente, desideroso di vivere in solitudine e penitenza in un eremo situato presso Lucera (Foggia), dove poi effettivamente visse in santità gli ultimi anni della sua vita. A questo punto bisogna ricordare che in quei tempi era diventata una vera ossessione per i fedeli delle comunità, avere nella propria chiesa il corpo di un santo o di un martire da venerare; per cui fiorivano i furti o le appropriazioni più o meno violente di dette reliquie, da altri centri che le possedevano, gli agiografi le chiamano “sacre rapine”.
Così anche gli abitanti di Larino riuscirono ad impossessarsi del corpo di s. Pardo nel X secolo, e gli eressero una chiesa dedicata al suo nome, che divenne poi la cattedrale della città, tuttora esistente.
Ad ogni modo qualunque sia la versione giusta, il periodo in cui visse e morì s. Pardo, fu nel VII secolo; c’è da aggiungere che il ‘furto’ delle reliquie di s. Pardo, scaturì per la necessità di sostituire le reliquie di s. Primiano e di s. Firmiano, martiri larinesi, che in precedenza erano state a loro volta trafugate dagli abitanti di Lesina, città sorta sulla costa ad opera degli abitanti di Lucera, la cui città era stata distrutta dai Saraceni e piu tardi dai bizantini, e quindi costretti a fuggire in altro luogo.
Come patrono della città e della diocesi di Larino, s. Pardo viene celebrato il 26 maggio, ma i festeggiamenti in suo onore vanno dal 25 al 27 maggio, con sfilata di carri infiorati sul tipo degli antichi carri romani (plaustri) tirati da coppie di buoi e fiaccolata.



+ Il 25 di Maggio, memoria del nostro santo padre Jeunio il Digiunatore, di Gerace.
+ Tη ΚΕ' Μαΐου, μνήμη του Οσίου Πατρός ημών Ιεουνίου του Νηστευτού, εν Ιέρακι της Καλαβρίας
Nacque a Gerace ai primi del 900, e al battesimo gli venne imposto il nome di Giovanni. Si fece ben presto monaco e si distinse soprattutto per una durissima penitenza, tanto che fu soprannominato il Digiunatore. I contemporanei ne trasmisero la memoria ai posteri chiamandolo Giovanni Ieiunio.
Come il suo concittadino Antonio ( 23 Agosto), pure lui dimorò a lungo nel monastero di S. Filippo d'Argirò, in Gerace. Ma trascorse la mag­gior parte della sua vita come eremita in una grotta, scavata nella rupe del vicino monte, detta poi «Sant'Iunio». Più tardi ivi fu costruito un monastero che ebbe notevole risonanza nell'epoca normanna.
Morì intorno al 1000. Il culto fu vivo nel suo monastero dove la festa liturgica era celebrata il 25 Μaggio e poi il 25 Αgosto. Di lui oggi, a Gerace, si ricorda appena il nome....


24  Maggio

Santo Elpidio Vescovo di Atella in Campania tra Napoli e Capua(verso il VI secolo ) con suo fratello il Santo presbitero Cleone e il di lui figlio il chierico Santo Elpicio

Elpidio fu uno dei dodici vescovi o preti africani che, durante la persecuzione vandalica del V sec. o durante quella ariana del IV, dopo vari tormenti furono caricati su di una vecchia nave senza remi e senza vele perché morissero in mare. Ma la nave non affondò e, spinta da correnti favorevoli, raggiunse la Campania. Tale leggenda, come avevano già sospettato il Ruinart ed il Tillemont e come dimostra ampiamente il Lanzoni, è recente (sec. XII) e non merita alcuna fiducia: essa non fa che riprendere e rifare, ampliandoli, altri episodi del genere, come quello del vescovo di Cartagine Quodvultdens giunto coi suoi chierici a Napoli nel 439-440. Il Lanzoni vede in tutti i dodici nomi, vescovi o santi locali. Prima, infatti, che in tale leggenda, il nome di Elpidio appare in altre fonti ben più importanti.
La passio del martire atellano s. Canione dice che il vescovo Elpidio eresse una basilica sul suo sepolcro ed anzi ne riporta l'iscrizione dedicatoria col nome del costruttore. Un altro documento, la Vita S. Elpidii, lo celebra al 24 maggio, lo dice fratello di s. Cione, zio di s. Elpicio, non altrimenti noto, e vescovo di Atella ai tempi di papa Siricio (384-399) e di Arcadio (395-408): questi dati cronologici sono probabilmente quelli giusti. Gli Atti della traslazione di s. Atanasio di Napoli ci informano che in Atella nell'872 vi era una ecclesia S. Elpidii, mentre un istrumento notarile dell'820 testimonia che già in quell'epoca tutta la zona circostante era chiamata S. Elpidio (oggi S. Arpino). E, finalmente, il Calendario marmoreo di Napoli (cf. Mallardo, op. cit in bibl., p. 21) ne celebra la memoria al 15 gennaio con le parole: ET s. EEPIDII EPI[SCOPI]; e, malgrado che l'identità della data abbia fatto concludere al Delehaye che in questa nota si tratti dell'omonimo Elpidio, celebrato pure al 15 gennaio dal Sinassario Costantinopolitano, il Lanzoni ed il Mallardo accettano la tradizione di quegli studiosi che videro celebrato nel Calendario marmoreo il vescovo di Atella, perché l'Elpidio bizantino non consta fosse vescovo.
Distrutta la città con l'invasione longobarda, pare che alcuni cittadini atellani, portando con sé i corpi di Elpidio, Cione ed Elpicio, si rifugiassero a Salerno, dove le sacre reliquie vennero collocate sotto un altare dell'antica cattedrale. Il clero di Salerno da secoli ne celebra la festa liturgica al 24 maggio. Recentemente, nel 1958, l'arcivescovo Demetrio Moscato ha voluto compiere una ricognizione canonica delle reliquie dei santi che la storia salernitana confermava essere sepolti nella cripta del duomo, propriamente sotto l'altare denominato "dei santi confessori". Fra le altre reliquie furono rinvenute anche quelle dei tre santi Elpidio, Cione ed Elpicio, ivi collocate dall'arcivescovo Alfano I nel marzo 1081, come è chiaramente detto in un'iscrizione marmorea, collocata dal medesimo arcivescovo nella parte interna della lastra di copertura delle reliquie, che ora avranno nuova decorosa sistemazione..
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Gli avvenimenti relativi alla vita di S. Elpidio V. più noti si leggono nella vita S. Castrensis
(S. Castrese di Castel Volturno) redatta quasi sicuramente a Capua in qualche cenobio benedettino prima della metà del XII sec. poi manipolata e trascritta nel XVI sec.
Secondo il documento medievale, il nostro Santo appartiene ad un gruppo di dodici vescovi, o preti, o addirittura fratelli di origine nord-africana, incorso nella persecuzione dell’imperatore Valente, mentre per la versione cinquecentesca è ritenuto vittima, insieme ai compagni, della persecuzione dei Vandali di Genserico. Elpidio, il cui nome proveniente dal greco significa “colui che spera in Dio”,
nacque in Africa nella Mauritania Cesariense negli anni compresi tra il 395 e il 400, da ricchi e nobili genitori. Abbandonati gli agi della vita familiare, desideroso unicamente di consacrarsi a Dio, divenne sacerdote. Nel 429 i Vandali invasero l’Africa settentrionale diffondendo idee scismatiche a danno della Chiesa Cattolica; allora strenua fu l’opera di S. Elpidio, che esortò i suoi figli spirituali ad affrontare coraggiosamente gli attacchi fisici e morali dei violenti persecutori. La leggenda vuole che, catturato con gli altri vescovi, S. Elpidio fu imbarcato con
essi su uno sconquassato veliero affinchè in alto mare finissero in pasto agli squali.
Ma ecco che, mentre i Vandali attendevano di vedere calare a picco nel mare quella precaria imbarcazione, un angelo scese dal cielo e, con forza divina, placidamente guidò il prezioso equipaggio attrverso il Mar Mediterraneo fino al porto di Castel Volturno in Campania. Era il 10 Maggio dell’anno 440. Di qui Elpidio raggiunse Atella dove fu Vescovo per 22 anni.
S. Elpidio venne in Casapulla verosimilmente intorno alla metà del V sec., vi predicò il Vangelo di Cristo, battezzò gli abitanti del luogo e vi costruì una chiesa consacrata
al vero Dio, facendo demolire il tempio pagano di Apollo. Dell’antico tempio solo il muro della navata settentrionale rimase in piedi e fu parte della chiesa.
S. Elpidio morì il 24 Maggio di un anno compreso tra il 459 e il 464. Aveva 64 anni. Due giorni dopo il 26 Maggio fu solennemente sepolto e gli Atellani, riconoscendo in Lui il rifondatore della città e il Pater Patriae, lo acclamarono Santo venerandone la tomba e propagandone il culto nei dintorni.
Da sempre i Casapullesi celebrano il loro Patrono il 26 Maggio, intendendo far memoria della sua sepoltura, a differenza dei Santarpinesi che ne ricordano il 24 Maggio il dies natalis, cioè il giorno della morte.
L’ 8 Maggio 1604 la Sacra Congregazione dei Riti in Roma approvò la pubblica decisione, presa dagli abitanti di Casapulla, di eleggere S. Elpidio Protettore del territorio del proprio comune

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 Nasce in Africa a cavallo fra il 388 ed il 395 d.C. da famiglia illustre. Il nome Elpidio deriva dal greco "elpis" che significa "speranza", per cui Elpidio significa "colui che spera in Dio". Fu consacrato vescovo a circa 30 anni. Intorno al 432 diviene vescovo di Atella e vi rimane per circa 22 anni. La data della sua morte è da collocarsi fra il 452 ed il 457. Con vari miracoli ha dimostrato al popolo santarpinese il suo potente patrocinio. Il più famoso è raffigurato in alto dell'altare maggiore. In un pomeriggio soffocante del Luglio 1809, un paralitico di Sant’Arpino, Carmine Tanzillo, proveniente da Frattaminore, faceva ritorno al paese. Lungo la strada di campagna che stava percorrendo, tirandosi con le mani perché camminava seduto, vide all'improvviso dei buoi che venivano in senso opposto. Si mise a gridare per la paura di essere travolto e invocò il Santo Protettore verso il quale aveva grande fede. S. Elpidio apparve facendosi largo tra le piantagioni di canapa e allungando la mano pronunziò le parole del Maestro divino "Surge et ambula" (Alzati e cammina). Il vecchietto buttò via gli zoccoli che teneva alle mani, si alzò in piedi e corse in paese annunziando la miracolosa apparizione di S. Elpidio e l'istantanea guarigione. Il corpo del Santo è stato conservato nella chiesa di Atella nel posto ove sorge il palazzo Ducale fino al '787. In quell'anno a seguito delle incursioni dei Longobardi, per paura che le reliquie del Santo fossero rubate, furono trasportate nella città fortificata di Salerno, ove sono oggi custodite nella cripta del Duomo.

Consultare e Leggere
EPISCOPATO E VESCOVI DI ATELLA
PASQUALE SAVIANO







23  Maggio

Santo Efebo vescovo di Napoli nel III secolo



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È l’ottavo nella serie dei vescovi di Napoli, come ci è pervenuta attraverso il Liber Pontificalis di detta Chiesa. Il Calendario Marmoreo napoletano e tutti gli altri calendari ne commemorano la deposizione il 23 maggio, giorno in cui fissa la sua festa il Martirologio Romano. Il nome greco Efebos assieme a quelli di Epitimeto ed Eustazio, rispettivamente secondo e settimo della serie, attesta l’esistenza dell'elemento greco accanto a quello romano nella primitiva Chiesa partenopea. La forma grafica del nome subì attraverso i secoli strane alterazioni e deformazioni: Efevo, Eufebio, Eufrebio, Efrimo, Effrimo, Eufirmo, Euframo ed Eframo; l’ultima forma è ancora corrente nell’uso dialettale.
Di Efebo il cronografo dei vescovi informa solo che fu «santissimo» presule e che resse «fedelmente» la sua Chiesa. Fiorì sul finire del secolo III o agli inizi del secolo IV. La sua tomba nel cimitero suburbano, posto a nord-est della città, nella zona, in prossimità dei Ponti Rossi, che in seguito prese nome da Efebo, divenne centro di viva devozione: all'inizio del secolo V vi fu inumato il vescovo Orso, successore di san Severo. Nella prima metà del secolo IX il corpo di Efebo fu trasportato dal vescovo Giovanni IV lo Scriba (m. 849) nella cattedrale Stefania, costruita da Stefano vescovo alla fine del V secolo, e il suo nome venne inciso nel ricordato Calendario Marmoreo.
La fama di Efebo come taumaturgo rimase legata alla sua chiesa estramurale e perdurava così viva nel secolo X che un agiografo napoletano vivente in quel tempo (probabilmente Pietro suddiacono) ne tramandò testimonianza (Libellus miracolorum s. Ephebi), nella narrazione di tre miracoli operati da Efebo, mentre il suo nome fu incluso da tempo immemorabile tra quelli dei sette santi protettori della città.
Nel 1530 la detta chiesa estramurale fu affidata ai Cappuccini, i quali eressero sull’arca una nuova chiesa dedicata alla Immacolata Concezione, che conserva tuttora il nome di sant'Eframo Vecchio in opposizione a una nuova chiesa dedicata, in altro luogo della città, in onore dell'Immacolata e di Efebo. I Cappuccini ne tennero sempre vivo il culto: nel novembre 1589 praticarono nella vecchia chiesa alcuni scavi e vi rinvennero tre corpi privi di testa, che si vollero identificare, con scarso fondamento, almeno per quanto riguarda gli ultimi due, con i vescovi Efebo, Fortunato e Massimo: vi sarebbero stati trasportati dalla Stefania in epoca imprecisata, forse nel secolo XIII. Il fatto segnò un risveglio del culto verso Efebo. Se ne occupò il celebre agiografo Paolo Regio, vescovo di Vico Equense, nelle sue Opere spirituali e nel 1889 se ne celebrò il terzo centenario con qualche solennità. Inoltre, nel 1750, i Cappuccini stamparono e diffusero una Vita del glorioso Sant'Euframo vescovo e protettore di questa città di Napoli, di autore anonimo.
Del cimitero paleocristiano, legato al nome del santo vescovo, vennero alla luce alcuni elementi soltanto nel 1931, in seguito a scavi.





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http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/5/23/SANTO-DEL-GIORNO-Il-23-maggio-si-celebra-Sant-Efebo-vescovo/611091/

Oggi 23 maggio si festeggia Sant'Efebo, che è stato vescovo e martire napoletano di cui esiste ancora un grande culto nel capoluogo partenopeo. Efebo, o Eufebio o ancora Eframo, come è più conosciuto nel sud Italia, nacque a cavallo tra il III e il IV secolo a Napoli, città di cui divenne ottavo Vescovo. Non si hanno molte notizie sulla sua storia e quel poco che ne sappiamo lo dobbiamo all'antica tradizione napoletana che ancora oggi ne celebra il culto.

Si racconta che il vescovo Efebo, uomo dal bellissimo e angelico aspetto, fu un santo pastore che aveva molto a cuore la sua comunità parrocchiale. Benvoluto dai fedeli, Efebo dedicò la sua missione e la sua intera vita alla difesa del popolo napoletano e viene ancora oggi ricordato per la sua abilità di taumaturgo. Anche per questo motivo gli vennero attribuiti numerosi miracoli che portarono alla sua cerimonia di santificazione a opera della Chiesa Cattolica. Sant'Efebo è quindi da sempre ben radicato nel cuore di Napoli. Sopraggiunta la morte venne sepolto nel cimitero extraurbano, che ancora oggi conserva il nome di catacomba di Sant'Efebo, ma si stima che le sue spoglie vennero trasferite probabilmente nel IX secolo al Duomo di Napoli.

La tradizione popolare partenopea vuole, però, che le spoglie del vescovo traslarono nuovamente nella sua catacomba, nei cui dintorni, non a caso corrispondenti alla zona di Sant'Efremo Vecchio, oggi il culto del santo è forse il più diffuso ed acceso. Difatti, sono in molti a sostenere che la sua ultima traslazione sia invero avvenuta proprio nella chiesa di Sant'Efremo, insieme alle spoglie di San Massimo e San Fortunato nel XIII secolo, e non alla catacomba che viene fatta risalire al V secolo. Benché per la Chiesa cattolica la santità del martire Efebo si festeggi oggi 23 maggio, a Napoli Sant'Eframo, nome con il quale è più spesso ricordato, si festeggia anche l'8 novembre. Questo perché dal 1673 è compatrono della città di Napoli e proprio l'8 novembre si celebra la memoria dei Santi Vescovi della Chiesa di Napoli. Come impone la tradizione partenopea, a Napoli allo scadere di ogni secolo una statua d'argento raffigurante Sant'Eufebio viene portata in processione dal Duomo fino alla chiesa del rione di Sant'Eframo Vecchio, luogo in cui fu sepolto subito dopo la morte.

La chiesa di Sant'Eframo, di grande bellezza e interesse e già citata in precedenza, è oggi abitata dai frati Cappuccini, dopo un periodo in cui ad occuparlo furono le Monache delle Trentatré con la soppressione degli ordini religiosi. Al santo martire sono dedicati anche altri edifici nella città di Napoli e dintorni, come il Monastero di Sant'Eframo Nuovo a Materdei, sorto nel XVI secolo per volere di Gianfrancesco De Sangro principe di Sansevero.





Sant' Uopo di Chiaromonte in Basilicata.
Il 22 maggio i chiaromontesi e molti altri fedeli provenienti dai paesi limitrofi, si raccolgono in ricordo di un santo eremita italogreco vissuto e sepolto nella frazione che porta il suo nome. Sant'Uopo. Sant’Uopo e' un santo locale di cui non abbiamo notizie storiche. Tuttavia il nome e il toponimo da questo derivato si trovano nel territorio dell’antica Noepoli come si legge in due documenti medievali, uno del 1145 e un altro del 1165 riportati nel Syllabus Graecarum membranarum del Trinchera. In tali documenti il personaggio è chiamato Santo (ΆΓΙΟC).
In termine originario da cui deriva Euplo/Uopo parrebbe essere il greco Euplos, accanto al quale, nei testi latini si incontra anche Euplius. La corrente ed attuale dizione di Uopo è sicuramente recente, perché nei vecchi documenti parrocchiali si legge sempre “Opo”. Una chiesa dedicata al santo da remotissimi tempi è stata edificata nella contrada omonima. Della chiesa abbiamo sicure notizie da fonti scritte che risalgono al 1616, ma che rimandano, tuttavia, a tempi precedenti questa data.



✠ Il 18 di questo mese, memoria del nostro santo padre Teodosio il II vescovo di Siracusa.
✠ Τη ιη' του αυτού μηνός, μνήμη του εν Αγίοις Πατρός ημών Θεοδοσίου επισκόπου Συρακουσών.
Sotto l’impero di Tiberio Apsimaro fu vescovo a Siracusa (dal 676 al 700) s. Teodosio II che edificò una chiesa dedicata alla Madonna sotto il titolo di “Blacherne” (a imitazione dell’omonima
basilica costantinopolitana); partecipò con s. Gregorio di Agrigento, al Concilio ecumenico “Τrullano, firmandosi negli Atti “Teodosio, umile vescovo della santa Chiesa Siracusana”.
Partecipò anche al sinodo romano (680) che fu indetto dal papa siciliano s. Agatone, in cui fu scomunicata l’eresia del monotelismo, che tanta sofferenza avrebbe arrecato ai fedeli della retta dottrina, sia a Roma che in Oriente. S. Teodosio II morí nel maggio dell’anno 700.




+ Il 18 di Maggio memoria del nostro santo padre Arsenio di Fragala'.
+ Τη ιη' του αυτού μηνός, μνήμη του οσίου πατρός ημών Αρσενίου του εν Φαργάλα της Σικελίας.
Ricordato per aver scritto la vita di diversi santi. Pare sia nato
in qualche borgo vicino al monastero di San Filippo ed abbia avuto la sua formazione a Fragalà prima della conquista araba. Si congettura che sia morto nello stesso cenobio di Fragalà. La sua morte viene fissata approssimativamente all’anno 820. Gli viene anche attribuita la paternità di un canone liturgico in onore del martire S. Vito ed il panegirico in onore dello stesso Santo.



+ Il 17 di questo mese, memoria della santa martire Restituta d'Africa.
Santa Restituta era originaria di Cartagine, o forse di Tenizia, formatasi alla scuola di san Cipriano, vescovo di Cartagine.
Durante la decima persecuzione anticristiana, ordinata dall'imperatore Diocleziano nel 304, un folto numero di cristiani, provenienti anche dalle vicine città di Cartagine e Biserta, continuarono a radunarsi nella città di Abitina in casa di Ottavio Felice, per celebrarvi l'Eucaristia, detta Dominicum, sotto la guida del presbitero Saturnino. Una cinquantina di loro venne sorpresa dai soldati romani: furono arrestati, interrogati e quindi trascinati in catene a Cartagine. Il 12 febbraio 304 subirono l'interrogatorio rituale alla presenza del proconsole Anulino e, riconfermata la loro fede nonostante le torture, vennero condannati a morte: fra loro c'era anche Restituta.
Tardive Passiones medievali, hanno completato gli scarsi dati storici citati: l'agiografo Pietro Suddiacono, (X secolo) descrisse il processo, la condanna e il martirio della santa che, stremata dalle torture, fu posta su di una barca carica di stoppa, intrisa di resina e pece; quando questa fu portata al largo dai carnefici e data alle fiamme, la santa rimase illesa, mentre il fuoco annientò l'altra imbarcazione con i suoi occupanti. Restituta ringraziò il Signore, e invocò che un angelo la accompagnasse durante la traversata: esaudita, riconoscente domandò di accedere alla pace eterna e serenamente spirò.
Una tradizione ultramillenaria narra che la barca, guidata dall'angelo, approdò all'isola Aenaria, oggi detta Ischia, situata di fronte al golfo di Napoli, toccando terra nella località detta ad ripas, oggi la baia di San Montano. Viveva in quel luogo una matrona cristiana di nome Lucina: avvertita in sogno dall'angelo, si recò sulla spiaggia, dove trovò l'imbarcazione arenata e in essa il corpo intatto e splendente di Restituta. Radunata la popolazione, venne data solenne sepoltura alla martire nel luogo detto Eraclius, alle falde dell'attuale Monte Vico in Lacco Ameno, dove sono conservati i ruderi di una basilica paleocristiana, e dove sorge oggi un santuario dedicato alla Santa. La leggenda racconta che quando la barca toccò la spiaggia, per miracolo questa si riempì di gigli bianchi: i gigli di Santa Restituta.
La diffusione del culto di santa Restituta in Italia è storicamente legata alla persecuzione vandalica del 429 in Nordafrica, ordinata dal re Genserico e descritta nelle pagine di Vittore di Vita. Nei vari luoghi dove trovarono rifugio gli esuli cartaginesi, ebbe origine la devozione alla martire africana: Lacco Ameno (Ischia), Napoli, Cagliari, Palermo.
La festa di santa Restituta si celebra nell'isola d'Ischia, della quale è celeste patrona oltre ad essere patrona della Diocesi, e del comune: qui il suo nome viene ricordato il 17 maggio, con undici giorni di solenni festeggiamenti, dall'8 al 18, culminanti con la processione del giorno 17 via mare e quella del 18 per le vie del paese.
A Napoli è intitolata alla santa una basilica paleocristiana, originariamente eretta dall'imperatore Costantino I, integrata nella cattedrale di Napoli.
Nella cattedrale di Palermo si trovava una pala trecentesca con l'immagine della santa su fondo oro.




Il 15 di Maggio la chiesa ortodossa venera la memoria di san Barbaro il Mirovlita. In Sicilia c'era un monastero greco dedicato al santo. Il monastero di San Barbaro di Demenna sorgeva nel territorio di Alcara li Fusi allora Turiano, e precisamente nel feudo San Giorgio, contrada Pascì. Questo Monastero di cui si ignora l'anno preciso di fondazione, dev'essere stato molto probabilmente costruito verso la fine dell'VIII secolo o il principio del IX secolo, giacché dagli atti risulta preesistente all'invasione araba. Durante la dominazione saracena il cenobio, già molto fiorente, si ridusse a pochi monaci e, pur costretto ad una vita grama e difficile, riuscì a superare fra tanti stenti la difficoltà di quei tempi calamitosi e a sopravvivere. Dopo l'occupazione normanna, il monastero era ridotto in condizioni quanto mai pietose e il conte Ruggero nel 1097 lo pose sotto le dipendenze dell'abazia di San Filippo di Demenna, il cui abate Gregorio ne curò le opere di restauro e in pochi anni lo fece rifiorire. Diplomi ancora oggi esistenti presso l'Archivio di Stato di Palermo ci informano, che tra XI e il XII secolo visse in Alcara un monaco di nome Cosma, "categumeno" del Monastero di S. Barbaro di Demenna già dal 1109 (al tempo del Conte Ruggero). Il Monastero di S. Barbaro sorgeva a meno di 300 metri dall'Eremo in cui fu ritrovato il corpo di San Nicolò Politi. L'Eremo del Santo ricadeva senza dubbio nelle pertinenze territoriali del Monastero di S. Barbaro.
Nel 1323 il monastero venne ceduto ad un potente signore, un certo Giovanni di Forlì, per due salme, cioè circa cinque quintali e mezzo, di frumento all'anno Così dopo oltre 5 secoli di vita, cessò di esistere il vecchio monastero Italogreco di San Barbaro di Demenna...






~ Santa Cesarea in un affresco del XIV - XV secolo(di scuola galatinese) nella chiesa bizantina di San Nicola e Santa Maria dell’Itri di Nociglia (LE).

S. Cesarea nacque in un dicembre del secolo XIV da Luigi e Lucrezia, dopo una attesa di oltre dieci anni dal matrimonio e al termine di una pia pratica delle devozioni sabatine, suggerita da un eremita Giuseppe Benigno.
La vita di Cesaria non fù però così facile. Il padre, uscito di senno dopo la morte della moglie, cercava continuamente di molestarla senza successo. La ragazza fu sempre in grado di tenerlo a bada con la calma e la saggezza che sempre la distinsero.
Le “esigenze” paterne cominciarono a farsi però sempre più insistenti e fastidiose, così Cesaria decise che sarebbe stato megli allontanarsi dalla sua casa.
Una sera finse di assecondare le richieste del padre: gli chiese di attendere in camera da letto nel frattempo lei si fosse preparata in bagno. Grazie all’aiuto di alcune colombe poste all’interno di una bacinella colma d’acqua, fece credere a Luigi che si stesse facendo un bagno, invece, lei sarebbe uscita da una finestra che dava sul cortile della sua abitazione, sellato un cavallo e scappata via.
Sfortunatamente per Cesaria il padre, insospettito dall’insolito ritardo, si accorse della fuga e si precipità per recuperare la figlia ingrata.
Quando la raggiunge un angelo venne in soccorso della giovane fanciulla e le consentì di mettersi in salvo consigliandole di nascondersi in un dirupo. Il padre, invece, venne fatto cadere in acqua avvolto in una nube nera. La santa si rifugiò in una grotta della marina di Castro, sotto un colle roccioso presso Otranto.
Qui visse la sua vita di privazioni e di preghiera, votata ad una totale dedizione a Dio, divenendo una eremita la cui fama si estese in tutta la Terra d’Otranto. Dopo la sua morte avvenuta nella grotta da dove non era più uscita, sempre nel secolo XIV, fu eretta una chiesa sul posto, che divenne centro del suo culto fin dal secolo XVII.
Nel 1924 essa fu affidata ai Francescani che la sostituirono con una nuova, eretta poi in parrocchia nel 1954. In onore di s. Cesarea sorsero altre chiese nei centri del Salentino, in particolare a Francavilla Fontana (Brindisi) che alcune tradizioni classificano come patria d’origine della santa.
Patrona di Porto Cesareo in provincia di Lecce; la sua festa liturgica è al 15 maggio.
La città di Santa Cesarea Terme festeggia la sua patrona l’11 settembre di ogni anno, data tradizionale dell’evento della fuga di Cesarea, con una processione che dopo aver percorso tutte le vie della cittadina termina con un corteo di barche alla grotta dove sarebbe vissuta e morta.
Il culto è molto diffuso in tutta la Puglia e il nome Cesarea è molto usato in tutta la provincia leccese



15  Maggio

Santo Liberatore Vescovo di Benevento e martire

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Santo vescovo venerato a Benevento, pur non essendo stato vescovo di questa città; venerato anche in località vicine ed in Campania il 15 maggio.
Di lui non si sa praticamente niente, ma i migliori studiosi agiografi, sono concordi ad identificarlo con il celebre s. Eleuterio o Liberatore vescovo dell’Illiria.
Gli ‘Acta’ che lo riguardano sia greci che latini, sono molto leggendari, esaminiamo per brevità solo la versione latina che parte comunque da elementi di quella greca.
Eleuterio (Liberatore) era figlio del defunto console Eugenio e viveva con la madre Anzia a Roma; fu ordinato diacono, sacerdote e vescovo da Aniceto, evidentemente un vescovo metropolita e poi da questo inviato nell’Apulia nella antica città di Aeca come vescovo.
Ritornato a Roma insieme alla madre Anzia, fu messo al giudizio dell’imperatore Adriano, conclusasi con la condanna a morte per tutti e due; la versione greca dice il 15 dicembre 130 ca., quella latina dice il 18 aprile.
La qualifica di vescovo dell’Illiria che lo distingue nell’elenco dei santi è opera di Cesare Baronio che l’ha inserita nel Martirologio Romano, prendendola da testi greci.
Da questo punto vi è un moltiplicarsi di date di celebrazione sia come Eleuterio, sia come Liberatore, mentre numerose chiese sorgevano in suo onore a Roma, Nepi, Vasto, Parenzo d’Istria, Aeca, Chieti, Benevento, Salerno, Sulmona, Mugnano del Cardinale, Ariano Irpino, Terracina, Arce, Canne in Puglia; come pure al suo nome Liberatore è dedicato il famoso monastero di Maiella.

Consultare anche

Enrico Isernia - Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894 (1895)

Capitolo XVIII-Cenno de’ suoi primi vescovi
Come Beneveuto fu invasa e devastata dai Goti, e in proceder di tempo restaurata da Narsete.










✠ Il 14 di questo mese, memoria del nostro santo padre Costanzo di Capri (Patriarca di Costantinopoli?).
Alcuni storici hanno identificato S. Costanzo di Capri con il patriarca costantinopolitano Costantino I (675-677), che è venerato nella chiesa greca il 9 agosto. Secondo il “Sermo de virtute s. Costantii et sermo de transitu s. Costantii”, S. Costanzo avrebbe svolto un’azione efficace contro gli eretici in alcune zone dell’Italia Meridionale. Dopo lungo peregrinare, il santo giunse a Capri dove morì. Gli abitanti dell’isola costruirono in suo onore una basilica, che esiste tuttora. Nell’abazzia di Montevergine, nella cripta di S. Guglielmo, alcune reliquie di S. Costanzo sono esposte in un reliquiario, sul quale vi è una targhetta che dice “Ossa S. Costantio E.C. (episcopo confessore).
Ma l’episodio che spinse i Capresi ad acclamare San Costanzo patrono dell’isola avvenne nel 991 d.c. In quel periodo le coste del centro e sud Italia erano continuamente infestate dalle incursioni di pirati saraceni che, partendo dalle basi di una Sicilia ridotta a dominio arabo indipendente di Califfi Fatimiti, che devastavano le coste del Tirreno. In particolare uno dei loro capi, il pirata Boalim saccheggiava in sequenza Positano, Maiori e Minori; Capri sembra destinata a diventare inesorabilmente una delle ‘tappe’ per rimpinguare il bottino del pirata, come già successo in passato. Però questa volta succede qualcosa di diverso. La leggenda narra che di tutti i Capresi, preoccupati dall’evolversi delle vicende, solo un’anziana donna rimase tranquilla nella sua casa ad aspettare il nemico invocando l’aiuto divino. All’improvviso una visione: due creature, San Costanzo e San Severino (allora patrono di Capri) le si presentano e la rassicurano sulla sconfitta dei saraceni. La vecchia prende coraggio e può sentire, come tutti gli altri paesani, dei suoni di tromba provenire dalla chiesa di San Costanzo. Ecco che una improvvisa tempesta sconvolge il mare e il cielo attorno all’isola e la flotta di Boalim, presa dal turbine degli eventi, si ritrova scaraventata sulle coste della Lucania.
Ecco che da questo momento San Costanzo diventa il protettore dei Capresi.
La festa del santo ricorre il 14 maggio.



14  Maggio


Santo Pomponio Vescovo di Napoli

Martirologio Romano: A Napoli, san Pomponio, vescovo, che costruì all’interno della città una chiesa dedicata al Nome di Maria Madre di Dio e durante l’occupazione dei Goti difese dall’eresia ariana il popolo a lui affidato.



È stata la prima struttura partenopea ad essere dedicata alla Madonna  La chiesa Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta è situata nel centro storico di Napoli lì dove un tempo era stato costruito un tempio dedicato a Diana, dea della Luna e della caccia, protettrice delle donne. Le sue seguaci erano conosciute nel capoluogo campano con il nome di janare, da dianare, cioè sacerdotesse di Diana. Il complesso fu costruito per volere del vescovo Pomponio nel 533 d. C. Una leggenda narra che il religioso decise di far edificare la chiesa dopo che la Vergine gli comparve in sogno per chiedergli la realizzazione di un santuario a Lei dedicato.

La Madonna gli suggerì di farlo costruire nel luogo in cui la presenza del diavolo era più forte poiché cercava di insinuarsi nelle vite dei fedeli, spaventando i residenti con un grugnito infernale e prendendo le sembianze di un animale all’apparenza domestico: un maiale. Per sconfiggere il male, durante i secoli a venire, i vescovi continuarono a sgozzare, affacciati alla finestra della basilica, un’enorme scrofa. La pratica fu poi abbandonata perché ritenuta vergognosa. La Vergine inoltre suggerì al vescovo di costruire la chiesa solo dopo aver trovato una pietra di marmo celata sotto al terreno da un panno di colore celeste. Questa pietra aveva il potere di concedere l’indulgenza a coloro che la baciavano. La tradizione vuole che sotto di essa sia stato sepolto papa Evaristo, celebrato il 27 ottobre dalla Chiesa. Ma a distanza di anni la pietra non è mai stata trovata. Eppure queste parole bastarono a Pomponio per far erigere, nel giro di pochi anni, la basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta.

L’attuale struttura è, però, opera di Cosimo Fanzago che la riedificò seguendo lo stile barocco diffusosi in tutta Italia nel Seicento. Ulteriori modifiche furono apportate nel XIX secolo durante il quale il santuario fu anche utilizzato come caserma dei pompieri. Dopo i danni prodotti dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il complesso non fu più utilizzato fino al 1975, anno durante il quale iniziarono i lavori di restauro necessari a risanare l’interno complesso. All’interno dell’edificio, spoglio di altari e dipinti, vi sono un pavimento maiolicato di Giuseppe Massa, databile metà Settecento, e statue in stucco raffiguranti san Simone e David di Matteo Bottigliero. L’unico elemento superstite della basilica voluta da Pomponio è il campanile che sorge in via dei Tribunali e che vanta il primato di essere il più antico d’Italia. La torre campanaria, alta più di trenta metri, è in stile romanico dell’XI secolo. Nel laterizio incorpora alcuni pezzi da museo della città greca come un’anfora a becco d’anatra, con sopra una croce. Negli ultimi anni è stata rinvenuta, nella parte inferiore del campanile, anche la scacchiera del gioco romano ludus latrunculorum, il gioco dei soldati, predecessore del gioco della dama e dell’Otello.


Fonti: Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014
Stella Casiello, “Verso una storia del restauro: dall’età classica al primo Ottocento”, Firenze, Alinea, 2008
Laure Raffaëlli-Fournel, Cécile Gall, “Napoli e Pompei”, Milano, Touring Club, 2003

Leggere anche






✠ Il 12 di questo mese, memoria del nostro santo padre Leonzio (o Leone), il Calabrese, di Methone.

✠ Tη ιβ' του αυτού μηνός, μνήμη του οσίου πατρός ημών Λέοντος του Καλαβρόυ, του εν Μεθώνη.

San Leone il taumaturgo è nato in Calabria. Fin dalla fanciullezza ha amato Dio e ha cercato di avvicinarsi a Cristo attraverso la preghiera e l'ascesi. Fin dall'infanzia non si distrasse con i soliti giochetti e nella vita mondana ma ha sempre avuto la sua mente rivolta a Dio.
Partecipò alle funzioni divine e si aprì la via verso le virtù costantemente pregando e ringraziando Dio. Aiutava i poveri in ogni modo. Trascorse la sua vita a piedi nudi, vestito con un'unica semplice tunica, digiunando e costantemente vegliando. Con la continua ascesi superò i limiti dell'umana natura e divenne dimora dello Spirito Santo. Le persone a lui vicine lo rispettavano e lo ammiravano. Ma non desiderava la gloria umana e perciò partì per Gerusalemme. Ma non vi arrivò mai poiché passando da Modone, in Messenia, a causa della stanchezza fisica si ammalò e morì. I marinai della nave seppellirono il suo santo corpo nella regione di Modone. Dopo anni il vescovo Nicola di Modone (+ 1135), uomo saggio, vide nel sonno san Leone. Il vescovo Nicola effettuò la traslazione delle reliquie del Santo insieme al clero e al popolo di Modone. Le sacre reliquie furono poste in una teca ed i fedeli di Modone onorarono il Santo erigendo a suo nome una chiesa. Col tempo la sua memoria si interruppe.
Il ricordo del Santo cessò circa nel 1600 e dopo molti anni dal 2011, sotto il Metropolita di Messenia, Crisostomo III, per divina grazia, nuovamente a Modone di Messenia, la sua memoria si celebra il 12 maggio.




Tratto da SANTI DELLA GRANDE GRECIA - PROSPETTO STORICO-  

Archimandrita Antonio Scordino -






Leone [12 maggio]. Asceta calabrese, morì mentre era in viaggio per Gerusalemme: i marinai fecero scalo a Methoni, nel Peloponneso, e lo seppellirono in località Ròson Choma. I miracoli fioriti sulla tomba indussero il vescovo Nicola – sembra nel 12° secolo – a traslare le reliquie in un tempio, costruito in onore del santo, poco fuori della città.

tratto da






✠ Il 12 di questo mese si fa memoria anche del Nostro Santo Padre fra i Santi, Filippo il Cacciaspiriti di Agira.
✠ Τη ΙΒ' του αυτού μηνός, μνήμη του Αγίου Φιλίππου του Πνευματοδιώκτου, του εν Αγύρα της Σικελίας.


Tra i santi dell’Alto Medioevo dell’Italia meridionale è uno dei più popolari e venerato. Cittadino dell’impero bizantino, figlio di ricchi proprietari di armenti, venne in Sicilia per mandato di un papa romano (di cui ignoriamo il nome) ufficialmente incaricato della evangelizzazione dell’interno della Sicilia, le cui popolazioni rurali erano ancora fortemente pagane e profondamente ancorate a culti atavici e preistorici. Stabilitosi ad Agira con un équipe di ecclesiastici romani suoi collaboratori nella irradiazione della sua opera evangelizzatrice, si é tramandato il ricordo di potenti esorcismi compiuti dal Santo per liberare posseduti e ossessi da eclatanti manifestazioni demoniache. Il clamore suscitato e la fama diffusa tra le popolazioni da tali singoli episodi gli permisero di conquistare la fiducia e la stima di quanti gli erano più ostili e duri oppositori. La sua azione si indirizzò verso quei luoghi (grotte, anfratti, spelonche…) legate a culti esoterici e pratiche arcaiche dedite alla fecondità della terra e alle forza della natura, trasformando tali località in siti di culto cristiano. É a lui che si deve la sistematica cristianizzazione della Sicilia orientale.








La vita di S.Filippo d'Agira

Del beato Filippo il Cacciaspiriti Preghiera di benedizione per una casa






~ Affresco di san Cataldo nell'omonima Cripta della Cattedrale di Taranto.

Cataldo, il cui nome significa “forte in battaglia”, nacque a Canty, in Irlanda, tra il 610 e il 620. Discendeva da una famiglia benestante, i suoi genitori si chiamavano Eucho e Achlena, ma ben presto abbandonò il mondo per entrare nel monastero di Lismore, per porsi sotto la guida spirituale e scientifica di San Carthagh. Alla morte di questi nel 637, Cataldo gli succedette sia nella direzione del monastero che della rinomata scuola. Pervenne poi all’ episcopato in modo insolito, alla morte cioè di Meltride, duca dei Desii, il quale lo aveva accusato di stregoneria, a causa dei suoi miracoli.
Così Cataldo, intorno al 670, fu nominato Vescovo di Rachau. Circa un decennio dopo, condividendo lo spirito missionario, tipico di San Colombano, ed il desiderio di pellegrinaggio a Roma e ai Luoghi Santi partì dall’ Irlanda. Si trattava di un viaggio che aveva lo scopo di rinvigorire la sua fede. Sostò a Roma, dove visitò le tombe degli Apostoli e le Basiliche. Intraprese quindi il cammino per i Luoghi Santi. Durante il viaggio di ritorno, a causa di un naufragio, Cataldo approdò in Puglia, probabilmente in una località della costa ionica poco distante da Taranto, quindi si recò nella città. Secondo la pia tradizione, il Santo sarebbe giunto a Taranto per volere divino: durante il soggiorno nei Luoghi Santi, mentre era prostrato sul Santo Sepolcro, gli apparve Gesù dicendogli: «Catalde vade Tarentum!» «Cataldo vai a Taranto!» per rievangelizzare la città ormai in mano al paganesimo, a causa delle incursioni di Barbari e Musulmani.
L’ arrivo di Cataldo a Taranto fu accompagnato da diversi fatti miracolosi. E qui, dove il popolo volle porlo sulla cattedra vescovile vacante, egli compì la sua opera di evangelizzazione, facendo abbattere i templi pagani e soccorrendo i bisognosi. Morì a Taranto intorno all’ anno 685 l’ 8 di marzo, venne sepolto sotto l’ impianto della Cattedrale e lì il suo corpo fu dimenticato per parecchi anni, a causa delle continue distruzioni cui fu sottoposta la città.
Il 10 maggio 1071, mentre si scavavano le fondamenta per la riedificazione della Cattedrale, distrutta dai Saraceni, nel luogo dove una volta esisteva una cappella dedicata a San Giovanni di Galilea, venne ritrovato il corpo del Santo. Fu riconosciuto da una croce d’ oro con la scritta: “Cataldus Rachau”, cioè Cataldo Vescovo di Rachau. Il santo corpo fu collocato sotto l’ altare maggiore della nuova Cattedrale. Da allora la devozione verso il Santo ebbe grande diffusione non solo in Puglia, ma anche in altre regioni d’ Italia.








✠ Il 10 di questo mese, memoria dei santi e gloriosi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino.

✠ Τῇ Ι' τοῦ αὐτοῦ μηνός, μνήμη τῶν ἁγίων μαρτύρων Αλφειοῦ, Κυπρίνου καί Φιλαδέλφου, τῶν αὐταδέλφων τῶν εκ τής χώρας τῶν Βασκάνων τῆς Νότιας ᾿Ιταλίας.

Le notizie che possediamo sulla vita e sul martirio dei tre fratelli, Alfio, Filadelfo e Cirino, il cui culto è molto diffuso in quasi tutta la Sicilia Orientale fin dall'alto medioevo, sono tutte contenute in un documento, che gli studiosi delle vite dei Santi fanno risalire al secondo decennio della seconda metà del secolo X, al 960 circa: si tratta di una lunga e minuziosa narrazione scritta da un monaco, certamente italogreco , di nome proprio Basilio, e con verosimiglianza a Lentini in provincia di Siracusa, come si evince dalla precisa indicazione dei luoghi, delle tradizioni e dei costumi della comunità là esistente. Il manoscritto, che si compone di più parti, alla fine della terza parte si chiude con questo periodo, ovviamente in greco: "Con l'aiuto di Dio venne a fine il libro dei SS. Alfio, Filadelfo e Cirino, scritto per mano del monaco Basilio". Il prezioso scritto si conserva nella Biblioteca Vaticana, segnato col numero 1591, proveniente dal monastero di Grottaferrata, nei pressi di Roma.
Secondo il manoscritto citato i nostri Santi hanno subito il martirio nella persecuzione di Valeriano e precisamente nel 253.I tre fratelli sono nati a Vaste, in provincia di Lecce, il padre Vitale apparteneva a famiglia patrizia e la madre, Benedetta, affrontò direttamente e spontaneamente l'autorità imperiale per manifestare la propria fede e sottoporsi al martirio. Il prefetto Nigellione, giunto a Vaste per indagare sulla presenza di cristiani, compie i primi interrogatori e, viste la costanza e la fermezza dei tre fratelli, decide di inviarli a Roma insieme con Onesimo, loro maestro, Erasmo, loro cugino, ed altri quattordici. Da Roma, dopo i primi supplizi, vengono mandati a Pozzuoli, dal prefetto Diomede, il quale sottopone alla pena di morte Erasmo, Onesimo e gli altri quattordici e invia i tre fratelli in Sicilia da Tertullo, a Taormina; qui vengono interrogati e tormentati e poi mandati a Lentini, sede ordinaria del prefetto, con l'ordine che il viaggio sia compiuto con una grossa trave sulle spalle. I tre giovani sono liberati dalla trave da una forte tempesta di vento; passano da Catania, dove vengono rinchiusi in una prigione, che ancora oggi è indicata con la scritta "Sanctorum Martyrum Alphii Philadelphi et Cyrini carcer", in una cripta sotto la chiesa dei Minoritelli; in questo viaggio, secondo un'antica tradizione molto diffusa, confortata peraltro da un culto mai interrotto, sono passati per Trecastagni, perché la normale via lungo la costa era impraticabile a causa di una eruzione dell'Etna. Nel cammino da Catania a Lentini avvengono vari prodigi e conversioni: si convertono addirittura i venti soldati di scorta e il loro capo Mercurio, che Tertullo fa battere aspramente e uccidere. Entrando in Lentini i tre fratelli liberano un bambino ebreo indemoniato e ammalato, convertono alla fede molti ebrei che abitano in quella città e che successivamente sono condannati alla lapidazione. Presentati a Tertullo sono sottoposti prima a lusinghe e poi ad ogni genere di supplizi: pece bollente sul capo rasato, acutissimi chiodi ai calzari, strascinamento per le vie della città sotto continue battiture. Sono prodigiosamente guariti dall'apostolo Andrea e operano ancora miracoli e guarigioni fino a quando Tertullo non ordina che siano sottoposti al supplizio finale: Alfio con lo strappo della lingua, Filadelfo posto su una graticola rovente e Cirino immerso in una caldaia di pece bollente. I loro corpi, trascinati in un luogo detto Strobilio vicino alle case di Tecla e Giustina, e gettati in un pozzo, ricevono dalle pie donne sepoltura in una grotta, ove in seguito viene edificata una chiesa.





 Il 9 di Maggio, l’anniversario della traslazione delle spoglie di san Nicola, che giunsero a Bari il 1087


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+ L’8 maggio si celebra la apparizione di San Michele Arcangelo sul Monte Gargano
In moltissimi paesi specie dell’Italia meridionale l’8 maggio si festeggia ancora con grande partecipazione di popolo la festa dell’Apparizione di san Michele al monte Gargano in Puglia. Dopo la riforma liturgica del Vaticano II, purtroppo la festa dell’8 maggio che per secoli aveva avuto un carattere universale è stata ridotta a semplice memoria locale della Chiesa Sipontina...
Si narra che nell’8 maggio del 490, un pastore del posto, Elvio Emmanuele nome poi tramutato appositamente in Gargano, rientrando la sera con il suo numeroso gregge al recinto di custodia, si accorge che manca un toro. Stanco per la ricerca ed irato, quando lo scorge inginocchiato all’ingresso di una grotta, lo saetta con una freccia che, però ritorna su se stessa e lo colpisce a una gamba, e subito dopo gli appare l’Angelo munito di spada. Grande è l’impressione, tanto che la notizia arriva agli orecchi del Vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano, il quale, dopo tre giorni di digiuno e di orazione, ha la prima apparizione di S. Michele che gli rivela di essere stato lui l’autore del gesto misterioso per evidenziare che sarà il patrono e il custode di quella terra.






Sant' Agazio Patrono di Squillace. (7Maggio).

Tantissimi santi greci della Magna Grecia, sono venuti con i soldati degli imperatori di Constantinopoli, come Giustiniano e gli imperatori della dinastia Macedone; e, secondo la tradizione storiografica, di Niceforo II Foca (961-9), che organizzò la linea difensiva dei “kastellia”. I coloni imperiali condussero con sé i loro santi;Uno di questi e' sant’Agazio, di cui si celebra la festa a Squillace. Di alto valore simbolico è la leggenda agiografica sull’origine del suo culto. Le urne con le Reliquie di cinque santi: l’Apostolo san Bartolomeo, e i santi Acacio, Gregorio Taumaturgo, Luciano e Papiano, vennero gettate in mare dagli eretici iconoclasti. Prodigio celeste, non affondano, ma, come una flotta di navicelle, prendono la rotta dell’Occidente, costeggiando come da millenni facevano gli Orientali. Giunti nel Golfo di Squillace, Acacio e Gregorio si fermarono: il primo, poi detto Agazio, venne adottato da Squillace e dalla Diocesi come suo patrono; Gregorio entrò nella Grotta di Vulcano abitata dal diavolo, e venne condotto a Stalettì, dove il cenobio di lingua greca era ancora in esercizio nel XV secolo; e, con varie vicende, esiste ancora. Acacio era un centurione romano di Bisanzio, morto martire l’7 maggio del 303, durante l’ultima grande persecuzione. È rappresentato, come altri santi, con la corazza; come si conviene a santi di uomini pronti, se necessario, a combattere in difesa dell’Impero e del “kastellion”. È dunque degnamente detto “Agathòs”, valente, valoroso.
Luciano e Papiano avevano raggiunto la Sicilia; Bartolomeo, le Lipari, da dove i Longobardi lo condussero a Benevento; infine l’imperatore Ottone lo portò a Roma, nell’Isola Tiberina.

(Foto di Lucio Grankunnu Secondo Gabriella‎ Aedicola, edicole e icone sacre in Calabria: Terza facciata dell'edicola di Squillace sulla strada provinciale 53.) 


Nessuna descrizione della foto disponibile.


~Affresco di san Leo nel Monastero Ortodosso dei Santi Elia e Filareto - Seminara (RC).




5   Maggio

~ San Leo e la pece.
La "raziuni di santu Leu" (preghiera narrativa con elementi che siano stati tratti da un bios greco perduto) racconta che, per campare, raffinava la resina che estraeva dai pini dell’Aspromonte, trasformandola in pece. La vita solitaria, dunque, accanto alla preghiera comprendeva il lavoro, e questo era faticoso, umile ed alla stregua della più semplice classe sociale, quella dei boscaioli che ricavavano la pece dagli alberi. Ιl frutto del suo lavoro era venduto a Rhegion e a Messina.
Sempre legato alla pece, è uno dei suoi primi miracoli, in cui, per nutrire i poveri di Africo, la trasformò in pane: per questo Leo è raffigurato con la scure ed il pane di pece. In ogni modo, la fama dei suoi miracoli si diffuse e i boschi dell’Aspromonte risultarono troppo popolati per i suoi gusti.






+ Il 5 di questo mese, memoria del nostro santo padre Leo di Africo.

+Τη ε΄του αυτού μηνός, μνήμη του οσίου Λέωντος του Άφρικο της Καλαβρίας.

S. Leo (Leone) nato sull’Aspromonte, ad Africo (RC), visse da
eremita tra le selve montuose, raccogliendo e vendendo la resina degli alberi e il carbone di legna per sopravvivere; più tardi fondò con alcuni discepoli il monastero dell’Annunciazione di cui fu venerassimo igumeno. Si diede alle pratiche dell’ascetismo proprie degli asceti greci di quel tempo: anacoretismo, penitenza, digiuni prolungati, contemplazione e lavoro manuale. La tradizione orale ricorda le sue venute in Sicilia presso la fortezza di Rometta, ultimo baluardo bizantino che resistette agli arabi, e a Messina. Nei paesi grecanici dell’Aspromonte ove si spense (anno 1000) la sua memoria è celebrata con gran devozione dai fedeli senza che sia mai stato istruito un benché minimo processo di beatificazione da parte della Chiesa di Roma. Anche oggi sulla strada tra Africo e Polsi si trova un cumulo di pietre detto «croce di san Leo», perché, secondo la tradizione, egli vi aveva innalzato una croce, presso la quale visse per tre anni. I bovesi s’impossessarono a viva forza delle sue reliquie, gli dedicarono una chiesa e lo proclamarono patrono, celebrandone solennemente la festa al 5 maggio con una processione durante la quale si canta una canzone in dialetto calabrese, che ne magnifica gli episodi più salienti della vita. Le ossa attualmente sono custodite nella cattedrale di Bova; Una reliquia insigne è venerata ad Africo




05 Maggio: sant’Irene, vergine e martire, patrona di Lecce


~ Santa Pelagia. Chiesa rupestre di San Marco a Fasano. (XII-XIII secolo).



~ Santa Pelagia. Αffresco del XII-XIII secolo, nella Chiesa rupestre di San Nicola a Mottola.



+ Il 4 di Maggio, memoria di San Niceforo l'Esicasta(... – 1340 circa) noto anche col nome di Niceforo il solitario.


Nacque in Italia, probabilmente in Calabria. Di confessione latina, «di stirpe di italiani», dei quali aveva poi abbandonato i «cattivi dogmi» (la κακοδοξία), abbracciò la fede ortodossa e successivamente si ritirò eremita sul monte Athos. E’ degna di nota la testimonianza di san Gregorio Palamas: “Niceforo che aveva confessato la vera fede (antiunionista) e per questa ragione fu condannato all’esilio dal primo imperatore Paleologo che accettò il pensiero dei latini; che era di origine italica, ma riconosciuta l’eresia di quelle genti, raggiunse la nostra chiesa ortodossa.... qui venuto, adottò la vita più rigorosa, quella dei monaci, e scelse come abitazione quel luogo che porta il nome della santità, cioè l’Athos, casa della virtù, posta al limite del mondo e del soprannaturale. Dimostrò subito di saper obbedire sottomettendosi ai padri più eminenti, dopo un lungo tempo dette loro la prova della sua umiltà; allora anche lui ricevette da loro l'arte delle arti, cioè l’esichia come esperienza "(Triadi II, 2,2). San Niceforo, Raccolse le sue esperienze spirituali in un'antologia dal titolo "Trattato molto utile sulla sobrietà e sulla custodia del cuore", testo importante nel movimento esicasta e incluso nella Filocalia, antologia di testi sulla preghiera della Chiesa Ortodossa.










+ Il 1 di questo mese memoria del nostro santo padre Giorgio di Vallettuccio.

+ Τη A' του αυτού μηνός, μνήμη του Οσίου Πατρός ημών Γεωργίου του εν Βαλλετουκίω της Καλαβρίας.

Originario della località di s. Lorenzo (RC) fondò il monastero che solo dall’anno 1000, alla propria morte, assunse il suo
nome. Si ricorda la data (1 Μaggio del 1182) in cui le sue santi reliquie furono traslate in epoca normanna. Disgraziatamente una spaventosa alluvione (1300 ca) ha travolto ogni
testimonianza architettonica…
(Affresco contemporaneo nella chiesa Greco-Ortodossa della Madonna di Grecia, Gallicianò di Condofuri.)




1   Maggio


Santo Ipolistro(in alcuni codici Ipolisto) presbitero originario di Antiochia martire ad Avellino (verso il 303)


Tratto da

Prima di parlare della ‘Vita’ del santo, voglio annotare che s. Ipolisto è ricordato dal grande sacerdote e professore di archeologia cristiana di Napoli, Gennaro Aspreno Galante (1843-1923) nei suoi “Natales” che sono sedici elegie in lingua latina, scritte in onore di s. Paolino di Nola (353-431), una per ogni anno e per sedici anni, nel giorno della sua festa (22 giugno) appunto il “Natales” del santo.
Nel VI ‘Natale’ “Ad Tripaldum” in 46 distici del 1888, il Galante, ipotizzando una conversazione con s. Paolino, dice di aver assistito ad Atripalda (AV) nel giugno 1888, ai festeggiamenti della città, per la solenne traslazione delle reliquie dei santi martiri Ipolisto, Crescenzo e compagni.
Segue la descrizione della grande processione delle immagini e reliquie dei santi, che si snoda attraverso le vie cosparse di fiori, con le case addobbate per la festa, mentre i fuochi d’artificio illuminavano a giorno la sera, a cui partecipavano vescovi convenuti da ogni parte e un popolo tripudiante.
Infine segue il ringraziamento d’obbligo al barone Francesco de Donato per aver restaurato e abbellito lo “Specus Martyrum” di Atripalda, uno dei più insigni monumenti di archeologia cristiana dell’Irpinia e che Galante archeologo e cittadino onorario di Atripalda, conosceva bene; in questo ‘Specus’ o ipogeo, riposavano ora i corpi dei santi Ipolisto, Crescenzo e compagni martiri, oltre a quelli di s. Sabino vescovo e patrono principale della città e del diacono s. Romolo.
Una fonte abbastanza ampia, è la passio di s. Ipolisto, scritta dal vescovo di Avellino Ruggiero, nel secolo XIII; in essa si racconta che Ipolisto era un sacerdote di Antiochia e per ispirazione divina venne nell’antica Abellinum, presso l’odierna Atripalda, per predicarvi il Vangelo, convertendo gli abitanti, dediti al culto di Diana, operando anche molti miracoli.
Visto i buoni risultati, estese la sua predicazione anche al vicino territorio beneventano; ritornato ad Abellinum vi costruì un oratorio presso il tempio di Giove, che sorgeva sul Monte Capitolino (ora Toppolo) dove oltre la predicazione, unì un costante e rigoroso ascetismo. I sacerdoti idolatri lo combatterono, finché durante la persecuzione di Diocleziano, essendosi rifiutato di sacrificare a Giove, venne prima percosso con flagelli e poi fatto trascinare sino al fiume Sabato che scorreva ai piedi del colle, dove fu decapitato, il 1° maggio 303.
Per aumentare l’offesa, i senatori o pretori della città ordinarono che il suo corpo fosse esposto ai cani ed agli uccelli rapaci. Durante la notte, però due pie donne ne raccolsero le membra dilaniate e lo seppellirono nel luogo dove poi sorse nel secolo XI, Atripalda.
Bisogna aggiungere che le più antiche raffigurazioni del santo, andarono distrutte, durante i vari lavori di trasformazione dell’antico cimitero sotterraneo, con iscrizioni del 357 e di cui faceva parte il già citato “Specus Martyrum”, ora ipogeo della chiesa del santo.
Il culto per s. Ipolisto non è limitato alla città di Atripalda di cui è compatrono, ma diffuso anche in altre città irpine fino a Montevergine, nel beneventano e nel salernitano.
È ricordato in date diverse in alcune città, ma ad Atripalda è sempre stato celebrato il 1° maggio. 



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