mercoledì 14 novembre 2018

Santo Fantino il Giovane Monaco del quale si ricorda al 30 agosto probabilmente la traslazione delle reliquie mentre Nel Sinassario di Costantinopoli la memoria liturgica del Santo ricorre il 14 novembre.





Santo Fantino il Giovane Monaco del quale si ricorda al 30 agosto probabilmente la traslazione delle reliquie  mentre Nel Sinassario di Costantinopoli la memoria liturgica  del Santo ricorre il 14 novembre.

Consultare e leggere  dal libro di Antonio Monaco, Ombre della storia. Santi dell’Italia Ortodossa – Asterios Editore – 2005 – pagg. 185/198
In conclusione Antonio Monaco così scrive
“La memoria del santo ricorre al 14 novembre; poiché nello stesso giorno l’ortodossa Chiesa cattolica esalta il vanto di Tessalonica, il santissimo pontefice Gregorio il Palamas, Fantino è celebrato al 30 agosto (data che forse ricorda qualche traslazione delle reliquie).”

Il testo intero delle pagine citate dal libro di Antonio Monaco sta in
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=3652:30-08-memoria-di-san-fantino-il-nuovo&catid=190:agosto&lang=it




Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90673

San Fantino il Giovane nacque in una località della Calabria "vicinissima alla Sicilia" nel 927 da Giorgio e Vriena, ricchi possidenti dotati di grandi virtù. Secondo la consuetudine del tempo il bambino fu offerto al Signore nella chiesa di San Fantino il Vecchio e all'età di otto anni fu affidato a Sant'Elia lo Speleota nella grotta di Melicuccà per essere avviato alla vita monastica. Dopo aver seguito per cinque anni gl'insegnamenti di Sant'Elia, ricevette da lui l'abito dei novizi e rimase a Melicuccà per vent'anni, fino alla morte del Santo, esercitando prima l'umile incarico di cuoco e poi quello della custodia della chiesa.
Trasferitosi nella regione del Mercurion trascorse diciotto anni di vita eremitica dedicandosi alla preghiera e alla penitenza e lottando contro le frequenti insidie del demonio. Dopo il lungo tempo passato in solitudine ritornò alla vita cenobitica e fondò un monastero femminile nel quale furono accolte la madre e la sorella Caterina. Seguì la fondazione di monasteri maschili, in uno dei quali trovarono accoglienza il padre e i fratelli Luca e Cosma.
Sentendo vivo il desiderio di un ritorno alla vita eremitica lasciò il fratello Luca la direzione del monastero più grande e si ritirò in un luogo solitario e selvaggio. Dalla nuova dimora di tanto in tanto si recava a visitare i nuovi discepoli, fra i quali vi erano i monaci Giovanni, Zaccaria, Nicodemo e Nilo, e trascorreva parte del suo tempo nel trascrivere codici.
Ripresa la vita cenobitica il Santo continuò a vivere nello spirito della penitenza. Trascorreva lungo tempo senza prendere cibo ed era spesso in estasi.
Ad opera del Santo avvennero alcuni fatti prodigiosi. Un'orsa che devastava gli alveari del monastero fu allontanata definitivamente col solo cenno della mano. All'invocazione del suo nome zampillò d'improvviso un getto d'acqua abbondantissimo per dissetare dei monaci, i quali affaticati andavano in cerca di alcune mule che si erano allontanate dal pascolo.
Il Santo, "poiché la gente in massa affluiva a lui di continuo, al pari di uno sciame, e non gli permetteva di godere senza disturbo il bene della solitudine", si recò al santuario di San Michele al Gargano.
Una notte, dopo la recita dell'ufficio, ebbe una terribile visione che non volle comunicare ai suoi monaci perché erano "cose assolutamente indescrivibili". Poi "gettato via il saio se ne andò nudo per i monti", dove "prese a star senza bere, senza mangiare e senza alcun vestito perfino per venti giorni di seguito". Continuando a vivere in solitudine e in penitenza " si nutrì per quattro anni di erbe selvatiche e di niente altro". Quando i monaci lo rintracciarono e lo trassero a forza al monastero riprese a ritornare "là dove si aggirava prima, preferendo le fiere agli uomini".
Nel monastero San Fantino fu visitato da San Nilo, il quale raccontò una visione di angeli risplendenti e di demoni, "fitti più di sciami di api", che lo riempirono "di timore e di orrore". Infine, trasportato "in una regione risplendente di luce", sentì "echeggiare un inno ineffabile, incessante, di cui non ci si può saziare" e vide sfavillare "un fuoco straordinario", che lo riempì "di divino furore". Seguì la vista dell'inferno, "luogo pieno di fumo maleodorante, privo di luce", popolato di dannati che "sospiravano dal profondo con infiniti lamenti". Trasportato poi "in un luogo splendente ed eterno" ebbe la visione dei beati e l'incontro con i genitori. Tornato in sé il Santo concepì "un totale disprezzo per le cose del mondo".
Dalla vita di San Nilo si ricavano numerose notizie intorno a San Fantino. Un particolare affetto, ispirato dalla santità e dalla carità fraterna, legava San Fantino a San Nilo, dal quale era corrisposto con filiale amorevolezza. Sembrava di vedere in essi la medesima unione di spirito che aveva unito gli apostoli Pietro e Paolo e i santi Basilio e Giorgio. Spesso insieme essi commentavano ai monaci la Sacra Scrittura.
San Fantino, avendo sentito che San Nilo era affetto da un grave male alla gola, si recò nella sua grotta per visitarlo e lo persuase a seguirlo nel monastero per prestargli le cure necessarie. Un altro giorno San Nilo, essendo molto sofferente per le percosse che gli erano state inflitte dal demonio e che gli avevano procurato le paralisi del lato destro del corpo, fu invitato da San Fantino a leggere durante la veglia notturna che precedeva la festa degli apostoli Pietro e Paolo l'elogio in versi scritto in loro onore da San Giovanni Damasceno. Durante la lettura il malore andò scemando a poco a poco fino a scomparire.
Un giorno San Fantino comunicò a San Nilo una sua visione. Aveva visto i monasteri in rovina trasformati in "luride abitazioni di giumenti" e bruciati dal fuoco e i libri gettati nell'acqua e resi inservibili. Il Santo intravide in quella visione la futura sorte dei monasteri che avrebbero subito la distruzione non solo per le incursioni dei Saraceni, ma anche per "il generale decadimento della virtù ed il rilassamento della disciplina".
Il Santo, rispondendo ad una ispirazione che lo spingeva a lasciare la Calabria, all'età di sessant'anni con i discepoli Vitale e Niceforo s'imbarcò alla volta della Grecia. Durante il viaggio, venuta a mancare l'acqua per i passeggeri, il Santo fece riempire tutti i recipienti d'acqua marina, che a un segno di Croce fu trasformata in acqua potabile.
Raggiunta Corinto, si recò ad Atene per visitare il tempio della Madre di Dio. Si mosse quindi verso Larissa, dove dimorò a lungo presso il sepolcro del martire Sant'Achille. Trasferitosi a Tessalonica abitò per quattro mesi nel monastero del santo martire Mena. Lasciato quel cenobio andò ad abitare fuori le mura della città.
A Tessalonica il Santo, dopo aver recitato "la straordinaria preghiera di Filippo di Agira", guarì prodigiosamente un malato di nome Antipa. un giorno, mentre si recava al tempio della santa martire Anisia, s'imbattè nei santi monaci dell'Athos Atanasio e Paolo, che illuminavano "le solitudini come un faro" e rese gloria a Dio per quell'incontro. A Tessalonica indusse pure al pentimento un giudice che angariava la popolazione per avidità del denaro e un personaggio che occupava la carica più alta della città e compiva dei soprusi nei confronti di una vedova indifesa e di un orfano.
San Fantino operò a Tessalonica alcuni prodigi e grandi opere di carità. Una donna fu guarita con della terra cosparsa sugli occhi malati. Un uomo afflitto da cefalea e da mal di denti ottenne d'improvviso la guarigione. Un moribondo ritornò in perfetta salute dopo un bacio datogli dal Santo. Una filatrice che doveva a un tale "molte monete d'oro" per suo mezzo ebbe condonata parte del debito. A una povera vecchia che gli chiedeva qualche spicciolo diede la sua tunica. Predisse l'insuccesso di una tribù di Bulgari che si preparavano a fare razzia nella regione. Due fratelli, "gonfi di veleno e d'inimicizia", furono rappacificati. Fu indotto al pentimento un pentolaio che da sette anni "nutriva un'inimicizia implacabile nei riguardi di suo figlio".
Il Santo, ridotto orma in fin di vita, fu visitato dai monaci Simone e Fozio, ai quali rivelò che Pietro Sclero stava scrivendo un libro per appropriarsi dell'autorità con la ribellione, ignorando la fine alla quale andava incontro.
San Fantino morì intorno all'anno 1000, dopo avere abbracciato e benedetto i monaci che lo assistevano e fu sepolto con grande solennità nel luogo da lui prescelto. La biografia del Santo si chiude con una serie di miracoli da lui compiuti dopo la morte.







Tratto da
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1955867467843420&id=100002605583903&__tn__=K-R

Nato in Calabria nel 927, in una località che viene descritta come “molto vicina alla Sicilia” (probabilmente nella Vallis salinoroum nell'attuale provincia di Reggio Calabria) era figlio di Giorgio e Vriena, due ricchi possidenti molto pii, e fu consacrato a Dio durante la sua infanzia, entrando in monastero all'età di otto anni; la sua educazione fu curata da Sant'Elia Speleota. Divenne monaco all'età di tredici anni, dimostrandosi pieno di fervore e di virtù, ed ebbe gli incarichi di cuoco e di portinaio. A trentatré anni si diede all'eremitaggio nella regione del Mercurion dedicandosi alla preghiera e alla penitenza e lottando contro le tentazioni del Diavolo.
Ritornato alla vita cenobitica creò molti monasteri, tra cui almeno uno femminile, che accolsero i suoi genitori, i fratelli Luca e Cosma e la sorella Caterina. Volendo ritornare alla vita eremitica lasciò la carica di abate del monastero più importante al fratello Luca. Anche se viveva tra i boschi selvaggi ritornava tra la gente per insegnare ai suoi discepoli. Il santo ebbe spesso delle visioni del Paradiso e dell'Inferno e compì vari miracoli. Fantino visse sia come eremita che come monaco e abate. Pur essendo un eremita ritornava dai boschi per essere guida e insegnante spirituale dei suoi discepoli, tra i quali vi furono Nilo da Rossano e Nicodemo da Mammola.
All'età di sessant'anni, si trasferì nel Peloponneso con i suoi discepoli Vitalio e Niceforo. Durante la traversata la nave su cui si trovava rimase senza acqua potabile; per questo motivo Fantino trasformò l'acqua di mare contenuta in alcuni contenitori facendo su di essi il segno della croce.Visse quindi per un certo tempo a Corinto passando poi ad Atene dove visitò il tempio della Madre di Dio e recandosi a Larissa dove sostò presso la tomba del santo vescovo Achillio operando vari miracoli in tutte e tre le località. In ultimo si recò a Tessalonica, dove visse quattro mesi in un monastero dedicato a San Mena spostandosi in seguito fuori le mura della città. A Tessalonica egli guarì molte persone e causò il pentimento di un giudice corrotto; gli fu anche riconosciuto il merito di aver impedito la conquista della città da parte dei Bulgari. Secondo la tradizione morì il 30 agosto dell'anno 1000 dopo otto anni di predicazione.




Tratto da
http://www.ortodoxia.it/San_Fantino_il_Giovane.html
Di San Fantino non si conosce con precisione né il luogo di nascita, né la data di nascita. Ma dall’agiografo che ha vissuto a fianco del santo calabrese per grandi approssimazioni si può ricavare che Fantino nacque in una terra vicinissima alla Sicilia e non lontana da Roma. Presumibilmente, Fantino nacque nella zona di Mesa, a Nord di Reggio Calabria e ciò lo si può dedurre dal nome della madre, Vriena, che è il nome della madre di Santa Febronìa, a cui venne dedicato un monastero femminile, proprio nel territorio di Mesa. Fantino, all’età di otto anni, fu affidato dai genitori a Sant’Elia lo Speleota di Melicuccà (RC), questo è un ulteriore dato che fa propendere per la sua nascita nella Calabria meridionale. All’incirca visse tra il primo decennio ed il penultimo decennio del decimo secolo. La sua vita monastica iniziò sotto la guida spirituale di Sant’Elia lo Speleota, la cui fama giunse sino a Roma. Il grande Elia era diviso dalla necessità di guidare i confratelli e dal desiderio di ritirarsi per contemplare l’immensità di Dio. Infatti, egli si recava presso il monastero solo il sabato e la domenica, stando il resto dei giorni immerso nella contemplazione. Quindi, Sant’Elia assegnò a Fantino la mansione di cuoco del monastero ed egli serviva i suoi confratelli come molto amore ed al contempo iniziò una dura ascesi spirituale praticando lunghi digiuni, che nel tempo divennero totale astensione da qualsiasi cibo e bevanda. Percorrendo le orme del padre spirituale, Fantino, in special modo nel periodo calabrese, praticò una durissima lotta spirituale, quasi aggressiva, tale era la tenacia con cui si purificava. Essa pian piano maturò in un amore sconfinato verso il prossimo, che andava oltre i limiti e la convenienza umana, arricchita dal carisma delle guarigioni, questa maturazione spirituale contrassegnò, essenzialmente, la sua esperienza tessalonicese ove ne trassero grande giovamento i poveri ed i malati. Con riferimento all’esperienza calabrese, Fantino lasciò il monastero di Sant’Elia a trent’anni. Da tale momento si ritirò in una solitudine assoluta in cui come compagni ebbe la violenza del demonio, del freddo e della fame. L’agiografo narra un episodio in cui il santo dovette contendersi due pere selvatiche con dei cinghiali oppure l’abito monastico totalmente consunto, che costrinse il santo a correre sulla spiaggia per riscaldarsi, sino a che trovò un po’ di lino per coprirsi lasciato da un tessitore, ma, essendo insufficiente cadde in deliquio per il freddo e si svegliò solo perché sentì i topi che lo rosicchiavano. Fantino condusse tale vita per diciotto anni, sino a quando un cacciatore lo trovò e così i suoi parenti poterono andare a trovarlo, ma essi raggiunto il santo con la motivazione di dissuaderlo dalla suddetta vita, invece, lo seguirono come suoi discepoli. Ben presto la fama di Fantino raggiunse i territori circostanti e molti giovani chiesero di poter essere suoi discepoli. Egli l’istruì nella fede con amore e li mandò a popolare le aspre terre del Mercurion, ove i monasteri strapparono il territorio sino a quel momento infestato dai diavoli. La gestione di questi monasteri la affidò a suo fratello Luca. Il desiderio della vita eremitica lo divorava, tanto che vestito di una tunica di pelli di capra scappò dal monastero nottetempo e giunse in un paese (Mercure?) ove fu scambiato per una spia e rinchiuso in cella, qui assalito dagli insetti, si difendeva raschiandosi con dei cocci. Ormai, il diavolo capì che l’ardore religioso di Fantino era inattaccabile e sconfitto si allontanò, la gente riconobbe l’errore e vennero perdonati con la benedizione dell’asceta. Ritornò a vivere nel monastero: mangiando verdure crude e pane secco, dormendo per terra e per le domeniche e le festività pregava incessantemente in piedi dall’ora nona (tre del pomeriggio) sino alla Divina liturgia (mattino seguente). Un giorno decise di recarsi in pellegrinaggio al Monte Gargano ove apparve San Michele Arcangelo ed il pellegrinaggio durò diciotto giorni di cammino costante, mangiando, praticamente quasi nulla. Ed anche lì attese l’inizio della Divina liturgia incessantemente in piedi. Il periodo calabrese si conclude con una visione che radicalizza la vita del santo. Una visione che apparentemente affronta temi differenti, ma che in realtà si completano, in quanto nella vita di San Fantino, tale visione contrappone alla dannazione dell’inferno la beatitudine dei santi. Mentre nella vita di San Nilo, viene riportata tale medesima visione, la quale riguardò in particolar modo la desolazione dei monasteri, chiese e biblioteche greco-ortodosse, evidentemente la visione si rifà alla situazione attuale. Quindi le due versioni toccano temi simili. A causa di tale visione, i confratelli di Fantino gli diedero del pazzo, al punto che dovette intervenire San Nilo, già stimato asceta, ad ammonirli. Grazie a tale intervento, il santo calabrese ebbe un breve periodo di sollievo. In seguito, Fantino scappò sulle montagne ed ogni volta che veniva ripreso con la forza dai confratelli, egli cercava l’attimo opportuno per scappare nuovamente. In tale periodo, Fantino ebbe un’ulteriore visione che gli suggerì di lasciare la Calabria per Tessalonica, ove si recò con due discepoli, Vitale e Niceforo, quest’ultimo è San Niceforo il nudo, che proseguì il suo cammino sino al Monte Athos sotto la guida spirituale di Sant’Atanasio, che ne smussò la durezza della lotta spirituale sino a quel momento insegnatagli da Fantino, il quale si incontrò con Sant’Atanasio ed il suo compagno Paolo proprio a Tessalonica, ove si scambiarono fraterni saluti. L’esperienza tessalonicese, come già anticipato, si connotò per lo smisurato amore con cui il santo si relazionava con il prossimo anche se all’inizio ancora vi furono elementi tipici della sua fierezza, come nel caso in cui Fantino sanò un uomo che aveva il mal di denti con uno schiaffo. Ma ben presto questi connotati, furono persi per sempre, sostituiti da un amore viscerale per il prossimo. Una volta per saldare il debito che una filatrice aveva con dei creditori, Fantino si finse suo debitore facendosi trascinare tirato da una corda attaccata al collo davanti ai potenti del paese ottenne l’estinzione del debito. Oppure in un periodo di intenso freddo, Fantino diede la sua tunica, tutto ciò che aveva, ad una donna che gliela chiese. Ed ancora, dopo la sua dormizione che avvenne in un monastero di Tessalonica, ancora inebriato dalla forte fragranza che accompagnò il trapasso del santo, la quale avvenne all’età di 73 anni. Fantino sanò un sacerdote iconografo mandato da Costantinopoli a dipingere la sua icona, egli era idropico ed il santo gli apparve e stette due notti in posa, affinché l’iconografo, dopo esser stato guarito, poté dipingerlo. Alcuni testi indicano che fu dedicata a Tessalonica una chiesa a San Fantino e che vi sia una sua icona. Ma ad oggi, non vi sono documentazioni certe.
Per le preghiere di San Fantino, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi misericordia di noi. Amìn!


San Fantino il Nuovo di Calabria, Taumaturgo di Salonicco
Tratto da https://www.johnsanidopoulos.com/2016/08/saint-phantinos-younger-of-calabria.html
Traduzione a cura di Giovanni Fumusa


 http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=5495:30-08-san-fantino-il-nuovo-di-calabria-taumaturgo-di-salonicco&catid=190:agosto&lang=it

 San Fantino era originario della Calabria e nacque nell’anno 902. Suo padre si chiamava Giorgio e sua madre era Vryeni. Fin dall’infanzia, si dedicò a Dio e, quando raggiunse gli 8 anni di età, entrò nel monastero di Sant’Elia e divenne suo discepolo. Lì intraprese lo sforzo nell’acquisizione delle virtù. Fu tonsurato monaco e servì in qualità di cuoco del monastero. Sebbene fosse continuamente circondato dal cibo, nel suo secondo anno di vita monastica, mangiava verdure e legumi crudi e soltanto una volta a settimana. Avendo sopraffatto la gola ed essendosi del tutto purificato dalle sue passioni, fu elevato a servire come ecclesiarca.
Dopo vent’anni di obbedienza in monastero, successivamente al riposo di Sant’Elia, Fantino fu reso degno del dono del discernimento e delle divine rivelazioni e decise di vivere una vita da eremita in Lucania, nell’Italia Meridionale. Lì il diavolo tentò di intimorirlo ed allontanarlo da quel luogo con rumori e serpenti, e persino assumendo l’aspetto dei suoi genitori, ma Fantino rimase indifferente, facendo svanire le sue tentazioni con il segno della Croce. Lì continuò a lottare tra fame e privazioni, al punto che i suoi vestiti si consumarono rimanendo nudo anche durante l’inverno, cosa che lo portò quasi a morire congelato. Lottò in questo modo per diciotto anni.
Un giorno alcuni cacciatori giunsero al luogo in cui Fantino lottava in ascesi e lo riconobbero. Tornarono indietro e lo raccontarono ai suoi genitori che andarono a trovarlo e lì si incontrarono in lacrime. Fantino dunque li convinse ad abbracciare la vita monastica e, dopo aver distribuito i propri averi ai poveri, i due genitori si unirono al figlio. Fantino costruì quindi un monastero per la madre e la sorella e, a un po’ di distanza da questo, un altro monastero per suo padre e per i suoi fratelli Luca e Cosmas e divenne, in quella vita solitaria, il padre spirituale di tutti loro. Ma ben presto le montagne divennero come le città per il gran numero di seguaci che attirava e ciò, ogni tanto, lo portò a cercare la solitudine, tornando poi al suo monastero per guidare i fratelli.
Quando raggiunse l’età di 60 anni, su rivelazione divina, partì per Salonicco a causa di una imminente invasione di Saraceni al fine d’ispirare il popolo ad una vita di virtù. Quindi partì per la Grecia con due suoi discepoli, Vitale e Niceforo. Passò da Corinto, Atene e Larissa, dove rimase per qualche tempo presso la tomba di Sant’Achilleo, e giunse infine a Salonicco. Lì affrontò molte difficoltà, ma compì anche molti miracoli e annunciò varie profezie. Dopo aver trascorso otto anni in quel luogo, riposò in pace nell’anno 974 all’età di 73 anni. E subito dopo il suo riposo continuò a compiere molti miracoli.
Apolytikion, Tono Primo
Vanto della Calabria e gran sole dei monaci, protettore di Salonicco, sei apparso come divinamente ispirato o Padre, prendendo la croce da bambino, hai cercato Dio o Fantino, e ritirandoti meravigliosamente ti sei arricchito col dono della taumaturgia: Gloria a Cristo che ti ha sigillato, gloria a Colui che ti ha reso miracoloso, gloria a Colui che ci ha donato te come mediatore e maestro.
Kontakion, Tono Terzo
Fin dal grembo, o Santo, fosti dedicato a Dio e, per Lui come precursore, Lo lodasti con inni ancor prima di nascere; partisti dalla tua patria, dalla famiglia e dagli amici ed illuminasti divinamente molti dall’errore con la tua straordinariamente grande ascesi ed i tuoi miracoli, venerabile Fantino.
Megalynarion
Come germoglio della Calabria santificasti tutta la Grecia, o Fantino taumaturgo, con la grazia del Signore e con la tua ascesi e riposi a Salonicco.

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