Santo Nicodemo discepolo di San Fantino eremita a Mammola in Calabria(verso il 990)
tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90976
Teofane e Pandia furono i genitori di Nicodemo, che nacque a Cirò (Catanzaro) nei primi anni del X secolo, lo affidarono alla cura spirituale di un pio e dotto sacerdote, Galatone, contemporaneamente il ragazzo progredì nelle scienze sacre e nella pietà.
Da giovane poté vedere il comportamento licenzioso di alcuni suoi contemporanei, che lo disgustarono, cosicché sentì maggiormente l’attrazione per la vita monastica, che veniva professata nel secolo X, da quegli asceti con fama di santità, nella zona del Mercurion, sulle balze del Pollino in Calabria.
Lasciata Cirò, andò a chiedere l’abito monastico all’austero abate s. Fantino, ma gli fu rifiutata più volte questa richiesta, perché non veniva ritenuto adatto a quella vita di studi, penitenze e mortificazioni, vista la sua gracile costituzione fisica.
Deluso ma non convinto, insisté tramite i buoni auspici di altri monaci, finché s. Fantino commosso dalle sue insistenze, gli concesse l’’abito angelico’, così chiamato tra i monaci greci di quel tempo.
Nicodemo divenne insieme a s. Nilo di Rossano, esempio splendente di vita ascetica del Mercurion, cresciuti e formati tutti e due alla rigida scuola dell’abate s. Fantino; essi accomunati ad altri santi monaci calabro-siculi resero famosa in tutta la Cristianità la loro Comunità, al punto che Oreste, patriarca di Gerusalemme la descrisse elogiandola, nei suoi autorevoli scritti e biografie.
Il tipo di vita praticato è impensabile ai nostri giorni, ma costituiva il perno dell’ascesi, insieme alla purezza, dei monaci calabro-siculi di quell’epoca; vestiva con una pelle di capra, andava a piedi nudi in ogni stagione, dormiva su paglia in una grotta, mangiava castagne e lupini.
In età abbastanza matura, decise di lasciare il Mercurion e si ritirò in un eremo del Monte Cellerano nella Locride, ma la fama di santità che lo seguiva, attirò molti monaci che gli si affidarono e quindi Nicodemo si vide costretto a fondare una laura, cioè una colonia di anacoreti, vivendo divisi, ognuno in una capanna e riunitasi una volta la settimana, più tardi il termine designerà un grande convento.
La sua laura fu visitata anche da s. Fantino e altri monaci del Mercurion; purtroppo però era troppo esposta alla curiosità dei fedeli e soprattutto alle scorrerie dei Saraceni, per cui prevedendone la distruzione, disperse i monaci in altri monasteri e lui si ritirò presso Gerace in un cenobio, accentuando l’austerità della sua vita.
Ma anche qui non restò a lungo e dopo alcuni anni si ritirò in un luogo solitario vicino a Mammola, che presto anch’esso si trasformò in un famoso monastero di monaci greci.
Nonostante i settanta anni passati nell’asprezza della vita ascetica, Nicodemo visse circa 90 anni, tantissimi per quei tempi e a dispetto della sua gracile costituzione fisica; morì nel monastero di Mammola, che prese poi il suo nome, il 25 marzo 990.
I miracoli fiorirono sulla sua tomba e quindi venne proclamato santo, allora non c’erano tutte le procedure che occorrono oggi. Nel 1080 i Normanni trasformarono il piccolo oratorio con la sua tomba, in una grande chiesa, restaurando anche il monastero e concedendo privilegi e beni.
Le reliquie furono poi traslate nella chiesa di Mammola nel 1580 che lo proclamò suo patrono nel 1630, fissando la festa liturgica al 12 marzo. I pontefici nei secoli successivi concessero particolari indulgenze nell’occasione della sua festa e altre celebrazioni.
Il Comune di Mammola nel 1884 fece decorare artisticamente la cappella, una ricognizione delle reliquie è stata effettuata il 12 maggio 1922 nella coincidenza dell’inaugurazione della ricostruita e abbellita chiesa.
tratto da
http://www.piccoloeremodellequerce.it/La_Diocesi_di_Locri_Gerace_e_la_sua_pastorale/06_Santi_Nicodemo_Mammola_monaco_basiliano.html
L’agiografo Nilo. Conosciamo il nome dell'agiografo, Nilo. Egli imposta la sua operetta, utile per l'edificazione dell'uditorio e dei lettori, in una dimensione raccolta, intessuta di imprese interiori, che tuttavia non riuscirono ad impedire la diffusione della notorietà del santo. Una simile impostazione, ma più accentuata, è scelta anche dall'agiografo di san Filareto, che visse nella stessa età di san Nicodemo e nei luoghi in cui questi era nato; anche questo agiografo si chiama Nilo, e potrebbe trattarsi dello stesso autore!
Nicodemo nacque verso la metà del secolo X a Sicrò, una cittadina delle Saline (oggi Piana di Gioia Tauro), cioè di quel territorio monastico che era stato reso celebre dalle fondazioni di sant'Elia il Giovane e di sant'Elia lo Speleota; la sua vita terrena, dice l’agiografo, durò circa settant'anni. I suoi genitori, come di consueto, erano molto pii e lo educarono alla vita di fede; ma il giovinetto non si accontentò della buona educazione morale e intellettuale per cui primeggiava fra i coetanei, e scelse la via della perfezione, fra i monti e le spelonche. Sia la notorietà delle virtù umane, sia la precoce scelta monastica sono elementi alquanto consueti nelle biografie dei nostri santi asceti: essi, nell'operetta di Nilo, sembrano il preludio di quella via verso l'interiorizzazione alla quale ho accennato.
L'occasione per un deciso e definitivo distacco dai luoghi di grande frequentazione umana, come erano e sono tuttora le Saline, venne offerta da un'incursione dei Saraceni. Altre due volte si parla nella vita di san Nicodemo di questo popolo multiforme e aggressivo, per sottolineare le virtù taumaturgiche del santo. Nicodemo, dunque, si trovava nel celebre monastero di san Fantino di Taureana, affidato alle cure spirituali di un anziano monaco, quando pervenne un'irruzione saracena, che il giovane interpretò come invito a ricercare la pace fisica e interiore nelle solitudini montane. Risalì il versante della montagna fino allo spartiacque e lì, presso il passo della Limina, ancora oggi ben noto, nella località di Kellerana, di non facile identificazione, si fermò definitivamente.
Ascesi montana. Quando, con la sua ascesi e la preghiera, ebbe purificato il deserto montano dagli spiriti maligni, intitolò la sua dimora eremitica in onore dell'arcangelo san Michele, anche se poi, come succede frequentemente, quel luogo sacro prese il nome del suo fondatore. L'agiografo racconta un episodio significativo delle scelte del santo: i discepoli, che a poco a poco erano accorsi a condividere l'austera solitudine di Nicodemo, un giorno gli chiesero di spostare la dimora più in basso, in una località più frequentata. Nicodemo non disse di no e propose loro di scendere a provare come si vive accanto alla gente. Egli scelse appositamente un giorno di grande affluenza, quello della Dormizione della Vergine, il 15 agosto; ed un luogo particolarmente affollato, il tempio di santa Maria di Vukiti, che si ritiene sorgesse presso l'attuale Martone, a monte di Gioiosa Jonica, nel versante contrapposto a quello delle Saline. I monaci rimasero così sgomenti per il popoloso chiasso, che, buttatisi ai piedi del santo, gli chiesero il perdono ed il tempestivo ritorno sui monti.
Nicodemo trascorreva il giorno fra il canto liturgico ed il lavoro con la zappa. Confezionava anche il pane che, come gli ortaggi, destinava ai suoi discepoli, dal momento che il suo unico alimento era un decotto di castagne che beveva la sera. Se gli portavano del pesce dalla marina, egli accettava il dono dei pescatori, ma lasciava che quel cibo si disseccasse al sole, così che perdesse l'attrattiva del gusto. Quando riteneva opportuno di rendere ancora più severa la sua ascesi, egli si chiamava per nome e si ammoniva, come se fosse un altro uomo: in tal modo si estraniava da se stesso per amore di Dio. Parlava anche con le bestie, come quando invitò una cerbiatta a non devastare l'orto dei monaci, prevedendo per essa una brutta fine, nella quale si imbatté la bestiola disubbidiente; o quando rimproverò e mandò via in pace uno scorpione che gli si era attaccato al braccio senza fargli male. Ma soprattutto parlava con la gente, per confortarla e consolarla. Raccoglieva offerte per il riscatto dei prigionieri e le donava ai loro parenti. Anche i suoi miracoli erano densi di semplice carità: guariva gli infermi e liberava gli ossessi. Talvolta, per ottenere questo, pregava a lungo, anche tutta la notte, e sempre, come era sua consuetudine, con molte lacrime; altre volte, invece, bastava che mostrasse e facesse vibrare il suo bastone, il quale era divenuto il terrore dei diavoli.
Il signorotto. Lasciava raramente il monastero. Una volta lo lasciò volentieri, anche se era il giorno del Grande Sabato, per una missione rischiosa e difficile: rendere giustizia ad un poveretto contro la prepotenza di un arconte, cioè di un benestante riverito e influente. L'episodio è simile a quello manzoniano di Padre Cristoforo nella casa di don Rodrigo. L'arconte, che si era invaghito della moglie di quel poveretto, l'aveva di forza sottratta al marito e se l'era portata in casa. Nicodemo, informato e supplicato dal marito, accorse presso il nobile prepotente chiedendogli l'immediata liberazione della donna; ricevette, invece, una risposta sprezzante: «Se non mi trattenesse quel poco di rispetto che ho per te, oggi ti beccheresti una scarica di improperi. Tornatene alla tua cella». Ma più terribile, e naturalmente efficace, fu la conclusione del santo: «Non aggiungo nemmeno una parola. Se il Signore mi considera fra i suoi cari, ti tratterà come vorrà lui» (cap. 16). Il giorno dopo, al mattino della Domenica di Pasqua, l'arconte morì improvvisamente appena sceso dal letto. Un'altra volta era stato portato via da una banda di Saraceni, che, fra l'altro, si divertivano a deriderlo per la sua costante preghiera; ma poco appresso quei violenti si misero a combattere furiosamente fra di loro lasciando che il santo tornasse liberamente al monastero. E a nove cittadini di Bisignano, che erano stati rapiti dai Saraceni e trascinati fra i monti alla volta della Sicilia, bastò l'invocazione del suo nome per liberarsi dalle catene: era dunque ben nota ed efficace la fama di quel santo nascosto e silenzioso.
Una volta era sceso nelle Saline per pregare presso la tomba di sant'Elia lo Speleota e tutti i monaci, riconosciutolo, accorsero per riverirlo; in quella occasione il prete Leonas venne guarito da gravi tormenti diabolici al semplice tocco della mano di Nicodemo. La sua venerazione verso Elia il Giovane ed Elia lo Speleota si esprimeva anche con cortesie taumaturgiche, come quando egli invitò inutilmente i genitori di una giovinetta tormentata dal diavolo a supplicare quei due grandi santi, venerando le loro reliquie per ottenerne la guarigione della ragazza. Lo stesso aveva fatto per un giovanotto ossesso, ai cui genitori Nicodemo, prima di scacciare il diavolo, aveva detto: «Portatelo alla Spelonca, da Elia» (cap. 13); una cortesia simile usò Elia il Giovane per san Filareto.
La memoria liturgica di san Nicodemo ricorre il 12 marzo.
La sua venerazione si è tramandata ininterrotta fino ad oggi, specialmente a Mammola, che è il centro urbano più vicino ai luoghi dove Nicodemo aveva impiantato il suo monastero e dove poi venne trasferita la fondazione monastica: infatti Atanasio Calceopulo, che visitò il monastero di san Nicodemo il 7 novembre 1457, dice che esso era ubicato a meno di un miglio dalle case di Mammola. Nicodemo è assai venerato anche a Cirò, che per un pio errore fu ritenuta a lungo la patria del santo. La sua vita venne anche narrata nel secolo XVII da Apollinare Agresta, che era nativo di Mammola e nell'anno 1675 venne designato Abate Generale dell'Ordine Basiliano. La vita del suo monastero produsse atti, di cui un piccolo nucleo fra gli anni 1011 e 1232 è giunto fino a noi ed è stato pubblicato da André Guillou. In essi è menzionato anche un monastero in onore di san Fantino, detto di Pretoriate (probabilmente località e/o torrente nel territorio di Gioiosa Jonica) e che richiama nel titolo il luogo sacro della formazione monastica di Nicodemo. Anche se non è definita l'identificazione della località Kellerana, oggi si ritiene che essa coincida con il luogo dove furono rinvenute le absidi antiche di un edifìcio di culto che è stato recentemente riedificato e che nell'opinione generale corrisponde al monastero di san Nicodemo, così come una vicina grotticella è comunemente venerata come la grotta del santo. In questo luogo sacro presso il passo della Limina risiede da alcuni anni un eremita certosino, padre Ernesto, che si è insediato il 17 settembre 1995 ed ha professato solennemente la sua scelta eremitica, alla presenza del vescovo di Locri-Gerace mons. Giancarlo Bregantini, l'11 luglio dell'anno 2000.
(D. MINUTO, Profili di santi nella Calabria bizantina, Reggio Calabria 2002, pp.69-72)
tratto da
"Vita del nostro santo padre Nicodemo". Autore: monaco Nilo.
È una trascrizione in greco fatta nel 1307 dal monaco Daniele, nel monastero del SS. Salvatore in Messina e oggi si conserva presso l'Università della stessa Messina.
La traduzione che proponiamo noi è quella di Domenico Minuto (2010), rigorosamente fedele al testo.
Discorso di Nilo, umile monaco,
sulla Vita del nostro santo padre Nicodemo.
1 . Benedici, Padre
Ogni opera ha il suo tempo adatto, dice il sapiente Salomone.
Ciò che si compie fuori tempo non solo non ha efficacia, ma addirittura riesce riprovevole; di conseguenza, invece, è assai chiaro che qualunque cosa buona collocata nel suo proprio ambito sia utile. Pertanto, o padri e fratelli, che eccellete nella pietà e siete appassionati ascoltatori di belle narrazioni, io dico che ora questa vostra santa predisposizione dell'animo sicuramente non è fuori tempo, anzi è opportuna e ben accetta a Dio. Essa impedisce che le opere buone cadano in oblio col passare del tempo e quelle ottime vengano buttate nell'abisso della dimenticanza. Per quanto mi riguarda, ritengo che non sia proprio il caso di osare cose che mi sovrastano del tutto e mettere mano su questioni che superano le mie forze. Per tale motivo non mi ero ancora deciso di trattare questi argomenti, temendo che l'occhio della mente non mi si fosse del tutto purificato del fango terreno. Davide era santo e capace di profonda contemplazione divina; di lui Dio attesta, per dir così, di averlo trovato come un uomo secondo il suo cuore; da Dio egli ricevette, per le mani del profeta, l'unzione del regno; era colmo della grazia e del carisma profetico. Eppure, come se non avesse ricevuto ancora pienamente ciò di cui aveva bisogno, aspettava che venisse il tempo giusto; perciò dice: "Quando coglierò il tempo opportuno, giudicherò secondo rettitudine".
Eppure era il tempo giusto per lui, ma temeva che questa fosse una valutazione solo personale, la sua umiltà lo sublimava innalzandolo. Se Davide fece questo, che cosa mai io posso propormi di fare? Il mio pensiero è debole e inadatto, dentro di me non porto segno di sapienza e nemmeno di una qualche virtù, sono perciò colmo di sporcizia e di tutte le impurità. Come oserò trattare argomenti sacri e mettere mano a cose sante con labbra profane e mani non purificate, se costato nella Sacra Scrittura come siano stati puniti i personaggi storici che hanno osato fare questo senza esserne degni? Come coloro che si preparavano a Salire sul monte assieme a Mosé senza aver preso parte per niente alla purificazione e dimostrandosi così indegni di quella divina visione; come colui che audacemente cercò di toccare l'arca con mani contaminate subendo una punizione terribile e spaventosa per chi ne ascolta la narrazione. Ho ancora un altro grande timore: siccome un altro prima di me ha voluto raccogliere per iscritto ciò che si racconta sull'argomento ed è stato biasimato da parecchi per la mancanza di chiarezza e di stile delle sue parole, ho paura di non dover subire anch'io come lui, i suoi stessi inconvenienti.
Ma siccome il primo uomo che Dio, per sua bontà, plasmò con la sua mano, rovinato dalla disubbidienza, fu condannato a morire mentre, se fosse rimasto fedele al precetto divino, non sarebbe venuto meno alla vita, temendo io pertanto il pericolo di quella disubbidienza ed ascoltando la sentenza contro quel servo che aveva ricevuto un talento e l'aveva nascosto per terra, spinto da questi esempi obbedisco tramite voi a Cristo che opera in noi e mi inchino all'ordine e alla parola di Dio; apro la bocca, fiducioso nell'intercessione del santo che ora sta per venire in mezzo a noi e di cui stiamo cominciando a parlare e di poter essere ricolmo dello Spirito Santo tramite le vostre preghiere; e perciò dico: "Non ciò che voglio io, ma quel che lo Spirito stesso dona". Assumendo questa motivazione, mi accingo a parlare: perché ogni dono buono ed ogni donazione perfetta viene dall'alto e discende dal Padre delle luci.
2. O santa e reverendissima assemblea!
Popolo di Dio, nazione santa, sacerdozio regale in favore del quale la Parola di Dio Padre, essendo Dio, ha assunto in maniera indicibile la nostra miseria, affinché noi ci arricchissimo della sua pienezza; e per cui con grande impegno sono stati scritti da uomini innamorati di Dio tutti i libri santi e ispirati, le memorie dei martiri, le vite dei santi, affinché, ascoltando e spinti nell'anima a compunzione, diventassimo santamente zelanti di bene, e allontanatici dal peccato, purificatici da ogni desiderio materiale e dalla pesantezza terrena, ci accostassimo di nuovo a Dio!
Drizzate verso me, vi prego, il vostro udito e la vostra mente.
Vengo, dunque, o contemplativi, a portarvi i frutti particolarmente buoni e soavi di un agricoltore che volge lo sguardo a terra e invoca Colui che li dona: essi rendono dolce non il palato, ma piuttosto l'anima, rallegrandola teneramente e stimolandola verso l'amore divino.
3. Chi era costui
Ma chi era questo agricoltore, chi era? Nicodemo, che abbracciò la vita eremitica fin dalla prima età, quasi fosse un altro Precursore, e trascorse tutta la sua esistenza alla maniera angelica. Ma prima di tratteggiare dettagliatamente la sua vita, è bene dare l’etimologia del suo santo nome. Infatti il nome Nicódimos (Nicodemo) è detto "composto" dai grammatici, perché nicó (vinco), verbo, e dimos (popolo, moltitudine), sostantivo, congiunti formano il nome composto Nicódimos. Perciò opportunamente egli è stato chiamato con questo nome, come colui che ha vinto la moltitudine e la schiera degli spiriti maligni.
4. Luogo di nascita
Or dunque, il nostro grande padre, santo fra i santi, era nato da genitori molto devoti e pii. Aveva la sua casa natale nel distretto delle Saline, nel villaggio che si chiama Sicrò. Egli fu allevato dai genitori con un’educazione completa e buona, con insegnamenti davvero santi. Ora, illuminato da Dio fin dalla prima età per intervento dello Spirito Santo, il ragazzo progrediva di giorno in giorno nell’apprendimento della Santa Scrittura e nello sviluppo completo della bontà. Man mano che cresceva, ed era già divenuto un giovinetto, una non piccola fama di lui si diffuse in tutti i luoghi attorno. Il giovane veniva ammirato da tutti e divenne a tutti noto, perché non è possibile che si nasconda una città posta sopra un monte. Egli ascoltò ciò che il Signore, appunto aveva detto, nel santo vangelo, al giovinetto: "Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dallo ai poveri" e "prendi la croce e seguimi", con la promessa che avrebbe avuto anche un tesoro nei cieli; e ancora: "Chi ama suo padre e sua madre più di me non è degno di me". Il giovane prestava attenzione volentieri a tali parole, toccato nel cuore come da un pungolo, e notte e giorno si affinava con queste sante considerazioni, attratto dalla frase che dice: "lo convinceva a ritirarsi in monti e spelonche, ma anche a farsi emigrante verso luoghi lontani". Pertanto Dio, che acconsente sempre al desiderio di coloro che lo temono e ascolta le loro preghiere e li salva, prevedendo l’irremovibilità della sua persuasione, gli diede l’ispirazione di affidarsi, come Paolo al santo Anania, ad un Anziano padre che conduceva vita monastica, assieme ad altri confratelli, nella casa del santo e taumaturgo Fantino il Cavallaro. Egli, osservando il giovane che gli era davanti, e riconosciuta la bellezza della sua anima dal suo aspetto esteriore, lo accolse con grande trasporto: infatti dallo sguardo traspare ciò che si è di dentro, come visione dell’anima.
5. Vestizione
Dopo qualche giorno, accortosi che il giovane cominciava a fare progressi, gli toglie tutti i panni mondani e lo riveste del santo abito monastico a guisa di corazza; imponendogli anche l’elmo della salvezza e proteggendolo ancora con lo scudo della speranza, lo manifestò come un valente soldato di Cristo capace di schierarsi contro il potere e il dominio del Principe di questo mondo.
Gli cinse i sandali ai piedi e fece sì che camminasse sopra le vipere e gli scorpioni e contro tutta la potenza del nemico. Il beato rimase in costante dimora accanto a quel santo anziano per moltissimi anni e dominava sia la carne che il nemico con digiuni, con preghiere e con veglie per tutta la notte in piedi; esercitava al sommo grado l’ubbidienza e l’umiltà, ornato di amore verso tutti e di una infinita bontà; insomma, lì brillava per tutto il suo modo buono di comportarsi. Scortato dal santo anziano monaco come da un intermediario e un garante, utilizzando le sante preghiere di quello come armi possenti per abbattere gli avversari, piagò continuamente il torvo serpente senza venir danneggiato dalle sue macchinazioni.
6. Eremitaggio
Ora una volta successe una terribile insurrezione dei discendenti di Agar e fu messo a soqquadro tutto quel territorio. Il beato pensò che fosse l’ira di Dio e se ne andò via da quei luoghi; fuggì lontano per monti e per spelonche e andò ad abitare nel deserto, scegliendo un luogo sito fra le maggiori alture, chiamato Chellarana, tutto boscoso, fitto di vegetazione, per parecchi uomini inaccessibile, piuttosto abitato dai diavoli. In tale luogo quel valente fece mostra di combattimenti al di là delle forze di natura e divenne famoso. Fece guerra agli eserciti dei demoni maligni e fu da loro molte volte messo alle strette, ma come una roccia compatta li respinse quali onde contro lo scoglio. Per tre mesi lo tentarono, con apparizioni e boati e cercarono di abbattere la cella.
Egli, però, ben consapevole delle loro terribili macchinazioni, stava come una colonna impavido, senza gustare sonno per niente. E così li scacciò, facendoli scomparire completamente da quella località e vi edificò una casa di preghiera dedicata a Michele, il capo supremo delle schiere immateriali degli angeli.
7. Condotta di vita
La mente mortale o la lingua umana non riesce a descrivere la vita e la condotta che egli trascorse lì per moltissimi anni.
Ogni giorno era immerso nelle fatiche, non per sé ma per coloro che andavano a trovarlo e per venire incontro ai bisogni dei suoi discepoli. Dalle sette alle nove del mattino si cingeva di un telo di pelle senza indossare il solito camice monastico; si metteva a macinare, con pietre che teneva con le due mani, farina per tre pani e poi l’impastava e la metteva in forma. Egli non ne toccava per niente. Anzi, per cinquant’anni e più, non assaggiò nemmeno altro pane, senza bere vino e nemmeno toccando acqua.
Il suo vitto era il seguente: sbucciava un po’ di castagne e le metteva a bollire in una pentola di coccio. La sera le assaggiava e al posto dell’acqua beveva la loro brodaglia, ringraziando il Signore con molta perseveranza.
E se capitavano pesci di mare portati da pescatori che andavano a trovarlo, egli si diceva: "Nicodemo, ti fa gusto mangiare questo cibo, e perciò te lo do, ma non come vuoi tu". Lo stendeva al sole e quando era secco come un pezzo di legno, lo mangiava senza bagnarlo. Viveva assieme ai discepoli con questa severa disciplina del corpo e nell’aspetto si mostrava più florido di coloro che vivono nel mondo fra le comodità. Aveva per vestito un cortissimo camicione monastico di pelle che lo copriva dalle ascelle alle ginocchia. Aveva fissato un diario per tutta la giornata: fino alle nove del mattino andava cantando i versetti dei salmi attraverso l’eremo. Ritornava fra i fratelli quando si facevano le nove; tutta la notte in piedi; innumerevoli genuflessioni; pugni contro il petto con compunzione; fiumi di lacrime dalle orbite; preghiera incessante; grandezza d’animo e mitezza; smisurata umiltà; pace nella lingua; amore e compassione verso tutti, e specialmente verso chi era caduto prigioniero o in qualche disgrazia.
8. Scrupoloso amministratore
Come ho detto sopra, l’uomo era diventato parecchio famoso; e allora giungevano dal santo tutte le persone da ogni parte. Portavano offerte, si confessavano e chiedevano di ricevere da lui una preghiera. Egli, per tagliare corto con molta saggezza l’insorgenza della vanità, accettava, ma distribuiva tutto con abbondanza ai bisognosi, non trattenendo niente per sé, né un mantello, né una camicia monastica, insomma addirittura nemmeno un centesimo. Il beato era scrupolosamente attento a queste cose e stava costantemente in allerta per sapere se non ci fosse qualcuno caduto in schiavitù o in qualche disgrazia. Allora egli convocava i parenti stretti di quelli che erano stati schiavizzati e si faceva venire direttamente coloro che si trovavano nelle necessità e da quello che c’era dava loro ciò di cui avevano bisogno. Altri, rimessisi in sesto dopo un certo tempo con il sussidio che avevano ricevuto, gli riportavano di nuovo quel che avevano preso, come se fosse un prestito, dicendo: "Tieni, padre, quel che abbiamo ricevuto da te".
Egli faceva finta di non riconoscerli e diceva: "Fratello, prenditi le tue cose e vai in pace: non hai preso niente da me, perché mi vuoi offrire ciò che è tuo?". In questo modo impartiva ai suoi discepoli lezioni pratiche di pazienza, per quelli che seguivano per bene il maestro e si distinguevano per la santità del comportamento e per gli insegnamenti ricevuti.
9. Educatore saggio e paterno
Una volta li indusse in tentazione il diavolo maligno, che non sopportava di vedersi scacciato da loro; ma sbagliò, perché non riuscì nel suo intento. Un giorno, dunque, mentre si trovavano nell’eremo accanto a quel grande, i fratelli cominciarono tutti insieme a dirgli: "O padre, qui per noi la vita risulta difficile e assai dura". "O figli, disse loro, va bene come avete detto. E allora, dove volete che vi faccia trasferire?". Essi, come se non conoscessero la sua sapiente esperienza spirituale, cedettero che avesse detto una cosa semplice e tutti contenti gli dissero: "C’è appunto, dalle parti di Vukìto, il santuario assai rinomato della Madre di Dio, un ambiente molto adatto per noi; se ce lo ordini, andremo a stare lì". E lui non replicava nemmeno una parola, anzi era come se li incoraggiasse, sapendo bene che cosa sarebbe accaduto. C’era la festa della Dormizione della Vergine purissima e il venerando padre sapeva che lì ogni anno si raccoglieva una folla di gente. E allora il giorno prima della festa disse: "Su, partiamo figli, andiamo a prendere dimora nel luogo che avete scelto". Si alzarono e seguirono il beato. Ma quando arrivarono e videro quell’accolta di gente, fu come se si rammentassero allora del raccoglimento silenzioso e di quel beato soggiorno e buttatisi ai piedi del grande dicevano: "Perdonaci, padre, perché abbiamo dato attuazione ad una determinazione cattiva; vergognosamente ci siamo messi contro la tua santità senza sottometterci. Ecco, legaci il collo e portaci tranquillamente in quel luogo da dove soltanto noi siamo andati via". Egli li confortò e pregò per loro, poi con gioia ritornò all’eremo.
10. Lo scorpione
Una volta quel meraviglioso aveva preso la sua zappa e portatosi un po’ distante dalla cella, aveva cominciato a lavorare la terra per coltivarvi erbaggi. Assieme ad una zolla uscì fuori uno scorpione velenoso che andò e gli si attaccò a un piede.
Il discepolo di Cristo non ne riportò nessuna ferita né alcun eventuale gonfiore, e rivoltosi all’insetto gli disse. "E allora, che vantaggio hai ricavato ora se mi hai morso senza recarmi danno? Dunque vattene, ti perdono la tua audacia". Alcuni che avevano assistito alla scena volevano uccidere lo scorpione, ma il santo non glielo permise e disse loro: "Figli, lasciate che se ne vada per la sua strada; non mi ha fatto nessun male".
È evidente che questo episodio non sia molto diverso dal miracolo della vipera che era successo a san Paolo. Infatti come Paolo, rimasto illeso dal morso dalla vipera, aveva fatto bruciare la serpe nel fuoco, così questo nostro padre prodigioso e grande con il fuoco manifesto della magnanimità incenerì l’occulto serpente.
11. Vita ascetica
Quel magnanimo, avendo sapientemente sottomesso al potere dell’anima gli allettamenti della carne e avendone posto sotto controllo tutti i sussulti, risultò vincitore assoluto delle passioni. Pose nel suo cuore slanci di divina ascensione e si sollevò, auriga come un secondo Elia, verso l’altezza sublime dell’impassibilità. E come Mosé immerso nelle tenebre, apparve sfolgorante nel volto: perciò il beatissimo, per partecipazione secondo la grazia, divenne Dio. Iddio, infatti, che ha sempre cura della nostra salvezza, non tralascia, per ciascuna generazione e generazione, di manifestare i suoi servitori, compiendo azioni possenti attraverso loro, perché vuole attrarci alla vita di santità tramite loro. Il nostro santo e grande padre ebbe pertanto, ricevendola da Dio, quella grazia contro gli spiriti impuri che si dice avesse il primo chiamato degli apostoli, cioè Andrea, nelle visite. Quegli, infatti, dice il racconto, fremeva tutto e come se facesse cenni minacciosi con gli occhi verso coloro che soffrivano, scacciava lontano da loro i demoni terrorizzati.
12. Giovane posseduto da spirito impuro
C’era appunto un giovane che soffriva, terribilmente vessato da uno spirito impuro. I suoi genitori lo legarono con corde resistenti e lo condussero dal grande, supplicando con amare lacrime, e raggomitolati ai suoi piedi, lo scongiuravano dicendo: "O padre, prega per il nostro figlio, che sia liberato dalla terribile ossessione del maligno che l’ha invaso". Egli che, come ho detto, era sommamente umile nei suoi pensieri, disse: "Figli, portatelo da Elia, che sta nella grotta. Io non posso fare queste cose, sono un peccatore". Ma quelli non erano ignari né della sua infinita umiltà, né della grazia dello Spirito che abitava in lui; continuarono a stare lì e attesero alcuni giorni, fiduciosi che avrebbero ottenuto ciò che chiedevano: e l’ottennero. Il demonio mandò a sbattere il giovane invasato in un posto pieno di ortiche e lo fece rotolare lì nudo. Uno dei discepoli lo vede e di corsa va a dirlo al maestro. A questo punto il Dio dell’universo compie uno straordinario miracolo tramite il suo servo. Egli, terribile per i demoni, scosse solo con la mano, come per minacciare, il bastone che portava per appoggiarsi e disse allo spirito impuro: "Vai via da lui, demonio sciagurato ed impuro!" E subito lo spirito uscì via, come scacciato dal colpo del bastone del santo, e lasciò il giovane che prima egli aveva terribilmente malmenato, sano come se non avesse subito alcun male. Il discepolo del santo lo prese e lo consegnò integro ai genitori, dicendo: "Pigliate vostro figlio e andate in pace: il Signore ha dato compimento alla vostra richiesta". Essi videro il figlio rinsavito e in possesso delle sue facoltà mentali, e ringraziando diedero gloria a Dio e al suo santo servo. Il quale pregò per loro, li benedisse e li licenziò in pace.
13. Giovane posseduta da spirito sfrontato
Un altro episodio: una giovane donna che era dignitosissima secondo la testimonianza di chi la conosceva, all’improvviso, forse perché aveva visto qualcosa di terribile ed era rimasta sconvolta nell’animo, si trovò di colpo invasata da uno spirito impuro e venne del tutto privata della percezione della mente. I suoi parenti la condussero dal padre santo per ottenere la grazia dalla sua santità; si buttarono ai suoi piedi e piangendo lo supplicavano che liberasse la giovane dallo spirito impuro. Egli lenì il vivo dolore del loro animo parlando santamente del bisogno di rendere grazie e della pazienza e, dopo averli confortati non poco, disse: "Andatevene, vi prego, fratelli, non arrecate un grave peso alla mia anima, ritenendo che io sia ciò che non sono. Perché siete venuti correndo da questo uomo peccatore, tralasciando i santi che sono taumaturghi, parlo di Elia il Giovane ed Elia Speleota, che risplendono di miracoli? Accorrete lì con fede e appassionatamente, abbracciate le sante urne che custodiscono le loro reliquie". Essi allora, non rendendosi conto dell’eccesso della sua umiltà, non pensarono che dovevano insistere. Se ne andarono, perciò, ma dopo tanti patimenti senza ricavare niente, ritornarono di nuovo dal santo. Allora, resisi accorti dell’umiltà del santo da ciò che non avevano ottenuto, si buttano davanti ai suoi piedi e si mettono a gridare fra le lacrime: "Santo di Dio, se puoi, aiutaci. Abbiamo molto corso e faticato, niente abbiamo ottenuto. Ora non ci strapperemo via da qui finché non vedremo chiaramente da te la grazia". "Figliuoli – disse - prendetela di nuovo e adagiatela nel santo tempio e sia fatto per voi secondo la vostra fede". Ubbidirono alle sue sante parole e portarono nella chiesa la giovane sofferente. Egli, il beatissimo, stette tutta la notte in piedi davanti a Dio dell’universo e pregava che fosse concessa alla giovane donna la guarigione e la salute.
E Colui che esaudisce sempre il desiderio di chi lo teme ascoltò la sua supplica. E così, alla fine della celebrazione dell’ora prima canonica, eseguita secondo la consuetudine insieme con i confratelli, era uscito un po’, com’era sua abitudine, cantando salmi di Davide, che conosceva tutti a memoria. Al ritorno, era entrato in una cella, dove i fratelli avevano acceso un fuoco e si riscaldavano, perché faceva freddo. Si stava riscaldando pure l’ossessa, che era uscita dalla chiesa ed era corsa vicino al fuoco; lo spirito impuro che abitava dentro di lei era uno sfrontato. Il beato si era seduto su uno sgabello e quell’essere lurido si mise a deridere il santo, chiamandolo vecchio e dagli occhi di sbirro. Ed ecco all’azione ancora il bastone, come quello di Mosé, e un immenso prodigio. Infatti come Mosè con il bastone aveva diviso il Mar Rosso, sommergendovi il Faraone e le sue truppe, così questo grande taumaturgo e santo padre nostro, che aveva attraversato il mare spirituale delle passioni con i sudori di una grande ascesi, sommerse il Faraone spirituale assieme alle sua maligne falange. Infatti compiva prodigi con il bastone, come Mosè. Quando lo spirito sfrontato è impuro si mise ad ingiuriare il santo chiamandolo persona frivola, il taumaturgo scosse contro di lui il bastone e a denti stretti gli ordinò di stare zitto. Bisognava vedere che meraviglia davvero terrificante, ridondante stupore: a quell’ordine e sotto la minaccia del santo bastone, il diavolo, come terrorizzato dal fuoco, scappò di corsa fuori dall’ossessa, lasciandola mezzo soffocata. I genitori e i parenti videro l’inaspettata trasformazione della giovinetta ed esultarono di grande gioia, glorificando Dio ed il suo servitore. Egli pregò per loro, li benedisse e li lasciò andare in pace.
14. Il giovane Basilio
Il figlio di un sacerdote aveva delle ottime qualità; si chiamava Basilio. Il perfido demonio, costatando come si distingueva per tanti pregi di eccellenza, non sopportava, nella sua mente invidiosa, di vederlo così. Pertanto, togliendolo da questo bene che Dio gli aveva concesso, lo tormentava violentemente. Il suddetto sacerdote lo prese e lo portò dal beato, scongiurandolo con molte lacrime e grandemente provato che con la sua santa intercessione liberasse il giovane dallo spirito impuro. Quell’uomo ammirabile riconobbe la fede del sacerdote e la determinatezza della sua decisione ed avendo un amore innato verso tutti gli uomini, sentì compassione per il giovane e trascorse tutta la notte a implorare Dio: così scacciò via da lui lo spirito impuro. Colui che lo aveva portato lo prese e se ne andò pieno di gioia; e ringraziando il Signore, andava proclamando dappertutto quel vero miracolo compiuto dal santo a favore del giovane.
15. Pellegrino alla grotta di sant’Elia
Una volta il padre ammirabile si recò alla grotta, dal grande Elia per pregare. Quando fu vicino, uno dei fratelli lo vide e corse ad annunziare agli altri la sua presenza. Sentito ciò, tutti quanti uscirono in massa per andargli incontro. Assieme a loro accorse un sacerdote, di nome Leonàs; già da molti anni un demonio malvagio gli opprimeva la testa e vi si era tenacemente attaccato, consumandolo terribilmente, come una malattia. Egli aveva cercato svariati rimedi senza ottenere niente, anzi quel male lo opprimeva ancora più violentemente. Egli in quel tempo era capitato lì da un paese lontano; visto il santo, andò di corsa a buttarsi ai suoi piedi dicendo fra le lacrime: "Misericordia e pietà di me, o servo di Cristo, sono terribilmente tormentato da uno spirito malvagio". Egli stese la mano, gli toccò la testa e fermandosi disse, senza che nessuno gli avesse indicato il suo nome: "O figlio Leonàs, da dove sai che io sono medico?" Ed avvenne un miracolo grandissimo da vedere e davvero degno di memoria: al tocco della sua santa mano, subito di corsa scappò via dal paziente lo spirito impuro, come se fosse stato bruciato dal fuoco. Colui che prima era terribilmente logorato dal dolore sentì discendere su di sé, così diceva, una divina rugiada. Perciò egli dava gloria a Dio e a Nicodemo, l’ottimo sgominatore degli spiriti impuri.
16. La fine di un uomo iniquo
Uno degli uomini illustri del mondo, guardando una bellezza femminile ne fu corroso nel cuore, e subito questo turbamento si concretizzò in una passione satanica. Allora, con il potere micidiale della sua autorità, il disgraziato allontanò la donna dal suo legittimo sposo e l’attrasse a sé. Il marito della donna lo supplicò molto, ma non venne ascoltato; per questo trascorreva la vita assai addolorato e depresso. Un simile trauma per la gente attaccata alle cose del mondo è un male davvero terribile e senza rimedio. Allora una brava persona, vedendolo in preda all’angoscia, gli disse: "Fratello, andiamo tutti e due, io e tu, dal santo padre Nicodemo, supplicandolo di intercedere presso l’onorevole; io sono certo che quello prenderà senz’altro in considerazione le sue venerande preghiere".
Quando giunsero e raccontarono al santo tutti i particolari della vicenda, egli, divampando di santo zelo, simile a quello di Elia nei confronti di Acab che aveva violentemente sottratto la vigna a Naboth, decise spontaneamente di muoversi e andare con loro. Giunto dal grande uomo, il santo gli si rivolge dicendo: "Ti saluto, o figlio illustrissimo". E quello, di rimando, al beato: "Ti saluto anch’io, santissimo padre. Come mai ti sei disturbato a venire da me e per quale motivo?" Nicodemo con animo umile gli disse: "È venuto da me, che non sono niente di niente, un uomo e mi ha detto che tu trattieni sua moglie perché l’hai turpemente concupita per l’influsso di qualche diavolo; la mia preghiera si rivolge a te in suo favore, affinché tu restituisca la donna a suo marito. Se lo farai, otterrai da Dio il perdono della colpa passata; anch’io, nella mia nullità, pregherò per te al riguardo".
Quello, ruggendo come un leone e ribollendo nell’animo, arrogantemente rispose al santo: "Se non ci fosse dentro di me – disse - l’impegno di trattarti con un po’ di rispetto, tu oggi ti saresti beccato da parte mia non pochi vituperi. Perciò vattene, vai a startene in silenzio dentro la tua cella". E la spada a due tagli mandava bagliori dall’alto e la giusta sentenza di Dio si avvicinava allo sventurato a gamba tesa. Afflitto, il servo Dio disse, come se gli notificasse la sua rovina: "Non aggiungerò per te – disse - nessun’altra parola; e se il Signore Iddio tiene anche me come un uomo del gruppo di coloro che ha riconosciuto e predestinato, egli provvederà come vuole nei tuoi confronti". E il santo riprese la via e se ne tornò nella sua cella.
E così all’indomani, verso l’aurora, quello sciagurato uomo politico si svegliò – era la notte della divina e illuminante resurrezione di Cristo - al suono del legno battuto dal prete della chiesa di quel luogo; chiamò la moglie del poveretto e le chiese l’acqua per lavarsi il viso, con l’intenzione di andare in chiesa. Quella fece subito quanto le era stato ordinato; l’uomo stette un poco a ciondolarsi nel letto, poi si portò in mezzo alla casa e di colpo la spada a due tagli della potenza divina lo tolse di mezzo e l’infelice subito rese miseramente lo spirito, lasciando un insegnamento davvero terribile per le generazioni di quel tempo. In questo modo il Signore sa cogliere gli empi nei comportamenti iniqui verso di lui e salvare i giusti dalle loro grinfie.
17. La cerva
Una cerva aveva preso l’abitudine di mangiare il seminato dei fratelli. Quando fu reso noto al santo il guasto che apportava, si alzò e andò a costatare il danno provocato dalla bestia. Giunto, la sorprese che stava rovinando i frutti senza alcun ritegno. Allora scosse il bastone che teneva in mano e l’avvertì dicendo: "Ora la smetti di distruggere il lavoro dei fratelli, altrimenti questa cattiveria ti porterà alla morte". Quella, per un poco di tempo rinsavita, ritornò poi di nuovo a fare quel che faceva prima. Ma non venne trascurata la preghiera del giusto: fu mandata una belva carnivora che uccise la bestia in mezzo ai frutti.
18. Il Santo catturato dagli Agareni
I bastardi figli degli Agareni una volta lo afferrarono e lo portarono via assieme ad altri prigionieri. Quando trovarono un posto che secondo loro era adatto per una sosta, scesero da cavallo e vi si sdraiarono. Egli si mise in piedi e con le mani alzate rivolgeva al Signore le preghiere consuete; quelli lo canzonavano e deridendolo gli dicevano: "Che vantaggio ti viene – dicono – da questa preghiera? E ovvio che dovevi pregare prima di finire prigioniero nelle nostre mani, affinché non ti succedesse questo guaio. Pregando ora, non concludi niente". E tuttavia la loro stupida e pestifera bocca si dimostrò vana. Il Signore libera in modo inaspettato il servo che gli ha reso gloria. Egli continua a perseverare nella preghiera e una forza divina viene e li sbatte fra di loro a combattersi e a guerreggiare fino al sangue; e togliendo il santo, come una volta Daniele, da mezzo di quei leoni, lo salvò indenne.
19. I prigionieri di Bisignano
E ora quale discorso dovrebbe uscir fuori dalla mia povera mente e dalla mia lingua impacciata per esaltare quello straordinario miracolo a favore di nove uomini che il mirabile compì verso la fine della sua santa vita?
Gli Agareni li avevano catturati e dalla città di Bisignano li stavano portando prigionieri in Sicilia. Quando furono arrivati nella località denominata Pilio, smontati di cavallo, vi si erano sdraiati per riposare. Ma quei nove uomini, completamente oppressi dal dolore delle catene e dall’angoscia, corrono col pensiero a Dio e lo invocano affinché venga in loro soccorso. Egli, volendo ancor più manifestare il suo servitore nella vita angelica che conduce, ecco, lo fa venire in mente ad uno di loro, che dice agli altri: "Fratelli, io conosco un santo padre che conduce vita di ritiro in un eremo ed è taumaturgo, appassionato difensore di chi versa in situazioni di pericolo: su, invochiamolo con fiducia io e voi e sono certo che ci raggiungerà subito la sua protezione, con l’aiuto di Dio". Essi accolsero volentieri le sue parole e tutti insieme con un sol cuore si misero ad invocare dicendo: "Santo di Dio, accorri a salvarci dalla presente angoscia". E così li raggiunge immediatamente il soccorso di chi è stato invocato. Essi stanno ancora elevando il loro grido, supplicandolo fiduciosi e invocandolo, quando quello che per primo si era ricordato di lui vede che le sue mani sono libere dalle catene; preso di timore e di gioia per questo fatto, sbalordito diceva agli altri: "Fratelli - dice - sono liberato dalle catene!" Ma in quel momento anch’essi, presi da stupore dentro di loro, vedono di avere le mani sciolte. E allora scattarono in piedi e di corsa andarono a trovare il loro salvatore e si buttano ai suoi piedi e li abbracciano e danno testimonianza del santo soccorso che hanno ricevuto con grande tempestività. Ma lui: "Al Signore - diceva - dovete piuttosto dichiarare, figli, la vostra gratitudine: Egli, infatti, ha accolto la vostra fede e la risolutezza del vostro animo, e vi ha liberato da quell’angoscia". E dopo aver pregato per loro, li lasciò andare in pace, ed essi davano gloria al Signore Dio annunciando a tutti il soccorso ricevuto per la sua intercessione.
20. Lo scopo del sermone
Ecco, ho raccolto questi brevi episodi dalle moltissime gesta compiute da quel grande e li ho esposti in forma concisa, raccontandoli con poche parole, secondo le possibilità della mia mente. Mi sono prefisso, da una parte, di portare a compimento l’opera, dovuta come un debito, per i fratelli che me l’hanno chiesta e mi hanno in ciò sollecitato; dall’altra, poi, di offrire a quelli che sarebbero convenuti per ascoltare con attenzione, un’immagine e come una proposta, facile e insieme contenuta, per l’imitazione della virtù. E infatti non è la sovrabbondanza di eloquio e la moltitudine delle parole il criterio adatto per suggerire la pietà o la virtù a coloro che amano ascoltare discorsi di bene.
Proprio all’opposto, anche una sola parola insaporita del sale divino, soave ed accolta da loro con retto discernimento, si insedia subito nel profondo della loro anima e fa davvero produrre i frutti più grandi e più perfetti, mentre al contrario le molte parole sono anche inutili. Perciò anche Paolo, l’oratore per eccellenza fra gli apostoli e approfondito nella scienza divina, preferì dire in chiesa cinque parole di edificazione piuttosto che miriadi di parole oscure, senza nessun profitto.
21. La morte del Santo
Il nostro grande padre, santo fra i santi, giunto alla pienezza dei suoi giorni, aveva circa settant’anni, ottemperando alla legge di natura in quanto uomo, si sciolse dai legami della carne il giorno dodici di marzo. Era pervenuto allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo; era progredito fino alla vetta dell’assenza di passioni mostrandosi, nel modo di condurre la sua vita, alla pari degli angeli incorporei; così prese riposo da tutte le sue opere e dai travagli dell’ascesi, avendo terminato il cammino e avendo conservato la fede nella verità. Era giusto, infatti, che colui che aveva vissuto sulla terra in maniera angelica, dalla terra si distaccasse e andasse a stare con coloro di cui aveva emulato il comportamento. E come posso passare sotto silenzio il miracolo straordinario e meraviglioso accaduto quando egli si addormentò santamente, circondato di venerazione? Un fatto che mi risulta sia successo raramente nel sacro sonno dei santi, quand’anche sia stato raccontato con particolari differenti. Di quale morto, infatti, dopo il decesso, il volto manda bagliori di luce o di fuoco, in modo da emanare splendore, e questo non fino ad un certo tempo, ma anche finché viene deposto nel sepolcro? L’aspetto del suo volto rimaneva inalterato, come se non ci fosse morte, e questo assai giustamente. Infatti "i giusti – dice - anche dopo la morte vivono in eterno". Perciò, godendo da uomo vivo, si partì per andare dal Signore da lui bramato fin dall’infanzia: i cori degli angeli, vedendogli compiere il glorioso trasferimento dalla terra verso l’alto, lo acclamarono a gran voce, facendo risuonare canti di vittoria; le moltitudini degli arcangeli sussultarono scorgendo ascendere al cielo con i trofei della vittoria il campione della pietà. Ma le perfide schiere dei demoni si coprirono di vergogna assieme al loro impuro capo del male, vedendogli sollevare il segno della vittoria contro di loro. Il Cristo accolse quella santa beatissima anima e con la sua destra vivificante la onorò cingendola con la corona della vittoria e offrendole il riposo nelle dimore eterne. Dov’è la gioiosa, veneranda assemblea dei primogeniti; dove sono i cori dei patriarchi, le moltitudini dei profeti e degli apostoli, e si trova il soggiorno incontaminato dei martiri assieme agli asceti; ed ivi risuona il canto melodioso e puro della gente in festa. Abbiamo imparato che questo è il regno dei cieli: dove, assieme ai giusti fin dall’eternità, stando alla presenza di Dio nella Trinità, gode, nella partecipazione della gioia, di ciò che occhio non vide e orecchio non udì e non giunse mai al cuore degli uomini ora e negli infiniti secoli dei secoli. Amen.
tratto da
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=5593:12-03-memoria-del-nostro-venerando-padre-nicodemo-l-umile&catid=197:marzo&lang=it
a cura dell'Archimandrita Antonio Scordino di venerata memoria
tratto da
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=5593:12-03-memoria-del-nostro-venerando-padre-nicodemo-l-umile&catid=197:marzo&lang=it
a cura dell'Archimandrita Antonio Scordino di venerata memoria
E’ priva di dati cronologici anche la Vita di san Nicodemo l’Umile, nato a Sicrò (per un seicentesco equivoco, in passato si disse: Cirò di Catanzaro), un villaggio nella Regione delle Saline, il cui nome ricorre anche nella Vita dello Speleota, ma a noi sconosciuto. In verità, si ignorano anche i confini della stessa Regione delle Saline (ma vedi la Passio di san Pancrazio): essa, più che un luogo geografico, fu un luogo dello spirito: quella valle destinata a coloro che saranno trasformati dalle increate Energie, di cui parla il salmo 59. Illuminato dalle divine Energie, Nicodemo si affidò alla guida del ghèron Anania, che allora praticava l’esicasmo presso il tempio del taumaturgo San Fantino il Cavallaro [a Tauriana]. Dopo qualche tempo, il ghèron rivestì Nicodemo dell’abito monastico. Il beato perseverò con quel santo ghèron, combattendo la guerra contro la carne per molti anni, con i digiuni, le preghiere e le veglie, impegnandosi nell’obbedienza e nell'umiltà. Aveva come intermediario con Dio il venerato ghèron, e si serviva dell’arma delle sue sante preghiere contro le tentazioni demoniache. Poiché gli Agareni devastavano a quel tempo tutta quanta la terra, Nicodemo credette che ciò fosse ira di Dio e, fuggendo per monti e spelonche, si fermò in luogo deserto, posto molto in alto, detto Kelleranà, intransitabile per gli uomini e piuttosto abitata da demoni. Qui il nobile asceta, affrontando combattimenti sovrumani, vinse eserciti di malvagi demoni. Da essi fu messo alla prova per tre mesi: facevano strepiti, scuotendo la cella per farla cadere, ma egli resisteva immobile come una colonna, e li fece scomparire da quel luogo: avendo costruito una casa di preghiera dedicata all’arcangelo Michele, nessuno può raccontare la vita che egli trascorse là per molti anni. Ogni giorno macinava il grano e faceva il pane, ma non per se stesso: per quelli che accorrevano a lui e per i bisogni dei discepoli; egli per oltre 50 anni non mangiò mai pane né bevve vino o acqua. Aveva questa dieta: metteva castagne ad ammollare in una pentola, e le mangiava a sera bevendo quel decotto. Se qualche volta riceveva pesci, diceva a se stesso: “Nicodemo, mangia pure; ma non come vuoi”; li seccava al sole, come un pezzo di legno, e li mangiava senza ammollarli. Come vestito, egli aveva un mantello di pelle e una corta tunica che lo copriva fino alle ginocchia; per tutta la notte faceva infinite metànie, prostrazioni, dedicandosi alla Preghiera continua. Un giorno, i fratelli cominciarono tutti assieme a dirgli: “Padre, è difficile vivere qui”. Ed egli: “Bene; e dove volete trasferirvi?” Risposero: “Dalla parti di Vukìto [?] c’è il glorioso tempio della Madre di Dio. Se tu vuoi, ci trasferiremo là”. Egli non si oppose, pur sapendo ciò che sarebbe successo: era infatti la festa del Transito della Purissima, e ogni anno si riuniva una moltitudine di popolo. La vigilia della festa li svegliò: “Andiamo, figli, dove avete proposto”. Quando essi però giunsero e videro la folla, ricordando la tranquillità d’un tempo, caddero ai piedi del grande uomo, dicendo: “Perdonaci, padre! Guidaci dove eravamo prima”. Ed egli, avendoli riuniti, con gioia tornò indietro. Una volta Nicodemo lavorava nell’orto e uno scorpione gli si attaccò al piede. Disse: “Ora che mi hai morso, che utilità hai avuto?” E poiché i presenti cercavano di uccidere la bestia, il santo disse loro: “Lasciatela andare; non mi ha fatto male”. Ponendo nel cuore divine ascesi, andava verso la più alta vetta dell’impassibilità, come il profeta Elia; come Mosè risplendeva nel volto, partecipando alle divine Energie. Il nostro padre aveva ricevuto da Dio il carisma di lottare gli spiriti impuri e cacciava i demoni, terrorizzandoli anche da lontano. Un giovane sofferente fu portato dai genitori che scongiuravano: “Prega perché sia liberato dallo spirito che lo domina”. Ma egli, essendo molto umile, rispose: “Portatelo ad Elia lo Speleota, perché io sono un peccatore e non ho questo potere”. Ma intanto il demone spingeva il giovane a buttarsi nudo tra le spine, e allora il santo terribile ai demoni, prendendo il bastone, minacciò l’impuro spirito: “Esci, sciagurato!” E quegli subito uscì. Una donna era impazzita. I familiari la portarono al santo ed egli disse: “Andate via! Perché avete trascurato i santi taumaturghi Elia il Nuovo e lo Speleota, e venite da un peccatore? Correte là con fede e desiderio, per venerare le loro sante reliquie”. Ma ecco che lo spirito cominciò a beffeggiare il santo, chiamando gherondaaa! e occhi-belliii! Il taumaturgo, agitando il bastone contro di lui, gli comandò di tacere, e il demonio fuggì. Il bellissimo Basilio, figlio di un sacerdote, era tormentato dal demonio, nemico del bello. Nicodemo pregò tutta la notte e cacciò da lui l’impuro spirito. Una volta il meraviglioso padre andò [a Melicuccà] nella grotta del grande Elia. Quando fu vicino, tutti festosamente uscirono incontro al santo e tra questi uscì il sacerdote Leone, che da molti anni soffriva di mal di testa e appunto per guarire era andato là da un paese lontano. Diceva: “Abbi pietà, perché sono sconvolto da uno spirito”. Nicodemo gli afferrò la testa, dicendo: “Leone, come mai tu mi riconosci medico?” E con l’applicazione della sua santa mano subito lo spirito uscì fuori. Kallo, uno dei personaggi più illustri del paese, diventò diabolico per amore. Con l’autorità del suo potere separò una donna dal marito, e la prese con sé. Il santo padre andò a parlargli: “Per azione di qualche demonio hai desiderato e tieni con te una donna: restituiscila a suo marito”. Ma quello, gridando, mandò via il santo: l’indomani - giorno della divina e splendente risurrezione di Cristo - proprio mentre andava in chiesa, fu ucciso dal suo stesso figlio. Una cerva aveva preso l’abitudine di divorare l’orto senza curarsi delle preghiere e minacce del santo: una belva allora la portò via. Una volta gli Agareni lo catturarono. Nicodemo elevava al Signore le abituali preghiere ed essi lo deridevano, dicendo: “A che ti serve questa preghiera?” Mentre quello perseverava nella preghiera, la Potenza divina spinse l’uno contro l’altro a rissa mortale; e il santo si liberò. Una volta gli Agareni avevano fatto prigionieri nove uomini di Bisignano e li portavano schiavi in Sicilia. Giunti a Pilio, sbarcarono e dormivano mentre i prigionieri si rivolgevano a Dio, invocandolo di venire in loro aiuto. Uno dice: “Conosco un santo esicasta, un taumaturgo che vive in un luogo deserto: preghiamolo!” Mentre fiduciosamente pregavano, vedono d’essere liberi dalla catene. Raggiungono di corsa il loro salvatore, ed egli disse: “Ringraziate il Signore!” Diventato pieno di giorni, giunto a circa 70 anni, il divino e grande nostro padre fu sciolto dai legami della carne il 12 marzo. Il suo viso subito dopo la morte sprigionò raggi di luce e di fuoco, come bagliori, anche fin dentro la tomba. Cori di angeli elevarono un grido di esultanza; folle di arcangeli si radunarono, vedendo che giungeva il trionfante lottatore che aveva vinto eserciti di demoni; Cristo accolse quella santa e felice anima nella reggia celeste. La Vita che ho qui sunteggiato non ha date: poiché però si fa riferimento al culto dello Speleota, si può pensare che Nicodemo sia vissuto nell’11° secolo. Alcune reliquie di san Nicodemo sono conservate a Mammola, in provincia di Reggio; sul Passo della Limina, tra i ruderi dell’antico monastero, si può venerare la tràpeza, l’altare che gli ultimi monaci ortodossi sotterrarono per impedire che vi potessero celebrare i r.cattolici.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.