martedì 19 settembre 2017

19 settembre santi italici ed italo greci






Santo Fotino fondatore della Chiesa di Benevento (I secolo )

Non si sa molto sulla sua vita. Secondo la tradizione Fotino sarebbe stato invitato in Italia da San Pietro  per diventare il primo vescovo di Benevento. Fu ordinato nel 40[. Secondo una Tradizione predicò il Vangelo ad Isernia



Santi Felice e Costanzo martiri a NOCERA





San Gennaro  vescovo di Benevento  con Festo diacono  e Desiderio lettore ,Sosso diacono della Chiesa di Pozzuoli - Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio martiri a Pozzuoli in Campania sotto Diocleziano nel 305 

Vi sono ben sette antichi ‘Atti’, ‘Passio’, ‘Vitae’, che parlano di Gennaro, fra i più celebri gli “Atti Bolognesi” e gli “Atti Vaticani”. Da questi documenti si apprende che Gennaro nato a Napoli  nella seconda metà del III secolo, fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani per la cura, che impiegava nelle opere di carità a tutti indistintamente; si era nel primo periodo dell’impero di Diocleziano (243-313), il quale permise ai cristiani di occupare anche posti di prestigio e una certa libertà di culto.
Nella sua vecchiaia però, sotto la pressione del suo Cesare Galerio (293), firmò ben tre editti contro i cristiani, provocando una delle più feroci persecuzioni, colpendo la Chiesa nei suoi membri e nei suoi averi per impedirle di soccorrere i poveri e spezzare così il favore popolare.
E in questo contesto s’inserisce la storia del martirio di Gennaro; egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno, importante porto romano sulla costa occidentale del litorale flegreo; Sosso fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania, per le funzioni religiose che quotidianamente venivano celebrate nonostante i divieti.
In quel periodo il vescovo di Benevento Gennaro, accompagnato dal diacono Festo e dal lettore Desiderio, si trovavano a Pozzuoli in incognito, visto il gran numero di pagani che si recavano nella vicinissima Cuma ad ascoltare gli oracoli della Sibilla Cumana e aveva ricevuto di nascosto anche qualche visita del diacono di Miseno (località tutte vicinissime tra loro).
Gennaro saputo dell’arresto di Sosso, volle recarsi insieme ai suoi due compagni Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere e anche con alcuni scritti, per esortarlo insieme agli altri cristiani prigionieri a resistere nella fede.
Il giudice Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio.
Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell’anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi, in un pubblico spettacolo. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri cristiani nel Foro di Vulcano, presso la celebre Solfatara di Pozzuoli.
Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due

ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione; era usanza dei cristiani dell’epoca di cercare di raccogliere corpi o parte di corpi, abiti, ecc. per poter poi venerarli come reliquie dei loro martiri.
I cristiani di Pozzuoli, nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che s. Gennaro avesse sui 35 anni, come pure giovani, erano i suoi compagni di martirio. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi “Catacombe di S. Gennaro”, per volontà dal vescovo di Napoli, s. Giovanni I e sistemate vicino a quelle di s. Agrippino vescovo.
Le reliquie degli altri sei martiri, hanno una storia a parte per le loro traslazioni, ma in maggioranza ebbero culto e spostamento nelle loro zone di origine.
Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire; a ricordo delle tappe della solenne traslazione vennero erette due cappelle: S. Gennariello al Vomero e San Gennaro ad Antignano.
Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini.
Va notato che già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586. La tomba divenne come già detto, meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre aumentava il culto per s. Gennaro, diminuiva man mano quello per s. Agrippino vescovo, fino allora patrono della città di Napoli; dal 472 s. Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono principale della città.
Durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, s. Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie; dopo fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di S. Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo; riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue.
Questa provvidenziale decisione, preservò le suddette reliquie, dal furto operato dal longobardo Sicone, che durante l’assedio di Napoli dell’831, penetrò nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della città, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo.
Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli, addirittura se ne perdettero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.
Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli nel succorpo del Duomo ed unite al capo ed alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.
Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le ormai famose ampolline col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere. Le ampolle erano state incastonate in una teca preziosa fatta realizzare da Roberto d’Angiò, in un periodo imprecisato del suo lungo regno (1309-1343).
La teca assunse l’aspetto attuale nel XVII secolo, racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri di diametro, vi sono le due ampolline, una più grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa il 60% di sangue e quella più piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.
Le altre reliquie poste in un’antica anfora, sono rimaste nella cripta del Duomo, su cui s’innalza l’abside e l’altare maggiore della grande Cattedrale



19 Settembre: Santi Nicandro, Demetrio, Gregorio, Pietro ed Elisabetta, a  Messina



Di San Nicandro e dei suoi compagni, purtroppo, non si hanno molte notizie. Presumibilmente, questo gruppo di Santi è di origine calabrese. Di San Nicandro si sa che era figlio di una famiglia benestante, la quale lo voleva sposo, ma, il giovane predestinato alla vita ascetica non ne volle sapere di sposarsi e per tal motivo scappò di casa. Quindi fu tonsurato monaco dal Vescovo locale, apprezzato per la sua fede, si recò presso i monti Peloritani a Nord di Messina e non come taluni affermano a Sud della città dello Stretto. Qui i Santi si ritirarono in una grotta e praticarono diversi tipi di ascesi spirituali: eremitica, anacoretica o semi anacoretica di tipo lauriota. Probabilmente il loro insediamento rupestre è da far risalire poco prima della dominazione araba della Sicilia. I Santi furono ritrovati morti dopo molto tempo nella grotta, che gli stessi adeguarono a chiesa rupestre, da un contadino ed immediatamente la loro venerazione, nel fattempo dimenticata, rinacque a causa dei molteplici miracoli di cui i messinesi beneficiarono. Per tal motivo le loro reliquie furono portate in un monastero costruito nel XII secolo nelle vicinanze e che venne dedicato a loro. Ma, probabilmente, la conquista degli arabi prima e, dopo, con i normanni, la successiva forzosa conversione del clero locale e dei fedeli alla tradizione latina, fecero cadere nuovamente nell'oblìo la venerazione di questi Santi. Vi fu una nuova rinascita della loro venerazione e ciò a seguito dell'apparizione che lo stesso San Nicandro fece in sogno ad un cocchiere di una nobile famiglia messinese proprietario  del terreno nelle vicinanze del medesimo monastero, la suddetta apparizione unitamente ai nuovi miracoli fatti dai Santi, grazie, anche, alla rinascita della venerazione popolare, fecero sì che le loro reliquie venissero traslate nel 1611 nella nuova sede del monastero ortodosso dell'Archimandritato del Santissimo Salvatore di Messina.









Santo Teodoro  vescovo di Verona  all’inizio del IV secolo


I più antichi documenti della Chiesa Veronese menzionano questo vescovo, per cui non esistono dubbi sulla sua storicità. Svolse la sua attività pastorale all'inizio del secolo VI in un periodo molto agitato sia per la presenza dei Goti sia per le grandi migrazioni dei popoli. Nella tradizione veronese, il vescovo Teodoro, è detto evangelizzatore dei Goti. E' ricordato anche per la sua instancabile predicazione. Questi motivi hanno favorito un intenso culto. La sua morte è ricordata il 19 ottobre 522.
Il suo sepolcro, dapprima nella Basilica di S. Stefano, poi in una chiesa a lui dedicata (presso S. Maria Matricolare), dal 1534 riposa in Cattedrale. Le sue reliquie furono collocate dal vescovo Giberti sotto la mensa dell'altare dedicato alla Madonna del Popolo nella Cattedrale.



San Giovanni Vescovo di Spoleto martire per mano dei Saraceni nell’887 


Giovanni nacque a Spoleto, capitale dell'amonimo potente Ducato, in pieno secolo IX. Cresciuto ed educato presso la scuola episcopale cittadina, fu ordinato presbitero e si distinse per lo spirito di preghiera, umiltà e carità. Alla morte del vescovo Pietro II fu chiamato a succedergli nella cattedra episcopale.
Duca di Spoleto era Guido II di Nantes - futuro imperatore - che nella seconda metà dell'anno 887 si portò in Francia, aspirando alla successione di quel regno, con la moglie Ageltrude, il figlio Lamberto - anche lui futuro imperatore - e il nipote Guido IV; la Corte fu naturalmente accompagnata dall'esercito. Un trattato di pace, stipulato in precedenza dal Duca con i Saraceni che infestavano l'Italia centrale e meridionale, dava a sperare nella sicurezza di Spoleto, circondata anche da fortissime mura.I Saraceni, certi che Guido II sarebbe rimasto in Francia come sovrano, assalirono Spoleto e la depredarono recando anche notevoli danni agli edifici. Il popolo che riuscì a salvarsi, si rifugiò nei dintorni, mentre gli invasori si nascosero nei boschi circostanti per depredare i viandanti. L'arcivescovo Giovanni, unica autorità rimasta in città e conscio del pericolo, visitava i suoi fedeli dispersi.
Il 19 settembre 887, dopo aver celebrato i Sacri Misteri in una delle basiliche martiriali presso Spoleto, mentre ritornava ancora rivestito degli abiti sacri, fu circondato dai Saraceni che lo colpirono con le lance ed infine lo decapitarono.
Il corpo dell'arcivescovo-martire riposa, veneratissimo, in preziosa urna, entro l'altare maggiore della basilica di San Pietro extra moenia in Spoleto ed è invocato per le malattie tumorali e per la concordia familiare






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