mercoledì 5 febbraio 2014

6 Febbraio santi feste e memorie

Saint BOUCOLE (BOUKOLOS), évêque de Smyrne (vers 100). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome II des Ménées.)

Saint ANTOLIEN, martyr en Auvergne (vers 265).
 
Virginmartyr Martha in Egypt
 
The Holy Virgin Martyrs Martha and Mary were sisters who lived in Asia Minor, and fervently desired to suffer for the Lord Jesus Christ. Once, a pagan military commander marched past their house. The sisters went out to him and loudly declared that they were Christians. At first the commander paid no attention to them, but they persistently shouted after him, repeating their confession.

They were arrested together with their brother Lykarion. All three were crucified, and during the execution their mother came to them, encouraging them in their sufferings for Christ. The sisters were pierced with spears, and Lykarion was beheaded by the sword.


Saints FAUSTA, vierge, EVILASSIOS, sénateur, et MAXIME, préfet, martyrs à Cyzique sous Dioclétien et Maximien (vers 299). 
 
 
 

Saints DOROTHEE, vierge, et THEOPHILE, avocat, martyrs à Césarée de Cappadoce lors de la persécution de Dioclétien (vers 305).  due martiri Dorotea e Teofilo sono ricordati in una   passio   molto antica, ma anche di venerata tradizione agiografica  e commemorati dal Martirologio Geronimiano al 6 febbraio. Vissuta e morta nel IV secolo, Dorotea, originaria di Cesarea di Cappadocia, si distingueva per la sua carità, purezza e sapienza, la fama delle sue virtù arrivò fino al preside Sapricio,che la fece chiamare e la invitò a sacrificare agli dei, ma Dorotea essendo cristiana si rifiutò, pertanto venne torturata.
Ma Sapricio è cocciuto e deciso ad ottenere il suo scopo, l  affida a due sorelle apostate, Criste e Callista con l incarico di fare apostatare anche lei. Ma avviene il contrario, sarà Dorotea che persuaderà le due sorelle a ritornare al cristianesimo; irritato Sapricio condanna le due sorelle ad essere bruciate vive e Dorotea alla decapitazione.
Durante il percorso al luogo del martirio, Dorotea incontra Teofilo, giovane  scolastico , come è classificato in vari testi, che prendendola in giro dice:  Sposa di Cristo, mandami delle mele e delle rose dal giardino del tuo sposo , Dorotea sfidandolo promette.
Mentre prega, prima di essere uccisa, le appare un bambino che reca tre belle rose e tre mele e lei gli dice di portarle a Teofilo; questi stava raccontando agli amici la sua bravata, quando gli si presenta il bambino, era il mese di febbraio e le rose certamente non fiorivano; Teofilo rimane confuso, per opera della Grazia di Dio, improvvisamente crede e quindi afferma che il Dio dei cristiani è vero ed unico.
Gli amici, prima credono che egli scherzi, poi visto che insiste lo denunciano a Sapricio, questi lo convoca in tribunale e cerca di persuaderlo ad essere più coerente con le sue convinzioni, ma Teofilo non recede nel professare la fede e perciò viene torturato sul cavalletto, scarnificato e infine decapitato

Saint JULIEN, médecin, martyr à Emèse (aujourd'hui Homs en Syrie) (vers 312). The Holy Martyr Julian was a native of the Phoenician city of Emesa, and he suffered in the year 312 under the emperor Maximian. He was a skilled physician, and healed illnesses not only of the body but also of the soul, and he converted many people to faith in Christ the Savior. When they led away the holy Martyrs Bishop Silvanus, Deacon Luke and the Reader Mocius (February 29) to be eaten by wild beasts, Julian encouraged them and urged them not to fear death for the Lord. He was also arrested and put to death. His head, hands and feet were pierced with long nails.



Saints FAUSTE, BASILE et SYLVAIN, martyrs morts par le glaive.

Saint JEAN de Lykos en Thébaïde d'Egypte, moine et thaumaturge.

Saint MUN, neveu de saint Patrick, évêque puis ermite en Irlande (Vème siècle).

Sainte ACHEE (ACIOLE), moniale en Bretagne (Vème siècle).

Saint JACQUES, disciple de saint Maron, ascète près de Cyr en Syrie (vers 460).

Saint MEL (MELCHNO), neveu de saint Patrick et premier évêque d'Ardagh en Irlande (vers 490).

 

Saints BARSANUPHE le Grand et JEAN le Prophète, qui brillèrent par leur ascèse et leur enseignement au monastère de l'abbé Séridos, à Gaza (VIème siècle). San Barsanufio (o Barsanofio), anacoreta di origine egiziana, detto il Grande Anziano del Deserto, collocato nel contesto geografico e spirituale del deserto della Palestina, ove egli visse in perfetta solitudine, facendo della propria esistenza terrena uno spazio abitato dal silenzio nella preghiera e nella lotta spirituale per la ricerca della pura contemplazione divina. La solitudine di Barsanufio, però era gravida di un profondo desiderio di comunione. Egli non soltanto rispondeva ai suoi interlocutori, ma li prendeva sotto la sua paternità spirituale. Dettò all'Abate del cenobio Serido circa 800 lettere delle quali molte sono destinate al suo più illustre figlio spirituale, un altro Anziano del Deserto di Gaza Giovanni, detto "il profeta". La sua morte avvenuta in tarda età è normalmente collocata al 540. Fra gli storici antichi, Evagrio lo Scolastico dedicò a Lui un capitolo della sua "Storia Ecclesiastica" scritta attorno al 593
In queste Lettere Barsanufio è indicato come il Grande Anziano e Giovanni come l'altro Anziano. Cogliere nelle risposte dei due monaci una differenza sostanziale che ne metta in risalto la diversa personalità è assai difficile comunque esula da questa presentazione. Più evidente e significativa però, è la perfetta concordia di visione spirituale nelle loro risposte che potrebbero, alla fine, essere dettate indifferentemente da Barsanufio o da Giovanni; lo prova il fatto che per alcune di esse non è accertato chi fra i due ne sia l'autore.
Nonostante la straordinarietà della vita e dei doni dei due reclusi, chi li accosta non prova il minimo senso di diffidenza o di estraneità, come nei confronti di una superiorità distaccata e inattingibile. Il loro discorso così discreto e comunicativo colpisce anche oggi; questo stile e ora l'espressione di un'alta e gioiosa tensione e vibrazione dello Spirito (67. e ultima parte di 70 e 71); ora e il tono di una carità ardente, ora e severo, ironico, oppure carico di una prudenza sapienziale che tonifica e sprona. Nella corrispondenza con Eutimio prevalgono forse severità e ironia (66‑68); in quella con Andrea (69‑72), se il rimprovero c'è, è sempre temperato, come di chi sa di rivolgersi a un anziano infermo; nelle lettere poi al celebre Doroteo si rivela una paternità particolarmente attenta e sollecita (75-76).
Due punti capitali possono aiutare a capire bene il discorso delle lettere dei due Anziani: il primo e la convinzione di non pronunziare parole proprie, ma parole di Dio per mezzo dello Spirito. È raro imbattersi in una risposta, per quanto breve, che non contenga almeno una citazione o un riferimento biblico o anche solo un modulo stilistico da cui è possibile risalire alla Parola ispirata.
Il secondo punto è che i consigli si rivolgono all'uomo interiore, o uomo dentro, come dice propriamente il testo. (Cf 72). Si tratta del luogo dello Spirito Santo. C'e nell'uomo interiore una struttura profonda che genera l'agire esterno, ed è il suo rapporto con Dio solo, nell'amore e nella ricerca di lui. Il rapporto poi si dilata in quelle opere buone che chiamiamo ora umiltà ora obbedienza, ora pazienza e sopportazione e perseveranza ecc. Tutte queste opere esprimono e attualizzano la consapevolezza della propria nullità di fronte a Dio, di cui l'uomo vuole ripetere di continuo l'esperienza come l'occasione di un rinnovato amore con lui (66687172...)
 
L'esistenza terrena di san Barsanufio di Gaza, monaco di origine egiziana, si colloca nel contesto geografico e spirituale del deserto della Palestina, ove egli visse in perfetta solitudine, facendo della propria esistenza terrena uno spazio abitato dal silenzio, nella lotta spirituale e nella preghiera, per la ricerca della pura contemplazione di Dio. "Fu nella sua cella - come scrisse di lui il santo monaco athonita Nicodemo Agiorita (1749-1809) - che raccolse e gustò il dolcissimo miele dell'esichia. S'impose una penitenza così rigorosa da trovare consolazione soltanto nelle lacrime... Poteva dimenticarsi di mangiare, di bere, di vestirsi poiché il suo nutrimento, la sua bevanda, la sua veste erano il Santo Spirito... Dopo avere purificato il cuore da tutte le passioni, fu ritenuto degno di divenire il tempio e l'abitazione del Santo Spirito... Oltre all'umiltà, gli fu concessa la più grande tra le virtù, il discernimento. .. Al discernimento si aggiunse il dono di vedere e scrutare le ragioni misteriose e spirituali degli esseri sensibili ed intellegibili. Poi ricevette il dono di conoscere le cose lontane come se fossero presenti, il dono di profezia, il dono di leggere nei cuori, di conoscere i pensieri..." .
Barsanufio, in effetti, non si sottrasse a quanti domandavano il suo consiglio. Egli fu certamente uomo di silenzio e di solitudine, al punto da indurre qualcuno persino a dubitare della sua esistenza: un dubbio che egli fugò in una forma evangelicamente simbolica, ossia lavando i piedi dei monaci (Cf. Lettera 125). La solitudine di Barsanufio, però, era gravida di un profondo desiderio di comunione. Egli non soltanto rispondeva ai suoi interlocutori, ma prendeva a cuore ogni loro problema, ansia, desiderio, fatica, impegno... Proprio da questa sua intensa opera di paternità e di direzione spirituale ebbero origine le sue Lettere, pubblicate per un totale di 850 insieme con quelle del suo compagno e discepolo Giovanni di Gaza, detto "il Profeta".
Analogamente alla tradizione degli apoftegmi, anche queste lettere ci sono state trasmesse raggruppate a seconda dei destinatari. Quanto ad ampiezza, esse spaziano da testi alquanto brevi, ad altri più elaborati in risposta a diverse domande, a vere e proprie ampie lettere didattiche. Di queste ultime è autore specialmente Barsanufio. Egli, in ogni caso, non scriveva direttamente, bensì dettava le sue risposte e i suoi insegnamenti all'abate Seridos, il quale trascriveva con esattezza tutto ciò che ascoltava.
Da tutte le Lettere traspare, insieme con un'intensa spiritualità e una perfetta assimilazione della Scrittura, una sapiente pedagogia per la crescita dell'uomo interiore. Ciò che, però, risalta immediatamente agli occhi del lettore è la costante presenza dei testi biblici. Si potrebbe dire che le parole della Sacra Scrittura sono i fili d'oro con i quali Barsanufio intesse la sua tela. È stato detto al riguardo che Barsanufio quasi passeggia nel paradiso delle Scritture e raccoglie ogni volta i fiori e le erbe curative che possono confortare e guarire i suoi figli spirituali nelle diverse loro situazioni corporali e spirituali. Più a fondo della materiale quantità dei testi biblici, però, e ultima giustificazione della loro diffusa presenza c'è il primato assoluto della Parola di Dio nella vita di Barsanufio. C'è qui un punto determinante del suo magistero spirituale.
Dalle stesse Lettere è possibile desumere alcuni, benché scarni, elementi biografici. Fra questi, c'è l'origine egiziana di Barsanufio, avendo il copto come lingua madre (Cf. Lettera 55), e 1'avere un fratello, il quale viveva nel mondo ed era anziano egli stesso (Cf. Lettera 348). L'epistolario ci permette di conoscere pure alcuni aspetti molto personali della sua ascesi e della sua faticosa maturazione spirituale. Scrive, ad esempio: "Credetemi, fratelli, la vanagloria mi ha dominato... Durante la mia giovinezza sono stato violentemente tentato dal demone della lussuria e faticavo molto nella mia lotta contro tali pensieri. Io però, gli resistevo e non acconsentivo ad essi..." (Lettera 74.258). In qualche altra lettera egli rammenta pure di essere stato più volte ammalato, senza per questo, però, tralasciare il lavoro manuale. Tra i padri del deserto Barsanufio è indicato come il "grande Anziano". La sua morte, avvenuta in tarda età, è normalmente collocata al 540.
Fra gli storici antichi, Evagrio lo Scolastico dedicò a Barsanufio un capitolo della sua "Storia Ecclesiastica" , scritta attorno al 593, ossia pochi decenni dopo la morte del santo asceta. La sua popolarità fu grande. L'immagine di san Barsanufio, come attestano Teodoro Studita e l'anonima prefazione del XV secolo alle opere spirituali dell'abate Doroteo, era riprodotta sulle nappe d'altare della "Grande Chiesa", ossia di Santa Sofia in Costantinopoli, insieme con quella dei santi Antonio, Efrem e altri. La venerazione di san Barsanufio in Costantinopoli dopo il X secolo è peraltro attestata dalla presenza del suo nome in alcuni manoscritti liturgici, che indicano il 6 febbraio (19 febbraio, secondo il nostro calendario "gregoriano" ) quale giorno per la sua festa.
Il "Martirologio Romano", invece, assegna la commemorazione di san Barsanufio all'11 aprile e nell'ultima edizione tipica del 2001 gli riserba le seguenti espressioni: Apud Gazam in Palaestina, sancti Barsanuphii, anachoretae, qui, aegyptius genere, singulari contemplationis virtute praeditus fuit et integritate vitae eximius.
Nella medesima data dell'11 aprile anche la Chiesa di Oria ha sempre celebrato, sino ad epoca recente, la festività del Patrono della Città e dell'intera Diocesi.
Essa, difatti, si vanta, unica fra tutte, di conservare le reliquie di san Barsanufio. Vi furono trasportate nella metà del IX secolo, quand'era vescovo Teodosio, personalità di grande prestigio - che godette la stima dei papi Adriano III e Stefano V - e uomo notevole per dottrina, capacità di governo e santità della vita. Egli, secondo la tradizione oritana, le accolse e le collocò in una chiesa, edificata presso una delle antiche porte della Città, quae Hebraica nuncupatur.
 

Saint GWELAN, fondateur de paroisse à Langoëlan en Bretagne (VIème ou VIIème siècle).

Saint MACAIRE.

Saint ANGUL, ermite au diocèse de Saint-Brieuc en Bretagne.

Saint DOMNOLET, comte de Limoges, tué en défendant la ville contre Théodebert d'Austrasie et considéré martyr (vers 535). 
 
 
-icona del western rite-
 
 

Saint VAAST ou GASTON, évêque d'Arras en Artois à qui l'on confia aussi le diocèse de Cambrai (540).(Office composé en français par le père Denis Guillaume et publié au tome XIII du Supplément aux Ménées.) Il nome originale è il latino Vedastus, in francese Vaast, tramutato anche in Gaston, in italiano Gastone, trattasi di un francesismo.
Nativo della regione di Périgueux, nella seconda metà del secolo V, lasciò da giovane i suoi genitori e intraprese una vita ascetica; nei pressi di Toul incontrò casualmente il re Clodoveo I che dopo aver sconfitto i Germani, ritornava nel suo Paese.
Il re già desideroso di ricevere il battesimo, chiese a Vedasto di essere istruito nella religione cristiana e insieme proseguirono il viaggio per Reims, colà giunti, il vescovo s. Remigio amministrò il Battesimo al re; alla sua partenza Clodoveo raccomandò il suo istruttore al vescovo, il quale conosciute le doti ascetiche, morali e teologiche di Vedasto, nell’anno 500 lo consacrò vescovo di Arras.
Questa città in un primo momento era stata saccheggiata dagli Unni e la popolazione, già cristiana perché evangelizzata nel IV secolo, si era dispersa, in seguito si era ripopolata ma i suoi abitanti erano praticamente ritornati al paganesimo.
Il nuovo vescovo intraprese con coraggio la sua opera missionaria, riorganizzando la sua diocesi, convertendo numerosi fedeli nei suoi molti viaggi apostolici nel vastissimo territorio affidatagli.
Restò amico del re Clodoveo e della regina Clotilde per tutta la vita e nel contempo operò sempre collegato a s. Remigio che divenne il suo consigliere e guida.
Governò la diocesi per 40 anni, morì il 6 febbraio del 540 o 541
 
 

Saint CONSTANTIEN, Auvergnat d'origine, fondateur du monastère de Javron près de Laval (570).
 

 

Saint AMAND, originaire de Nantes, évêque régionnaire et missionnaire en Flandre, en Gascogne et parmi les Slaves de Carinthie, puis évêque de Maëstricht en Limbourg, de nouveau missionnaire parmi les Basques et enfin moine à Elnon près de Tournai (675 ou 679). (Office composé en français par le père Denis Guillaume et publié au tome II du Supplément aux Ménées.) Visse come eremita a Bourges per quindici anni prima di iniziare una lunga e fruttuosa carriera missionaria all'età di quarantacinque anni. Essendo stato ordinato vescovo senza sede fissa, predicò il Vangelo nelle Fiandre, fra gli Slavi danubiani, forse in Guascogna e intorno ad Anversa, dove non ebbe molto successo. Poi, per un breve periodo, fu vescovo residente a Maastricht; ma le difficoltà che vi incontrò erano troppo grandi per lui e, benché il papa - san Martino lo avesse incoraggiato a perseverare, egli tornò alla sua vita itinerante di missionario. Sant'Amando ebbe l'appoggio dei re franchi, ma spesso incontrò una forte opposizione da parte dei popoli che tentava di convertire; rimproverò aspramente re Dagoberto I per aver incoraggiato l'uso della forza per ottenere le conversioni, e così pure per altri crimini. Per consolidare la sua opera missionaria fondò diverse case religiose, in particolare Mont-Blandín (e forse Saint-Bavon) a Gand e l'abbazia di Elnon. In quest'ultima si ritirò quando fu vicino ai novant'anni, e là morì, dopo aver dettato il suo testamento di cui sopravvive il testo
 
 
 
 
 
 
 
icone del santo vescovo nella tradizione del western rite
 


Saint ANDRE, moine d'Elnon et disciple de saint Amand (vers 690).

Saint INA, roi de Wessex, puis moine (vers 730).

Sainte RELINDE, soeur selon la chair de sainte Harlinde et fondatrice avec elle de l'abbaye Notre-Dame d'Eike (c'est-à-dire du Chêne) à Mayseck.

Saints NICEPHORE et PERGETIS.

 
 
 
 
 
File:StPhotios.jpg
 
 
 
 
 
Saint PHOTIOS le Confesseur, Egal-aux-Apôtres, patriarche de Constantinople (858-67 et 877-86), encyclopédiste, confesseur de l'Orthodoxie contre les hérésies du papisme et du filioquisme, considéré comme un des trois saints Nouveaux-Docteurs (vers 893). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome II du Supplément aux Ménées. Autre office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XIII du Supplément aux Ménées. Acathiste traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XIII du Supplément aux Ménées.)
Notre Saint Père Photios le Grand naquit en 820 dans une famille de la haute noblesse byzantine. Son père, le spartharios Serge, était le frère du Patriarche Saint Taraise (cf. 25 février), et le frère de sa mère Irène avait épousé la soeur de l'impératrice Théodora. Ses parents aimaient les moines et ils souffrirent le Martyre pendant la persécution iconoclaste, laissant ainsi à leur fils en héritage un bien plus précieux que la noblesse et la fortune : l'amour de la Vraie Foi jusqu'à la mort. Doté par Dieu d'aptitudes intellectuelles exceptionnelles, le jeune Photios reçut une éducation des plus raffinées dans toutes les sciences profanes et sacrées. Il passait des nuits entières à l'étude, ne laissant échapper aucun domaine de la connaissance d'alors, et il acquit ainsi un savoir universel qui fit de lui l'homme le plus savant de son temps et la figure centrale de la renaissance intellectuelle de Byzance après la tourmente iconoclaste. Il devint ensuite un professeur renommé de philosophie aristotélicienne et de théologie à l'université impériale fondée dans le palais de Magnaura. Envoyé en mission diplomatique auprès du calife de Bagdad, il rédigea de mémoire, à l'intention de son frère, sa Myriobiblos ("Bibliothèque" ) : résumé critique de quelques 280 ouvrages de toutes natures, preuve de l'étendue de ses connaissances. Cette mission ayant été couronnée de succès, il reçut à son retour la dignité de directeur de la Chancellerie impériale (Protasécretis) , sans pourtant abandonner ses tâches professorales et ses chères études.

En 857, l'oncle de l'empereur Michel III, Bardas, prenait le pouvoir politique avec le titre de césar. Pour se venger du Patriarche Saint Ignace (cf. 23 octobre), qui avait réprouvé ses moeurs, il le contraignit à démissionner de sa charge et fit élire, contre son gré, par le Clergé unanime le pieux et sage Photios. Préférant même la mort à cette fonction périlleuse dans une période si troublée, celui-ci résista tant qu'il put aux injonctions et aux menaces, puis c'est en pleurant qu'il céda finalement et accepta d'abandonner la paix de son cabinet et les entretiens philosophiques avec ses amis spirituels pour être ordonné Patriarche de Constantinople, le 25 décembre 858, après avoir gravi en six jours tous les degrés de la hiérarchie ecclésiastique. En envoyant sa profession de foi au Pape de Rome, il écrivait: « C'est involontairement que nous avons été élevé, et c'est comme un prisonnier que nous siégeons... » Les partisans extrémistes d'Ignace commencèrent alors à s'opposer au nouveau Patriarche par toutes sortes d'intrigues, en prétextant l'irrégularité de son élévation subite de l'état laïc au degré suprême de la hiérarchie. Photios quant à lui cherchait à éviter tout affrontement et entreprenait ce qui était en son pouvoir pour rétablir l'unité et la paix dans l'Eglise, en la confirmant dans le lien de la charité. Il s'efforça d'abord de liquider les restes des hérésies manichéenne et iconoclaste, entreprit la restauration de quantité d'églises, de monastères et d'établissements de bienfaisance, qui avaient été victimes du vandalisme iconoclaste, et montra un souci tout particulier pour organiser les missions d'évangélisations chez les peuples barbares. Malgré ses efforts pour apaiser les partisans d'Ignace et tout en réprouvant les violentes répressions menées contre eux par le gouvernement, il fut contraint de réunir un concile (859) qui confirma la déposition d'Ignace et l'envoya en exil à Mytilène puis à Thérébinthe. Comme l'agitation n'avait pas cessé, on réunit un autre concile, en 861, dans l'église des Saints-Apôtres, en présence des légats du Pape, connu sous le nom de Concile "Premier-Second" , dans le but officiel de sanctionner la restauration de l'Orthodoxie et de condamner définitivement l'iconoclasme. Mais, outre ce rôle dogmatique, le concile reconnut la validité de la nomination de Photios, avec la pleine adhésion des légats qui, quoiqu'ils eussent agi contre les ordres du Pape, pensaient ainsi faire triompher l'autorité romaine.

L'arrogant et ambitieux Pape Nicolas Ier (858-868), qui avait pris le parti d'Ignace, avait vu dans cette affaire l'occasion d'affirmer, pour la première fois de façon si manifeste dans l'histoire de l'Eglise, la prétention des papes de Rome à la juridiction "sur toute la terre et sur l'Eglise universelle" . De la primauté d'honneur et du pouvoir d'arbitrage en matière dogmatique, qui avaient toujours été reconnus par les autres Eglises, en particulier pendant les grandes hérésies menées par les empereurs byzantins (arianisme, monothélisme, iconoclasme) , on voit en effet à cette époque la Papauté reprendre à son compte la prétention hégémonique de l'empire franc, avortée avec la mort de Charlemagne et le Traité de Verdun (843). Sous l'initiative de papes au caractère autoritaire, celle-ci cherche alors à imposer à toute l'Eglise sa suprématie, laquelle lui aurait été léguée par le Christ Lui-même, et lui donnerait le droit de s'immiscer dans les affaires intérieures des autres Eglises et d'imposer partout les usages de l'Eglise romaine (célibat du Clergé, jeûne du samedi, utilisation du pain azyme pour l'Eucharistie etc.).

L'opposition du Pape Nicolas Ier et son ingérence dans les affaires de l'Eglise byzantine, alors qu'il n'avait été sollicité que pour trancher sur l'iconoclasme, poussa Saint Photios à dénoncer les innovations romaines. Il écrivait en effet : « L'abolition des petites choses transmises par la tradition conduit au mépris complet des dogmes. » Cette réaction provoqua la fureur du Pape qui écrivit alors à tous les Evêques d'Orient en accusant Photios d'adultère, puisqu'il occupait un siège du vivant de son titulaire légitime, et il décréta de son propre chef la déposition du Patriarche de Constantinople, fait encore jamais vu. Il décidait de surcroît que les décisions du concile de 861 étaient invalides, en invoquant le droit des Papes à juger les conciles. Et il n'en resta pas là. En 863, il convoqua à Rome un Concile d'Evêques occidentaux, qui décida la déposition de Photios et excommunia tous les Clercs ordonnés par lui. Aux objections de l'empereur Michel III le Pape déclarait, en 865, qu'il tenait du Christ Lui-même sa suprématie sur l'Eglise universelle et pouvait de ce fait intervenir dans les affaires intérieures des autres Eglises. Puis, dans une suite de lettres, il couvrit Photios d'une kyrielle d'injures qui ne méritèrent aucune réponse de la part de ce vrai disciple du Sauveur.

Malgré les oppositions et les soucis, le Saint Patriarche n'en poursuivait pas moins son activité apostolique. En accord avec l'empereur, il organisa alors des missions d'évangélisation chez les peuples slaves. Il fit appel pour cela à son collègue et ami, le très savant Constantin, que nous vénérons sous le nom de 
Saint Cyrille, et à son frère Méthode, ascète du Mont Olympe, pour entreprendre une première mission chez les Khazars de la Russie du Sud. Un peu plus tard. à la demande du prince de Moravie, il envoya les deux frères pour une grande mission qui marqua le début de la conversion des peuples slaves des Balkans1.

Dans le même temps, le prince de Bulgarie, 
Boris (Michel), qui venait d'être baptisé par Photios, avec l'empereur Michel comme parrain, en entraînant derrière lui toute sa nation au Christianisme, se détournait de Byzance, qui avait refusé de lui accorder un Patriarche, pour faire appel à Rome (866). Saisissant cette occasion qui répondait si bien à ses ambitions, le Pape envoya aussitôt des missionnaires latins en Bulgarie, avec ordre de répandre leurs innovations dans cette jeune Eglise évangélisée par les Byzantins, en particulier l'addition du Filioque dans le Symbole de Foi2. Devant le danger de ces innovations qui atteignaient le dogme de la Sainte Trinité lui-même, Saint Photios jugea qu'il était temps pour le doux de devenir combattant (Joël 4:9) et qu'il fallait rompre le silence pour passer à la riposte. Il adressa une Lettre Encyclique à tous les Evêques d'Orient, dans laquelle il condamnait énergiquement les erreurs latines, en particulier le Filioque. Puis il convoqua un grand Concile à Constantinople, en 867, qui proclama la Doctrine orthodoxe victorieuse sur toutes les hérésies et anathématisa le Pape Nicolas et ses missionnaires de Bulgarie. Un schisme officiel séparait ainsi les deux Eglises, précurseur de la rupture définitive de 1054.

Cependant, à la fin de l'année 867, après l'assassinat de Michel III, l'empereur Basile 1er(867-886) , montait sur le trône en fondant la dynastie macédonienne. Il fit aussitôt déposer Saint Photios et le fit emprisonner au monastère de la Protection, et il replaça Saint Ignace dans sa charge. En dépit des interventions pacifiques d'Ignace, les ennemis de Photios commencèrent alors à mener une persécution en règle contre tous les Clercs qu'il avait ordonnés. Devant cette agitation, Basile 1er crut opportun de remettre à Rome le jugement entre les deux prétendants au siège patriarcal. Le successeur de Nicolas 1er, Adrien II, profita de cette aubaine offerte par l'empereur et réunit un concile (869) qui condamna de nouveau Photios, déclara invalide le Concile de 867, en brûlant publiquement ses actes, et manda la réunion d'un concile à Constantinople. Ce faux concile, appelé par les Latins Huitième Concile OEcuménique, réunit en 869-870 des Evêques peu nombreux qui, par crainte du despote et par lâcheté, condamnèrent le Phare de l'Eglise et firent exiler ses partisans aux extrémités de l'Empire. Plus de deux cents Evêques furent alors déposés et de multiples Prêtres furent réduits à l'état laïc. Traîné comme un malfaiteur devant le synode et sommé de répondre aux accusations portées contre lui, le saint prélat répondit après un long silence : « Dieu entend la voix de celui qui se tait. Car Jésus Lui-même gardant le silence n'a pas échappé à la condamnation. » Comme on insistait, il répondit : « Ma justification n'est pas de ce monde ». Digne imitateur de la Passion du très doux et très patient Jésus, le Saint, bien que malade, supporta pendant trois ans toutes les peines d'une rude incarcération, la privation de toute compagnie et même de ses livres, sans une plainte, sans jamais accuser Ignace, innocent de toutes ces cruautés, en ne pensant qu'à encourager par lettres ses amis souffrants et à prier pour l'empereur et pour ses persécuteurs.

Pendant ce temps, les Evêques ayant compris que leur lâche opportunisme les avait conduits à soumettre l'Eglise byzantine au despotisme romain, persuadèrent l'empereur de déclarer, invalides les décisions du concile de 870 et de relâcher Photios. Le souverain rappela alors le Saint avec de grandes marques d'honneur et le nomma précepteur de ses enfants. Le premier geste de Photios fut alors de se précipiter chez Ignace, pour se réconcilier avec lui. Les deux Saints, victimes des rivalités entre les partis qui s'étaient servis de leurs noms, s'embrassèrent chaleureusement, et Photios accorda toute son assistance au vieux Patriarche malade, qu'il visitait quotidiennement. A la mort de Saint Ignace, le 23 octobre 8773, l'Eglise unanime replaça Photios sur le trône patriarcal. Peu de temps après, c'est Photios lui-même qui introduisit la célébration de la mémoire de Saint Ignace. C'est donc à juste titre que l'Eglise réunit les deux Saints en un même éloge dans le Synodikon lu le Dimanche de l'Orthodoxie : «, Eternelle mémoire aux très Saints, très et très illustres Patriarches Ignace et Photios! » Un concile réunit par la suite à Constantinople 383 Pères (879-880), sous la présidence de Photios et en présence des légats du Pape. Ils confirmèrent la réhabilitation du Patriarche, annulèrent le concile de 869 et rétablirent la communion entre les deux Eglises, anathémisant toute innovation, en particulier l'addition hérétique dans le Symbole de Foi. Le plus grand désir du prélat était comblé : le rétablissement de la paix et de l'unité de l'Eglise. Il se remit aussitôt à sa tâche de pacification, en proposant charitablement à ses ennemis la réconciliation et en prenant sans rancune un soin paternel des partisans d'Ignace.

Quand Léon VI le Sage (886-912) succéda à son père sur le trône, désireux de se venger d'un ami de Photios, qui avait, croyait-il, dénoncé à son père le complot qu'il avait tramé contre lui, il déposa sans jugement le Saint Patriarche (886) et le fit enfermer comme un malfaiteur dans le Monastère des Arméniaques, où le Saint resta reclus pendant cinq ans, privé de toute consolation humaine mais éclatant comme l'or éprouvé dans la fournaise des épreuves. C'est alors qu'il rédigea, sans l'aide d'aucun livre, sa Mystagogie du SaintEsprit : réfutation systématique de l'hérésie du Filioque, dans laquelle il démontre que le Saint-Esprit procède éternellement de la Personne du Père, la Source de la Divinité, et nous est envoyé par le Fils, pour nous rendre participants de la nature divine. Laissant ce traité en guise de testament à la Sainte Eglise en vue des combats à venir, il partit rejoindre le choeur des Saints Pères et des Docteurs, le 6 février 891. Les miracles qui abondèrent bientôt sur sa tombe contribuèrent à convertir même ses plus grands ennemis. Humble, silencieux et patient dans les tribulations, ce confesseur de la Foi, injustement taxé de fanatisme par ses ennemis, reste un des grands luminaires de l'Orthodoxie et un des témoins les plus authentiques de l'esprit évangélique4.

1. Voir la notice de 
Saints Cyrille et Méthode au 11 mai.
2. Cette doctrine erronée sur la procession du Saint-Esprit du Père et du Fils, et non du Père seul comme l'enseigne l'Ecriture Sainte, avait d'abord été formulée par 
Saint Augustin comme une opinion personnelle et n'avait pas créé de véritable difficulté tant qu'elle n'avait pas été adoptée, d'abord par les théologiens francs désireux de se distinguer doctrinalement de l'Eglise grecque, et finalement par l'Eglise romaine elle-même, afin de servir d'instrument doctrinal à l'ambition des papes sur l'Eglise universelle.
3. Et non en 878, comme nous l'avons écrit par erreur dans notre notice sur St Ignace (Ier volume p. 349).
4. Les injustes calomnies répandues à son sujet par les partisans extrémistes de St Ignace, reprises sans examen sérieux depuis des siècles par les historiens et apologistes occidentaux, avaient fait de St Photios le responsable de toutes ces divisions qui préparèrent la grande rupture de 1054. Heureusement, les recherches récentes d'historiens catholiques (notamment F. Dvornik) ont rétabli la vérité, en tout point conforme à la Tradition de l'Eglise Orthodoxe.


Saint ARSENE d'Ikaltho (Géorgie 1127). 
Saint Arsen of Iqalto was a translator, researcher, compiler of manuscripts, hymnographer, philosopher, and a great defender of the Georgian Christian Faith.




Sainte DOROTHEE de Kachin, princesse devenue ascète et moniale du Grand-Habit (Russie 1629).

Saints DEMETRE, prêtre, et ANATOLE, laïque, martyrs par la main des Communistes (Russie 1921).

Saint BASILE, prêtre, martyr par la main des Communistes (Russie 1930).

Saint THEOPHANE (Bystrov), archevêque de Poltava et de Péréiaslav, par la suite émigré à Constantinople (1920-21), en Yougoslavie (1921-25), en Bulgarie (1925-31) et enfin en France où il mourut ermite à Limeray près de Blois dans l'Orléanais (1940)

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