sabato 1 settembre 2018

santi italici ed italo greci del 2 settembre


Santi Facondino e Gioventino a Tadino sulla Via Flaminia

Per San Facondino
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Facondino_di_Tadino
Gualdo Tadino gli attribuisce il titolo di "padre della patria di Gualdo" (in latino pater patriae Tadinum). Alla sua memoria liturgica è collegata quella del suo arcidiacono Gioventino che, come era normalmente in uso in quei tempi, sembra sia stato il suo successore.
Secondo documenti storici e archeologici sarebbe vissuto agli inizi del IV secolo ed è nell'elenco dei Vescovi che avevano la sede nel "Canale"[1] i quali, pur non andando di persona, con lo scritto approvarono i decreti del Concilio di Sardica del 343.
Di lui sono ricordate le lunghe veglie notturne di preghiera sul Monte Serrasanta, la premura in particolare per i bambini, per i poveri e le vedove e la vigilanza contro le penetrazioni delle dottrine eretiche tra i suoi fedeli.
Nel 2007 la parrocchia di San Facondino ha deciso di finanziare la pubblicazione del Lezionario di San Facondino, ancora inedito. Si tratta di un antico testo agiografico trecentesco che narra la figura del Vescovo-eremita che operò nell'antica diocesi di Tadino. L'opera è stata curata da Maria Cristina Anderlini ed è la prima edizione critica del testo, il cui originale è oggi conservato nel codice 7853 della Biblioteca Apostolica Vaticana.
All'inizio le sue reliquie furono venerate nella Basilica urbana fuori dell'abitato di Tadinum, come era prescritto dalla legge romana. Durante le invasioni barbariche iniziate con il passaggio nel 409 dei Goti di Alarico, distrutta la città e l'abitato circostante, durante i secoli si susseguirono altre tre chiese, tutte lontane dalla Via Flaminia per sicurezza: quella attuale risale al XII secolo. La prima chiesa secondo la leggenda venne eletta nel punto dove due giovenchi, che trainavano il carro su cui era posto il corpo di Facondino si arrestarono senza voler proseguire oltre.
Nel 1584, dopo la riesumazione, le reliquie del Santo furono poste, con quelle di San Gioventino, sull'altare maggiore. Nel 1907 vennero collocate in un'urna di legno dorato.
Nel 1961 Vittore Ugo Righi, gualdese, Arcivescovo titolare di Bilta e Nunzio Apostolico, offrì una nuova urna in argento per conservare il corpo del Beato Angelo da Gualdo Tadino. In quella occasione l'urna in metallo dorato del 1888 che custodiva le spoglie del Beato venne donata dal Capitolo della Cattedrale di Gualdo Tadino, per conservare il corpo di San Facondino.
Per quasi mille anni, cioè fino al XIV secolo, quando il Beato Angelo è stato scelto come primo protettore di Gualdo Tadino, San Facondino è stato il principale Santo patrono dei Tadinati. Infatti il Martirologio Vaticano del XIII secolo gli dedica, unico tra i santi ricordati, oltre dieci righe di testo.
Fino al XIX secolo fu consuetudine millenaria che ogni terza domenica del mese, tutto il clero tadinate seguito da numerosissimo popolo, uscendo dalla porta di Gualdo chiamata "Porta San Facondino" si dirigeva pregando e invocando la protezione del Santo verso la Chiesa a lui dedicata distante più di un chilometro.
Nella Cattedrale di Rimini (Tempio Malatestiano) si conserva un sarcofago del VI secolo, proveniente da Ancona, portato via in una della tante razzie del Medioevo, in cui sono conservate parti delle sue reliquie insieme a quelle di San Gioventino, San Pellegrino e Santa Felicita, la martire romana. Alcuni manoscritti in pergamena e su carta hanno tramandato diverse redazioni della sua vita, tra cui il preziosissimo codice n.7853 e un martirologio del XIII secolo ora nella Biblioteca Vaticana, che appartenne al Convento di San Francesco di Gualdo. Dopo la distruzione di Nocera nel 1248 il Vescovo, fuggendo con i suoi sacerdoti, fissò la sede episcopale della diocesi per oltre 40 anni nella canonica della Chiesa di San Facondino.
La sua immagine è raffigurata nel polittico di San Facondino opera della scuola del Nelli (secolo XV) ora nel Museo Civico della Chiesa monumentale di San Francesco di Gualdo Tadino e nella tavola dell'Agapiti (secolo XV) nella Pinacoteca nel Palazzo Oliva di Sassoferrato.

Note

1.        ^ Era chiamata "Canale" la via diretta che portava alla città sede dell'Imperatore.

Per San Gioventino

Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Gioventino_di_Tadino
Arcidiacono del vescovo Facondino nella sede di Tadino nell'Umbria  è ricordato sempre insieme al suo vescovo, nelle preghiere liturgiche e nelle fonti storiche che lo fanno anche suo successore nella cattedra di Tadino, cosa normale in quel tempo per gli arcidiaconi. I documenti e le legende lo descrivono come fedelissimo e zelante collaboratore di Facondino, che continua la missione pastorale in mezzo al popolo alla maniera del suo padre e maestro. il suo nome insieme a quelli di Facondino, Pellegrino e Felicita, la martire romana, fu scolpito nel secolo VI in un sarcofago del III secolo conservato ora nella cattedrale di Rimini. Gioventino è raffigurato anche nel polittico del XV secolo, nel museo cittadino della Rocca Flea in Gualdo Tadino, opera delle scuola pittorica eugubina del Nelli.
Le sue reliquie sono state deposte e conservate insieme a quelle di san Facondino nelle varie traslazioni. Dal 1907 sono state separate, perché quelle di san Facondino sono custodite nella chiesa rurale a lui dedicata, mentre quelle di san Gioventino sono state deposte sotto l'altare della cappella di sant'Antonio nella cattedrale di Gualdo Tadino. Durante l'episcopato del vescovo diocesano Virgilio Florenzi (1605-1644) alcune parti sono state portate per essere anche venerate nella cattedrale di Nocera Umbra


Santo Nonnoso monaco sul Monte Soratte in Lazio

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/68750

Il Monte Soratte si trova vicino Civita Castellana nel Lazio, alla destra del Tevere ed è alto 691 metri; su questo monte ed alle sue falde, sorsero sin dal VI secolo tre monasteri, il primo sul monte, con il nome di S. Silvestro è citato per la prima volta in un documento di Gregorio II, papa dal 715 al 731.
E in questo monastero nella prima metà del VI secolo, visse Nonnoso monaco contemporaneo di s. Benedetto, e che sembra sia stato in seguito abate dello stesso monastero.
Di lui si sa solo quello che racconta s. Gregorio Magno nel 593, quando aderendo alle richieste di molti amici, si mise a scrivere le storie miracolose di santi italiani vissuti fino ad allora. Purtroppo di s. Nonnoso racconta solo tre suoi miracoli, senza alcun elemento cronologico che possa permettere di stabilire gli estremi della vita del santo.
Era ‘preposito’ del monastero posto sul Monte Soratte, sotto il governo di un rigoroso abate, quando avviene il primo miracolo; intorno al monastero manca un orto per coltivarlo, ci sarebbe un pezzo di terreno ma è occupato da una grande roccia che lo impedisce; allora Nonnoso si mette in preghiera tutta la notte e al mattino successivo la roccia si è allontanata più in là, lasciando libero il terreno, nemmeno cinquanta paia di buoi avrebbero potuto farlo.
Il secondo prodigio fu quello che essendogli caduta dalle mani una lampada di vetro, questa si frantumò in centinaia di pezzi; presentendo una sgridata dal severissimo abate, si mette in fervida preghiera e la lampada si ricostituisce in tutte le sue parti.
Il terzo miracolo avviene a favore della comunità, giacché i pochi ulivi del monastero non danno olio a sufficienza per i loro bisogni, l’abate dispone che i monaci escano dal monastero e vadano a lavorare presso i contadini dei dintorni, ricevendo in cambio dell’olio; Nonnoso però umilmente chiede all’abate di ritirare la disposizione, che avrebbe distratto i monaci dal raccoglimento e dalla preghiera. Detto ciò fece raccogliere le poche olive dagli alberi e il pochissimo olio ricavato, lo fece dividere in piccole dosi nei recipienti vuoti, che dovevano contenere l’olio, poi trascorse la notte in preghiera e al mattino tutti i vasi si trovarono ripieni d’olio.
Oltre questi tre miracoli, san Gregorio Magno ne loda l’umiltà e la capacità di calmare l’irascibile abate. Nonnoso morì in un anno incerto e sepolto a Soratte; a causa delle incursioni saracene avvenute tra la fine del secolo IX e gli inizi del X, che devastarono il Soratte e gli altri due monasteri, il suo corpo venne traslato nel monastero di Suppentonia (Castel S. Elia, fra Nepi e Civita Castellana) da qui il vescovo Nitkero (1039-1052) lo trasferì a Frisinga in Baviera.
Durante i lavori per la ricostruzione della cattedrale, il corpo fu rinvenuto e collocato nel 1161 nella cripta. Nel 1708 le reliquie di cui si era persa l’ubicazione, vennero riscoperte e quindi sistemate, dopo grandi feste, in un artistico sarcofago nella stessa cripta a Frisinga. In epoca incerta il capo fu trasferito a Bamberga dove è molto venerato; s. Nonnoso è considerato protettore degli ammalati di reni, che usavano e penso che usano ancora, strisciare carponi attorno al sarcofago per tre volte, invocandone l’intercessione.
Alcune reliquie nel 1611 vennero cedute dal vescovo di Frisinga ai monaci del Soratte, che continuavano la loro vita monastica nei monasteri, che dopo le distruzioni saracene erano rifioriti; il culto per s. Nonnoso, dopo una lunga interruzione dovuta all’abbandono e alla rovina del monastero, riprese nel 1655-58 per iniziativa di un pio religioso cistercense, al cui Ordine era stata affidata l’abbazia.
Il 2 settembre 1664 fu riconsacrato il primo altare al Soratte in onore del santo priore e fu celebrata la prima festa solenne, da allora il culto si diffuse in tutta l’Italia Centrale; egli è patrono della diocesi di Nepi e Sutri e compatrono di Frisinga; la sua festa è al 2 settembre. 

 


Santo Elpidio confessore della fede nelle Marche (e secondo alcuni codici originario dalla Cappadocia)

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/68650


informazioni su di lui sono frammentarie confuse. Pietro da Natalibus lo identifica con un eremita originario della Cappadocia e venuto in Italia dove sarebbe morto. Lo scrittore Palladio lo ricorda come un eremita, vissuto presso Gerico per molti anni in una spelonca. Altri pensano che si tratti del diacono di San Basilio o dell'Elpidio ricordato nella vita di S. Carotone. Una vita redatta verso il XII secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, non ha alcun valore storico. Visto, però, che il suo culto è particolarmente vivo nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, l'ipotesi più probabile è che egli sia vissuto proprio questa regione.
A sud di Ancona alcune cittadine portano il nome del santo odierno: S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto S. Elpidio. Nel Piceno questo nome è frequente anche nelle persone, e tuttavia poco si conosce di questo santo, lontano nel tempo e nella memoria, al punto d'essere confuso con vari personaggi. Qualcuno ritiene che S. Elpidio sia originario della Cappadocia. Lo scrittore Palladio lo ricorda nella sua Storia Lausiaca come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico e ne tesse gli elogi consueti per un asceta che, estraniatosi dalla compagnia degli uomini, scelse la solitaria scalata alle vette della perfezione cristiana.
Proprio nell'epoca in cui visse S. Elpidio, nel IV secolo, andava affermandosi una nuova forma di monachesimo, con S. Pacomio, iniziatore del "cenobitismo" cioè della vita comunitaria.. Alcuni studiosi tuttavia sono del parere che S. Elpidio sia stato originario del Piceno e abbia trascorso qui l'intera vita, conformandosi a una regola ascetica del tutto personale, ma tale da imporlo alla stima e più tardi alla devozione dell'intera regione.
Tratto da
https://www.santodelgiorno.it/sant-elpidio/
Visse nel IV secolo probabilmente nel Piceno. Le notizie che lo riguardano sono molto confuse: Pietro da Natalibusa narra che fosse un eremita di Gerico e giunto successivamente in Italia dove sarebbe morto, altre fonti lo ritengono originario della Cappadocia, altri ancora lo lo identificano come diacono di San Basilio, ricordato nella vita di S. Carotone.

Di Sant'Elpidio è stata anche redatta una vita intorno al XII secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, ma purtroppo non sono attendibili, ma la devozione così largamente diffusa ne conferma l'esistenza.

Il suo culto è però particolarmente vivo nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, e proprio per questo motivo si ritiene probabile che egli sia vissuto proprio in questa regione a nord di Ascoli Piceno. Alcune cittadine portano il nome del santo, come S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto S. Elpidio.

Lo scrittore Palladio, lo ricorda nella sua Storia Lausiaca come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico. Sempre lui elogia e tesse le lodi di questo asceta che, allontanatosi dalla comune società e dalla compagnia degli uomini, scelse di ritirarsi in solitudine.

Proprio nell'epoca in cui visse Sant'Elpidio, inoltre, quindi probabilmente nel IV secolo, si stava affermando una nuova forma di monachesimo, il cosiddetto "cenobitismo", cioè della vita comunitaria, il cui iniziatore fu San Pacomio. Fu lui a fondare i primi conventi di uomini e donne nella Tebaide, presso il Nilo, dove a capo di ogni struttura vi era l'abate, il cui compito era quello di fare osservare la regola comune, imporre la castità, il lavoro, il digiuno e la preghiera.





Tratto
http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2016/9/2/SANT-ELPIDIO-Santo-del-giorno-il-2-settembre-si-celebra-sant-Elpidio/721044/

festeggiato il 2 settembre, è uno dei santi più antichi di cui, purtroppo, si hanno poche, contraddittorie e frammentarie notizie. Nato presumibilmente in Cappadocia (ma c'è chi sostiene che sia nato nel territorio oggi occupato dalle Marche) e morto nel IV secolo a nella zona del Piceno. In questo territorio, il santo, visse in una grotta come anacoreta, allontanandosi dalle necessità umane per avvicinarsi sempre più, con la preghiera e la solitudine, a Dio. Sempre qui iniziò la diffusione del suo culto, un culto che trovò molti proseliti. Il suo apostolato, nonostante di lui non si sappia quasi nulla, ha lasciato un'impronta molto forte, tanto da portare la sua venerazione intatta fino ai giorni nostri e a trasferire il suo nome a molti paesi della zona. Lo stesso nome, è di uso comune anche fra le persone. Proprio nell'epoca di questo santo, il IV secolo, stava prendendo piede una nuova formula di monachesimo: il cenobitismo. La regola che venne dettata da San Basilio, fu una regola basata sul lavoro manuale e intellettuale oltre a rafforzare l'autorità l'abate per eliminare tutte le distrazioni personali. Probabilmente anche sant'Elpidio ha fatto questa esperienza

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.