Santi Facondino e Gioventino a Tadino
sulla Via Flaminia
Per San Facondino
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Facondino_di_Tadino
Gualdo
Tadino gli attribuisce il titolo di "padre della patria di Gualdo"
(in latino pater patriae Tadinum). Alla sua
memoria liturgica è collegata quella del suo arcidiacono Gioventino che, come
era normalmente in uso in quei tempi, sembra sia stato il suo successore.
Secondo
documenti storici e archeologici sarebbe vissuto agli inizi del IV secolo ed è
nell'elenco dei Vescovi che avevano la sede nel "Canale"[1] i quali, pur non andando di
persona, con lo scritto approvarono i decreti del Concilio di Sardica del 343.
Di lui sono
ricordate le lunghe veglie notturne di preghiera sul Monte Serrasanta, la
premura in particolare per i bambini, per i poveri e le vedove e la vigilanza
contro le penetrazioni delle dottrine eretiche tra i suoi fedeli.
Nel 2007 la
parrocchia di San Facondino ha deciso di finanziare la pubblicazione del
Lezionario di San Facondino, ancora inedito. Si tratta di un antico testo
agiografico trecentesco che narra la figura del Vescovo-eremita che operò
nell'antica diocesi di Tadino. L'opera è stata curata da Maria Cristina
Anderlini ed è la prima edizione critica del testo, il cui originale è oggi
conservato nel codice 7853 della Biblioteca Apostolica Vaticana.
All'inizio
le sue reliquie furono venerate nella Basilica urbana fuori dell'abitato di Tadinum, come era prescritto dalla
legge romana. Durante le invasioni barbariche iniziate con il passaggio nel 409
dei Goti di Alarico, distrutta la città e l'abitato circostante, durante i
secoli si susseguirono altre tre chiese, tutte lontane dalla Via Flaminia per
sicurezza: quella attuale risale al XII secolo. La prima chiesa secondo la
leggenda venne eletta nel punto dove due giovenchi, che trainavano il carro su
cui era posto il corpo di Facondino si arrestarono senza voler proseguire
oltre.
Nel 1584,
dopo la riesumazione, le reliquie del Santo furono poste, con quelle di San
Gioventino, sull'altare maggiore. Nel 1907 vennero collocate in un'urna di
legno dorato.
Nel 1961
Vittore Ugo Righi, gualdese, Arcivescovo titolare di Bilta e Nunzio Apostolico,
offrì una nuova urna in argento per conservare il corpo del Beato Angelo da
Gualdo Tadino. In quella occasione l'urna in metallo dorato del 1888 che
custodiva le spoglie del Beato venne donata dal Capitolo della Cattedrale di
Gualdo Tadino, per conservare il corpo di San Facondino.
Per quasi
mille anni, cioè fino al XIV secolo, quando il Beato Angelo è stato scelto come
primo protettore di Gualdo Tadino, San Facondino è stato il principale Santo
patrono dei Tadinati. Infatti il Martirologio Vaticano del XIII secolo gli
dedica, unico tra i santi ricordati, oltre dieci righe di testo.
Fino al XIX
secolo fu consuetudine millenaria che ogni terza domenica del mese, tutto il
clero tadinate seguito da numerosissimo popolo, uscendo dalla porta di Gualdo
chiamata "Porta San Facondino" si dirigeva pregando e invocando la
protezione del Santo verso la Chiesa a lui dedicata distante più di un
chilometro.
Nella
Cattedrale di Rimini (Tempio Malatestiano) si conserva un sarcofago del VI
secolo, proveniente da Ancona, portato via in una della tante razzie del
Medioevo, in cui sono conservate parti delle sue reliquie insieme a quelle di
San Gioventino, San Pellegrino e Santa Felicita, la martire romana. Alcuni
manoscritti in pergamena e su carta hanno tramandato diverse redazioni della
sua vita, tra cui il preziosissimo codice n.7853 e un martirologio del XIII
secolo ora nella Biblioteca Vaticana, che appartenne al Convento di San
Francesco di Gualdo. Dopo la distruzione di Nocera nel 1248 il Vescovo,
fuggendo con i suoi sacerdoti, fissò la sede episcopale della diocesi per oltre
40 anni nella canonica della Chiesa di San Facondino.
La sua
immagine è raffigurata nel polittico di San Facondino opera della scuola del
Nelli (secolo XV) ora nel Museo Civico della Chiesa monumentale di San
Francesco di Gualdo Tadino e nella tavola dell'Agapiti (secolo XV) nella
Pinacoteca nel Palazzo Oliva di Sassoferrato.
Note
1.
^ Era chiamata "Canale" la via diretta che portava
alla città sede dell'Imperatore.
Per San Gioventino
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Gioventino_di_Tadino
Arcidiacono
del vescovo Facondino nella sede di Tadino nell'Umbria è ricordato sempre insieme al suo vescovo,
nelle preghiere liturgiche e nelle fonti storiche che lo fanno anche suo
successore nella cattedra di Tadino, cosa normale in quel tempo per gli
arcidiaconi. I documenti e le legende lo descrivono come fedelissimo e zelante
collaboratore di Facondino, che continua la missione pastorale in mezzo al
popolo alla maniera del suo padre e maestro. il suo nome insieme a quelli di
Facondino, Pellegrino e Felicita, la martire romana, fu scolpito nel secolo VI
in un sarcofago del III secolo conservato ora nella cattedrale di Rimini.
Gioventino è raffigurato anche nel polittico del XV secolo, nel museo cittadino
della Rocca Flea in Gualdo Tadino, opera delle scuola pittorica eugubina del
Nelli.
Le sue
reliquie sono state deposte e conservate insieme a quelle di san Facondino
nelle varie traslazioni. Dal 1907 sono state separate, perché quelle di san
Facondino sono custodite nella chiesa rurale a lui dedicata, mentre quelle di
san Gioventino sono state deposte sotto l'altare della cappella di sant'Antonio
nella cattedrale di Gualdo Tadino. Durante l'episcopato del vescovo diocesano
Virgilio Florenzi (1605-1644) alcune parti sono state portate per essere anche
venerate nella cattedrale di Nocera Umbra
Santo Nonnoso monaco sul Monte Soratte in Lazio
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/68750
Il Monte Soratte si trova vicino
Civita Castellana nel Lazio, alla destra del Tevere ed è alto 691 metri; su
questo monte ed alle sue falde, sorsero sin dal VI secolo tre monasteri, il
primo sul monte, con il nome di S. Silvestro è citato per la prima volta in un
documento di Gregorio II, papa dal 715 al 731.
E in questo monastero nella prima metà del VI secolo, visse Nonnoso monaco contemporaneo di s. Benedetto, e che sembra sia stato in seguito abate dello stesso monastero.
Di lui si sa solo quello che racconta s. Gregorio Magno nel 593, quando aderendo alle richieste di molti amici, si mise a scrivere le storie miracolose di santi italiani vissuti fino ad allora. Purtroppo di s. Nonnoso racconta solo tre suoi miracoli, senza alcun elemento cronologico che possa permettere di stabilire gli estremi della vita del santo.
Era ‘preposito’ del monastero posto sul Monte Soratte, sotto il governo di un rigoroso abate, quando avviene il primo miracolo; intorno al monastero manca un orto per coltivarlo, ci sarebbe un pezzo di terreno ma è occupato da una grande roccia che lo impedisce; allora Nonnoso si mette in preghiera tutta la notte e al mattino successivo la roccia si è allontanata più in là, lasciando libero il terreno, nemmeno cinquanta paia di buoi avrebbero potuto farlo.
Il secondo prodigio fu quello che essendogli caduta dalle mani una lampada di vetro, questa si frantumò in centinaia di pezzi; presentendo una sgridata dal severissimo abate, si mette in fervida preghiera e la lampada si ricostituisce in tutte le sue parti.
Il terzo miracolo avviene a favore della comunità, giacché i pochi ulivi del monastero non danno olio a sufficienza per i loro bisogni, l’abate dispone che i monaci escano dal monastero e vadano a lavorare presso i contadini dei dintorni, ricevendo in cambio dell’olio; Nonnoso però umilmente chiede all’abate di ritirare la disposizione, che avrebbe distratto i monaci dal raccoglimento e dalla preghiera. Detto ciò fece raccogliere le poche olive dagli alberi e il pochissimo olio ricavato, lo fece dividere in piccole dosi nei recipienti vuoti, che dovevano contenere l’olio, poi trascorse la notte in preghiera e al mattino tutti i vasi si trovarono ripieni d’olio.
Oltre questi tre miracoli, san Gregorio Magno ne loda l’umiltà e la capacità di calmare l’irascibile abate. Nonnoso morì in un anno incerto e sepolto a Soratte; a causa delle incursioni saracene avvenute tra la fine del secolo IX e gli inizi del X, che devastarono il Soratte e gli altri due monasteri, il suo corpo venne traslato nel monastero di Suppentonia (Castel S. Elia, fra Nepi e Civita Castellana) da qui il vescovo Nitkero (1039-1052) lo trasferì a Frisinga in Baviera.
Durante i lavori per la ricostruzione della cattedrale, il corpo fu rinvenuto e collocato nel 1161 nella cripta. Nel 1708 le reliquie di cui si era persa l’ubicazione, vennero riscoperte e quindi sistemate, dopo grandi feste, in un artistico sarcofago nella stessa cripta a Frisinga. In epoca incerta il capo fu trasferito a Bamberga dove è molto venerato; s. Nonnoso è considerato protettore degli ammalati di reni, che usavano e penso che usano ancora, strisciare carponi attorno al sarcofago per tre volte, invocandone l’intercessione.
Alcune reliquie nel 1611 vennero cedute dal vescovo di Frisinga ai monaci del Soratte, che continuavano la loro vita monastica nei monasteri, che dopo le distruzioni saracene erano rifioriti; il culto per s. Nonnoso, dopo una lunga interruzione dovuta all’abbandono e alla rovina del monastero, riprese nel 1655-58 per iniziativa di un pio religioso cistercense, al cui Ordine era stata affidata l’abbazia.
Il 2 settembre 1664 fu riconsacrato il primo altare al Soratte in onore del santo priore e fu celebrata la prima festa solenne, da allora il culto si diffuse in tutta l’Italia Centrale; egli è patrono della diocesi di Nepi e Sutri e compatrono di Frisinga; la sua festa è al 2 settembre.
E in questo monastero nella prima metà del VI secolo, visse Nonnoso monaco contemporaneo di s. Benedetto, e che sembra sia stato in seguito abate dello stesso monastero.
Di lui si sa solo quello che racconta s. Gregorio Magno nel 593, quando aderendo alle richieste di molti amici, si mise a scrivere le storie miracolose di santi italiani vissuti fino ad allora. Purtroppo di s. Nonnoso racconta solo tre suoi miracoli, senza alcun elemento cronologico che possa permettere di stabilire gli estremi della vita del santo.
Era ‘preposito’ del monastero posto sul Monte Soratte, sotto il governo di un rigoroso abate, quando avviene il primo miracolo; intorno al monastero manca un orto per coltivarlo, ci sarebbe un pezzo di terreno ma è occupato da una grande roccia che lo impedisce; allora Nonnoso si mette in preghiera tutta la notte e al mattino successivo la roccia si è allontanata più in là, lasciando libero il terreno, nemmeno cinquanta paia di buoi avrebbero potuto farlo.
Il secondo prodigio fu quello che essendogli caduta dalle mani una lampada di vetro, questa si frantumò in centinaia di pezzi; presentendo una sgridata dal severissimo abate, si mette in fervida preghiera e la lampada si ricostituisce in tutte le sue parti.
Il terzo miracolo avviene a favore della comunità, giacché i pochi ulivi del monastero non danno olio a sufficienza per i loro bisogni, l’abate dispone che i monaci escano dal monastero e vadano a lavorare presso i contadini dei dintorni, ricevendo in cambio dell’olio; Nonnoso però umilmente chiede all’abate di ritirare la disposizione, che avrebbe distratto i monaci dal raccoglimento e dalla preghiera. Detto ciò fece raccogliere le poche olive dagli alberi e il pochissimo olio ricavato, lo fece dividere in piccole dosi nei recipienti vuoti, che dovevano contenere l’olio, poi trascorse la notte in preghiera e al mattino tutti i vasi si trovarono ripieni d’olio.
Oltre questi tre miracoli, san Gregorio Magno ne loda l’umiltà e la capacità di calmare l’irascibile abate. Nonnoso morì in un anno incerto e sepolto a Soratte; a causa delle incursioni saracene avvenute tra la fine del secolo IX e gli inizi del X, che devastarono il Soratte e gli altri due monasteri, il suo corpo venne traslato nel monastero di Suppentonia (Castel S. Elia, fra Nepi e Civita Castellana) da qui il vescovo Nitkero (1039-1052) lo trasferì a Frisinga in Baviera.
Durante i lavori per la ricostruzione della cattedrale, il corpo fu rinvenuto e collocato nel 1161 nella cripta. Nel 1708 le reliquie di cui si era persa l’ubicazione, vennero riscoperte e quindi sistemate, dopo grandi feste, in un artistico sarcofago nella stessa cripta a Frisinga. In epoca incerta il capo fu trasferito a Bamberga dove è molto venerato; s. Nonnoso è considerato protettore degli ammalati di reni, che usavano e penso che usano ancora, strisciare carponi attorno al sarcofago per tre volte, invocandone l’intercessione.
Alcune reliquie nel 1611 vennero cedute dal vescovo di Frisinga ai monaci del Soratte, che continuavano la loro vita monastica nei monasteri, che dopo le distruzioni saracene erano rifioriti; il culto per s. Nonnoso, dopo una lunga interruzione dovuta all’abbandono e alla rovina del monastero, riprese nel 1655-58 per iniziativa di un pio religioso cistercense, al cui Ordine era stata affidata l’abbazia.
Il 2 settembre 1664 fu riconsacrato il primo altare al Soratte in onore del santo priore e fu celebrata la prima festa solenne, da allora il culto si diffuse in tutta l’Italia Centrale; egli è patrono della diocesi di Nepi e Sutri e compatrono di Frisinga; la sua festa è al 2 settembre.
Santo Elpidio confessore della fede nelle Marche (e
secondo alcuni codici originario dalla Cappadocia)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/68650
informazioni su di lui sono
frammentarie confuse. Pietro da Natalibus lo identifica con un eremita
originario della Cappadocia e venuto in Italia dove sarebbe morto. Lo scrittore
Palladio lo ricorda come un eremita, vissuto presso Gerico per molti anni in
una spelonca. Altri pensano che si tratti del diacono di San Basilio o
dell'Elpidio ricordato nella vita di S. Carotone. Una vita redatta verso il XII
secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, non
ha alcun valore storico. Visto, però, che il suo culto è particolarmente vivo
nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, l'ipotesi più probabile è
che egli sia vissuto proprio questa regione.
A sud di Ancona alcune cittadine
portano il nome del santo odierno: S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto
S. Elpidio. Nel Piceno questo nome è frequente anche nelle persone, e tuttavia
poco si conosce di questo santo, lontano nel tempo e nella memoria, al punto
d'essere confuso con vari personaggi. Qualcuno ritiene che S. Elpidio sia originario
della Cappadocia. Lo scrittore Palladio lo ricorda nella sua Storia Lausiaca
come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico e ne tesse
gli elogi consueti per un asceta che, estraniatosi dalla compagnia degli
uomini, scelse la solitaria scalata alle vette della perfezione cristiana.
Proprio nell'epoca in cui visse S. Elpidio, nel IV secolo, andava affermandosi una nuova forma di monachesimo, con S. Pacomio, iniziatore del "cenobitismo" cioè della vita comunitaria.. Alcuni studiosi tuttavia sono del parere che S. Elpidio sia stato originario del Piceno e abbia trascorso qui l'intera vita, conformandosi a una regola ascetica del tutto personale, ma tale da imporlo alla stima e più tardi alla devozione dell'intera regione.
Proprio nell'epoca in cui visse S. Elpidio, nel IV secolo, andava affermandosi una nuova forma di monachesimo, con S. Pacomio, iniziatore del "cenobitismo" cioè della vita comunitaria.. Alcuni studiosi tuttavia sono del parere che S. Elpidio sia stato originario del Piceno e abbia trascorso qui l'intera vita, conformandosi a una regola ascetica del tutto personale, ma tale da imporlo alla stima e più tardi alla devozione dell'intera regione.
Tratto da
https://www.santodelgiorno.it/sant-elpidio/
Visse
nel IV secolo probabilmente nel Piceno. Le notizie che lo riguardano sono molto
confuse: Pietro da Natalibusa narra che fosse un eremita di Gerico e giunto
successivamente in Italia dove sarebbe morto, altre fonti lo ritengono
originario della Cappadocia, altri ancora lo lo identificano come diacono di
San Basilio, ricordato nella vita di S. Carotone.
Di Sant'Elpidio è stata anche redatta una vita intorno al XII secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, ma purtroppo non sono attendibili, ma la devozione così largamente diffusa ne conferma l'esistenza.
Il suo culto è però particolarmente vivo nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, e proprio per questo motivo si ritiene probabile che egli sia vissuto proprio in questa regione a nord di Ascoli Piceno. Alcune cittadine portano il nome del santo, come S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto S. Elpidio.
Lo scrittore Palladio, lo ricorda nella sua Storia Lausiaca come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico. Sempre lui elogia e tesse le lodi di questo asceta che, allontanatosi dalla comune società e dalla compagnia degli uomini, scelse di ritirarsi in solitudine.
Proprio nell'epoca in cui visse Sant'Elpidio, inoltre, quindi probabilmente nel IV secolo, si stava affermando una nuova forma di monachesimo, il cosiddetto "cenobitismo", cioè della vita comunitaria, il cui iniziatore fu San Pacomio. Fu lui a fondare i primi conventi di uomini e donne nella Tebaide, presso il Nilo, dove a capo di ogni struttura vi era l'abate, il cui compito era quello di fare osservare la regola comune, imporre la castità, il lavoro, il digiuno e la preghiera.
Di Sant'Elpidio è stata anche redatta una vita intorno al XII secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, ma purtroppo non sono attendibili, ma la devozione così largamente diffusa ne conferma l'esistenza.
Il suo culto è però particolarmente vivo nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, e proprio per questo motivo si ritiene probabile che egli sia vissuto proprio in questa regione a nord di Ascoli Piceno. Alcune cittadine portano il nome del santo, come S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto S. Elpidio.
Lo scrittore Palladio, lo ricorda nella sua Storia Lausiaca come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico. Sempre lui elogia e tesse le lodi di questo asceta che, allontanatosi dalla comune società e dalla compagnia degli uomini, scelse di ritirarsi in solitudine.
Proprio nell'epoca in cui visse Sant'Elpidio, inoltre, quindi probabilmente nel IV secolo, si stava affermando una nuova forma di monachesimo, il cosiddetto "cenobitismo", cioè della vita comunitaria, il cui iniziatore fu San Pacomio. Fu lui a fondare i primi conventi di uomini e donne nella Tebaide, presso il Nilo, dove a capo di ogni struttura vi era l'abate, il cui compito era quello di fare osservare la regola comune, imporre la castità, il lavoro, il digiuno e la preghiera.
Tratto
http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2016/9/2/SANT-ELPIDIO-Santo-del-giorno-il-2-settembre-si-celebra-sant-Elpidio/721044/
festeggiato il 2 settembre, è uno
dei santi più antichi di cui, purtroppo, si hanno poche, contraddittorie e
frammentarie notizie. Nato presumibilmente in Cappadocia (ma c'è chi
sostiene che sia nato nel territorio oggi occupato dalle Marche) e morto nel IV
secolo a nella zona del Piceno. In questo territorio, il santo, visse in
una grotta come anacoreta, allontanandosi dalle necessità umane per avvicinarsi
sempre più, con la preghiera e la solitudine, a Dio. Sempre qui iniziò la
diffusione del suo culto, un culto che trovò molti proseliti. Il suo
apostolato, nonostante di lui non si sappia quasi nulla, ha lasciato un'impronta
molto forte, tanto da portare la sua venerazione intatta fino ai giorni nostri
e a trasferire il suo nome a molti paesi della zona. Lo stesso nome, è di
uso comune anche fra le persone. Proprio nell'epoca di questo santo, il IV
secolo, stava prendendo piede una nuova formula di monachesimo: il
cenobitismo. La regola che venne dettata da San Basilio, fu una regola
basata sul lavoro manuale e intellettuale oltre a rafforzare l'autorità l'abate
per eliminare tutte le distrazioni personali. Probabilmente anche sant'Elpidio ha fatto questa
esperienza
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