Santa Rosa e San Platano martiri in Sardegna
Santa Rosa è la madre di San Platano
e di Santo Antioco .Il martirio di Antioco viene ricordato dalla Chiesa in data
13 dicembre
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/p/platano.htm
A
causa della scarsità delle fonti scritte, si conosce ben poco della storia di
S. Platano, e delle scarne notizie che è possibile raccogliere, attraverso la
tradizione tramandata oralmente di generazione in generazione e soprattutto dal
canto dei "goccius", non
è possibile distinguere con esattezza la vera storia da ciò che invece
appartiene alla leggenda. La nostra storia inizia nel Cenacolo, il luogo in cui
gli apostoli si erano nascosti per paura dei giudei dopo la morte di Gesù e gli
avvenimenti che seguirono la sua risurrezione. A sorvegliare la porta e
avvertire in caso di pericolo, venne posta una bambina di nome Rosa (o Rode),
che fu così educata al cristianesimo. Divenuta adulta, Rosa si trasferì in
Africa e più precisamente in Mauritania, dove si sposò con un nobile romano.
Rosa ebbe due figli, Platano e Antioco, che educò al cristianesimo di nascosto,
nonostante l’avversità del marito di religione pagana. I due figli, divenuti
medici instancabili nel curare i malati e apostoli del Vangelo, cominciarono a
portare ovunque l’annuncio di salvezza di Cristo Risorto. La fama dei due
fratelli giunse fino a Roma e al suo imperatore Adriano, ormai preoccupato del
diffondersi della "nuova dottrina predicata da Cristo" e deciso a
fermare con la forza i suoi seguaci, ritenuti pericolosi per l’impero romano.
L’imperatore e i suoi procuratori promettevano ricchezze e successo ai
discepoli che rinunciavano a seguire Cristo e ripudiavano la sua dottrina:
promisero tesori e ricchezze anche a Platano ed Antioco che però, fermi e
convinti nella loro fede, non rinnegarono Cristo. Così anche per i due fratelli
giunse la stagione della persecuzione, così come aveva detto Gesù: "Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli" (Mt 5, 11-12); una stagione che negli
intenti dei romani avrebbe dovuto distruggere la fede in Cristo, mentre invece
contribuì, nel misterioso disegno di Dio e grazie all’ esempio dei martiri e
dei testimoni del vangelo, alla diffusione del messaggio di Gesù e della Chiesa.
Per Platano e Antioco ci fu la prigione con pesanti catene, il digiuno per
giorni e giorni, interrogatori e nuovi tentativi per distoglierli dalla loro
convinzione: ma essi non si chinarono ai pagani e a ritardarne la morte
intervennero numerosi fatti miracolosi, segno dell’aiuto e della presenza di
Dio. Vennero condannati ad "arrostire" nel fuoco e nella pece
bollente, ma essi non bruciarono; allora l’imperatore decise di gettarli
nell’arena in pasto a leoni affamati e ad altri animali feroci i quali, invece
di sbranarli, li leccavano accarezzandoli, mentre tutta la folla assisteva allo
spettacolo sbigottita e in silenzio. Allora l’imperatore ordinò di abbandonarli
nel mare su una piccola barca costruita con paglia, nella speranza che i due
morissero annegati o divorati dai pesci: ma per miracolo essi si salvarono ed
il vento li trascinò sulle coste della Sardegna, facendoli approdare in un
isola che oggi porta il nome di S. Antioco. Anche qui cominciano ad esercitare
la loro professione di medici e ad annunciare il Vangelo, per il quale avevano
deciso di dedicare tutta la loro vita. Ma la fama dei due medici si diffuse
anche nel resto della Sardegna e giunse a Cagliari, dove era prefetto un certo
Gallone, che comunicò la notizia all’imperatore di Roma. Platano fu così
rimandato a Roma dove probabilmente fu messo in croce insieme a molti altri
cristiani: ma non morì nemmeno inchiodato alla croce. La tradizione narra che i
tiranni allora intrecciarono le viscere di Platano su di un fuso e che il santo
medico, dopo essere stato sventrato, morì decapitato. S. Antioco morì
abbandondosi al Signore nella preghiera, mentre i soldati al di fuori della
caverna [presso Sulci (CA)], dimora del Santo, attendevano il suo ritorno per
ucciderlo, secondo l’ordine del prefetto.
Per il
canto del Goccius
Leggere
http://www.enrosadira.it/santi/p/platanog.htm
Santo
Terenziano vescovo di TODI e Santo Flacco entrambi martiri (in alcuni
codici Flacco è anche considerato diacono )
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90322
In
realtà non ci sono documenti che certifichino le origini di San Terenziano, si
suppone però che fosse di origini romane, essendo il suo nome latino. A
confermare questa tesi c'è il fatto che l'imperatore Augusto, mandò in quegli
anni delle famiglie a colonizzare la Tuscia (l'attuale Umbria). In particolare
una colonia di più di seimila persone si stabilì a Todi.
Si pensa che l'incontro con la fede cristiana avvenne direttamente dal Vangelo di Gesù Cristo e dall'esempio degli Apostoli. Fu così che a Todi la comunità cristiana crebbe proprio sotto la protezione dell'autorità che San Terenziano rappresentava: divenne infatti Vescovo di Todi. Nel compiere la sua missione, esortava i suoi fratelli al comandamento dell'amore secondo cui lo Spirito è unico e le attribuzioni diverse. Della sua attività si dovettero accorgere i pagani di Todi, che cominciarono a osservare attentamente la comunità cristiana così profondamente in contrasto con il culto degli dei.
La rivalità arrivò al punto che il sacerdote pagano del tempio di Giove, il cui nome era Flacco, denunciò (o fece denunciare) il Santo Vescovo all'imperatore Adriano. Quest'ultimo inviò così a Todi il proconsole della Tuscia Leciano.
IL MARTIRIO (Copia della leggenda della biblioteca laureziana di Firenze) Il 30 luglio, 85 anni dopo la morte di Gesù Cristo, sotto l'Imperatore Adriano, il vescovo Terenziano venne arrestato e condotto di fronte a Leciano, proconsole della Tuscia. " Vecchio, svelaci i misteri della tua religione - chiese Leciano - e spiegaci il motivo per cui, in tua presenza, gli dei immortali non hanno alcun potere ed i nostri sacerdoti e le nostre vergini non riescono ad ottenere i responsi ". Terenziano rispose: " Distogli lo sguardo dal culto degli idoli e potrai conoscere la verità. Il demonio ti possiede e ti impedisce di conoscere il tuo Salvatore, morto e risorto per la salvezza del mondo ". A tale risposta Leciano, dopo avergli fatto colpire la bocca con una pietra, lo fece spogliare ed ordino che i sacerdoti approntassero l'occorrente per il sacrificio al cospetto delle statue di Giove ed Ercole, quindi, rivolgendosi a Terenziano, ingiunse: " Tutto e pronto, sacrifica! ". Questi per tutta risposta, alzati gli occhi al cielo, così pregava: " Signore Dio, siano confusi coloro che adorano gli idoli e si gloriano delle loro immagini ". All'istante Flacco, uno dei sacerdoti, divenne cieco, le statue andarono in frantumi e l'occorrente per i sacrifici disperso. Viste queste cose, Leciano ordinò che l'anziano vescovo fosse steso su un aculeo, aggiungendo:
"Mostraci ora la tua arte magica!". "Cada su di te il castro di Cristo, Figlio del Dio vivente", fu la risposta del Santo. Leciano lo fece frustare e mentre il suo corpo veniva dilaniato, Terenziano così pregava: "Gloria a Te, Gesù benedetto, che ricolmi di benefici coloro che sperano in Te. Finalmente conosco la Tua benedizione". Ancor più adirato Leciano fece porre dei carboni ardenti ai suoi fianchi e con tono di scherno chiedeva:
"Dov'è il tuo Signore?". A lui prontamente il Santo: "E' con me e se crederai in Lui troverai misericordia". Irritato da tale risposta e dall' ostinazione di Terenziano, dopo aver ordinato che la sua lingua amputata fosse calpestata al cospetto dei presenti, Leciano divenne muto e successivamente mentre, facendo gesti con le mani, dava ordine di ricondurre Terenziano in prigione, stramazzò al suolo privo di vita. L'indomani Flacco, il sacerdote degli idoli miracolosamente divenuto cieco, sapute queste cose corse incontro a Terenziano mentre veniva tradotto in piazza per essere martirizzato, e prostratosi ai suoi piedi lo implorava dicendo: "Ti scongiuro per il Dio vivo che tu predichi! Oggi, in visione, ho visto un uomo bellissimo che mi ha detto: recati dal vescovo Terenziano se vuoi essere illuminato". Terenziano inginocchiatosi pose le mani sugli occhi di Flacco esclamando: "Ti illumini Gesù che è la vera luce". Flacco, guarito all'istante, proclamava: "Ora credo in Gesù Cristo Figlio di Dio che mi ha ridato la vista", quindi dopo aver ricevuto il battesimo lo seguì.
Entrambi furono decapitati, per ordine di Leonzio rappresentante dell'Imperatore, il 1° giorno di settembre, fuori dalle mura cittadine nei pressi della riva del Tevere. La notte successiva, il presbitero Esuperanzio ed una certa Lorenza andarono a raccogliere i corpi dei santi e li seppellirono a otto miglia dalla città di Todi in un luogo chiamato Colonia meglio conosciuto con il nome di Petroso.
Qui abbondano i benefici di Dio.
BIBLIOGRAFIA - DALL'ARCHIVIO DELLA PARROCCHIA DI SAN TERENZIANO DI CAVRIAGO(RE)
[1] S. Terenziano vescovo e martire, D.P. Chiricozzi, 1945. [2] San Terenziano
Si pensa che l'incontro con la fede cristiana avvenne direttamente dal Vangelo di Gesù Cristo e dall'esempio degli Apostoli. Fu così che a Todi la comunità cristiana crebbe proprio sotto la protezione dell'autorità che San Terenziano rappresentava: divenne infatti Vescovo di Todi. Nel compiere la sua missione, esortava i suoi fratelli al comandamento dell'amore secondo cui lo Spirito è unico e le attribuzioni diverse. Della sua attività si dovettero accorgere i pagani di Todi, che cominciarono a osservare attentamente la comunità cristiana così profondamente in contrasto con il culto degli dei.
La rivalità arrivò al punto che il sacerdote pagano del tempio di Giove, il cui nome era Flacco, denunciò (o fece denunciare) il Santo Vescovo all'imperatore Adriano. Quest'ultimo inviò così a Todi il proconsole della Tuscia Leciano.
IL MARTIRIO (Copia della leggenda della biblioteca laureziana di Firenze) Il 30 luglio, 85 anni dopo la morte di Gesù Cristo, sotto l'Imperatore Adriano, il vescovo Terenziano venne arrestato e condotto di fronte a Leciano, proconsole della Tuscia. " Vecchio, svelaci i misteri della tua religione - chiese Leciano - e spiegaci il motivo per cui, in tua presenza, gli dei immortali non hanno alcun potere ed i nostri sacerdoti e le nostre vergini non riescono ad ottenere i responsi ". Terenziano rispose: " Distogli lo sguardo dal culto degli idoli e potrai conoscere la verità. Il demonio ti possiede e ti impedisce di conoscere il tuo Salvatore, morto e risorto per la salvezza del mondo ". A tale risposta Leciano, dopo avergli fatto colpire la bocca con una pietra, lo fece spogliare ed ordino che i sacerdoti approntassero l'occorrente per il sacrificio al cospetto delle statue di Giove ed Ercole, quindi, rivolgendosi a Terenziano, ingiunse: " Tutto e pronto, sacrifica! ". Questi per tutta risposta, alzati gli occhi al cielo, così pregava: " Signore Dio, siano confusi coloro che adorano gli idoli e si gloriano delle loro immagini ". All'istante Flacco, uno dei sacerdoti, divenne cieco, le statue andarono in frantumi e l'occorrente per i sacrifici disperso. Viste queste cose, Leciano ordinò che l'anziano vescovo fosse steso su un aculeo, aggiungendo:
"Mostraci ora la tua arte magica!". "Cada su di te il castro di Cristo, Figlio del Dio vivente", fu la risposta del Santo. Leciano lo fece frustare e mentre il suo corpo veniva dilaniato, Terenziano così pregava: "Gloria a Te, Gesù benedetto, che ricolmi di benefici coloro che sperano in Te. Finalmente conosco la Tua benedizione". Ancor più adirato Leciano fece porre dei carboni ardenti ai suoi fianchi e con tono di scherno chiedeva:
"Dov'è il tuo Signore?". A lui prontamente il Santo: "E' con me e se crederai in Lui troverai misericordia". Irritato da tale risposta e dall' ostinazione di Terenziano, dopo aver ordinato che la sua lingua amputata fosse calpestata al cospetto dei presenti, Leciano divenne muto e successivamente mentre, facendo gesti con le mani, dava ordine di ricondurre Terenziano in prigione, stramazzò al suolo privo di vita. L'indomani Flacco, il sacerdote degli idoli miracolosamente divenuto cieco, sapute queste cose corse incontro a Terenziano mentre veniva tradotto in piazza per essere martirizzato, e prostratosi ai suoi piedi lo implorava dicendo: "Ti scongiuro per il Dio vivo che tu predichi! Oggi, in visione, ho visto un uomo bellissimo che mi ha detto: recati dal vescovo Terenziano se vuoi essere illuminato". Terenziano inginocchiatosi pose le mani sugli occhi di Flacco esclamando: "Ti illumini Gesù che è la vera luce". Flacco, guarito all'istante, proclamava: "Ora credo in Gesù Cristo Figlio di Dio che mi ha ridato la vista", quindi dopo aver ricevuto il battesimo lo seguì.
Entrambi furono decapitati, per ordine di Leonzio rappresentante dell'Imperatore, il 1° giorno di settembre, fuori dalle mura cittadine nei pressi della riva del Tevere. La notte successiva, il presbitero Esuperanzio ed una certa Lorenza andarono a raccogliere i corpi dei santi e li seppellirono a otto miglia dalla città di Todi in un luogo chiamato Colonia meglio conosciuto con il nome di Petroso.
Qui abbondano i benefici di Dio.
BIBLIOGRAFIA - DALL'ARCHIVIO DELLA PARROCCHIA DI SAN TERENZIANO DI CAVRIAGO(RE)
[1] S. Terenziano vescovo e martire, D.P. Chiricozzi, 1945. [2] San Terenziano
Tratto da
http://www.valdaveto.net/documento_726.html
Le poche e frammentarie notizie sulla vita di San Terenziano sono racchiuse in due opere:
·
la Passio
Sancti Terentiani,
·
il Martirologio
Romano.
In realtà non ci sono prove
documentali che certifichino le origini di San Terenziano. Gli agiografi,
essendo il suo nome latino, suppongono una origine romana.
In soccorso di questa tesi, viene citato il fatto storico che il primo imperatore romano Augusto (63 a.c. - 14 d.c.) mandò alcune famiglie a colonizzare la Tuscia (l'attuale Umbria).
In particolare una numerosa colonia si stabilì nella zona di Todi. Tra questi coloni ci sarebbero stati gli antenati prossimi di Terenziano.
Il futuro martire, dovette ben presto rivelarsi uomo di assoluto spessore e fervida spiritualità, tanto da diventare il punto di riferimento religioso, di quella comunità.
Eletto vescovo di Todi in età avanzata, Terenziano continuò la sua opera di divulgazione della dottrina cristiana con passione e coraggio, utilizzando peraltro una terminologia che senza volerla definire moderna, potremmo comunque ritenerla inusuale per quel tempo.
E sotto la sua spinta propulsiva, la comunità cristiana cresceva nel numero e nella consapevolezza del nuovo Verbo.
Naturalmente la contrapposizione con quella pagana era inevitabile e le invidiose attenzioni di cui era fatto oggetto Terenziano, non tardarono a trasformarsi in aperta avversione.
Le cose precipitarono quando l'imperatore Adriano, dal ritorno da un viaggio in oriente, su sollecitazione del prefetto Mariano emanò un editto contro i cristiani.
A quel punto il suo acerrimo avversario Flacco, sacerdote del tempio di Giove, si sentì autorizzato a denunciare Terenziano all'imperatore stesso.
Inevitabile a questo punto, l'arresto del vecchio Vescovo, ad opera di Leziano, proconsole della Tuscia. Terenziano non si scompone e tenta persuasivamente di convertire lo stesso Leziano. Ma il proconsole risponde accusandolo di arti magiche e facendolo torturare.
Il Vescovo non cede e non rinnega la sua fede.
Le torture aumentano e seppur con il corpo orrendamente mutilato, Terenziano continua a pregare. Tanta forza interiore produrrà infine un risultato inatteso e prodigioso: la conversione di Flacco. Che viene battezzato dallo stesso Vescovo.
Ma alla fine di quel simulacro di processo a cui vengono sottoposti entrambi, saranno condannati a morte e decapitati.
È il primo di settembre. E su questo punto concordano tutti. Più incerta è la datazione.
Secondo la "Passio" il martirio sarebbe avvenuto "sub Hadriano, 85 anni dopo la morte di Cristo". Mentre secondo il Martirologio Romano, la morte del Santo sarebbe avvenuta intorno all'anno 138, "mediante crudeli tormenti, la recisione della lingua e il troncamento del capo".
Tenendo conto d'inconfutabili dati storici,come la precisa databilità dell'impero di Adriano, gli storici ritengono che il martirio possa essere avvenuto tra il 118 e il 137.
La tradizione racconta che la notte successiva al martirio, i due corpi furono pietosamente trafugati dal "prete Esusperanzio e dalla piissima Lorenza" e seppelliti a otto miglia da Todi in luogo chiamato Colonia, ma meglio conosciuto come "locus petrosus" (luogo pietroso) per via dell'abbondanza di travertino e pietra calcarea.
Da quel momento e per sempre, l'altopiano Petroso, prese il nome di San Terenziano. Il paese omonimo è attualmente una frazione del comune di Gualdo Cattaneo dal quale dista una quindicina di chilometri e conta un migliaio di abitanti.
Tra i suoi monumenti più importanti c'è sicuramente la Chiesa di S. Terenziano e Flacco (sec. XI), che ospita il sarcofago e il reliquario del Santo.
In soccorso di questa tesi, viene citato il fatto storico che il primo imperatore romano Augusto (63 a.c. - 14 d.c.) mandò alcune famiglie a colonizzare la Tuscia (l'attuale Umbria).
In particolare una numerosa colonia si stabilì nella zona di Todi. Tra questi coloni ci sarebbero stati gli antenati prossimi di Terenziano.
Il futuro martire, dovette ben presto rivelarsi uomo di assoluto spessore e fervida spiritualità, tanto da diventare il punto di riferimento religioso, di quella comunità.
Eletto vescovo di Todi in età avanzata, Terenziano continuò la sua opera di divulgazione della dottrina cristiana con passione e coraggio, utilizzando peraltro una terminologia che senza volerla definire moderna, potremmo comunque ritenerla inusuale per quel tempo.
E sotto la sua spinta propulsiva, la comunità cristiana cresceva nel numero e nella consapevolezza del nuovo Verbo.
Naturalmente la contrapposizione con quella pagana era inevitabile e le invidiose attenzioni di cui era fatto oggetto Terenziano, non tardarono a trasformarsi in aperta avversione.
Le cose precipitarono quando l'imperatore Adriano, dal ritorno da un viaggio in oriente, su sollecitazione del prefetto Mariano emanò un editto contro i cristiani.
A quel punto il suo acerrimo avversario Flacco, sacerdote del tempio di Giove, si sentì autorizzato a denunciare Terenziano all'imperatore stesso.
Inevitabile a questo punto, l'arresto del vecchio Vescovo, ad opera di Leziano, proconsole della Tuscia. Terenziano non si scompone e tenta persuasivamente di convertire lo stesso Leziano. Ma il proconsole risponde accusandolo di arti magiche e facendolo torturare.
Il Vescovo non cede e non rinnega la sua fede.
Le torture aumentano e seppur con il corpo orrendamente mutilato, Terenziano continua a pregare. Tanta forza interiore produrrà infine un risultato inatteso e prodigioso: la conversione di Flacco. Che viene battezzato dallo stesso Vescovo.
Ma alla fine di quel simulacro di processo a cui vengono sottoposti entrambi, saranno condannati a morte e decapitati.
È il primo di settembre. E su questo punto concordano tutti. Più incerta è la datazione.
Secondo la "Passio" il martirio sarebbe avvenuto "sub Hadriano, 85 anni dopo la morte di Cristo". Mentre secondo il Martirologio Romano, la morte del Santo sarebbe avvenuta intorno all'anno 138, "mediante crudeli tormenti, la recisione della lingua e il troncamento del capo".
Tenendo conto d'inconfutabili dati storici,come la precisa databilità dell'impero di Adriano, gli storici ritengono che il martirio possa essere avvenuto tra il 118 e il 137.
La tradizione racconta che la notte successiva al martirio, i due corpi furono pietosamente trafugati dal "prete Esusperanzio e dalla piissima Lorenza" e seppelliti a otto miglia da Todi in luogo chiamato Colonia, ma meglio conosciuto come "locus petrosus" (luogo pietroso) per via dell'abbondanza di travertino e pietra calcarea.
Da quel momento e per sempre, l'altopiano Petroso, prese il nome di San Terenziano. Il paese omonimo è attualmente una frazione del comune di Gualdo Cattaneo dal quale dista una quindicina di chilometri e conta un migliaio di abitanti.
Tra i suoi monumenti più importanti c'è sicuramente la Chiesa di S. Terenziano e Flacco (sec. XI), che ospita il sarcofago e il reliquario del Santo.
San Neofito
Vescovo di Lentini in Sicilia lungo il III secolo
secondo la tradizione venerabile scritta dal monaco
siculo-greco Basilio nel 964
tre fratelli ( Alfio,Filadelfio e Cirino)- nativi della cittadina di Vaste in provincia di Lecce- che al tempo dell’imperatore Licino e del suo consigliere Valeriano, dopo essersi convertiti al Cristianesimo, vengono denunciati, arrestati e torturati. Questi, insieme ad altri compagni, vengono spediti a Roma e consegnati a Valeriano il qual li rimanda in Sicilia a Taormina per essere giudicati dal prefetto Tertillo che solitamente dimorava a Lentini. Qui una nobildonna cristiana Tecla riesce a convincere Alessandro, braccio destro di Tertillo, a rilasciare i giovani. Ma lo stesso Alessandro, a questo punto cade in sospetto al tiranno e deve fuggire.
tre fratelli ( Alfio,Filadelfio e Cirino)- nativi della cittadina di Vaste in provincia di Lecce- che al tempo dell’imperatore Licino e del suo consigliere Valeriano, dopo essersi convertiti al Cristianesimo, vengono denunciati, arrestati e torturati. Questi, insieme ad altri compagni, vengono spediti a Roma e consegnati a Valeriano il qual li rimanda in Sicilia a Taormina per essere giudicati dal prefetto Tertillo che solitamente dimorava a Lentini. Qui una nobildonna cristiana Tecla riesce a convincere Alessandro, braccio destro di Tertillo, a rilasciare i giovani. Ma lo stesso Alessandro, a questo punto cade in sospetto al tiranno e deve fuggire.
Ed è in questa fuga che Alessandro incontra Agatone ,
vescovo di Lipari, anch’esso in fuga dalla sua isoletta. A questo proposito
Basilio narra : “C’era nell’isola dei
Liparitani un Vescovo che si chiamava Agatone, uomo pio, timorato di Dio e
abbastanza erudito nelle Sacre Scritture. Ora siccome con violenza grandissima
e con enorme ferocia l’empio Diomede perseguitava colà i cristiani e ne
uccideva molti, costui cercò anche del Vescovo Agatone per dargli la morte.
Però Iddio il quale conosce ogni cosa prima che avvenga, dispose anche questo
fatto straordinario : il beato Agatone, vedendo quel che avveniva in
quest’isola e nelle altre isole vicine dove i ministri del demonio uccisero
tutti i Cristiani, consultatosi con i principali cittadini, abbandonò il suo
paese e con tre serventi s’imbarcò su un vascello e navigò verso la
Sicilia…”.
Agatone sbarca ai piedi del monte Téreo e si imbatte
in un cristiano che lo sistema in una spelonca sulle pendici del monte. Qui
incontra Alessandro che si era dato alla macchia, lo istruisce nella cose della
fede e lo battezza imponendogli il nuovo nome di Neofito. Più tardi gli
conferisce il presbiterato e lo propone vescovo di Lentini. Intanto i tre
giovani erano stati ripresi ed avevano subito il martirio. Gettati in un
pozzo i corpi erano stati recuperati da Tecla. Il tiranno Tertillo muore
punito personalmente dai tre fratelli discesi dal cielo. Così la Chiesa
ritrova la sua libertà e a Lentini la popolazione si converte per opera
di Agatone e procede nel suo cammino di fede sotto la guida sapiente del
giovane vescovo Neofito.
Santo Arealdo
Martire a Brescia
Tratto da
http://www.santiebeati.it/Detailed/92081.html
Secondo
il Martirologio di Brescia, Arealdo e due suoi figli subirono il martirio al
tempo dei Longobardi e precisamente durante l'anarchia succeduta nel 575 alla
morte di Clefi. Nel 576 Alhisio, uno dei pretendenti al trono, iniziò una
persecuzione contro i cristiani e in essa mori a Brescia A. assieme ai suoi figli
Carillo e Oderico. Il Fayno (Martirologium sanctae Brixianae Ecclesiae, Brescia
1675) afferma di aver desunto queste notizie da una cronaca di Octavius
Rossius: tuttavia, mancando qualsiasi indizio sull'esistenza di quest'opera, il
racconto di Fayno è ben poco attendibile. Del resto il Ferrari stesso afferma
di ignorare tempo e luogo del martirio di Arealdo. Secondo alcuni autori
Arealdo sarebbe morto nel 134, ma probabilmente essi credettero di trovarsi di
fronte a un compagno dei ss. Faustino e Giovita. Ferrari afferma che nel 1305
il vescovo di Cremona Gerardo Maggi, bresciano, curò la traslazione delle
reliquie di Arealdo nella cattedrale della città. Ma nel catalogo dei vescovi
di Cremona non si riscontra il nome del Maggi, né si può pensare che Gerardo
Maggi, vescovo di Brescia dal 1275 al 1309, abbia retto momentaneamente anche
la diocesi adiacente, perché in essa dal 1296 al 1312 o 1313 governò Raniero.
D'altra parte la prima traslazione, secondo il Fayno, portò le reliquie di A. a
Cremona in una chiesa dedicata al suo nome, poi nel 1484 il canonico Isacco
Restalli le trasferì nella cattedrale, presso l'altare del S.mo Sacramento, e
infine l'8 giugno 1614 le spoglie di Arealdo discesero nella cripta della
cattedrale medesima.
La festa di Arealdo si celebra a Brescia e a Cremona il 1 settembre, mentre i suoi figli non godono di culto alcuno. La tradizione locale intorno ad Arealdo sembra essersi formata non prima del sec. XV, tuttavia Arealdo pare non aver nulla a che vedere con s. Arialdo di Milano.
La festa di Arealdo si celebra a Brescia e a Cremona il 1 settembre, mentre i suoi figli non godono di culto alcuno. La tradizione locale intorno ad Arealdo sembra essersi formata non prima del sec. XV, tuttavia Arealdo pare non aver nulla a che vedere con s. Arialdo di Milano.
Tratto con annessa bibliografia da
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-arealdo_(Dizionario-Biografico)/
Se il suo culto è antico e sicuro,
non altrettanto si può dire circa l'epoca e le circostanze del martirio.
Abbastanza solida è la tradizione che ne fissa la morte in Brescia, meno
precisa quella che la fa risalire al secolo VI, assolutamente incontrollabili
le fonti cui allude, di seconda mano, il Faino per ricostruime le vicende.
Secondo tale racconto, nell'anarchia succeduta alla morte del re longobardo
Clefi (574), il duca Alachi, che esercitava il dominio su Brescia, avrebbe
infierito contro i cattolici e, mentre il vescovo Onorio con altri fedeli era
costretto a nascondersi nei boschi per sfuggire alla persecuzione, A.,
catturato insieme con i due figli Carillo e Oderico, sarebbe stato con loro
sottoposto ai martirio.
Va tenuto presente che non si hanno
testimonianze di una persecuzione a carattere religioso da parte di Alachi, né
rimane alcuna memoria di un culto prestato ai figli di s. A.se la leggenda ha
un fondo di verità, è probabile che la strage vada intesa come uno degli
episodi di rapina o di rappresaglia che caratterizzarono l'ínvasione longobarda
e che l'inserzione di A. nel calendario dei santi bresciani sia dovuta al
riconoscimento delle sue virtù esercitate in grado eroico indipendentemente dal
martirio.
Notevoli incertezze sussistono anche
circa l'origine del culto a Cremona: secondo la maggior parte dei cronisti
lombardi, esso dovrebbe collegarsi con Gerardo de' Maggi, il quale, creato
vescovo di Cremona da Clemente V nel 1305,avrebbe
ottenuto dai Bresciani la traslazione delle ossa del martire nella propria sede
episcopale: sennonché nella lista dei presuli di Cremona non c'è posto per un
Gerardo al principio dei secolo XIV. Poiché in quegli anni (fino al 1309)si trova invece Berardo de'
Maggi sulla cattedra di Brescia, il quale interviene proprio il 7 apr. 1305 in
questioni di giurisdizione ecclesiastica nella città di Cremona, si può
affacciare l'ipotesi che l'equivoco sia nato da un riferimento a * Berardus
episcopus * letto " Gerardus * e attribuito erroneamente alla sede cremonese,
dove effettivamente le reliquie di A. dovettero essere trasportate intorno al
1305.
Custodite in un primo tempo in una
cappella dedicata allo stesso santo, esse furono successivamente trasferite
nella cattedrale e sistemate presso l'altare del S.mo Sacramento; in seguito
vennero portate nella cripta dove sono tuttora conservate in un'arca marmorea -
opera di Gian Gaspare Pedoni - che racchiude anche una lamina plumbea in cui
sono ricordate, rispettivamente sul recto
e sul verso,le due
ultime sistemazioni (26 sett. 1484 e 22 dic. 1538).
Tratto
da
http://www.enciclopediabresciana.it/enciclopedia/index.php?title=AREALDO,_S.
Martire.
Secondo i Martirologi bresciani, sarebbe morto con due suoi figli, Carlo e
Oderico, durante una persecuzione scatenata nel 576 contro i cristiani dal
Longobardo Alhisio, pretendente al trono dopo la morte di Clefi, avvenuta
l'anno precedente La fonte di tale notizia é Ottavio Rossi, di parecchi secoli
posteriore al fatto. S.Arealdo è perciò, con tutta probabilità, da ritenersi
santo leggendario, anche perché altri lo dicono compagno di martirio dei
SS.Faustino e Giovita. Nel 1305 un vescovo di Cremona, il bresciano Gerardo
Maggi, che per altro non compare nel catalogo dei vescovi della città, avrebbe
traslato reliquie del santo nella sua cattedrale, dove, in seguito, nel 1484
sarebbero state sistemate dal canonico Isacco Restalli presso l'altare del S.mo
Sacramento e l'8 giugno 1614 nella cripta della medesima cattedrale. La festa
di S.Arealdo era fissata a Brescia e a Cremona al I settembre. In sostanza,
sembra che la tradizione locale di S.Arealdo si sia formata non prima del sec.
XV ma che non abbia, tuttavia, niente a che fare con S.Arealdo di Milano.
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