1.
Il nostro santo padre Giovanni Theristìs era della regione della
Calabria, del territorio della città di Stilo, figlio di Genitori
cristiani nobili e ricchi, e suo padre era arconte di un villaggio
chiamato Cursano. Giunti una volta dall’isola di Sicilia alcuni barbari,
per mare, con delle navi, nella predetta regione, devastando e
depredando molte città e villaggi, devastarono anche il predetto
villaggio di Cursano ed uccisero il padre del santo, mentre condussero
schiava la madre, che era incinta, nel loro paese, nella città di
Palermo; lì uno dei loro arconti la prese in moglie. Quando partorì
generò questo venerabile fanciullo, che la madre allevava nella
disciplina e nella ammonizione del Signore, mentre suo marito lo
abituava ai suoi costumi barbarici. Quando fu di circa quattordici anni,
la madre gli disse: “Sappi, o figlio, che questa non è la nostra
patria, né questa è la tua patria, ma sei figlio di un nobile: io fui
condotta schiava qui, mentre tuo padre fu ucciso da questo popolo
barbaro in Calabria, nella nostra patria, vicino allo Stilaro, presso il
fiume sopra un monastero detto ... di Rodo Robiano ... sotto il monte
di Stilo, nel quale villaggio vi è il nostro palazzo, ed in esso
nascondemmo i nostri tesori”, e gli indicò il luogo dove li avevano
posti. Dopo di ciò lo ammonì con parole salutari, dicendo:
2.
“Figlio, nessuno può salvare la sua anima senza il battesimo, che è
donato nella nostra patria, dove vi sono i cristiani ortodossi: infatti,
restando qui, non potrai salvare la tua anima, giacché non hai chi ti
battezza; se riceverai questo, guadagnerai il regno dei cieli”. La beata
madre, detto ciò ed altre parole simili a queste, mosse e spinse suo
figlio al divino zelo di diventare cristiano. Avendolo visto fermo e ...
nella fede di Cristo, gli disse le parole del profeta: “Affida al
Signore la cura di te, ed egli ti nutrirà” ; ed avendo detto così, gli
diede una piccola croce che aveva segretamente presso di sé, e piangendo
gli diede la materna benedizione e lo mandò via; quello, allontanatosi
dalla madre, andò via.
3. Giunto presso il mare, trovò lì una barchetta e si imbarcò. Avendolo visto alcuni marinai barbari, lo inseguirono; ma egli, presa la croce che aveva ed essendosi voltato, li disperse: infatti scomparvero. Giunto dalle parti di Stilo sbarcò dalla barchetta, ma gli uomini di quella regione, avendolo visto vestito con un abito barbarico, lo credettero un barbaro e lo condussero dal vescovo. Avendogli chiesto il vescovo: “Da dove vieni? e cosa vuoi?”, rispose: “Vengo dal paese dei barbari desiderando diventare cristiano, e ricevere il santo battesimo, che, come ho udito, è somministrato in questa regione”. Il vescovo, per metterlo alla prova, gli disse: “Non puoi essere battezzato, essendo così grande di età, se prima non ti getti in una pentola piena di olio bollente”. Quello subito con ardore rispose: “Sono pronto a sopportare tutto; sia fatto come vuole la tua signoria, affinché riceva questo santo battesimo: infatti sono venuto per questo”. Allora il vescovo comandò di porre sul fuoco una pentola di olio a bollire, e stava ad osservare l’ardore del giovinetto: quello eccitava il fuoco, affinché bollisse subito, e quando vide che la pentola già bolliva, incominciò a togliersi le vesti, per gettarsi nudo nella detta pentola. Avendo visto ciò il vescovo che era stato a vedere e ad ammirare la sua audacia, corse e glielo impedì, ed avendolo preso lo portò in chiesa con molto e grande onore, lo battezzò e lo chiamò dal proprio nome Giovanni, e si trattenne con lui un numero sufficiente di giorni, in cui lo ammaestrò e gli insegnò le cose della fede. In quei giorni il santo, andando spesso in chiesa, vedeva molte icone dipinte di differenti santi, ed interrogava quelli che erano con lui dicendo: “Di chi è questa icona? e quest’altra di chi è?”, e così per le altre. Giunto presso l’icona di san Giovanni Battista chiese: “E chi è questo, vestito di una pelle di cammello?” e gli risposero: “Questo è san Giovanni Battista, che tu devi imitare: tu infatti ti chiami Giovanni come questo santo, e perciò dovrai imitarne la vita”. Avendoli esortati a narrargli la vita di questo santo, gli dissero che questo santo andò nel deserto ed ivi trascorse il resto della vita. Egli, avendo udito ciò, fu riempito di amore divino, ed andato dal vescovo gli chiese il permesso di andare in un luogo deserto dove potesse vivere in solitudine e salvare la sua anima; e gli mostrarono un luogo selvoso sul monte che era a settentrione, a circa due miglia di distanza, dove vi era un cenobio, dicendogli: “In quella casa abitano alcuni monaci che osservano la regola e
l’ascesi del grande Basilio”. Il santo giovanetto, giunto in quel luogo, vi trovò i santi padri Ambrogio e Nicola. Egli li chiamava affinché lo accogliessero lì come monaco, ma quelli risposero: “Ritorna, o figlio, nel mondo; infatti sei ancora giovinetto, e sei venuto qui più per molestarci che per qualche buona intenzione”, ma quello con umiltà rispose: “O padri, non sono venuto da voi per qualche cattiva intenzione, ma solo desiderando la salvezza della mia anima”. E quelli: “Allontanati da noi, o figlio – dissero – perché non potrai sopportare qui con noi la regola del nostro grande padre Basilio, che noi sopportiamo, perché essa è molto rigida”. Ma quello rispose: “Potrò, venerandi padri, con l’aiuto di Dio e col vostro mezzo, sottostare a tutta la regola ed osservarne tutte le norme; perciò sono venuto qui da voi”. Quelli per molti giorni non lo fecero entrare, ma rimasero dentro a pregare, mentre il santo era fuori della porta aspettando con pazienza ed esortandoli continuamente ad accoglierlo.
4.
Infine i padri, vedendone la perseveranza, lo condussero al monastero,
lo vestirono dell’abito monastico, e gli insegnarono la regola e
l’ascesi del grande Basilio; e lì rimase vivendo santamente. Dopo non
molto tempo il santo si ricordò delle parole che gli aveva dette sua
madre, ed espose tutto a quei santi padri: che egli era di quella
regione, del villaggio distrutto chiamato Cursano, figlio del nobile che
era stato ucciso dai barbari, e che aveva i tesori nascosti dove era il
suo palazzo, e tutto il resto.
5.
Uno di quei giorni dunque, il santo, prese con sé uno di quei santi
padri, e insieme andarono nel luogo distrutto e cercarono i suoi tesori;
avendoli trovati, li distribuirono ai poveri, secondo il precetto del
loro padre, il grande Basilio.
6. Questo san Giovanni aveva una spelonca, non lontano dal monastero, dove vi era dell’acqua, e questa spelonca oggi si chiama l’Acqua del santo; in essa spesso soleva recarsi da solo per la preghiera. Un giorno, nella stagione invernale, egli si trovava lì, secondo il suo costume, pregando, quando passò un nobile, che tornava dalla caccia insieme ad altri; questi vide il santo nella grotta, e, credendo che si lavasse, si scandalizzò e voltatosi disse a quelli che erano con lui: “Vedete cosa fanno questi monaci? Si lavano per sembrare più freschi al mondo”. Appena detto ciò, subito nel corpo gli venne un fuoco che gli divorava le viscere; ed andato così pieno di dolore a casa sua, si gettò al petto di sua madre gridando acutamente e lamentandosi. La madre gli disse: “Cosa hai, o figlio?” e quello rispose: “Sento un fuoco che mi distrugge il corpo, ohimé, o madre!”. Avendogli chiesto: “Cosa hai fatto oggi? Dove sei stato? E per quale via sei passato?” rispose: “Sono andato a caccia, e ritornavo per la via dinanzi alla spelonca dell’acqua, e lì vidi un monaco che si lavava, mi scandalizzai; e subito venne in me questo dolore”. Subito sua madre andò al monastero e trovò i santi padri che pregavano; e, caduta ai loro piedi, narrò loro tutto chiedendo perdono per il peccato di suo figlio. San Giovanni, piegato dalle preghiere supplichevoli della donna, le diede un vaso dicendo: “Recati presso quella spelonca, riempi questo di quell’acqua, e dalla a bere a quel tuo figlio”. Avendo la donna fatto ciò, subito si spense quel fuoco, ed il nobile guarì con l’aiuto di Dio e per mezzo di san Giovanni Theristìs. Avendo visto il miracolo, il nobile e sua madre consacrarono a quel monastero un podere; e da quella malattia del fuoco questo podere è chiamato tutt’oggi “Pyriton” (campo del fuoco).
6. Questo san Giovanni aveva una spelonca, non lontano dal monastero, dove vi era dell’acqua, e questa spelonca oggi si chiama l’Acqua del santo; in essa spesso soleva recarsi da solo per la preghiera. Un giorno, nella stagione invernale, egli si trovava lì, secondo il suo costume, pregando, quando passò un nobile, che tornava dalla caccia insieme ad altri; questi vide il santo nella grotta, e, credendo che si lavasse, si scandalizzò e voltatosi disse a quelli che erano con lui: “Vedete cosa fanno questi monaci? Si lavano per sembrare più freschi al mondo”. Appena detto ciò, subito nel corpo gli venne un fuoco che gli divorava le viscere; ed andato così pieno di dolore a casa sua, si gettò al petto di sua madre gridando acutamente e lamentandosi. La madre gli disse: “Cosa hai, o figlio?” e quello rispose: “Sento un fuoco che mi distrugge il corpo, ohimé, o madre!”. Avendogli chiesto: “Cosa hai fatto oggi? Dove sei stato? E per quale via sei passato?” rispose: “Sono andato a caccia, e ritornavo per la via dinanzi alla spelonca dell’acqua, e lì vidi un monaco che si lavava, mi scandalizzai; e subito venne in me questo dolore”. Subito sua madre andò al monastero e trovò i santi padri che pregavano; e, caduta ai loro piedi, narrò loro tutto chiedendo perdono per il peccato di suo figlio. San Giovanni, piegato dalle preghiere supplichevoli della donna, le diede un vaso dicendo: “Recati presso quella spelonca, riempi questo di quell’acqua, e dalla a bere a quel tuo figlio”. Avendo la donna fatto ciò, subito si spense quel fuoco, ed il nobile guarì con l’aiuto di Dio e per mezzo di san Giovanni Theristìs. Avendo visto il miracolo, il nobile e sua madre consacrarono a quel monastero un podere; e da quella malattia del fuoco questo podere è chiamato tutt’oggi “Pyriton” (campo del fuoco).
7.
Vi era in Robiano, dove oggi si chiama Monasteraci, un altro nobile,
che era un benefattore del monastero, ed ogni anno soleva dare ai santi
padri ciò che serviva per i loro bisogni. Una volta san Giovanni, nel
mese di giugno, nell’epoca della mietitura, voleva andare da lui; prese
con sé un piccolo vaso da vino ed un poco di pane e si avviò. Giunto nei
luoghi chiamati Muturabulo e Marone, vide una moltitudine di mietitori
che mietevano i campi del detto nobile. Questi allora, visto il santo
cominciarono a prenderlo in giro ed a deriderlo, ma quello,
avvicinatosi, li salutò e chiamatili diede a tutti da mangiare e da bere
dal pane e dal vino che aveva; e mentre tutti si saziarono, il suo pane
ed il vaso non furono diminuiti. Il santo, avendo visto ciò, cadde a
terra ringraziando Dio; e mentre egli pregava si levò il vento e cadde
la pioggia. Tutti i mietitori fuggirono sotto gli alberi, e solo il
santo rimase lì a pregare. Terminata la sua preghiera, vide quei campi
mietuti e tutti i manipoli legati, e ritornò al proprio monastero.
Terminata la pioggia, tornarono i mietitori a terminare il loro lavoro, e
trovarono tutto già mietuto e legato, mentre non trovarono il santo.
Andarono allora a casa del loro padrone per prendere la loro mercede,
cantando e saltellando lungo la strada. Il loro padrone, avendoli
incontrati per strada, incominciò a rimproverali ed a biasimarli dicendo
loro: “Sciocchi e dissennati, perché avete fatto ciò? Chi vi ha
insegnato a lasciare il lavoro a mezzogiorno nel tempo della
mietitura?”. Essi allora gli risposero: “Padrone, tutto è mietuto e
legato”, e quello allora disse: “Come può essere ciò, che trenta altri mietitori non compirebbero neanche per domani?”.
Quelli maggiormente gli confermavano ciò che avevano detto, ed allora
egli chiese: “Avete preso forse qualche aiuto?”. Risposero: “Non abbiamo
avuto altro aiuto se non un monaco di quelli che sono nel monastero,
che venne da noi, che ci diede da mangiare e da bere, e che poi non
abbiamo visto più”. Allora disse quel nobile: “Questo monaco con l’aiuto
di Dio ha mietuto i miei campi, e voglio che questi campi siano suoi”, e
consacrò al monastero i predetti fondi di Muturabulo e di Marone, che
il monastero finora possiede; e per questo miracolo il santo fu chiamato
Theristìs (il Mietitore)
8.
Un altro grande nobile di nome Ruggiero, figlio del re di quella
regione, aveva nel volto un’ulcera inguaribile, che non poteva essere
curata da nessun medico. Questi, avendo udito la fama di questo santo,
che faceva molti miracoli, guariva molti da diverse malattie e scacciava
molti demoni dagli uomini, pieno di coraggio andò a lui, ma trovò che
era partito da questa vita, e le sue spoglie giacenti. Caduto per terra
dinanzi ai suoi piedi, molto lo invocò dicendo: “Beato Giovanni, ti
chiedo non per me, ma per la tua bontà e misericordia, supplica per me
la misericordia di Dio, affinché mi liberi da questa malattia che ho nel
viso”, ed avendo detto ciò, prese il lembo della veste del santo e con
quello si nettò il volto, e subito fu liberato da quella malattia, senza
che alcun segno rimanesse sul suo volto. Quel nobile, visto ciò ed
altri miracoli compiuti dinanzi a lui, glorificò Dio e questo suo santo
Giovanni Theristìs e per il beneficio ricevuto restaurò tutto il
monastero e la chiesa, e consacrò ad esso molti fondi e molti
possedimenti, che il detto monastero tuttora possiede.
S. BORSARI, Vita di San Giovanni Terista. Testi greci inediti,
in “Archivio Storico per la Calabria e Lucania”,
Roma, XXII, 1953, pp. 136-15 1
sta in
http://cristiano-ortodosso-italiano.blogspot.it/2013/11/vita-e-fatti-del-nostro-santo-padre.html
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