sabato 30 giugno 2018

30 Giugno Santi Italici ed Italo greci



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Santa Lucina di Roma  martire

Martirologio.Romano .: 30 giugno - A Roma santa Lucina, discepola degli Apostoli, la quale, provvedendo colle sue sostanze alle necessità dei Santi, visitava i Cristiani chiusi in carcere, e attendeva a seppellire i Martiri, presso i quali anch'essa, in una cripta da lei fabbricata, fu sepolta.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/96557

I resti mortali di questa probabile martire, provenienti dalle Catacombe di San Sebastiano sulla Via Appia a Roma, furono estratti nel 1621 con l’autorizzazione di papa Gregorio XV e consegnati a Massa Lubrense. Nel ventesimo secolo, il vescovo di Sorrento, sotto la cui giurisdizione cade Massa Lubrense, li donò al cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, Arcivescovo di Milano, particolarmente interessato all’archeologia sacra e al culto dei martiri (Beato dal 1996).
In occasione dell’anno giubilare straordinario della Redenzione 1933, Schuster decise di donare ad alcune comunità della sua vasta Arcidiocesi alcune reliquie di martiri, che egli stesso considerava «strumento per rinnovare la fede». Santa Lucina, quindi, toccò all’antica parrocchia di Santo Stefano in Rosate, vicino Milano.
Il 12 febbraio 1933 fu l’Arcivescovo in persona a guidare la processione che avrebbe accompagnato le reliquie nella loro nuova destinazione. Inizialmente inserite in una capsella di stagno accompagnata dai sigilli del vescovo di Sorrento, vennero poi ricomposte, per decisione del prevosto parroco don Gaetano Orsenigo, in una statua di cera, inserita in un’urna di bronzo e cristallo, che sarebbe stata ospitata nella cappella del Crocifisso al termine dei necessari restauri della stessa.
Il 17 luglio 1933 si procedette alla ricognizione e al trattamento conservativo delle ossa rinvenute: la mandibola con dodici denti molto consumati; una tibia sinistra; due femori sinistri (evidentemente non appartenuti alla stessa persona); due ossa del metatarso o forse del metacarpo; un piccolo osso del carpo; una vertebra cervicale; una falange dell’alluce; numerosi frammenti ossei provenienti dalle costole e dalla calotta cranica.
È stato accertato che dal medesimo corpo santo è stata estratta un’altra reliquia, conservata presso la chiesa di Santa Lucina a Cortereggio di S. Giorgio Canavese (TO).
Compatrona di Rosate, santa Lucina viene ricordata il 30 giugno; a Cortereggio, invece, la prima domenica di luglio. Il cardinal Schuster ipotizzava che si trattasse dell’omonima matrona di Roma, discepola degli apostoli e collaboratrice di papa Marcello, ma non c’è sicurezza a riguardo.

1 luglio Santi di Francia

Saint MARTIN, évêque de Vienne en Dauphiné (IIème siècle).
Saint LUPIEN, disciple de saint Hilaire de Poitiers, thaumaturge à Rézé près de Nantes en Bretagne (IVème siècle).
Saint DOMITIEN, abbé, fondateur de Saint-Rambert-de-Joux au diocèse de Belley (440).
Saint LEONCE, évêque d'Autun en Bourgogne (vers 460).
Saint THIERRY (THEODORICUS), higoumène du Mont-d'Or, près de Reims en Champagne (533).
Saint HILAIRE, moine à Oisé dans le Maine (535).
Saint CALAIS (KARILEF, CARILEFUS, KARILEFUS) l'Auvergnat, fondateur et premier abbé d'Anisole dans le Maine (vers 545).
Saint GALL Ier, moine à Cournon, évêque de Clermont en Auvergne (vers 553).







Saint LEONORE (LUNAIRE), Gallois de nation, évêque de Rennes en Bretagne (560).
Saint CYBAR (EPARQUE, EPARCHIUS), prêtre, thaumaturge et reclus à Angoulême (581).
Saint FLEURET (FLOREGIUS), évêque régionnaire en Auvergne, patron de la commune d'Estaing (VIIème siècle).
Saint GOULVEN (GOULETEN), évêque de Saint-Pol-de-Léon en Bretagne (vers 616).
Sainte RENFROI, abbesse à Denain en Flandre française (fin du VIIIème siècle).
Saint ROMBAUT, Anglais de nation, hiéromoine et thaumaturge, martyr assassiné à Malines dans la province d'Anvers en Flandre belge par des brigands à qui il avait reproché leurs vices (775). (Office composé en français par le père Denis Guillaume et publié au tome XV du Supplément aux Ménées.)
Sainte REGINE (REINE), comtesse d'Ostrevant, puis veuve et moniale à Ostrevant près de Valenciennes en Hainaut (IXème siècle).
Saint BASILE, fondateur du monastère du Ruisseau-Profond (Bathys Rax).


venerdì 29 giugno 2018

29 Giugno Santi Italici ed Italo Greci


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PICTORIAL DECORATION OF RUPESTRIAN CHURCHES DURING THE BYZANTINE EMPIRE: CAPPADOCIA AND SOUTHERN ITALY D.
 https://docplayer.it/42824579-The-rupestrian-settlements-in-the-circum-mediterranean-area.html


Santo Leonino Vescovo di Padova(verso il III secolo)
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Leonino

Viene citato nelle liste dei vescovi di Padova del III secolo , in particolare nella “Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane” di Rolandino di Padova e nel “Liber Niger” della Biblioteca Capitolare di Padova di due secoli posteriore e si afferma che fu canonizzato. Di lui le cronache riportano una nota concisa ma molto precisa: fu
« patavus pauper sed virtutibus radians »
Il corpo di san Leonino giaceva nell'area dell'oratorio opilioniano annesso alla basilica di Santa Giustina. Per la loro tumulazione e venerazione, i resti furono traslati entro un'arca collocata sotto la mensa di un oratorio eretto in onore del santo in località Prato della Valle su proprietà del cenobio. La chiesa fu chiusa al culto nel 1808 in seguito alle legislazioni ecclesiastiche napoleoniche e dopo il 1809 le reliquie furono traslate nel Duomo per esservi collocate dietro l'altare della cappella di san Lorenzo Giustiniani, dove una lapide riporta:
« Corpus beati Leolini episcopi patavini »


Leggere nche

il mistero di San Leolino









Santo Ilario Vescovo di Padova (verso il IV secolo )
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91962
La piú antica lista dei vescovi padovani che si conosca, premessa alla Cronica in factis et circa Jacta Marchie Trivixane di Rolandino da Padova del 1267 ca. lo dà come quindicesimo successore di s. Prosdocimo, mentre come sedicesimo lo indica il Liber Niger della capitolare di Padova di tre secc. posteriore, che aggiunge "episcopavit Anno Domini 346". Un secolo dopo B. Scardeone lo dice di origine romana, tra padovano di sentimenti, aggiungendo che il 346 non sarebbe l'anno della sua elezione, ma quello della morte. Dallo Scardeone dipendono Ferrari, Ughelli e Orsato: l'Ughelli però considera il 346 come l'anno della consacrazione e, dandogli ventidue anni di episcopato, ne sposta la morte al 368, mentre Orsato lo fa morire nel 363. In realtà si tratta di date e fatti che non possono in alcun modo essere provati.
Monterosso e Giustiniani confessano di non saper come conciliare la data dell'episcopato patavino di Ilario, attestata dalla tradizione, con quella dell'episcopato patavino di Crispino, attestata da s. Atanasio proprio tra il 343 e 356. I maggiori storici della Chiesa patavina, G. Brunacci e Dondi Dall'Orologio, invece, non parlano d'un vescovo Ilario, neppure quando trattano dell'abbazia di S. Ilario ai confini del territorio padovano. A quanto si sa, fu lo Scardeone il primo testimone dell'identificazione di Ilario vescovo di Padova con l'omonimo titolare di quell'abbazia.
Fin dal 784 il doge Agnello (Angelo Partecipazio o Particiaco) aveva fondato, sul litorale matamancense della laguna veneta, una chiesetta dedicata a s. Ilario, confessore, che, nel magg. dell'819, Agnello e il figlio Giustiniano donarono ai Benedettini di S. Servolo "martire" con ricca dotazione di terre da loro possedute all'intorno, perché fondassero un'abbazia e vi si stabilissero. Questa abbazia, tomba di parecchi dogi e di altre personalità veneziane, decadde in seguito, tanto che nel sec. XVII non restava che una cappella ed ora vi sono solo poche rovine. Il titolo passò alla nuova chiesa di Malcontenta (1919), che, da filiale delle Gambarare, nel 1924 divenne parrocchiale e nel 1949 riprese il titolo abbaziale.
Già il Masieri aveva negato ogni relazione tra il vescovo di Padova e il titolare dell'abbazia. C. Agnoletti crede che quest'ultimo altri non sia che il vescovo di Poitiers, "che di fresco aveva avuto successore il nostro s. Venanzio". I Bollandisti, però, già prima avevano fatto rilevare come Ilario di Poitíers fosse festeggiato il 13 gennaio, quello di Aquileia il 16 marzo e quello di Arles il 5 maggio, mentre il titolare dell'abbazia del litorale veneto era celebrato nella sua chiesa il 29 giugno. Di questo fatto si fa forte A. Barzon per avvalorare la possibilità che il s. Ilario "confessore", cui era dedicata quella chiesa e quell'abbazia ai confini del territorio padovano, verso la laguna dove due secoli prima s'erano rifugiati i patavíni in fuga con il loro vescovo, possa essere l'Ilario che la tradizione vuole vescovo di Padova e pertanto, sia pure con molte riserve, lo inserisce appunto nella serie dei vescovi padovani del primo millennio da lui ricostruita. Lo stesso autore, però, rifiuta la data del 346, per collocare la sua presenza qualche tempo prima o dopo la distruzione di Padova ad opera dei Longobardi (602).
Leggere anche

“SANT’ILARIO DI FUSINA … DOVE INIZIAVA E FINIVA VENEZIA SERENISSIMA.”
http://stedrs.blogspot.com/2017/02/santilario-di-fusina-dove-iniziava-e.html















Santo Cassio Vescovo di Narni( verso il 558)

Martirologio Romano: A Narni in Umbria, san Cassio, vescovo, che, come riferisce il papa san Gregorio Magno, ogni giorno offriva a Dio il sacrificio di riconciliazione effondendosi in lacrime e tutto quel che aveva dava in elemosina; infine, nel giorno in cui si celebra la solennità degli Apostoli, per la quale tutti gli anni era solito recarsi a Roma, dopo aver celebrato la Messa nella sua città e distribuito a tutti il corpo di Cristo, fece ritorno al Signore.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/59960
Le notizie più importanti e più sicure intorno a Cassio sono attinte dai Dialogi di san Gregorio Magno (III, 6; IV, 58) e dalla Homilia in Evang. (II, 37) dello stesso. Assai importante come fonte è, inoltre, l'epitafio di Cassio (CIL, X, 2, n. 4164), che è tuttora visibile sulla parete esterna della cappella di San Cassio nel duomo di Narni: nell'epigrafe è Cassio stesso che parla indicando che, davanti al sepolcro dove egli riposa, giace anche Fausta, consorte dilettissima della sua vita, e chiedendo per sé e per lei la preghiera dei visitatori. Per ascendere agli ordini sacri si era separato dalla moglie, ma i due sposi si erano uniti di nuovo nella morte. Sull'orlo inferiore della lastra c'è un alfabeto scolpito contemporaneamente all'epitafio.
Dall'epigrafe apprendiamo che Cassio fu consacrato il 9 ottobre 536 e san Gregorio, lodandolo, dice che visse ai tempi di Totila. Cassio illustrò la sede episcopale di Narni nel tempo delle guerre gotiche e fu uno dei vescovi che, in quel triste periodo di sciagure per l'Italia, attuò con zelo e prudenza le direttive della Chiesa nel ministero pastorale. San Gregorio racconta che nel territorio di Narni un portaspada di Totila, posseduto dal demonio, fu liberato per le preghiere di Cassio.
Per la festa di san Pietro (29 giugno) il santo vescovo soleva recarsi a Roma, ma, avuta la rivelazione che sarebbe morto in quella occasione, desistette dal viaggio; tuttavia, la morte lo colse proprio in quel giorno. San Gregorio narrò al popolo raccolto nella chiesa di San Sebastiano sulla via Appia, come la profezia si fosse avverata dopo qualche anno. L'iscrizione tombale dice che morì il 30 giugno 558. Nelle tragiche circostanze del sacco di Narni fu fatta la traslazione delle reliquie di Cassio e di Giovenale, anch'egli vescovo di Narni, da quella città a Lucca: intorno all'anno del sacco e della conseguente traslazione sono state emesse molte ipotesi (Anal. Boll., XLVIII [1930], p. 409).
Contiene la narrazione di questa traslazione un documento forse del sec. IX o X (in MGH, Scriptores, XXX, pp. 976-83). Cassio è ricordato nel Martirologio Romano al 29 giugno; il suo elogio è stato ripreso dai Dialogi e dall'omelia di san Gregorio Magno.













  Tratto da   
           
https://cattedraledinarni.weebly.com/san-cassio.html



Fu Vescovo di Narni dal 536 al 558.  Il Papa San Gregorio nei “Dialoghi” e nelle “Omelie” parla della sua vita e della sua santità. Sappiamo che era sposato a Fausta che egli chiamava “consors dulcissima vitae” e che morì alcuni anni prima di lui.

Resse la Chiesa di Narni durante le invasioni barbariche, si adoperò per ammansire la furia degli invasori, affrontò personalmente il re Totila che aveva distrutto Terni e Carsulae ottenendo che la città di Narni fosse risparmiata.

Si narra che morì attorniato da tutti i suoi presbiteri. Il suo culto è molto vivo fin dall’alto medioevo; è considerato patrono di Narni congiuntamente a San Giovenale, Vescovo proveniente dall’Africa.

Le sue reliquie furono trafugate nell’850 e portate nella Basilica di San Frediano in Lucca. Nel 1676 una parte di esse fu restituita alla città di Narni e di nuovo riposte nel Sacello, all’interno della Cattedrale, ove era stato sepolto.

Un’antica epigrafe con una bella iscrizione metrica risalente al VI secolo (30 giugno 558), posta all’interno dell’antico Sacello, glorifica il Santo e sua moglie.

30 Giugno Santi di Spagna e Portogallo

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 L’Annunciazione, miniatura mozarabica, Tratado de San Ildefonso acerca de la virginidad de Maria, fol. 66

Saint MARCIEN, évêque de Pampelune en Navarre (vers 737)

30 Giugno Santi Martiri dal XVI al XXI secolo

 


https://www.johnsanidopoulos.com/2017/07/saint-michael-paknanas-resource-page.html

Saint MICHEL, jardinier de son état, martyr à Athènes par la main des Musulmans (1770).


Mémoire des chrétiens orthodoxes qui furent sauvagement massacrés par les hordes kurdes dans la province de Diyarbékir en Asie mineure (1896). 


 Saint THEOGENE, moine, martyr par la main des Communistes (Russie 1939).

30 Giugno Santi di Francia


 

Saint MARTIAL, un des sept saints fondateurs de la Gaule, évêque de Limoges et apôtre du Limousin (après 250).

Saints ALPINIEN et AUSTRECLINIEN (STRATOCLINIEN), prêtres, disciples de saint Martial de Limoges, apôtres du Limousin et martyrs (après 250).

Saint OSTIEN, prêtre et confesseur dans le Vivarais.

Saint BERTRAND (BERTICHRAMN, BERTRINGAN), archidiacre de Paris, puis évêque du Mans, thaumaturge (623). (Autre mémoire le 6 juin.)

Sainte ADELE (ADILIE), abbesse d'Orp-le-Grand dans le Brabant wallon (vers 700).

Sainte CLOTSINDE (GLOSSENDE, CLOTSENDE, CLOTSINDIS), soeur de saintes Adelsinde et Ysoie, abbesse à Marchiennes en Hainaut (vers 703 ou 714).

Saint MARCIEN, évêque de Pampelune en Navarre (vers 737)

giovedì 28 giugno 2018

28 Giugno Santi Italici ed Italo Greci





Santo Papia (in alcuni codici Papino) martire in Sicilia sotto Diocleziano

Tratto da
http://regio18.blogspot.com/2012/06/san-papino-o-pappiano-o-papia-martire.html
 http://siciliasantiprimomillenni.blogspot.com/2017/06/sikelia-saints-pour-le-28-juin-du.html
 
Santo Papa Leone II Papa e Patriarca di Roma (verso il  683)

Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/l/leone2.htm
Secondo alcune fonti, i Santi Papi Agatone e Leone II erano siciliani. Secondo altri erano invece del Cicolano. Questo territorio, e cioè la valle del Salto, è la parte più orientale della Provincia di Rieti. Il Cicolano che fino al 1927 faceva parte dell'Abruzzo, nell'antichità era abitato dal popolo degli Equicoli, parenti degli Equi. San Leone II, figlio di un medico di nome Paolo, sarebbe originario della piccola città di Cedella (oggi Civitella di Pescorocchiano) "in un cantone dell'Abruzzo Ulteriore, chiamata la Valle di Sicilia; ed è perciò che dalla maggior parte degli scrittori è creduto siciliano di nascita" (RICHARD-GIRAUD; Biblioteca Sacra ovvero Dizionario universale delle scienze ecclesiastiche, riportato nel II vol. Dell'Abruzzo-Aquilano Santo, 378-9). Nel Leggendario Francescano, poi, al 30 giugno è detto: "Questo (della Beata Florisenda da Sulmona) fu il secondo monastero di monache francescane, che leggiamo fondato nella provincia d'Abruzzo, essendo stato il primo quello fatto nella valle di Cicoli detta anticamente Vallissicula o Siciliana, e al presente Cicoli, mutato e corrotto l'antico vocabolo, e vi nacquero San Leone Secondo e Sant'Agatone Papi". Un lungo periodo di sede vacante seguì la morte di quest'ultimo: l'approvazione imperiale del neo eletto Leone II si fece attendere ben 18 mesi. Nel concilio ecumenico di Costantinopoli si era, tra l'altro, verificata la condanna ufficiale di Onorio I e si trattava di una nota un po' delicata, sulla quale l'imperatore esigeva peraltro un'adesione totale dell'Occidente; quindi l'approvazione imperiale fu ritardata ad arte. La delegazione romana tornò a Roma solo nel luglio del 682; Leone II fu consacrato il 17 agosto ed il mese dopo inviò una lettera all'imperatore nella quale dichiarava di approvare tutte le decisioni del concilio compresa quella su Onorio I. Sotto il suo pur breve pontificato riuscì a restaurare due chiese: S. Bibiana e S. Giorgio al Velabro. Situata dietro l'arco di Giano, quest'ultima chiesa, per quanto restaurata di nuovo fino agli inizi del nostro secolo, ha mantenuto sempre quella semplice struttura datale da Leone II. Il pontefice in questione morì il 3 luglio del 683 e fu sepolto in San Pietro, ma Paolo V ne trasportò poi la salma sotto l'altare della cappella della Madonna della Colonna nella nuova basilica. Fu una persona colta, mite, affabile e generosa.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/60550
Poche notizie certe sulla nascita e sulla vita precedente alla sua elezione a pontefice. Nativo della Sicilia, a Messina oppure ad Aidone vicino Piazza Armerina; è narrato nel Liber Pontificalis che era dotato di grande eloquenza, conosceva le lingue greca e latina e aveva un’attitudine notevole per il canto e la salmodia, tutto questo fa pensare che aveva come attività la direzione della Schola cantorum al Laterano.
Fu consacrato papa nell’agosto 682, cioè diciotto mesi dopo la sua elezione, perché un poco prima l’imperatore d’Oriente Costantino IV Pogonato, aveva ripristinato l’antica norma di trasmettere a Bisanzio gli atti relativi all’elezione del papa per averne l’approvazione e quindi il permesso imperiale alla consacrazione; inoltre a Costantinopoli in quei mesi si celebrava il VI Concilio Ecumenico, quindi i vescovi completarono l’Assise, così ritornati a Roma sottoposero a Leone II i risultati del Concilio e l’approvazione per lui da parte dell’imperatore.
Già con questi atti conciliari papa Leone II dovette affrontare il primo disagio, infatti essi nel condannare il monotelismo, coinvolsero fra gli eretici anche il papa di Roma antica, Onorio. Leone II non potendo mettere in pericolo la pace religiosa che si era instaurata fra la Chiesa e l’Impero, approvò le delibere conciliari, specificando però che papa Onorio era stato negligente e imprevidente e quindi permise che la fede immacolata fosse contaminata, ma che non poteva essere annoverato fra gli eretici.(..)  Altro grave problema che dovette affrontare, fu il rifiuto che la Chiesa di Ravenna da qualche tempo, opponeva all’obbedienza al romano pontefice e quindi era divenuta scismatica, con il sostegno dell’imperatore bizantino, che nel 666 aveva dichiarata Ravenna indipendente dal vescovo di Roma.
Con l’arcivescovo ravennate Teodoro, si addivenne ad un accordo, in cui la supremazia di Roma era riconosciuta e che ogni futuro arcivescovo avrebbe ricevuto la consacrazione dalle mani del papa a Roma, a Teodoro e ai suoi successori venivano concesse esenzioni di tasse relative alla carica ricevuta.
Restaurò la chiesa di santa Bibiana, nella quale fece trasferire i corpi dei santi martiri Simplicio, Faustino e Beatrice, che erano sepolti lungo la via di Porto. Celebrò con grande pompa esterna le funzioni religiose, affinché i fedeli fossero sempre più consapevoli della maestà di Dio; istituì l’aspersione dell’acqua benedetta nei riti cristiani e sul popolo.
Morì il 3 luglio 683 e fu sepolto in S. Pietro; intorno al 1100, le sue reliquie insieme a quelle dei suoi successori Leone III e IV, furono poste vicino a quelle di s. Leone I Magno.
Quando fu eretta la nuova basilica di S. Pietro, le reliquie dei papi Leone I, II, III e IV, furono trasportate il 27 maggio 1607 sotto l’altare di S. Maria de columna alla presenza di papa Paolo V, che ne aveva effettuato una ricognizione.

Tratto da
http://www.granmirci.it/sanleone.htm
Successe a Papa Agatone che  era stato rappresentato al sesto Concilio Ecumenico  (quello di Costantinopoli  del 680), dove venne posto l'anatema suPapa Onorio I per la sua posizione nella controversia Monotelita, come favoreggiatore dell'eresia; e Leone scrisse più di una volta in approvazione della decisione del Concilio e in condanna di Onorio, che egli considerava come uno che "profana proditione immaculatem fidem subvertare conatus est". Per il peso che hanno sulla questione dell'infallibilità papale, queste parole hanno provocato considerevole attenzione e dibattito, e si da importanza al fatto che nel testo in greco della lettera all'imperatore, in cui compare la frase di cui sopra, viene usata la più lieve espressione "subverti permisit" al posto di "subvertare conatus est".
Fu durante il pontificato di Leone che la dipendenza della sede di Ravenna da quella di Roma venne stabilita definitivamente per editto imperiale.
    Egli era uomo di grande dottrina, esperto nell'eloquenza e nelle lettere latine e greche. Aveva anche una grande sensibilità musicale. Queste le sue doti umane, ma antichi testi dicono che risplendesse anche nelle doti spirituali e morali, carissimo al popolo poichè sommamente caritatevole e aperto alle esigenze degli umili.
    E' narrato nel Liber Pontificalis che appunto <<era dotato di grande eloquenza, conosceva le lingue greca e latina e aveva un’attitudine notevole per il canto e la salmodia>>, tutto questo fa pensare che aveva come attività la direzione della Schola cantorum al Laterano da egli stesso ideata.
    Leone fu consacrato papa nell’agosto 682, ben diciotto mesi dopo la sua elezione, perché un poco prima l’imperatore d’Oriente Costantino IV Pogonato, aveva ripristinato l’antica norma di trasmettere a Bisanzio gli atti relativi all’elezione del papa per averne l’approvazione e quindi il permesso imperiale alla consacrazione; inoltre a Costantinopoli in quei mesi si celebrava il VI Concilio Ecumenico, quindi i vescovi completarono l’Assise, così ritornati a Roma sottoposero a Leone II i risultati del Concilio e l’approvazione per lui da parte dell’imperatore. Questo papa cercò di affermare la supremazia papale contro i continui tentativi dei patriarchi di Costantinopoli di liberarsi dalla dipendenza da Roma.

    Già con questi atti conciliari papa Leone II dovette affrontare il primo problema, infatti essi nel condannare il monotelismo, coinvolsero fra gli eretici anche il papa di Roma antica, Onorio. Leone II non potendo mettere in pericolo la pace religiosa che si era instaurata fra la Chiesa e l’Impero, approvò le delibere conciliari, specificando però che papa Onorio era stato  imprevidente, ma che non poteva essere annoverato fra gli eretici. Questa eresia sorse nel secolo VII nella Chiesa Bizantina, essa pur riconoscendo le due nature di Cristo, affermava però che in Lui la volontà divina predominava su quella umana. Purtroppo gli Atti conclusivi del Concilio contenevano in chiusura un indirizzo di omaggio all’imperatore Costantino IV, il quale era presentato come collaboratore immediato di Dio, cioè esecutore diretto della volontà divina in concorrenza quindi con il Papa e anche indipendente da lui, inoltre l’imperatore nella sua lettera, scrive al papa quasi da superiore ad inferiore, rivendicando a sé il merito del ristabilimento della fede. In tutto ciò s’intravedevano già i segni di futuri scontri fra Bisanzio e Roma che Leone cercò di conciliare e mediare, ma che esplosero nel decennio seguente.
Questa la lettera che Papa Leone II scrisse a Costantino IV:
O Santa Madre Chiesa, alzati, getta via la tua veste di dolore e copriti con l’abito della gioia ! Vedi che giunge tuo figlio, il più valoroso dei principi, il signore che ti protegge e ti difende. Non aver più paura ! Egli si è armato della spada della parola divina, con cui separa i fedeli dagl’infedeli; egli ha indossato la corazza della fede e l’elmo della salvezza, la speranza. Guardalo, il tuo eroe guerriero, il nuovo Davide, non il re di un popolo giudeo, ma il principe pio del popolo cristiano, nella veste purpurea del nazareno. Egli ha sconfitto Golia. Accorrete, voi Chiese di Cristo, voi vescovi con i popoli tutti che sono sulla terra, cantate con voce potente: ha vinto il nuovo Davide, il più valoroso fra tutti i successori d’Augusto. Giubila, Santa Madre Chiesa, in libertà sicura. Cristo, il tuo re vincitore ha destato un imperatore fedele, un signore che ti protegge. Respirino le Chiese di Cristo in nuova libertà. Il favore imperiale ti colma della sua protezione principesca, ti sta attorno come un baluardo; la sua bontà sublime fa loro questa promessa con le parole del Signore e imitando Cristo stesso: - Vedi, io sono con Voi sino alla fine del mondo – “.
 
    Altro grave problema che San Leone papa dovette affrontare, fu il rifiuto che la Chiesa di Ravenna da qualche tempo, opponeva all’obbedienza al romano pontefice e quindi era divenuta scismatica, con il sostegno dell’imperatore bizantino, che nel 666 aveva dichiarata Ravenna indipendente dal vescovo di Roma. Con l’arcivescovo ravennate Teodoro, si addivenne ad un accordo, in cui la supremazia di Roma era riconosciuta e che ogni futuro arcivescovo avrebbe ricevuto la consacrazione dalle mani del Papa a Roma, a Teodoro e ai suoi successori venivano concesse esenzioni di tasse relative alla carica ricevuta.
    Sotto il suo pur breve pontificato riuscì a restaurare due chiese: S. Bibiana e S. Giorgio al Velabro. Situata dietro l'arco di Giano, quest'ultima chiesa, per quanto restaurata più volte fino agli inizi del nostro secolo, ha mantenuto sempre quella semplice struttura datale da Leone II. Nella chiesa di santa Bibiana fece trasferire i corpi dei santi martiri Simplicio, Faustino e Beatrice, che erano sepolti lungo la via di Porto. Celebrò con grande pompa esterna le funzioni religiose, affinché i fedeli fossero sempre più consapevoli della maestà di Dio.
Fatto importantissimo di questo papa è l'istituzione dell’aspersione dell’acqua benedetta sul popolo nei riti cristiani e  e il bacio di pace nella Messa.
    Morì il 3 luglio 683 e fu sepolto in S. Pietro, giorno nel quale si festeggia il grande Santo Messinese; ma stranamente data mai ricordata dalla sua città natale. Intorno al 1100, le sue reliquie insieme a quelle dei suoi successori Leone III e IV, furono poste vicino a quelle di S. Leone I Magno. Quando fu eretta la nuova basilica di S. Pietro, le reliquie dei papi Leone I, II, III e IV, furono trasportate, il 27 maggio 1607, sotto l’altare di S. Maria de Columna alla presenza di papa Paolo V, che ne aveva effettuato una ricognizione.
    E' ricordato come  persona colta, mite, affabile e generosa. Nato in Sicilia a Messina, da  molti messinesi neppure ricordato e soprattutto non festeggiato. San Leone è nello stuolo dei Santi nei quali  la forza della virtù e le doti spirituali sono note solamente a Dio e obliate dagli uomini.

    Da lui trasse cognome l'antica e nobile gens dei "Papaleone", le cui abitazioni si trovavano presso l'antica via Monasteri e vicino l'attuale Teatro Vittorio Emanuele.
    Il pontificato di questo papa durò appena un anno e venne poi dalla Chiesa santificato. Messina per ricordarlo gli dedicò nel 1623 una delle 18 porte dell'antica Palazzata e precisamente quella che dalla marina conduceva al Pozzoleone, la quale per questo motivo fu detta Porta Leonina. Ancora oggi la città ricorda questo Papa dedicandogli un quartiere, il più vasto e popoloso, e precisamente il IX detto appunto S. Leone.


Leggere anche

LEONE II, papa, santo

http://www.treccani.it/enciclopedia/leone-ii-papa-santo_%28Dizionario-Biografico%29/

Santo Paolo I Papa e Patriarca di Roma (verso il  767) che confessa la retta fede contra et versus l’iconoclastia dell’imperatore Costantino  V Copronimo


Martirologio Romano: A Roma, san Paolo I, papa, che, uomo mite e misericordioso, si aggirava di notte in silenzio per le celle dei poveri infermi, servendo loro degli alimenti; difensore della retta fede, scrisse agli imperatori Costantino e Leone, perché le sacre immagini fossero restituite alla primitiva venerazione; devoto cultore dei santi, trasferì tra inni e cantici i corpi dei martiri dai cimiteri in rovina in basiliche e monasteri all’interno della Città e ne curò il culto.


Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/89093
Due fratelli papi, uno dopo l’altro: mai accaduto prima, e mai più dopo. Morto al Laterano Stefano II, e prima ancora di seppellirlo in San Pietro, la maggioranza di clero, nobili e popolo di Roma chiama a succedergli il diacono Paolo: ha assistito fino all’ultimo il fratello, e ora prende il suo posto, per guidare la Chiesa in una situazione del tutto nuova.
Al tempo di Stefano II è finito il dominio dell’Impero d’Oriente su Roma e gran parte dell’Italia centrale, e rapidamente è entrato in quei territori il re longobardo Astolfo, che ha assediato Roma e saccheggiato le catacombe fuori città.
Dal regno dei Franchi è intervenuto allora in soccorso del Pontefice Pipino (detto “il Breve” per la sua bassa statura), che con due campagne militari ha ripreso quei territori, ponendoli sotto la sovranità di Stefano II. Il quale, in contraccambio, lo ha riconosciuto e consacrato re dei Franchi, al posto dei discendenti di Clodoveo. Così Paolo I si ritrova Pontefice, capo spirituale della Chiesa e sovrano temporale in territori italiani. Un evento di portata enorme: dopo secoli, l’Italia non dipende più da re stranieri, e si ritrova ad avere, per l’epoca, «il migliore dei governi nazionali sperimentati», secondo lo storico Corrado Barbagallo. Ma al tempo stesso la missione spirituale della Chiesa si ritrova mescolata alle politiche terrene. Con pericoli enormi. E proprio a Paolo I tocca sperimentarne le prime novità. Il re longobardo Desiderio (successore di Astolfo) cerca di provocare uno sbarco bizantino in Italia. L’imperatore d’Oriente prova a mettere Pipino contro Roma, intrecciando le questioni politiche e territoriali con i dibattiti dei teologi. E lo stesso re Pipino, per amico e buon cristiano che sia, è assai lento nel restituire al Pontefice varie città che ha strappato ai Longobardi. Allora il capo della Chiesa deve agire anche da capo di Stato per farsele consegnare.
Paolo I è considerato il salvatore di molte reliquie dei martiri cristiani: le ha fatte togliere dalle catacombe (sempre esposte ai saccheggi) per esporle alla venerazione dei fedeli nelle chiese. E nel suo tempo è l’amico migliore dei carcerati: li va a trovare regolarmente di persona, girando di notte da un carcere all’altro, soccorrendo le famiglie, riscattando i detenuti per debiti. Questo deve fare il capo della Chiesa. Ma adesso tocca a lui per primo fronteggiare il sovrano bizantino e quello longobardo, tenersi buono Pipino oggi con ammonimenti, domani con regali e lodi. E poi c’è la politica interna, ormai; c’è da governare il territorio e Roma affidandosi ai funzionari, non tutti di prima scelta. Certuni sono chiamati “iniqui satelliti” dal Liber pontificalis; e con titoli peggiori dalla gente.
Verso il decimo anno del suo pontificatosi attenua la conflittualità politica. Ma finisce anche la vita di Paolo I. Ai primi colori dell’estate viene colpito da una “febbre maligna”, probabilmente malaria, e muore in un monastero presso la basilica di San Paolo fuori le Mura. Non è possibile celebrare subito i funerali, perché nel giorno della sua morte scoppia in Roma una sommossa, frutto del rancore seminato dagli “iniqui satelliti”. Il corpo viene dapprima inumato nella basilica di San Paolo, e tre mesi dopo avrà sepoltura in San Pietro.

29 Giugno Santi di Francia




Christ Original Icon 36' tall
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Saints MARCEL (MARCEAU) et ANASTASE le soldat, martyrs sous Aurélien à Argenton-sur-Creuse dans le Berry (entre 270 et 275).

Sainte BEATE (BENEDICTE), vierge, martyre près de Sens en Bourgogne (vers 294)

Saint GEORGES, ermite à Lunas en Languedoc (IVème siècle).

Saint COLFIN (COLAFIN), évêque d'Aleth (siège transféré à Saint-Malo en 1143) en Bretagne (619).

29 Giugno Santi Martiri dal XVI al XXI secolo


 Immagine correlata

Saint PIERRE (Fedosikhen), évêque, martyr par la main des Communistes (Russie 1939).

mercoledì 27 giugno 2018

27 Giugno Santi Italici ed Italo greci



 

Santi Crispo prete, Crispiniano  e Benedetta asceta martiri a Roma sotto Giuliano l’Apostata(verso il 362)

Tratto da
https://www.romafelix.it/storia-di-giovanni-e-paolo-alle-case-romane-del-celio/
Chi erano Giovanni e Paolo? Due fratelli cristiani martirizzati durante l’impero di Giuliano l’Apostata (361-363).
È quanto racconta la passio redatta nel IV secolo che consta di tre versioni consecutive: nella prima vengono presentati come maggiordomo e primicerio, ovvero capo della cancelleria imperiale, di Costantina, figlia di Costantino imperatore, poi come soldati del generale Gallicano e infine come privati cittadini, nella loro casa del Celio, molto munifici di elemosine e aiuti grazie ai beni ricevuti da Costantina.
La versione adottata dalla tradizione racconta che nel 361 era salito al trono l’imperatore Giuliano, detto l’Apostata, per via della sua decisione di ripristinare il culto pagano. Egli, per farlo, chiamò a corte proprio Giovanni e Paolo così che potessero collaborare al progetto. I due fratelli – che dovevano avere molta considerazione a corte – rifiutarono l’invito dell’imperatore e Giuliano mandò loro il capo delle guardie, un certo Terenziano, con l’intimazione di adorare l’idolo di Giove. Persistendo nel rifiuto, Giovanni e Paolo vennero sequestrai nella loro casa per una decina di giorni, perché riflettessero sulle conseguenze del gesto d’insubordinazione attuato. A quel punto, un prete di nome Crispo, informato del fatto, si recò insieme con Crispiniano e Benedetta, entrambi cristiani, a visitare i due fratelli portando loro la santa Comunione e un po’ di conforto. Trascorsi i dieci giorni, Terenziano tornò alla casa minacciando e lusingando i due per tre lunghe ore. Vista l’impossibilità di convincerli ad adorare Giove, li fece decapitare e seppellire in una fossa scavata nella stessa casa, spargendo la voce che erano stati esiliati. Era il 26 giugno del 362.
Crispo, Crispiniano e Benedetta, avendo ricevuto notizia della morte di Giovanni e Paolo, si recarono alla casa dei due fratelli, dove furono sorpresi dalle guardie dell’imperatore e, a loro volta, uccisi.

Tratto da
http://www.30giorni.it/articoli_supplemento_id_22116_l1.htm
Tutto quel che sappiamo di loro proviene da documenti liturgici, alcuni dei quali a loro contemporanei, e dalla Passio di cui abbiamo la trascrizione del VI secolo. Cosa che ha fatto storcere il naso a molti. Come se la liturgia cristiana si potesse permettere le favole e non fosse memoria di fatti. E senza tener presente poi che è stato proprio con la guida della Passio che nel secolo scorso fu rintracciata la casa dove Giovanni e Paolo furono uccisi, le loro fosse scavate nel tufo vergine e la confessio edificata qualche anno più tardi sul posto da Bizante e Pammachio.
I due fratelli ci vengono presentati come dignitari della corte imperiale, eredi di Costantina, la figlia di Costantino morta nel 354. In rotta col nuovo imperatore Giuliano, proprio a causa dei beni ricevuti, che è probabile siano stati contestati loro e che essi, a causa della loro fede cristiana, non avranno permesso fossero confiscati a beneficio degli dei falsi e bugiardi. Magari si trattò di quella stessa casa che è stata ritrovata sotto la Basilica a loro intitolata sul Celio, a Roma, e che documenta evidentemente la presenza di cristiani.
La Passio si apre con le parole di Giuliano (non presentato peraltro come intervenuto di persona, in rispetto del dato storico che vuole che Giuliano mai sia venuto a Roma): «Il vostro Cristo dice nel Vangelo che chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere suo discepolo». Giuliano pretende giustificare la confisca dei beni che i due fratelli avevano ricevuto in forza di quel ricatto etico che sarebbe inconcepibile fuori dell’apostasia cristiana. Tant’è vero che in epoca moderna è diventato norma.
Di fronte all’invito dell’imperatore a essergli fedeli, i due cristiani rifiutano: «Tu hai abbandonato la fede per seguire cose che sai benissimo non avere nulla a che fare con Dio. Per questa apostasia abbiamo smesso di rivolgerti il nostro saluto». Per questo, aggiungono, ci siamo sottratti «a societate imperii vestri».
Giuliano manda allora ai due fratelli un messaggio pieno di lusinghe e minacce: «Anche voi siete stati educati a corte, perciò non potete esimervi dallo stare al mio fianco, anzi io vi voglio fra i primi della mia corte. Ma attenzione: se riceverò una risposta sprezzante da voi, non potrò consentire che restiate impuniti». (In effetti, scrive lo storico Socrate che «Giuliano indusse a sacrificare molti cristiani, parte con lusinghe, parte con donativi». Ci furono defezioni specie fra i militari, ma non ne mancarono addirittura fra i chierici).
I due fratelli mandano a riferire questa loro risposta: «Noi non ti facciamo il torto di anteporre a te un’altra persona qualunque. Ma solo Dio, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che vi sono contenute. Temano perciò la tua ira gli uomini attaccati al mondo. Noi temiamo solo d’incorrere nell’inimicizia dell’eterno Dio. Perciò vogliamo farti sapere che non aderiremo mai al tuo culto (numquam ad culturam tuam), né verremo nel tuo palazzo».
L’imperatore concede loro ancora dieci giorni «per riflettere», perché «vi risolviate a venire da me, non per forza ma spontaneamente».
I due fratelli ribattono: «Fa’ conto che siano già passati i dieci giorni». E Giuliano: «Pensate che i cristiani faranno di voi dei martiri?... ».
Paolo e Giovanni allora chiamano i loro amici, Crispo, prete della comunità di Roma, Crispiniano e Benedetta. A loro raccontano tutto. Celebrano insieme l’Eucaristia e poi invitano i cristiani, dando disposizioni relative a tutti i loro beni. Trascorsi dieci giorni, l’undicesimo scattano gli arresti domiciliari.
Saputa la notizia, Crispo e gli altri amici accorrono, ma non è permesso loro di entrare. Entrano invece l’istruttore di campo Terenziano (quello che la Passio dice essere stato l’estensore del racconto, una volta convertito) e i suoi poliziotti. Ai due fratelli, che stavano pregando, intima di adorare un idolo, altrimenti saranno trafitti dalla spada «non essendo conveniente uccidere pubblicamente uomini cresciuti a corte». Giuliano voleva evitare in ogni modo che ci fossero martiri fra i cristiani. E se ci fossero stati, che fossero dissimulati.
«Per noi», rispondono i due, «non c’è altro signore che l’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che Giuliano non ha temuto di rinnegare; e siccome è stato respinto da Dio, vuole trascinare anche altri nella rovina sua».
Dopo un paio d’ore i due cristiani vengono giustiziati. È il 26 giugno del 362. Sono segretamente sepolti nel criptoportico della loro stessa casa. E viene messa poi in giro la voce che i due erano stati mandati in esilio.
Crispo, Crispiniano e Benedetta immaginano la loro sorte, ma non possono far altro che piangerli e pregare per conoscere il luogo della loro sepoltura. Vengono esauditi. Ma anche loro subiscono la decapitazione per mano del figlio di Terenziano.

Santo Deodato vescovo di Nola e discepolo di San Paolino di Nola(verso il 473)

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/59510

La sua Vita, edita in compendio dal Ferrari, in integro dall'Ughelli e dal bollandista Papebroch, il quale la dice scritta o trascritta nel 1117, ci informa che Deodato fu arciprete di Nola al tempo del vescovo Paolino il giovane, morto nel 442. Era così prudente e circospetto «Ut omnibus presbyterorum et clericorum consensu totius Ecciesiae Nolanae administratio in redditus exigendis ac dispensandis [ei] committeretur: et sic quodam modo episcopus erat». Accusato da malevoli presso l'imperatore Valentiniano III di disporre dei predetti beni «pro arbitrio et ad proprium usum», prima fu incarcerato, indi esiliato, e, infine, non senza l'intervento di Dio, rimesso in libertà. Due anni dopo successe a Paolino.
La sua morte avvenne il 26 giugno 473; fu sepolto nella sua città.
Quando, forse, era ancora arciprete, si era preparato il proprio cenotafio con questa iscrizione: «Deodatus indignus archipresbyter Sanctae Nolanae Ecclesiae requiescit hic», seguita da uno spazio libero per la data di morte. Sembra, però, che al suo decesso gliene fosse dedicata un'altra, che cominciava: «Dilectus a Deo et hominibus in sacerdotium». Ora, mentre il citato bollandista interpreta sacerdotium nel senso di episcopatum e non di archipresbyteratum, il Mallardo afferma che egli fu soltanto arciprete e non vescovo di Nola. Il Lanzoni tuttavia (p. 238) lo conserva nella lista episcopale, al sesto posto, e non sembra ragionevole negar fede all'antico autore della Vita, che ve lo pose. Verso l'840 il suo corpo fu trasportato a Benevento (BHL, I, p. 322, n. 2136).


Santo Maggiorino  vescovo di Acqui in Piemonte

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92383

Tutte le più antiche diocesi del Piemonte venerano come santi i loro rispettivi primi vescovi. I più celebri sono sicuramente Sant’Eusebio di Vercelli e San Massimo di Torino, nonché San Gaudenzio di Novara. E’ invece purtroppo completamente scomparso il culto di Sant’Eulogio di Ivrea e di San’Eustasio di Aosta. Accantonato per secoli, ma oggi rinvigorito è invece il proto-vescovo dell’antica Chiesa acquese San Maggiorino o Maiorano, o Malerino. Questi visse nel IV secolo e l’antica tradizione che lo vuole primo vescovo della città di Acqui Terme era attestata da una pergamena risalente all’XI secolo, prezioso cimelio del Capitolo della Cattedrale oggi scomparso. Fortunatamente il vescovo Pedroca ne inserì una copia nel suo capolavoro “Solatia chronologica Sanctae Ecclesiae Aquensis”, le cui prime righe nella traduzione italiana suonano così: “Qui si indicano i nomi di alcuni vescovi della Chiesa di Acqui che è situata in quella parte d’Italia detta delle Alpi Cozie: Maggiorino che resse la sede vescovile per 34 anni e 8 mesi; morì il 27 giugno; sepolto a S. Pietro...”. In queste due scarne righe sono così stati espressi gli unici presunti dati storici sul santo vescovo. Ma un’antichissima tradizione vuole Maggiorino uno dei 65 vescovi ordinati dal papa San Silvestro I nella prima metà del IV secolo e da lui inviati, in seguito al celebre Editto di Costantino a reggere nuove Chiese nella cristianità, che finalmente entro i confini dell’Impero Romano poté essere esente da persecuzioni.
Confrontando questi dati che indicano i quasi 35 anni dell’episcopato di San Maggiorino con le affermazioni dello storico Coiro, secondo il quale il terzo vescovo acquese avrebbe presenziato al Sinodo di Milano del 390, si ha così ulteriore conferma della tradizione che vuole Maggiorino inviato dal Papa quale primo vescovo di Acqui Terme.
Il Pedroca volle ricordarlo “quale intrepido emulatore nel predicare la fede cattolica e cultore fedele della verità cristiana”. Similmente si pronunciò l’antico Martyrologium della Chiesa acquese: “il 27 giugno da lungo tempo si venera San Maggiorino, che altri chiamano Maliorino, vescovo della Diocesi acquese. Il suo corpo dapprima sepolto in S. Pietro, l’antica cattedrale, fu da San Guido traslato nella nuova cattedrale, come risulta da antica scrittura”.
Riferì ancora il Pedroca: “Esiste presso l’Archivio vescovile una pergamena antichissima portante l’elenco dei vescovi che parteciparono al Sinodo romano del 324, presieduto da Papa Silvestro, dove si leggono i nomi di Maiorinus e Meliorinus: forse uno di quei due fu il Maggiorino (o Meliorino) di Acqui”.
Dal punto di vista storico sembra però più probabile la presenza di Maggiorino fra i 300 vescovi occidentali che parteciparono al Concilio di Milano convocato dall’imperatore Costanzo nel 355 contro Sant’Atanasio.



TRATTO da
http://www.diocesiacqui.piemonte.it/san_maggiorino.htm
E’ riconosciuto dagli studiosi, unanimemente, quale fondatore e primo vescovo della Chiesa acquese, a conferma, oltre la quasi bimillenaria tradizione, si ha un valido documento: la pergamena del sec. XI, glorioso cimelio del Capitolo della Cattedrale, conservato in quell’Archivio fino a che misteriosamente scomparve. Per nostra fortuna ne conservò copia il vescovo Pedroca inserendola nel suo capolavoro “Solatia chronologica Sanctae Ecclesiae Aquensis”. Ne riportiamo le prime righe nella traduzione italiana: “Qui si indicano i nomi di alcuni vescovi della Chiesa di Acqui che è situata in quella parte d’Italia detta delle Alpi Cozie: Maggiorino che resse la sede vescovile per 34 anni e 8 mesi; morì il 27 giugno; sepolto a S. Pietro…”. In due righe sarebbe racchiusa la vita-documentata del nostro primo vescovo. Ma è doveroso ricordare di lui quanto è stato tramandato dalla storia popolare: “Una tradizione, antichissima, fatta propria da eminenti studiosi e cara a tutti gli acquesi, vuole il nostro Maggiorino uno dei 65 vescovi creati da Papa S. Silvestro (314-333 d.C.) e da lui mandati, dopo l’editto di Costantino (313 d.C.) “a reggere nuove Chiese nella cristianità, finalmente libera da persecuzioni”.
Confrontando i dati della pergamena che indica di quasi 35 anni l’episcopato di S. Maggiorino con le affermazioni date dallo storico Coiro (secondo cui il terzo vescovo di Acqui era presente al Sinodo di Milano nel 390), si ha conferma che Maggiorino sia stato mandato dal Papa quale primo vescovo di Acqui negli anni 325-330, come vuole l’antica tradizione.
Il Pedroca lo ricorda “quale intrepido emulatore nel predicare la fede cattolica e cultore fedele della verità cristiana”. Lo stesso riporta l’antico Martirologico della Chiesa acquese dove si legge: “il 27 giugno assai da lungo tempo si venera S. Maggiorino, che altri chiamano Maliorino, vescovo della Diocesi acquese… Il suo corpo dapprima sepolto in S. Pietro, l’antica cattedrale, fu da S. Guido traslato nella nuova cattedrale, come risulta da antica scrittura…”.
Riferisce ancora il Pedroca: “Esiste presso l’Archivio vescovile una pergamena antichissima portante l’elenco dei vescovi che parteciparono al Sinodo romano del 324, presieduto da Papa Silvestro dove si leggono i nomi di ‘Maiorinus’ e ‘Meliorinus’ e commenta “forse uno di quei due fu il Maggiorino (o Meliorino) di Acqui”.
Sembra godere di più larga probabilità la presenza di Maggiorino fra i 300 vescovi occidentali partecipanti al Concilio di Milano nel 355, voluto dall’imperatore Costanzo contro S. Atanasio.
(da “I vescovi della Chiesa di Acqui dalle origini al XX secolo”, editrice Impressioni Grafiche, 1997)