Papa Silvestro I presenta all'imperatore Costantino le icone dei santi Pietro e Paolo (Basilica dei quattro coronati, Roma)
Santa Teodora di Roma sorella del Santo Martire Ermete e Martire
ella stessa
Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/t/teodora.htm
Teodora,
santa, martire di Roma , viene indicata dal Piazza come sepolta nella
confessione della chiesa dei Ss. Bonifacio ed Alessio all’Aventino; nel XIX
secolo questa indicazione non è più riportata da nessun autore. Teodora,
presunta martire di Roma, risulta sconosciuta alle antiche fonti agiografiche
ed è ricordata nella leggendaria Passio dei Santi Alessandro, Evenzio e
Teodulo.
Martiroogio.Romano .: - 1 aprile - A
Roma la passione di santa Teodora, sorella dell'illustrissimo Martire Ermete,
la quale, sotto l'Imperatore Adriano, martirizzata dal Giudice Aureliano, fu
sepolta accanto a suo fratello sulla via Salaria, non lontano dalla città.
Con Alessandro
il papa del tempo di Traiano Ermete contemporaneo prefetto di Roma, fu convertito dal papa insieme con la moglie,
i figli, la sorella Teodora e milleduecentocinquanta schiavi. Traiano, avutane
notizia, invia a Roma Aureliano, il
quale avrebbe fatto arrestare Ermete, consegnandolo al tribuno Quirino, che lo
fece decapitare. Il corpo del martire sarebbe stato raccolto dalla sorella
Teodora e deposto «in Salaria veteri, non longe ab urbe Roma sub die quinto kalendas
septembris». La passio non indica il nome del cimitero, ma il riferimento
topografico è esatto. La Depositio Martyrum, alla stessa data, segnala:
«Hermetis in Basille, Salaria vetere»; così pure il Martirologio Geronimiano;.
Santo Prudenzio Vescovo di Atina e
Martire
Tratto da
San
Prudenzio si presume sia stato, il decimo vescovo di Atina. Nell’ipotetica,
cronotassi dei vescovi succede a Vigilanzio e precede Massimo. In alcuni
testi è stato ipotizzato il suo episcopato, tra il 288 e il 313, anno della sua
morte.
La tradizione vuole che il primo vescovo di Atina sia un San Marco di Galilea, consacrato vescovo proprio da San Pietro, dopo averlo incontrato nel suo viaggio verso Roma. L’erudito ottocentesco Giuseppe Cappelletti scrive che “visse Marco su questa sede intorno a cinquant'anni, predicando il vangelo e guadagnando alla fede cristiana più migliaia d'idolatri: terminò poi martirizzato il dì 28 aprile dell'anno 95 sotto il consolato di Massimo”.
L’esistenza della diocesi, situata in provincia di Frosinone nella regione del Lazio, era attestata da una serie di manoscritti di carattere agiografico e storico. Questi documenti sono “La Passione di Marco” scritta nell’XI° secolo e attribuita a Atenolfo vescovo di Capua, la “Passione di santi martiri atinati Nicandro e Marciano”, il “Chronicon civitatis Atinae” , il “Catalogus episcoporum Atinensium” e il “Libellus de excidio civitatis Atinae”.
Sulla veridicità di questi testi ci sono molti dubbi, tanto che Herbert Bloch riuscì a dimostrare come fossero tutti dei falsi.
Comunque, il cosiddetto catalogo dei vescovi di Atina riporta una serie di 23 presuli, successori di San Marco.
La diocesi di Atina, secondo alcuni manoscritti medievali, sarebbe stata soppressa da Papa Eugenio III e il suo territorio annesso alla diocesi di Sora.
Nel testo di due anonimi atinati “Breve crhronicon atinensis ecclesiae” è riportato che il Papa Gaio, nel suo secondo anno di pontificato, ordinò San Prudenzio vescovo di Atina. Questo presule governò la diocesi per venticinque anni.
In quel testo si parla anche del suo martirio. Un giorno, il vescovo aveva tentato di rovesciare la statua di Giunione, che era in bella vista nel tempio vicino alle Terme Antoniane. E proprio per quel gesto fu ucciso dai pagani.
Il suo corpo interrato presso il tempio, dopo tre giorni, il primo di aprile fu trafugato dai cristiani e sepolto nella chiesa di San Pietro.
Se molti sono i dubbi sull’esistenza della diocesi prima del XI secolo, altrettanto lo sono quelli sull’esistenza di San Prudenzio, martire nel IV Secolo.
San Prudenzio era venerato ad Atina, che se si presume che il suo culto non sia anteriore al 1563.
La sua festa si celebrava nel giorno 1 aprile.
La tradizione vuole che il primo vescovo di Atina sia un San Marco di Galilea, consacrato vescovo proprio da San Pietro, dopo averlo incontrato nel suo viaggio verso Roma. L’erudito ottocentesco Giuseppe Cappelletti scrive che “visse Marco su questa sede intorno a cinquant'anni, predicando il vangelo e guadagnando alla fede cristiana più migliaia d'idolatri: terminò poi martirizzato il dì 28 aprile dell'anno 95 sotto il consolato di Massimo”.
L’esistenza della diocesi, situata in provincia di Frosinone nella regione del Lazio, era attestata da una serie di manoscritti di carattere agiografico e storico. Questi documenti sono “La Passione di Marco” scritta nell’XI° secolo e attribuita a Atenolfo vescovo di Capua, la “Passione di santi martiri atinati Nicandro e Marciano”, il “Chronicon civitatis Atinae” , il “Catalogus episcoporum Atinensium” e il “Libellus de excidio civitatis Atinae”.
Sulla veridicità di questi testi ci sono molti dubbi, tanto che Herbert Bloch riuscì a dimostrare come fossero tutti dei falsi.
Comunque, il cosiddetto catalogo dei vescovi di Atina riporta una serie di 23 presuli, successori di San Marco.
La diocesi di Atina, secondo alcuni manoscritti medievali, sarebbe stata soppressa da Papa Eugenio III e il suo territorio annesso alla diocesi di Sora.
Nel testo di due anonimi atinati “Breve crhronicon atinensis ecclesiae” è riportato che il Papa Gaio, nel suo secondo anno di pontificato, ordinò San Prudenzio vescovo di Atina. Questo presule governò la diocesi per venticinque anni.
In quel testo si parla anche del suo martirio. Un giorno, il vescovo aveva tentato di rovesciare la statua di Giunione, che era in bella vista nel tempio vicino alle Terme Antoniane. E proprio per quel gesto fu ucciso dai pagani.
Il suo corpo interrato presso il tempio, dopo tre giorni, il primo di aprile fu trafugato dai cristiani e sepolto nella chiesa di San Pietro.
Se molti sono i dubbi sull’esistenza della diocesi prima del XI secolo, altrettanto lo sono quelli sull’esistenza di San Prudenzio, martire nel IV Secolo.
San Prudenzio era venerato ad Atina, che se si presume che il suo culto non sia anteriore al 1563.
La sua festa si celebrava nel giorno 1 aprile.
Santo Giovanni IV detto lo Scriba
Vescovo di Napoli
Tratto da
Quarto
vescovo di Napoli di questo nome, nacque da famiglia di umili origini
presumibilmente verso la fine dell'VIII secolo. Studioso delle Sacre
Scritture e dei testi dei Padri della Chiesa, di testi profani, conoscitore
del latino e del greco, le fonti ne ricordano anche l'attività di amanuense che
gli valse l'appellativo di scriba. Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne
diacono della cattedrale di Napoli.
Nel
periodo che precedette la sua nomina vescovile, la vita politica del Ducato di
Napoli era scossa da violenti scontri per il potere. Nell'831 il console e duca
di Napoli Bono era entrato in conflitto con il vescovo Tiberio, lo aveva
dichiarato decaduto e lo aveva posto agli arresti nello stesso episcopio (non,
come riferisce Giovanni Diacono nei Gesta episcoporum Neapolitanorum, in
carcere). L'ostilità del duca dovette essere rivolta al solo vescovo e non a
tutto il clero, come si evince dal fatto che il suo intervento contro Tiberio
non incontrò l'ostilità del clero napoletano. Esautorato il vescovo,
all'interno delle candidature dei chierici che vennero proposti per sostituire
Tiberio la scelta cadde su G., persona bene accetta allo stesso duca.
Chiamato
alla guida della Chiesa napoletana, G., come informano i Gesta, fu
costretto ad accettare l'incarico offertogli, lasciando però l'effettiva guida
della diocesi a Tiberio, presso il quale egli ottenne libero accesso. La
narrazione dei fatti offerta dai Gesta riprende in realtà uno schema
della letteratura agiografica che vede opposti il sant'uomo e il malvagio uomo
di potere: G. avrebbe infatti rifiutato l'incarico se non vi fosse stato
costretto dalle minacce di Bono di rappresaglie contro il clero napoletano e
contro il presule stesso, e dalla minaccia di confisca dei beni della Chiesa
napoletana: "totius episcopii servos possesionesque infiscari". Le
giustificazioni offerte dai Gesta lasciano intendere come l'elezione di
G. non fosse legittima; la lettura degli avvenimenti - con l'omissione delle
vittorie di Bono sui Longobardi contrapposta alla descrizione dell'ascesa al
potere del duca e del successivo arresto del vescovo (sempre tacendo sui fatti
che avevano portato al contrasto seguito alle ingerenze di Tiberio all'interno
della vita politica del Ducato) - offre deliberatamente una visione di parte
delle vicende che portarono G. sul soglio vescovile.
Così
Bono, una volta assicurata la non ingerenza politica di G. nelle vicende del
Ducato, poté proseguire la lotta intrapresa contro i Longobardi, certo di non
dover affrontare un secondo scontro con il vescovo. Dopo la morte di Bono (9
genn. 834) gli successe il figlio Leone, che fu deposto dal suocero Andrea nel
settembre dello stesso anno. Sotto il nuovo duca, G. mantenne lo stesso
atteggiamento nei confronti del vescovo imprigionato, come testimonia il
trasferimento, voluto dal duca Andrea, di Tiberio dall'episcopio (sede del
domicilio coatto del vescovo) a uno degli edifici della basilica di S. Gennaro extra
moenia; episodio questo estremamente illuminante della voluta estraneità di
G. dalle vicende legate al presule imprigionato, considerato anche il fatto che
la nuova sede cui venne destinato il vescovo Tiberio era esposta alle scorrerie
dei Longobardi. La mancata presa di posizione da parte di G. nei confronti di
Tiberio tradisce da una parte la condanna della linea politica assunta dal
vescovo Tiberio, e dall'altra evidenzia la sostanziale condiscendenza di G. nei
confronti delle scelte dei duchi. "Sotto questo aspetto, estremamente
significativo è […] il fatto che Giovanni Diacono abbia sentito il bisogno di
concludere la tormentata biografia di Tiberio con l'episodio del discorso da
lui pronunciato "residens in pontificali cathedra", per attestare
pubblicamente la stima e l'ammirazione che egli sentiva per Giovanni lo scriba,
e per l'opera da lui svolta" (Bertolini, 1970, p. 427 n. 262).
Nel
frattempo i Napoletani, approfittando della crisi che si era aperta a Benevento
per la successione nel Principato, avevano cessato di pagare il tributo ai
Longobardi; le ostilità con questi ultimi, peraltro mai sopite, avevano trovato
rinnovato vigore con la successione di Sicardo al padre Sicone. Ma nell'836 il
duca Andrea, allorché Napoli, cinta d'assedio da Sicardo, era sul punto di
capitolare, riuscì, grazie a una nuova alleanza con gli Arabi di Sicilia, a
indurre Sicardo a porre fine all'assedio e a stringere una tregua quinquennale.
L'armistizio fu il risultato dell'intercessione tra i due contendenti attuata
dal clero napoletano, alla cui funzione mediatrice probabilmente partecipò
anche G., che compare tra i contraenti del patto stipulato il 4 luglio 836,
quando il principe longobardo Sicardo promise al vescovo G. ("electo
sancte ecclesie neapolitane", Capasso, II, p. 149) e al duca Andrea,
nonché a tutto il popolo del Ducato napoletano e ad altri soggetti ancora, la
pace per terra e per mare.
Morto
il vescovo Tiberio, tra il 28 e il 31 marzo 839, seguì un lungo periodo di
vacanza del seggio vescovile napoletano. L'incarico assunto da G. alla guida
della Chiesa partenopea mentre era ancora vivo il vescovo titolare non era
regolare dal punto di vista del diritto canonico e di conseguenza l'ordinazione
di G. dovette essere sottoposta a procedimento di verifica; a creare ulteriori
perplessità concorsero anche i buoni rapporti che lo stesso G. aveva
intrattenuto con Bono prima e con i successori di questo poi (Leone, Andrea,
Contardo e Sergio I). Così, quando Sergio I inviò una legazione a Roma per richiedere
la consacrazione di G., ricevette in risposta da Gregorio IV una commissione
con l'incarico di accertare che l'elezione di G. si fosse svolta in conformità
alle norme canoniche e senza l'opposizione del clero. L'inchiesta durò ben due
anni e mezzo e solo il 26 febbr. 842 G. venne consacrato vescovo di Napoli.
Nei
primi mesi seguiti alla consacrazione di G., Sergio I gli affidò il proprio
figlio Atanasio affinché approfondisse gli studi delle Sacre Scritture e
degli usi liturgici, nonché l'insegnamento del greco (secondo le prescrizioni
del concilio di Nicea del 787 che prevedevano, per l'elezione a vescovo, la
conoscenza di tali materie). Si attuava così, consenziente G., il disegno di
Sergio I che avrebbe visto Atanasio vescovo e che avrebbe confermato la
sottomissione della Chiesa di Napoli al potere ducale (con un processo già ben
attestato sotto Giovanni).
G.
morì il 17 dic. 849, come riferiscono i Gesta episcoporum Neapolitanorum;
venne sepolto nell'oratorio di S. Lorenzo all'interno della catacomba di S.
Gennaro, e poi traslato prima nella Stefania e quindi nella basilica di S.
Restituta, dove le reliquie furono poste nella cappella di S. Maria del
Principio. Nel Martirologioromano la festa di G. viene posta al 22
giugno, in concomitanza con quella di s. Paolino, per assimilazione della
notizia relativa a Giovanni (I), vescovo di Napoli, con la vita di G. narrata
da Giovanni Cimeliarca (cfr. Bibl. hagiografica Latina, I, n. 4417).
Negli
anni immediatamente precedenti la consacrazione, G. aveva fatto traslare le
reliquie dei vescovi suoi predecessori Aspreno, Epitimito, Marone, Efebo,
Fortunato I, Massimo e Giovanni (I) dal cimitero di S. Gennaro all'interno
della basilica della Stefania, dove furono collocate in tombe ad arcosolio
fatte affrescare da G. con i ritratti dei vescovi. La traslazione è messa in
sincronia dall'autore della biografia di G. con "gli ultimi tempi
dell'imperatore Teofilo (ottobre 829 - gennaio 842 […]), con l'avvento e i
primi anni di governo di Michele III (21 genn. 842 - 23 sett. 867 […]), e con
lo sbarco degli Arabi a Ponza, che avvenne prima dell'agosto dell'846"
(Bertolini, 1974, p. 105). Queste traslazioni all'interno della Stefania sono
state interpretate come atto di difesa e di conservazione delle reliquie stesse
situate nella catacomba di S. Gennaro dalle scorrerie rapinatrici dei
Longobardi. Secondo una diversa lettura, invece, tale gesto da parte di G. si
inquadrerebbe nell'ambito del tentativo più vasto e di portata europea, da
parte dei vescovi, di affermare il proprio potere; e in tale ottica di
"tendenza al potenziamento della funzione carismatica episcopale"
(Cilento, La Chiesa, p. 685) dovrebbe essere letta l'azione di G.; così
come "a dar prestigio alla Chiesa di Napoli e al suo vescovo concorse in
maniera particolare la redazione del Liber pontificalis" (ibid.),
la cui prima parte sarebbe stata attribuita (secondo una contestata ipotesi
formulata da Mallardo, 1947) allo stesso Giovanni. Sempre all'attività di
agiografo di G. sarebbe da ricondurre la stesura del calendario marmoreo
scoperto a Napoli nella basilica di S. Giovanni Maggiore nel 1742, la cui
attribuzione però rimane dubbia. Alla sua attività di vescovo è legato anche il
notevole impulso che ricevette l'attività dello scriptorium e della
scuola della cattedrale, attività proseguita anche dal successore Atanasio (I).
Fonti
e Bibl.: Iohannes Diaconus Neapolitanus, Gesta episcoporum Neapolitanorum,
a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rerum Langob.,
Hannoverae 1878, pp. 430-433 (capp. 56-62); A. Di Meo, Annali
critico-diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, XI, Napoli 1810,
p. 289; D.M. Zigarelli, Biografie dei vescovi e arcivescovi della Chiesa di
Napoli con una descrizione del clero… della basilica di S. Restituta…,
Napoli 1861, pp. 35 ss.; B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani Ducatus
historiam pertinentia, I, Neapoli 1881, pp. 208 ss.; II, ibid. 1892, p.
149; Bibliotheca hagiographica Latina, I, Bruxelles 1898-99, p. 654; Martyrologium
Romanum, Romae 1902, p. 89; P.F. Kehr, Italia pontificia, VIII,
Berolini 1961, pp. 421 n. 14, 444 n. 57; H. Delehaye, Hagiographie
napolitaine, II, in Analecta Bollandiana, LIX (1941), pp. 19-21; D.
Mallardo, Storia antica della Chiesa di Napoli, I, Le fonti,
Napoli 1943, pp. 56 ss.; Id., S. Giovanni I e s. G. IV vescovi di Napoli (un
errore del Martirologio romano e del Breviario), in Ephemerides
liturgicae, LXI (1947), pp. 297-308; Id., Giovanni diacono napoletano.
La continuazione del "Liber pontificalis", in Rivista di
storia della Chiesa in Italia, IV (1950), pp. 343 s.; G. Mathon, G. IV
lo Scriba, vescovo di Napoli, in Bibliotheca sanctorum, VI, Roma
1966, p. 938; G. Cassandro, Il Ducato bizantino, in Storia di Napoli,
II, 1, Napoli 1969, pp. 56, 69, 138; N. Cilento, La cultura e gli inizi dello
Studio, ibid., II, 2, ibid. 1969, pp. 549, 562, 576, 578, 582; Id., LaChiesa
di Napoli nell'Alto Medio Evo, ibid., pp. 685, 697; M. Rotili, Arti
figurative e arti minori, ibid., pp. 926, 928, 976; P. Bertolini, La
serie episcopale napoletana nei sec. VIII e IX, in Riv. di storia della
Chiesa in Italia, XXIV (1970), pp. 349-440; N. Cilento, La storiografia
nell'Italia meridionale, in Atti della XVII Settimana di studio del
Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo… 1969, Spoleto 1970, p. 538; P.
Bertolini, La Chiesa di Napoli durante la crisi iconoclasta. Appunti sul
codice Vaticano latino 5007, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a
R. Morghen, Roma 1974, I, pp. 104 s.; M. Rotili, L'arte a Napoli dal VI
al XIII secolo, Napoli 1978, pp. 40, 57, 70; Rep. fontium hist. Medii
Aevi, VI, p. 415; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVII,
coll. 336 s.
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