mercoledì 11 aprile 2018

11 aprile santi italici ed italo greci


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Sant'Isacco di Monteluco Monaco

Martirologio Romano  A Spoleto in Umbria, sant’Isacco, monaco, di origine siriana e fondatore del monastero di Monteluco, le cui virtù sono ricordate dal papa san Gregorio Magno.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49230

 
Le scarse notizie che ci restano relative alla vita e all’attività di sant'Isacco ci sono fornite dai Dialogi di san Gregorio Magno, il quale dichiara di aver appreso quanto narra, dalla viva voce dell’abate Eleuterio: «Multa autem de modem viro, narrante venerabili patre Eleutherio, agnovi», che era stato in rapporti di familiarità con il santo ed aveva sempre conformato la propria vita ai suoi insegnamenti.
Si apprende così che Isacco era venuto in Italia dalla nativa Siria, nella prima metà del VI secolo, per sfuggire all’oppressione dei monofisiti. Giunto a Spoleto, si rese subito famoso tra quegli abitanti per un fatto prodigioso avvenuto poco dopo il suo arrivo. Fermatosi infatti a pregare nella chiesa della città, ne era stato cacciato in malo modo, al termine del terzo giorno di ininterrotte orazioni, dal custode che, avendo osato insultarlo, percuoterlo e tacciarlo di impostore per il suo devoto comportamento, era stato invasato dallo spirito maligno, da cui venne tuttavia miracolosamente liberato da Isacco.
Lo scalpore suscitato dal fatto richiamò molta gente intorno al sant’uomo, che si vide offrire ogni sorta di beni perché volesse costruire un monastero, offerte che egli rifiutò. Ritiratosi sul Monteluco, nei pressi della città stessa, vi condusse per qualche tempo vita eremitica, poi, esortato dalla beata Vergine apparsagli un giorno, eresse su quell’altura, verso il 528, un monastero per accogliervi quanti desideravano far vita religiosa sotto la sua disciplina.
Organizzato sul modello della laure palestinesi, il monastero di Monteluco, dopo la morte del suo fondatore e primo abate, adottò la Regola benedettina.
Celebrato per la santità della vita, per lo spirito di astinenza e il disprezzo delle cose temporali, nonché per lo spirito profetico e il dono dei miracoli, Isacco morì intorno al 550. Fu sepolto nella chiesa di san Giuliano annessa al monastero, da dove venne poi trasferito in quella eretta a Spoleto in onore suo e di sant'Ansano martire, chiesa in cui si conservano tuttora le sue reliquie.
Gli sono comunemente attribuiti sessantatre sermoni ed alcuni altri scritti, che appartengono forse piuttosto ad Isacco di Antiochia, detto il Grande (morto il 7 agosto 461), il quale fu scrittore molto fecondo, come attesta Gennadio di Marsiglia.
La festa di sant'Isacco ricorre l'11 aprile.





Tratto da
http://www.sacramentini.it/cenacolo_04_07_art_spoleto.html

Qui, sulle ripe boscose del Monteluco, si ritirò Isacco, un altro siro, cui Gregorio Magno ha dato spazio nella stesura dei suoi Dialoghi. Sappiamo che, appena arrivato a Spoleto entrò nella cattedrale di San Pietro per sostarvi in orazione.
Dopo tre giorni di ininterrotta preghiera, il sagrestano, innervosito dalla presenza dell’ignoto pellegrino e ritenendo eccessivo e sospetto quel suo fervore mistico, incominciò a maltrattarlo, a schiaffeggiarlo e ad accusarlo di ipocrisia, esibizionismo e impostura.
Questo fatto attirò molta gente, incuriosita dalla forza d’animo del servo di Dio; uomini e donne, nobili e plebei, fecero a gara per offrire al santo monaco non solo ospitalità, ma anche case e possedimenti per la costruzione di un monastero. Ma Isacco, amante della povertà radicale, non accettò nulla e trovò riparo nella selva del monte.
Qui visse la sua intensa esperienza spirituale: innanzitutto l’esperienza ascetica, fatta di digiuni, mortificazioni, dominio di sé, lotta contro il maligno, veglie, povertà, privazioni di ogni genere orientate all’esperienza mistica, fatta di contemplazione, colloqui e intimità con Dio, rapimenti, estasi, nel profondo silenzio interiore ed esteriore, rotto solo dal respiro della natura. In quella tranquilla solitudine del monte, tra le rocce grigie e i robusti lecci, poté perdersi nella immensità di Dio e lasciarsi inondare dai fiumi di tenerezza divina.
Dal misero abituro di Monteluco, il santo eremita attirava a frotte i visitatori, che salivano per chiedergli consiglio, raccomandarsi alle sue preghiere e ottenere la guarigione delle malattie del corpo e dello spirito. Alcuni se ne tornavano via edificati e consolati; altri, colpiti e contagiati dal suo esempio e dal desiderio di vita eterna, gli chiedevano di rimanere con lui per condividere il suo genere di vita. Così molti divennero suoi discepoli ponendosi, sotto la sua direzione spirituale, al servizio di Dio.
Uno di questi discepoli un giorno lo esortò ad accogliere almeno qualcuna delle donazioni che la buona gente generosamente gli offriva. Ma Isacco rispose con una frase lapidaria: «Il monaco che in terra cerca il possesso, non è un monaco». Si tratta di una sentenza che avrà una certa fortuna in ambito monastico, in relazione sia al concetto che alla pratica della povertà.
Da questo luogo appartato, la fama della sua santità si diffuse velocemente nei dintorni, accresciuta da tanti episodi che prima di essere fissati sulla carta dovettero fare la delizia del popolo umbro.
Una notte, per esempio, alcuni ladri invasero l’orto dell’eremita per rubare gli ortaggi ed entrati vi trovarono una vanga per uno. Mentre Isacco era in preghiera, essi si sentirono interiormente mutati sicché, invece di rubare, si misero a dissodare il terreno per tutta la notte.
La mattina seguente l’uomo di Dio, dopo aver ordinato ai suoi discepoli di apparecchiare e preparare da mangiare per quegli operai, entrò nell’orto e disse loro: «Allegri, fratelli! Avete lavorato abbastanza; ora riposatevi e mangiate». Dopo che si furono rifocillati, aggiunse: «Quando avete bisogno di qualche ortaggio, venite alla porta, bussate e chiedete, e vi sarà dato quanto vi occorre con la benedizione di Dio; ma non rubate più». Infine li salutò e li ricompensò del lavoro svolto caricandoli dei vari prodotti del suo orto.
Il secondo episodio è ancora più gustoso. Due girovaghi un giorno, dopo aver nascosto i loro abiti buoni nella cavità di un albero, si presentarono ad Isacco con vesti talmente lacere da sembrare quasi nudi e chiesero con insistenza di essere rivestiti per amore di Cristo.
L’eremita, dopo averli ascoltati in silenzio, chiamò un suo discepolo e lo mandò in segreto a prendere le vesti nascoste nell’albero; poi si recò di nuovo dai due vagabondi e, quasi divertendosi a rendere beffa per beffa, disse loro: «Venite, poveri ignudi, prendete e vestitevi». E, con grande meraviglia dei due falsi questuanti, gli regalò i loro stessi abiti!
Anche l’ultimo racconto ha a che fare con un tentativo di furto. Un uomo, tramite un garzone, mandò in dono al servo di Dio due sporte piene di pesce, raccomandandosi alle sue preghiere.  Ma il garzone pensò che ne bastasse una e nascose l’altra per sé. Isacco gli disse: «Ringrazia molto il tuo signore, ma fai attenzione quando aprirai la sporta che hai nascosto per strada, perché vi è entrato un serpente che potrebbe ferirti». Il garzone, confuso, ritornò dove aveva lasciato la sporta e aprendola con molta cautela vide che il serpente effettivamente c’era!
I Dialoghi gregoriani ricordano anche un difetto di quel sant’uomo: era molto, troppo lieto, a tal punto che, chi non lo avesse conosciuto in profondità, avrebbe stentato a credere che fosse un uomo virtuoso.
Così Isacco, pur dotato di qualità straordinarie che si manifestavano nella santità di vita, nella contemplazione più elevata, nella povertà reale e nel distacco dalle cose terrene, non poteva inorgoglirsi perché era consapevole che le sue virtù erano dono di Dio e perché doveva fare i conti con la sua imperfezione, cioè con una esuberante  ilarità.





Consultare anche
LA «PASSIO XII FRATRUM QUI E SYRIA VENERUNT»
http://eprints-phd.biblio.unitn.it/1787/1/Saiani_Acta_XII_Sociorum_DEPOSITO.pdf

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