Santo Aniceto papa e patriarca di Roma che muore forse martire sotto Marco Aurelia (tra il 166 e il 168) dopo aver resistito all’eresia dello gnosticismo
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49750
Di origine sira, durante il suo
pontificato accolse a Roma il vescovo di Smirne, Policarpo, per discutere la
data della Pasqua, celebrata in Occidente sempre di Domenica, e in Oriente il
14 di Nisan, in qualunque giorno cadesse. La questione restò aperta.
Sulla
Pasqua i cristiani non hanno mai trovato un accordo duraturo in modo da
festeggiarla tutti nello stesso giorno. Un dissenso sempiterno. Già papa Pio I
(140-145) tenta di risolverlo, fissando per tutti la prima domenica dopo il
plenilunio di primavera. Ma i cristiani d’Oriente hanno invece una data fissa:
il 14 del mese lunare di Nisan, in cui ha inizio la Pasqua degli Ebrei.
Succedendo a Pio I nel 155, papa Aniceto tenta la strada della concertazione,
incontrando a Roma il vescovo orientale Policarpo di Smirne. I due discutono a
lungo, non trovano un accordo, ma si separano in comunione e in pace: Aniceto,
anzi, riserva al vescovo d’Asia (e futuro martire) onori e attenzioni speciali.
Così l’unità è salva: non ci sarà alcuno scisma sulla questione della Pasqua.
Aniceto viene probabilmente dalla Siria e, succedendo a Pio I, trova tra i suoi una confusione drammatica. Dall’Oriente è arrivato il teologo Marcione, accolto nella comunità romana e stimato per la sua generosità e il suo rigore morale: poi si mette a divulgare una sua dottrina basata su un Dio Padre di Gesù Cristo, distinto dal Dio dell’Antico Testamento; insomma, due dèi, uno Salvatore e l’altro Giudice. Marcione trova seguaci; fonda una sua Chiesa, nominando vescovi e preti. E crea una confusione enorme in Roma, con relativi disordini. Secondo Policarpo, quest’uomo è "primogenito di Satana".
Per il vescovo Aniceto, la dottrina si combatte con la dottrina, studiando di più per orientare i fedeli; e ugualmente si combatte con l’esempio. Perciò nomina un buon numero di nuovi preti e diaconi, e da ciascuno pretende di più, a cominciare dalla moralità, che dev’essere autentica e anche visibile. Sicché, ad esempio: niente più ecclesiastici in giro con chiome fluenti: capelli corti per tutti. Aniceto vive momenti di dura persecuzione sotto Marco Aurelio, in contrasto col pensiero di questo imperatore e con l’ispirazione umanitaria di molte sue leggi. Ma lui vede in ogni scontro sulla dottrina un disordine nefasto per l’Impero, che già lotta in Oriente contro i Parti, in Europa contro i Germani; ma che ha difficoltà anche contro governatori romani infedeli e ribelli, come nel caso della Siria.
Per il vescovo di Roma, l’angoscia quotidiana di undici anni è questa Chiesa da salvare, nelle vite dei fedeli e nella certezza della dottrina; da stimolare con energia, ma anche con discernimento tra l’essenziale e il secondario. Aniceto muore durante la persecuzione (che a Roma fa vittime come san Giustino e santa Felicita); ma probabilmente non a causa della persecuzione. Infatti non è indicato come martire. Il suo corpo (ed è la prima volta per un vescovo di Roma) viene seppellito nelle cave di pozzolana che si trasformeranno in seguito nelle catacombe di san Callisto.
Aniceto viene probabilmente dalla Siria e, succedendo a Pio I, trova tra i suoi una confusione drammatica. Dall’Oriente è arrivato il teologo Marcione, accolto nella comunità romana e stimato per la sua generosità e il suo rigore morale: poi si mette a divulgare una sua dottrina basata su un Dio Padre di Gesù Cristo, distinto dal Dio dell’Antico Testamento; insomma, due dèi, uno Salvatore e l’altro Giudice. Marcione trova seguaci; fonda una sua Chiesa, nominando vescovi e preti. E crea una confusione enorme in Roma, con relativi disordini. Secondo Policarpo, quest’uomo è "primogenito di Satana".
Per il vescovo Aniceto, la dottrina si combatte con la dottrina, studiando di più per orientare i fedeli; e ugualmente si combatte con l’esempio. Perciò nomina un buon numero di nuovi preti e diaconi, e da ciascuno pretende di più, a cominciare dalla moralità, che dev’essere autentica e anche visibile. Sicché, ad esempio: niente più ecclesiastici in giro con chiome fluenti: capelli corti per tutti. Aniceto vive momenti di dura persecuzione sotto Marco Aurelio, in contrasto col pensiero di questo imperatore e con l’ispirazione umanitaria di molte sue leggi. Ma lui vede in ogni scontro sulla dottrina un disordine nefasto per l’Impero, che già lotta in Oriente contro i Parti, in Europa contro i Germani; ma che ha difficoltà anche contro governatori romani infedeli e ribelli, come nel caso della Siria.
Per il vescovo di Roma, l’angoscia quotidiana di undici anni è questa Chiesa da salvare, nelle vite dei fedeli e nella certezza della dottrina; da stimolare con energia, ma anche con discernimento tra l’essenziale e il secondario. Aniceto muore durante la persecuzione (che a Roma fa vittime come san Giustino e santa Felicita); ma probabilmente non a causa della persecuzione. Infatti non è indicato come martire. Il suo corpo (ed è la prima volta per un vescovo di Roma) viene seppellito nelle cave di pozzolana che si trasformeranno in seguito nelle catacombe di san Callisto.
Tratto
da
http://www.sestodailynews.net/focus/storia/3738/sant-aniceto
Figlio di Giovanni originario di Vico Morcote ( Canton Ticino)
legionario emigrato ad Emesa In Siria.
Non è chiaro il motivo del suo ritorno a Roma, ma si presume che
Aniceto (o Anicito) fosse stato allontanato dalla Chiesa dìoriente come
eretico in quanto si opponeva al movimento gnostico.
A Roma in quegli anni era particolarmente in voga
il pensiero di Marcione e Aniceto con l'appoggio della chiesa fondata da San
Giustino di Nablus, nei primi anni del suo episcopato concentrò i suoi sforz
per contrastarlo.
Durante il suo papato Policarpo di Smirne l'ultimo discendente
degli apostoli alla veneranda età di 80 anni, decise di recarsi a Roma per
risolvere la controversia sulla data in cui celebrare la Pasqua. Pasqua che la
Chiesa di Smirne come gli ebrei celebrava il quattordicesimo giorno del mese di
Nisan, indipendentemente dal giorno della settimana, in contrasto con la Chiesa
Romana che festeggiava la ricorrenza nel giorno di domenica.
Aniceto e Policarpo non giunsero ad una decisione comune, ma si
lasciarono in ottimi rapporti evitando un gravissimo Scisma tra la Santa Romana
Chiesa e quella Greca.
Secondo Eusebio di Cesarea «Policarpo non poteva persuadere
Aniceto, né Aniceto Policarpo. La controversia non fu risolta, ma le relazioni
non furono interrotte».
Lo stesso Eusebio riporta inoltre che, durante l'episcopato di
Aniceto, anche lo storico cristiano Egesippo visitò Roma. Questa visita viene
spesso citata come segno dell'importanza della sede romana già dagli albori del
cristianesimo.
Dopo il 161 sotto la guida dell'Imperatore Marco Aurelio, prese
forza il Montanismo, un nuovo movimento cristiano che faceva tenere ai suoi
membri dei comportamenti antisociali che irritavano la parte laica di Roma che
deteneva il potere statale e che non faceva distinzione tra cristiani ortodossi
e cristiani eretici. E proprio a causa di questi comportamenti estremi molti
vescovi furono condannati a morte e gli stessi Policarpo e San Giustino patirono
il martirio.
Alcune fonti storiche sostengono che anche Aniceto avesse patito
il martirio, pur senza riportare nessun dettaglio sul tipo di sofferenza e con
data che varia tra il 16, 17 e 20 aprile
Aniceto fu il primo vescovo di Roma ad essere sepolto in quelle
che poi sarebbero diventate le Catacombe di San Callisto
Nel 1604 le sue reliquie furono traslate nella Cappella di
Palazzo Altemps sopo che Papa Clemente VII autorizzò la richiesta fatta dal
Duca Giovanni Angelo Altemps di avere i resti di Papa Anicito nella cappella di
famiglia.
Sante Martiri
Isidora e Neofita a Lentini in Sicilia(verso il 236)
Furono due nobildonne lentinesi,
sorelle e mamme dei santi Tecla e Alessandro-Neofito. Minacciate dai pagani che
se non avessero abiurato la fede sarebbero state spogliate di ogni bene,
resistettero con coraggio e furono per questo derubate, torturate e uccise.
Il loro corpo fu sepolto nella località Antiano, dove poi Santa Tecla costruì una chiesa in loro onore.
Il loro corpo fu sepolto nella località Antiano, dove poi Santa Tecla costruì una chiesa in loro onore.
Consultare anche
LE CHIESE RUPESTRI NEL TERRITORIO DI LEONTINOI
Santo Innocenzo
Vescovo di Tortona (tra il 351 e il 353
)
Dal quotidiano
Avvenire
Nasce nel IV secolo da una delle
famiglie nobili di Tortona che proteggono i cristiani locali e che vengono
sterminate durante la feroce persecuzione dell'imperatore Diocleziano, che
lascia la città senza un vescovo fino al 318. Nel 303 Innocenzo, ventiduenne,
viene imprigionato e i suoi beni di famiglia confiscati. Solo dopo il 313 si
reca a Roma per riavere i beni paterni. Ottiene l'appoggio del Papa Silvestro,
che prima lo ordina diacono e poi lo invia a Tortona come vescovo dopo averlo
consacrato il 24 settembre 325. Inizia così un ministero che porta alla
riorganizzazione della comunità locale e si caratterizza per la lotta al
paganesimo. I beni di famiglia vengono donati alla diocesi e ha inizio la
costruzione di alcune chiese tra cui una basilica sul colle che sovrasta la
città (distrutta poi da un incendio nel 1609). Qui verrà sepolto il corpo di
Innocenzo, morto il 17 aprile 353. A sua sorella si deve la nascita di quello
che poi diverrà il monastero di Sant'Eufemia.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91520
In quella che oggi è chiamata Valle
Sant’Innocenzo, a pochi km da Tortona presso Rocca Grue, sorgevano all’inizio
del IV secolo alcune ville di campagna, lungo il “flumen Coluber” l’attuale
torrente Grue, appartenenti a nobili famiglie del patriziato tortonese. Una di
queste, villa Floriaca, apparteneva alla famiglia cristiana dei Quinzio ed era
luogo abituale di preghiera e di rifugio nelle persecuzioni, grazie anche
all’altolocata posizione dei proprietari, forse appartenenti alla classa
senatoria, e alla tacita compiacenza dei prefetti romani di Dertona. Quinzio
con la moglie Innocenza, nobildonna lucchese, e il figlio Innocenzo, furono
validi protettori dei cristiani tortonesi, finché nell’ultima tremenda
persecuzione, scatenata dall’imperatore Diocleziano, anch’essi soccombettero.
Il vescovo di Dertona san Giuliano e il suo diacono san Malliodoro, vennero
arrestati a Villa Floriana; Giuliano fu decapitato fuori di Porta Ticinese
sulla via per Viqueria, Malliodoro riuscì a nascondersi, mentre Innocenzo
ventiduenne venne imprigionato e i suoi beni di famiglia confiscati: correva
l’anno 303 e la Chiesa tortonese veniva squassata fin nelle fondamenta, come
mai era avvenuto dai tempi della sua fondazione e la successione dei Vescovi si
interruppe per quindici anni. Con la pace di Costantino e la fine delle
persecuzioni nel 313, i cristiani rialzarono il capo e a Dertona tornò il
vescovo nella persona del diacono Malliodoro, ordinato dal vescovo di Milano
san Materno nel 318.
Nel frattempo Innocenzo si recò a Roma per riottenere dall’imperatore i beni paterni confiscatigli durante la persecuzione e ottenne per la sua causa l’appoggio del Papa san Silvestro, che lo ordinò diacono tenendolo alcuni anni presso di sé e poi lo invio a Tortona come vescovo, dopo averlo consacrato personalmente il 24 settembre 325. Nobile, circondato dall’aureola del martirio, accompagnato dalla benedizione del Papa e dalla protezione dell’imperatore, sant’Innocenzo ritorno alla terra natale, inaugurando una nuova primavera per la Chiesa tortonese. Si prodigò per confermare nella fede i Cristiani e per guadagnare a Cristo i pagani. Riorganizzò i fedeli della città e delle campagne e diede per la prima volta nella storia una definitiva fisionomia territoriale alla diocesi. Dopo avere fatto dono dei suoi beni di famiglia alla diocesi, si preoccupò di innalzare in Tortona i monumenti della fede cristiana, che finalmente poteva uscire con dignità alla luce del sole; edificò una grande basilica sul colle che sovrasta la città, presumibilmente nell’area occupata oggi dallo stadio, dedicandola ai Santi Sisto e Lorenzo come omaggio ai martiri della Chiesa di Roma. Questa chiesa giunse fino ai tempi moderni e andò distrutta soltanto nel 1609, dopo che fu inglobata nelle fortificazioni del castello e trasformata in polveriera dagli Spagnoli, a causa di un fulmine che diede fuoco alle polveri durante un violentissimo temporale; in essa trovò sepoltura il corpo dello stesso Innocenzo e servì da Cattedrale a partire dal X secolo. Successivamente edificò la chiesa dei Dodici Apostoli, e quella in onore del primo martire Santo Stefano, le cui fondamenta sono state individuate nell’area cittadina ora compresa tra le vie Sada, Zenone e piazza Malaspina. Alle pendici del colle che sovrasta la città, Innocenzo edificò il battistero e la chiesa di Santa Maria, che alcuni storici hanno voluto identificare come una precedente chiesa mariana nell’area dell’attuale chiesa di Santa Maria Canale. Per il battistero, di forma ottagonale, circondato da ventiquattro colonne di marmo, era necessario infatti un luogo ricco di acqua corrente, che permettesse il battesimo per immersione come era in uso nei primi secoli, e così il vescovo scelse una zona ricca di sorgenti e di rivi che scendevano dalle colline, ai piedi e non alla sommità del colle tortonese. Ancor’oggi la zona circostante la chiesa di Santa Maria Canale evoca nei nomi un’antica toponomastica legata all’acqua e ai suoi usi sia rituali che profani: la chiesa è popolarmente detta “La Canale”, la piazza sovrastante è indicata come “Il Lavello” a ricordo dei lavatoi pubblici di un tempo, mentre dove ora vi è l’istituto “Dante” sorgeva la chiesa di “San Giovanni in Piscina”. Nella chiesa di Santa Maria Innocenzo amava spesso officiare le divine liturgie e lì vi compì un singolare prodigio: chiese che gli venissero portate delle braci, necessarie per i sacri riti, e una donna di fede, Senatrice non avendo dove riporle, in uno slancio di generosità si mise le braci in grembo e senza danno, né di sé né degli abiti, le recò al vescovo. Sull’area della sinagoga, che fece demolire, costruì la Cattedrale fuori Porta Ticinese presso il luogo del martirio del vescovo della sua infanzia san Giuliano, sull’area all’incrocio dell’attuale via Emilia con la strada per Castelnuovo. Questo tempio funzionò fino al X secolo, quando venne abbandonato in seguito alle incursioni degli Ungari perché essendo fuori le mura non era più sicuro. Innocenzo aveva una sorella che prese, com’era costume dell’epoca lo stesso nome della madre, Innocenza; desiderosa di seguire anch’ella il Signore si consacrò alla preghiera e alla carità, vivendo in penitenza accanto al fratello vescovo. Per lei Innocenzo costruì un palazzo, sul colle dove ora sorge il convento dei Cappuccini, dotandolo di pozzi e acqua corrente, convogliandola attraverso un’ampia cisterna. Ad Innocenza si unirono presto altre donne pie che condividevano i suoi ideali e che formarono il nucleo di quello che alcuni secoli più tardi, quando la vita religiosa si era ormai affermata e organizzata nella Chiesa, diverrà il monastero di Sant’Eufemia.
La gloria più grande attribuita a Sant’Innocenzo dalla tradizione tortonese e quella del ritrovamento del corpo di San Marziano, il primo vescovo della città, evangelizzatore immediatamente a ridosso dell’età apostolica e martire nel 122. Il luogo della sua sepoltura, avvenuta in segreto ad opera del cavaliere romano san Secondo, che pochi giorni dopo incontrerà il martirio ad Asti, era rimasto ignoto per tre secoli. Innocenzo lo cercò con cura negli antichi cimiteri e nelle necropoli lungo le vie consolari, ma tutto fu vano: nessuna tomba rivelava la sepoltura del santo Martire, finché intervenne il Cielo. Il prete Giacomo stava officiando l’eucaristia nella chiesa di Santa Maria quando gli fu rivelato in visione il luogo del sepolcro di San Marziano, non lungo le vie che collegavano la romana Dertona a mezz’Europa, secondo la consuetudine latina, ma a lato di un polveroso viottolo, che scendeva tra gli orti e le sterpaglie fino allo Scrivia, sotto le fronde di un sambuco. Sant’Innocenzo corse subito sul luogo, portando con sé i diaconi Celso, che sarà poi suo biografo, e Gaudenzio; sotto le radici del sambuco vi era il sepolcro, povero e disadorno, coperto solo da una lastra di terracotta con l’iscrizione: “qui riposa il corpo di Marziano”. Allora radunò il clero e il popolo e al canto di inni e salmi aprirono la tomba, trovandovi le ossa del martire, la spugna con cui fu lavato il corpo e l’ampolla col sangue. Pieno di gioia per quella grazia soprannaturale, Innocenzo sostituì la primitiva tomba con un più degno sepolcro in pietra e sopra vi fece edificare una grandiosa basilica, che fu terminata in un anno e divenne nei secoli successivi la potente abbazia di San Marziano, visitata da re, papi e imperatori. Sant’Innocenzo morì il 17 aprile del 353, dopo aver retto per ventotto anni la Chiesa tortonese e averla resa grande e florida, feconda di santità e salda nella fede, al punto che il suo successore, sant’Esuperanzio, fu uno dei più accesi nemici dell’eresia ariana, accanto a sant’Ambrogio e sant’Eusebio.
Nel frattempo Innocenzo si recò a Roma per riottenere dall’imperatore i beni paterni confiscatigli durante la persecuzione e ottenne per la sua causa l’appoggio del Papa san Silvestro, che lo ordinò diacono tenendolo alcuni anni presso di sé e poi lo invio a Tortona come vescovo, dopo averlo consacrato personalmente il 24 settembre 325. Nobile, circondato dall’aureola del martirio, accompagnato dalla benedizione del Papa e dalla protezione dell’imperatore, sant’Innocenzo ritorno alla terra natale, inaugurando una nuova primavera per la Chiesa tortonese. Si prodigò per confermare nella fede i Cristiani e per guadagnare a Cristo i pagani. Riorganizzò i fedeli della città e delle campagne e diede per la prima volta nella storia una definitiva fisionomia territoriale alla diocesi. Dopo avere fatto dono dei suoi beni di famiglia alla diocesi, si preoccupò di innalzare in Tortona i monumenti della fede cristiana, che finalmente poteva uscire con dignità alla luce del sole; edificò una grande basilica sul colle che sovrasta la città, presumibilmente nell’area occupata oggi dallo stadio, dedicandola ai Santi Sisto e Lorenzo come omaggio ai martiri della Chiesa di Roma. Questa chiesa giunse fino ai tempi moderni e andò distrutta soltanto nel 1609, dopo che fu inglobata nelle fortificazioni del castello e trasformata in polveriera dagli Spagnoli, a causa di un fulmine che diede fuoco alle polveri durante un violentissimo temporale; in essa trovò sepoltura il corpo dello stesso Innocenzo e servì da Cattedrale a partire dal X secolo. Successivamente edificò la chiesa dei Dodici Apostoli, e quella in onore del primo martire Santo Stefano, le cui fondamenta sono state individuate nell’area cittadina ora compresa tra le vie Sada, Zenone e piazza Malaspina. Alle pendici del colle che sovrasta la città, Innocenzo edificò il battistero e la chiesa di Santa Maria, che alcuni storici hanno voluto identificare come una precedente chiesa mariana nell’area dell’attuale chiesa di Santa Maria Canale. Per il battistero, di forma ottagonale, circondato da ventiquattro colonne di marmo, era necessario infatti un luogo ricco di acqua corrente, che permettesse il battesimo per immersione come era in uso nei primi secoli, e così il vescovo scelse una zona ricca di sorgenti e di rivi che scendevano dalle colline, ai piedi e non alla sommità del colle tortonese. Ancor’oggi la zona circostante la chiesa di Santa Maria Canale evoca nei nomi un’antica toponomastica legata all’acqua e ai suoi usi sia rituali che profani: la chiesa è popolarmente detta “La Canale”, la piazza sovrastante è indicata come “Il Lavello” a ricordo dei lavatoi pubblici di un tempo, mentre dove ora vi è l’istituto “Dante” sorgeva la chiesa di “San Giovanni in Piscina”. Nella chiesa di Santa Maria Innocenzo amava spesso officiare le divine liturgie e lì vi compì un singolare prodigio: chiese che gli venissero portate delle braci, necessarie per i sacri riti, e una donna di fede, Senatrice non avendo dove riporle, in uno slancio di generosità si mise le braci in grembo e senza danno, né di sé né degli abiti, le recò al vescovo. Sull’area della sinagoga, che fece demolire, costruì la Cattedrale fuori Porta Ticinese presso il luogo del martirio del vescovo della sua infanzia san Giuliano, sull’area all’incrocio dell’attuale via Emilia con la strada per Castelnuovo. Questo tempio funzionò fino al X secolo, quando venne abbandonato in seguito alle incursioni degli Ungari perché essendo fuori le mura non era più sicuro. Innocenzo aveva una sorella che prese, com’era costume dell’epoca lo stesso nome della madre, Innocenza; desiderosa di seguire anch’ella il Signore si consacrò alla preghiera e alla carità, vivendo in penitenza accanto al fratello vescovo. Per lei Innocenzo costruì un palazzo, sul colle dove ora sorge il convento dei Cappuccini, dotandolo di pozzi e acqua corrente, convogliandola attraverso un’ampia cisterna. Ad Innocenza si unirono presto altre donne pie che condividevano i suoi ideali e che formarono il nucleo di quello che alcuni secoli più tardi, quando la vita religiosa si era ormai affermata e organizzata nella Chiesa, diverrà il monastero di Sant’Eufemia.
La gloria più grande attribuita a Sant’Innocenzo dalla tradizione tortonese e quella del ritrovamento del corpo di San Marziano, il primo vescovo della città, evangelizzatore immediatamente a ridosso dell’età apostolica e martire nel 122. Il luogo della sua sepoltura, avvenuta in segreto ad opera del cavaliere romano san Secondo, che pochi giorni dopo incontrerà il martirio ad Asti, era rimasto ignoto per tre secoli. Innocenzo lo cercò con cura negli antichi cimiteri e nelle necropoli lungo le vie consolari, ma tutto fu vano: nessuna tomba rivelava la sepoltura del santo Martire, finché intervenne il Cielo. Il prete Giacomo stava officiando l’eucaristia nella chiesa di Santa Maria quando gli fu rivelato in visione il luogo del sepolcro di San Marziano, non lungo le vie che collegavano la romana Dertona a mezz’Europa, secondo la consuetudine latina, ma a lato di un polveroso viottolo, che scendeva tra gli orti e le sterpaglie fino allo Scrivia, sotto le fronde di un sambuco. Sant’Innocenzo corse subito sul luogo, portando con sé i diaconi Celso, che sarà poi suo biografo, e Gaudenzio; sotto le radici del sambuco vi era il sepolcro, povero e disadorno, coperto solo da una lastra di terracotta con l’iscrizione: “qui riposa il corpo di Marziano”. Allora radunò il clero e il popolo e al canto di inni e salmi aprirono la tomba, trovandovi le ossa del martire, la spugna con cui fu lavato il corpo e l’ampolla col sangue. Pieno di gioia per quella grazia soprannaturale, Innocenzo sostituì la primitiva tomba con un più degno sepolcro in pietra e sopra vi fece edificare una grandiosa basilica, che fu terminata in un anno e divenne nei secoli successivi la potente abbazia di San Marziano, visitata da re, papi e imperatori. Sant’Innocenzo morì il 17 aprile del 353, dopo aver retto per ventotto anni la Chiesa tortonese e averla resa grande e florida, feconda di santità e salda nella fede, al punto che il suo successore, sant’Esuperanzio, fu uno dei più accesi nemici dell’eresia ariana, accanto a sant’Ambrogio e sant’Eusebio.
Santo Agapito
Papa e Patriarca di Roma che confessa la retta fede di fronte all’eresia
monofisita(verso il 536)
Dal quotidiano
Avvenire
Fu eletto Papa il 13 maggio 535 ma il
suo pontificato durò poco più di undici mesi. Un periodo durante il quale
l'imperatore d'Oriente Giustiniano riuscì a conquistare la rimanente parte del
Medio Oriente e gran parte dell' Africa nord orientale, già regno dei Goti. Poi
inviò il suo generale Belisario in Italia: sbarcato in Sicilia diresse le sue
truppe verso Napoli e da li si preparò a sferrare l'attacco finale a Roma. Il
principe ostrogoto Teodato riuscì però a costringere papa Agapito, usando la
«longa manus» imperiale, ad intraprendere un duro viaggio verso Bisanzio, al
fine di riuscire a convincere l'imperatore a desistere dalla sua impresa.
Giunto a Costantinopoli, Agapito fu accolto con tutti gli onori ma non riuscì a
far desistere Giustiniano dai propositi di riconquista della penisola italica.
In compenso però, Agapito inflisse un duro colpo all'eresia monofisita,
riuscendo a far allontanare il patriarca Antimo e a insediare il patriarca
Menas. Dopo le fatiche del viaggio il Papa si ammalò gravemente. Morì il 22 aprile 536.
Martirologio
Romano: A Costantinopoli, anniversario della morte di sant’Agápito I, papa, che
si adoperò con fermezza perché il vescovo di Roma fosse eletto liberamente dal
clero dell’Urbe e la dignità della Chiesa fosse ovunque rispettata; mandato poi
dal re dei Goti Teódoto a Costantinopoli presso l’imperatore Giustiniano,
difese la retta fede e ordinò Mena vescovo della città, dove riposò nella pace.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/51150
Sembra fosse imparentato con San
Gregorio Magno e con San Felice IV. Egli stesso figlio del prete Giordano
rettore della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo sul Celio di Roma, il quale fu
ricordato per essere stato trucidato durante lo scisma, in quanto seguace di
Simmaco.
Agapito fu consacrato il 13 maggio del 535.
Il suo regno durò poco più di undici mesi ma pur non essendo stato artefice di grandi eventi, grandi eventi si svolsero in quei pochi mesi.
L'imperatore d' oriente Giustiniano riuscì a conquistare la rimanente parte del medio oriente e gran parte dell' Africa nord orientale, già regno dei goti.
Amalasunta, madre di Atalarico fu fatta assassinare (mediante strangolamento) da Teodato (principe ostrogoto, figlio Amalafreda, sorella di Teodorico) che diede così il pretesto a Giustiniano, di inviare il suo generale Belisario per dirimere le questioni, il quale dopo essere sbarcato e conquistato la Sicilia diresse le sue truppe verso Napoli e da li si preparò a sferrare l'attacco finale a Roma che avrebbe inizialmente dovuto essere assediata.
Teodato non essendo preparato militarmente per le grandi battaglie riuscì però a costringere il pontefice, usando la "longa manus" imperiale, ad intraprendere un duro viaggio verso Bisanzio, al fine di riuscire a convincere l' imperatore a desistere dalla sua impresa.
Agapito si sottomise e non avendo fondi per affrontare il viaggio impegnò alcuni arredi della basilica di San Pietro.
Giunto a Costantinopoli, Agapito fu accolto con tutti gli onori ma non riuscì a far desistere Giustiniano dai propositi di riconquista della penisola italica.
Durante il suo brevissimo soggiorno a Costantinopoli però una cosa riuscì a rimediare: un' ulteriore sconfitta all'eresia monofisista, riuscendo a far allontanare il patriarca Antimo ( protetto dall'imperatrice Teodora) a favore dell'insediamento del patriarca Menas
Agapito fu consacrato il 13 maggio del 535.
Il suo regno durò poco più di undici mesi ma pur non essendo stato artefice di grandi eventi, grandi eventi si svolsero in quei pochi mesi.
L'imperatore d' oriente Giustiniano riuscì a conquistare la rimanente parte del medio oriente e gran parte dell' Africa nord orientale, già regno dei goti.
Amalasunta, madre di Atalarico fu fatta assassinare (mediante strangolamento) da Teodato (principe ostrogoto, figlio Amalafreda, sorella di Teodorico) che diede così il pretesto a Giustiniano, di inviare il suo generale Belisario per dirimere le questioni, il quale dopo essere sbarcato e conquistato la Sicilia diresse le sue truppe verso Napoli e da li si preparò a sferrare l'attacco finale a Roma che avrebbe inizialmente dovuto essere assediata.
Teodato non essendo preparato militarmente per le grandi battaglie riuscì però a costringere il pontefice, usando la "longa manus" imperiale, ad intraprendere un duro viaggio verso Bisanzio, al fine di riuscire a convincere l' imperatore a desistere dalla sua impresa.
Agapito si sottomise e non avendo fondi per affrontare il viaggio impegnò alcuni arredi della basilica di San Pietro.
Giunto a Costantinopoli, Agapito fu accolto con tutti gli onori ma non riuscì a far desistere Giustiniano dai propositi di riconquista della penisola italica.
Durante il suo brevissimo soggiorno a Costantinopoli però una cosa riuscì a rimediare: un' ulteriore sconfitta all'eresia monofisista, riuscendo a far allontanare il patriarca Antimo ( protetto dall'imperatrice Teodora) a favore dell'insediamento del patriarca Menas
Agapito, dopo le fatiche del viaggio si
ammalò gravemente fino all'estrema conseguenza che accadde il 22 aprile del
536.
I suoi funerali furono volutamente di estrema sontuosità e la sua salma fu traslata a Roma per essere sepolta nel sagrato di San Pietro.
I suoi funerali furono volutamente di estrema sontuosità e la sua salma fu traslata a Roma per essere sepolta nel sagrato di San Pietro.
Tratto
da
http://www.treccani.it/enciclopedia/agapito-i_%28Enciclopedia-Dantesca%29/
Successo
a Giovanni II, papa inviso alla corte di Ravenna per i suoi stretti rapporti
con Giustiniano, la sua elezione (maggio 535) dové non poco contrariare
Teodato. A. infatti sancì definitivamente l'illiceità dell'uso della
designazione da parte del papa vivente del successore, uso che era favorito
dalla corte gota, che in questo modo aveva la garanzia di un papa sempre
favorevole. Il re tuttavia si dovette servire di A. per una missione a
Bisanzio; in questo periodo infatti i già precari rapporti tra Ravenna e
l'Impero erano giunti a un punto critico dopo la tragica deposizione di
Amalasunta, e l'esercito di Belisario già muoveva per ristabilire l'autorità
dell'imperatore nelle regioni occidentali. Teodato, quindi, con concrete
minacce costrinse il papa a recarsi presso Giustiniano per perorare la sua
causa. Nel frattempo anche i rapporti tra Bisanzio e Roma erano giunti a un
punto critico per il prevalere a corte della corrente monofisita, favorita dal
patriarca Antimo, eletto subito dopo il papa (giugno 535) col favore di
Teodora. A. si recò quindi in Oriente, e per quanto la sua missione sul piano
politico fallisse, ottenne dei successi veramente considerevoli sul piano
dottrinale. Appena giunto a Costantinopoli, infatti, il papa, sollecitato da
vescovi e monaci orientali, affrontò e risolse la questione monofisita
deponendo Antimo e mettendo al suo posto il patriarca Mena, fedele
all'ortodossia; ottenne inoltre la professione di fede dell'imperatore e il
riconoscimento da parte di questo del magistero della Chiesa di Roma e della
differenza fondamentale fra il potere spirituale e il secolare.
Quello
di A. nei confronti di Giustiniano fu un successo senza precedenti ottenuto
soprattutto grazie alla forza della sua personalità. E questa influenza
dell'uomo A. sull'imperatore è ben espressa da D. in Pd VI 16-18 ' l benedetto
Agapito, che fue / sommo pastore, a la fede sincera / mi dirizzò con le parole
sue. / Io li credetti: D. quindi vuol mettere in evidenza come la conversione
di Giustiniano sia stata proprio il frutto di un rapporto personale fra i due,
pone l'accento sulla devozione di lui verso il papa con l'appellarlo benedetto,
e col riconoscerlo sommo pastore: tanto al disopra di sé che si designa Cesare,
con titolo quindi puramente umano che ricorda solo il nome di un uomo che ebbe
il sommo impero. Ma in realtà la fama dell'influenza che A. ebbe su
Giustiniano, per essere stata così puntualmente colta da D., deve aver lasciato
una profonda traccia, e abbiamo inoltre anche testimonianza del rancore che
suscitò: ancora infatti alla metà del XII secolo il patriarca giacobita di
Antiochia malediceva la memoria di questo papa che aveva affermato la
superiorità giurisdizionale della Chiesa di Roma nella sede stessa dell'Impero.
Bibl.
- Oltre alla bibliografia e alle fonti indicate alla voce A. di O. Bertolini,
in Dizion. biogr. degli Ital. I (1960) 362-367, si veda, per quanto riguarda
l'influenza del pontefice su Giustiniano, E. Caspar, Geschichte der Papsttums,
II, Tubinga 1933, passim; si veda inoltre O. Bertolini, Roma di fronte a
Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, 117, 123-129, 170, 211-214; per
l'interpretazione di D., la lettura di O. Bacci, in Lett. dant. 1441, e quella
di P. Brezzi, in Lect. Scaligera III 179; e infine le voci A., a c. di J.P.
Kirsch, in Dictionn. d'hist. et de géogr, ecclésiastiques, I, coll. 887-890, e
di P. Paschini, in Enc. Ital., I.
Consultare anche
ed inoltre
BIBLIOTECA DI
AGAPITO
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