Santi
Tiburzio, Valeriano e Massimo Martiri
di Roma
Tratto dal quotidiano Avvenire
I tre santi martiri Tiburzio, Valeriano e Massimo, vissuti nel III secolo a Roma, sono ricordati da antiche fonti sin dal V secolo, tuttavia vi sono due versioni che trattano la loro personalità ed esistenza storica; una è legata alla «Passio» di santa Cecilia († 232), mentre l'altra è riportata dal «Martirologio Geronimiano». Secondo la «Passio», Valeriano era sposo di Cecilia e da lei convertito, fu battezzato dal papa Urbano I (222-230) e a sua volta convertì al cristianesimo il fratello Tiburzio; ambedue furono condannati a morte dal prefetto Almachio, che li affidò al «cornicularius» Massimo, (ufficiale in seconda del console) il quale prima di fare eseguire la sentenza, si convertì anche lui, venendo così condannato e ucciso qualche giorno dopo. Valeriano e Tiburzio furono martirizzati e sepolti in un posto chiamato Pagus da Cecilia, a quattro miglia da Roma, ma che non è stato identificato, e che poco dopo seppellì anche Massimo in un diverso sarcofago.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49450
I tre santi martiri Tiburzio, Valeriano
e Massimo, vissuti nel III secolo a Roma, sono ricordati da antiche fonti sin
dal V secolo, tuttavia vi sono due versioni che trattano la loro personalità ed
esistenza storica; una è legata alla “passio” di s. Cecilia († 232), mentre
l’altra è riportata dal ‘Martirologio Geronimiano’.
Nel suddetto Martirologio sono citati ben quattro volte, la prima li indica come sepolti nel cimitero di Pretestato e ricordati il 14 aprile e questa versione è quella passata poi nel Martirologio Romano, ancora oggi in uso.
Le altre versioni li ricordano come sepolti in altri cimiteri di Roma, ricordati in date diverse, a volte confusi, come il caso di s. Tiburzio con altro omonimo; gli studiosi della materia non sono giunti ad una certezza assoluta, sembra comunque che nel cimitero di Pretestato era sepolto il solo s. Tiburzio con celebrazione al 14 aprile, mentre nel cimitero di Callisto vi erano Massimo e Valeriano con la loro celebrazione al 21 aprile, che vennero poi traslati nel cimitero di Pretestato; sembra che in seguito fu s. Gregorio Magno ad unirli in un’unica celebrazione.
Comunque secondo la ‘passio’, Valeriano era sposo di Cecilia e da lei convertito, fu battezzato dal papa Urbano I (222-230) e a sua volta convertì al cristianesimo il fratello Tiburzio; ambedue furono condannati a morte dal prefetto Almachio, che li affidò al “cornicularius” Massimo, (ufficiale in seconda del console) il quale prima di fare eseguire la sentenza, si convertì anche lui, venendo così condannato e ucciso qualche giorno dopo.
Valeriano e Tiburzio furono martirizzati e sepolti in un posto chiamato Pagus da Cecilia, a quattro miglia da Roma, ma che non è stato identificato, e che poco dopo seppellì anche Massimo in un diverso sarcofago.
I loro sepolcri furono restaurati prima da Gregorio III (731-41) poi da Adriano I (772-795) e finalmente da Pasquale I (817-24) il quale trasferì le loro reliquie nella basilica di S. Cecilia a Trastevere.
Nel suddetto Martirologio sono citati ben quattro volte, la prima li indica come sepolti nel cimitero di Pretestato e ricordati il 14 aprile e questa versione è quella passata poi nel Martirologio Romano, ancora oggi in uso.
Le altre versioni li ricordano come sepolti in altri cimiteri di Roma, ricordati in date diverse, a volte confusi, come il caso di s. Tiburzio con altro omonimo; gli studiosi della materia non sono giunti ad una certezza assoluta, sembra comunque che nel cimitero di Pretestato era sepolto il solo s. Tiburzio con celebrazione al 14 aprile, mentre nel cimitero di Callisto vi erano Massimo e Valeriano con la loro celebrazione al 21 aprile, che vennero poi traslati nel cimitero di Pretestato; sembra che in seguito fu s. Gregorio Magno ad unirli in un’unica celebrazione.
Comunque secondo la ‘passio’, Valeriano era sposo di Cecilia e da lei convertito, fu battezzato dal papa Urbano I (222-230) e a sua volta convertì al cristianesimo il fratello Tiburzio; ambedue furono condannati a morte dal prefetto Almachio, che li affidò al “cornicularius” Massimo, (ufficiale in seconda del console) il quale prima di fare eseguire la sentenza, si convertì anche lui, venendo così condannato e ucciso qualche giorno dopo.
Valeriano e Tiburzio furono martirizzati e sepolti in un posto chiamato Pagus da Cecilia, a quattro miglia da Roma, ma che non è stato identificato, e che poco dopo seppellì anche Massimo in un diverso sarcofago.
I loro sepolcri furono restaurati prima da Gregorio III (731-41) poi da Adriano I (772-795) e finalmente da Pasquale I (817-24) il quale trasferì le loro reliquie nella basilica di S. Cecilia a Trastevere.
Santo Procolo
Vescovo di Terni
Sta in
SAN
PROCOLO TITOLARE
DELLA
CHIESA FAENTINA DI PIEVE PONTE
Un
enigma agiografico
Il
Vescovo di Ravenna? Il Martire di Bologna? Il
Martire Umbro?
(di
Giuseppe Sgubbi)
http://www.duepassinelmistero.com/sanprocolo.htm
Procolo umbro
Molte delle notizie riguardanti questo Procolo si
apprendono dalla già ricordata Passio XII Siri B.H.L 1620,
una leggenda scritta da un monaco dell’VIII sec. del centro spoletino di S.
Brizio: secondo tale passio, Procolo e altri 11 compagni (Anastasio, Eutizio,
Brizio, Abbondio, Giovanni, Valentino, Isacco, Carpofero, Lorenzo,
Ercolano e Barattale, tutti provenienti dalla Siria), dopo essere arrivati a
Roma, si dirigono lungo la Valle Tiberina (valle del Tevere), per fare opera di
evangelizzazione. Alcuni di loro, come poi vedremo, diventano vescovi di
varie città umbre, altri fondano dei monasteri, quasi tutti sono
costretti a subire il martirio. Si tratta di una leggenda, specialmente dal
punto di vista cronologico, completamente inaffidabile: infatti vengono
raggruppate persone vissute a distanza
anche di diversi secoli , toccando un arco di tempo vastissimo, dall’anno
231 al 656.
Giustamente il Penco (25) definisce questa Passio
“famigerata”, poiché, purtroppo, è diventata la “croce” degli
studiosi di storia ecclesiastica umbra: infatti, pur contenendo racconti
fantasiosi, contiene anche moltissime notizie riguardanti i
primordi della chiesa umbra, conseguentemente, molto si è dovuto attingere da
essa. Non è chiara la ragione per cui fu scritta tale leggenda,
probabilmente lo scopo fu quello di mettere in evidenza il
contributo “siriaco” alla evangelizzazione della zona. Da questa
leggenda è possibile ricavare anche utili notizie riguardanti
l’irradiazione del cristianesimo verso l’alta Italia ed in particolare verso la
Romagna. Si tratta di un tema che a mio parere non ha ricevuto
quell’approfondimento che invece meritava. A parere della stragrande
maggioranza degli studiosi, il cristianesimo sarebbe arrivato a Classe via mare
e poi si sarebbe irradiato nell’entroterra (26): ebbene nessuno vuol mettere in
dubbio l’importanza avuta dalla presenza del porto di Classe, che ha
sicuramente favorito l’arrivo di persone da ogni parte del mondo e perciò
anche di qualche cristiano, ma, se per irradiazione del cristianesimo
intendiamo il cristianesimo organizzato (cioè elezioni dei vescovi,
delimitazione territoriale diocesiana, erezioni di chiese, ecc),
l’irradiazione non può che essere arrivata da Roma. La
tradizione che i primi vescovi di Ravenna fossero tutti provenienti dalla
Siria e che Sant’ Apollinare sia stato mandato da Pietro non deve essere intesa
come una provenienza “siriaca” via mare, bensì come una provenienza “siriaca”
via terra, tramite la valle Tiberina (27). Giustamente dice il Mochi
Onory 28) che “il gioco di questa regione, cioè l’Umbria, è quello di ponte di
passaggio tra il nord ed il sud dell’Italia e tra le due città maggiori
dell’alto Medio Evo: Roma e Ravenna”. Si tenga pure presente che in Umbria il Cristianesimo
si è sviluppato prestissimo (non a caso proprio in tale area geografica
si trovano le più antiche tracce di vita monastica), perciò non deve
sorprendere che l’Umbria sia stata una “base” di partenza per l’irradiazione
del Cristianesimo verso altre zone. Pur prendendo atto che quella di Ravenna è
la diocesi romagnola più antica e che perciò Ravenna ha sicuramente dato un
grosso contributo alla diffusione della “buona novella” in
Romagna, non si può escludere che il culto di qualche santo sia
arrivato dalle nostre parti senza esser dovuto obbligatoriamente passare da
Ravenna. Un esempio su tutti: S. Savino. Ritorniamo ai componenti della Passio
XII Siri: quasi tutti sono elencati e festeggiati nel calendario
ufficiale della chiesa cattolica e, oltre che col nome e il titolo, sono
ricordati topograficamente: il 1° marzo, Ercolano vescovo di Perugia; il
15 maggio, Eutizio di Ferento; il 17 agosto, Anastasio vescovo di Terni; il 19
settembre, Giovanni vescovo di Spoleto; il 9 ottobre, Barattale vescovo di
Spoleto; il 10 dicembre, Carpofero ed Abbondio; il 14 febbraio
Lorenzo vescovo di Spoleto ed il 1° dicembre, Procolo vescovo di Narni. Quasi
tutti questi santi sono pure descritti nella Biblioteca Sanctorum.
Significativo il ricordo di alcuni di loro nei più autorevoli ed antichi
Martirologi. Tutti questi dati ci dicono che questi santi, pur essendo le
loro gesta riportate dalla leggendaria Passio, sono
realmente vissuti.
E veniamo ora a S. Procolo: la sicura esistenza di questo santo
nella Valle Tiberina è documentata da San Gregorio, che, in un suo
dialogo, ricorda la celebrazione di una messa in una chiesa dedicata a S.
Procolo (Beati Proculi martyris natalitius dies) (29), ma ancor
prima il santo è ricordato nella Passio S. Valentini B.H.L.8460,
ambientata sub Claudio, perciò datata al 268-70.
Gli antichi Martirologi, lo recensiscono più volte: si
pensi che il Geronimiano lo ricorda in Umbria in ben 5 date: 14
febbraio, 14, 15, 18 aprile e 1 maggio. Le recensioni più significative sono
comunque queste: al 1° dicembre quella di Usuardo (Civitate
Narnis sancti Procoli presbiter); sempre al 1° dicembre alcuni
codici romani del Martirologio di Beda (Interamne sive
Narniis Proculi episcopi et martyris); al 1° maggio il
Geronimiano (Interamma miliario sexagesimo IIII
Proculi…..); ancora il Geronimiamo, al 14 aprile (Interamna,
Procuri). Da queste antiche testimonianze si apprende che in Umbria
un S. Procolo era venerato in due città, Terni e Narni, e ricordato
in varie date (14 aprile, 1° maggio e 1°dicembre, a cui naturalmente va
aggiunta la data del 1° giugno ricordata nella leggendaria Passio XII Siri).
A Terni da tempi immemorabili si festeggia in aprile un martire Procolo.
Naturalmente non è possibile sapere se si tratta di un solo Procolo o di più
santi con tale nome. Occorre far presente che, a parere della stragrande
maggioranza degli studiosi, si tratterebbe di un solo Procolo, cioè
quello ricordato nella Passio Sancti Valentini e nella Leggenda
XII Siri, che col tempo, come è accaduto anche per altri santi,
avrebbe subito vari “sdoppiamenti”.
Dalle notizie riguardanti il Procolo “siro” abbiamo
appreso che in Umbria è sicuramente esistito un santo con tale
nome, ma non abbiamo appreso elementi sufficienti per poter dimostrare che
questo è il titolare di Pieve Ponte. Ci troviamo perciò ancora al “palo” di
partenza, ma il ritrovamento di un antico documento ci permette di fare
qualche passo in avanti: si tratta di un antico
calendario rinvenuto nel 1895 nella Biblioteca Antoniana di Padova, ma
proveniente dal celebre monastero benedettino di Leno. Questo
calendario , datato 883, è conosciuto dagli studiosi come “Calendario
Carolingio dei riposi festivi”, in quanto descrive le giornate di
festa di una chiesa locale. Molto contestata la sua attribuzione:
per alcuni è veronese (30), per moltissimi bolognese (31), per il Pini invece
(32), alla luce di importanti considerazioni, sarebbe faentino.
Questo calendario contiene una notizia che per la presente
ricerca riveste una particolare importanza: al 1° giugno riporta
una “translatio martyrum Procoli et Laurentii”. Questo significa
che in una chiesa faentina, che potrebbe benissimo essere
Pieve Ponte, veniva solennemente festeggiato un arrivo
di reliquie.
Se poi aggiungiamo che in un manoscritto del Martirologio di
Beda (33), al 6 giugno è ricordata una translatio del corpo
di Procolo avvenuta a Terni (Et Interamne translatio corporis beati
Proculi, Martyris), abbiamo la possibilità di conoscere anche
il probabile punto di partenza delle reliquie.
Cotesta translazione, o almeno il suo ricordo, si ritrova
nel più antico calendario sicuramente faentino (XV secolo) pubblicato dal
Lanzoni (34), nel quale al 1° giugno compare ancora un S. Procolo,
ma questa volta aggregato a S. Nicomede. In questo calendario
compare, per la prima volta al 1° dicembre, un Sancti
Proculi archiepiscopi ravennatis. Ritornando alla nostra translatio,
abbiamo visto che insieme a Procolo è ricordato un S. Lorenzo. Ma chi è questo
S. Lorenzo? Non l’universalmente noto Lorenzo, diacono romano festeggiato
il 10 agosto (cioè quello della “graticola”), ma un altro
Lorenzo festeggiato il 4 febbraio, cioè un componente della Passio XII
Siri. Se vi è qualche dubbio che questo sia il Lorenzo
fondatore del Monastero di Farfa, come riportato dal Chronicon
farfense di Gregorio di Catino, non vi sono invece dubbi sul fatto
che questo sia il Lorenzo che, avendo tenuto la cattedra sabinese, è
ricordato da San Pier Damiani nella lettera che questi mandò a Papa Nicolò II
(35). Sono fermamente convinto che se si facesse una indagine
sulle numerosissime chiese dedicate a S. Lorenzo, si constaterebbe, come
è accaduto in Umbria (36) e nel bolognese (37), che in alcune di queste
non è venerato il Lorenzo della “graticola”, ma il Lorenzo “siro”.
Se poi si volesse indagare anche su tutti gli altri componenti della Passio
XII Siri, apprenderemmo tante cose interessanti, delle vere e proprie
sorprese, per esempio che il S. Valentino di Terni, festeggiato il 14 febbraio
(cioè il Valentino degli “innamorati”) corrisponde al Valentino “siro” (38).
Non a caso quest’ultimo S. Valentino compare nel Martirologio
Romano proprio al 14 febbraio insieme a Procolo (Interamnae sanctorum
Proculi Ephebi,et Apolloni Martyrum qui cum ad sancti Valentini…) e
dalla Passio di S. Giovenale B.H.L. 4614 si apprende pure che
l’oratorio di Terni, a S. Valentino dedicato, fu pure
fatto erigere da S. Procolo. Continuando la suddetta indagine,
apprenderemmo pure che il S. Eustacchio titolare di una chiesa faentina
ed il S. Eustacchio di Mordano corrispondono al S. Anastasio “siro”
(39).
Senza alcun dubbio la presenza del Lorenzo “siro”,
nella ricordata translatio, conferma che le reliquie non
sono arrivate da Ravenna , neanche Bologna, ma dall’Umbria.
Nonostante questa translatio ci abbia
fatto conoscere molte notizie interessanti riguardanti Pieve Ponte, gli
“enigmi” enunciati in apertura, sussistono ancora quasi tutti. Infatti
molti sono gli interrogativi che attendono ancora una risposta: chi ha
portato a Pieve Ponte il culto di S. Procolo? In che epoca è stato portato? La
data del 1° giugno riguarda solo una translatio? Come mai è
venerato al 1° dicembre?
Vediamo se ci sono elementi che permettano di rispondere ai
primi due interrogativi. Il già ricordato Pini, nel corso di due suoi articoli,
entra in argomento: nel primo (40), dice che le reliquie ricordate dalla translatio
sarebbero arrivate nel faentino verso la fine dell’VIII secolo,
cioè nel periodo Longobardo, ma non si pronuncia al riguardo
di chi le ha portate. Nel secondo articolo (41), indirettamente, ritorna
sull’argomento limitandosi a far presente che i monaci benedettini che
nella prima metà del XI secolo portarono il culto di San Procolo nella
abbazia benedettina di Bologna provenivano da Faenza, ove, aggiunge, il
culto era da tempo documentato dall’esistenza di Pieve Ponte,
chiesa a lui dedicata. Non è chiaro cosa esattamente intenda dire il
Pini: intende forse dire che a Faenza vi era, come a Bologna un monastero
benedettino dedicato a San Procolo, magari collegato a
Pieve Ponte? Oppure che anche a Faenza il culto di S.Procolo fu portato dai
benedettini? Effettivamente vi era a Faenza un monastero benedettino,
cioè Santa Maria “Foris Portam”, ma non mi pare che abbia avuto,
diversamente dal monastero benedettino bolognese, alcun collegamento con
S. Procolo (42). Personalmente non credo ad un probabile “veicolo”
benedettino portatore nel faentino del culto Procoliano, in quanto tale
ipotesi incontrerebbe un ostacolo forse insormontabile nel “silenzio” di
San Pier Damiani: questi, monaco appartenente alla regola “benedettina”, se
avesse saputo che grazie ad alcuni suoi confratelli fosse arrivato a
Faenza il culto di S. Procolo, con conseguente dedicazione di una chiesa, non
avrebbe mancato di riferirlo. A mio parere il culto in Romagna di S.
Procolo è arrivato in epoca prebenedettina: quando
esattamente è difficile dirlo. Alcuni componenti della Passio XII Siri
risultano viventi all’epoca di Giuliano l’Apostata, morto nel 363,
perciò possono averlo portato nel corso della già ricordata e documentata
irradiazione del cristianesimo umbro verso la Romagna, oppure può essere
arrivato durante il periodo gotico: antiche tradizioni dicono che in tale
periodo per sfuggire dalla “persecuzione” del goto Totila, molte persone, sia
laici che cristiani, fuggirono dall’Umbria (43). Vi sono buone ragioni per
ritenere che la popolazione che ha portato il culto di S. Procolo nelle nostre
zone abbia pure lasciato un altro “segno” nella antica
toponomastica: essendo questa proveniente dalla valle Tiberina, per un
certo periodo ha chiamato Tiberiacum il fiume Senio (44).
25) G.Penco,
Il monachesimo in Umbria dalle origini al VII secolo, in “Atti del II
convegno di studi umbri”,1965, pp.262.
(26) F.Lanzoni,
I primordi del cristianesimo in Romagna, in “La Pié” ,1930 pp.
27-32.
(27) Sulla presenza siriaca a
Ravenna e sulla influenza anche nelle liturgia : M. Mazzotti, La siria a Ravenna, op, cit: Idem,
Ravenna e L’Oriente in “Kanon” 1977, pp. 19-27; A.Baumstark , I mosaici di
Sant’apollinare Nuovo e l’antico anno liturgico ravennate, in, “Rassegna
Gregoriana”, 1910, pp. 32 ss. Per una particolare tipo di croce
detta “siriaca” esistente a Ravenna , ma trovato un
esemplare anche nel solarolese, si veda, G. Sgubbi, Solarolo dalla più
remota antichità all’anno mille , in “Il territorio di Solarolo e le sue
vicende”, 1992 ,pp. 40.
(28) S.Mochi
Onory, Ricerche sui poteri civili dei vescovi nelle città umbre
durante il Medio Evo, 1930, pp.14.
(29) Si tratta della chiesa di Ferento.
(30) A.I.Pini
Un calendario dei riposi festivi del IX secolo già presunto bolognese e poi
veronese ed ora attribuito alla chiesa di Faenza, in “Studi Romagnoli”
XXVII 1976,pp.213.
(31) Ibid,
pp.210.
(32) Ibid
,pp.232
(33) H.Quentin , Les Martyrologes
Historiques du moyen age, 1908 ,pp.37
(34) F.
Lanzoni, Il più antico calendario, ecc, op, cit. pp. 22.
(35) S.Pier Damiani, epist,9, b 1 Ab
Nicolaum.
(36) C.
Rivera, Per la storia dei precursori di San Benedetto nella provincia
Valeria, in “Bullettino dell’Istituto, Storico Italiano e Archivio
Muratoriano” 1932, pp. 31.
(37) A.I.Pini,
Una pieve intitolata a San Procolo nella alta montagna
bolognese del XI secolo?, in “Il Carrobbio” 2001 pp. 26 e 30.
(38) A.Amore,
S.Valentino di Roma o di Terni?, in “Antonianum”, 1966 ,pp.260-277.
(39) Da identificare con il S. Anastasio
monaco di Suppetonia ricordato da Gregorio Magno, cifr F.Lanzoni, Le origini del
cristianesimo e dell’episcopato nell’Umbria romana, in “Riv. storico
-critica di scienze religiose” ,1907 pp. 831.
(40) A.I.Pini,
Un calendario dei riposi festivi ,ecc op, cit ,pp. 235.
(41) A.I.Pini,
Nuove ipotesi , ecc, op, cit ,pp.34.
(42) S.
Prete, Spunti critici di storia del Monachesimo nell’opera
lanzoniana, in Nel centenario della nascita di Mons F.Lanzoni , 1963,
pp.123.
(43) G.Penco,
Il monachesimo in Umbria ,ecc ,op, cit, pp.270.
(44) G.Sgubbi,
Il Senio: l’antico Tiberiacum?, in “Studi Solarolesi ed altri
scritti di varie antichità”, 2002 pp.2 e3.
Santo
Abbondio sacrestano della Chiesa di San
Pietr.
Roma(verso il
654)
Martirologio Romano A
Roma presso san Pietro, commemorazione di sant’Abbondio, che, come attesta il
papa san Gregorio Magno, fu umile e fedele mansionario di questa Chiesa
Tratto da
Mansionario della basilica di San
Pietro in Vaticano, santo. I Dialoghi di san Gregorio Magno sono l'unica fonte
che ci parli di lui, senza tuttavia precisare l'epoca in cui visse. Nei codici
il suo nome compare nelle varianti Acoitius, Agontius, Habundius, e la sua
morte è stata universalmente, quanto arbitrariamente, posta nell'anno 564. San
Gregorio lo descrive come uomo di grande umiltà e di tale dignità
nell'adempimento del divino servizio, che lo stesso apostolo Pietro volle
dimostrare con un miracolo quanta considerazione avesse per lui. Narra,
infatti, san Gregorio che un giorno una fanciulla paralitica, mentre si trovava
nella basilica e trascinava per terra le sue membra inerti cercando di
sostenersi sulle mani, invocò insistentemente la guarigione dal beato Pietro. E
questi una notte le apparve in sogno ordinandole di recarsi da Abbondio per
ottenere la guarigione. Tornata nella basilica e imbattutasi nel mansionario,
la fanciulla gli narrò la miracolosa visione ed Abbondio, presala per mano, la
restituì alla sanità primitiva. Fin qui il racconto di san Gregorio
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