sabato 21 aprile 2018

21 aprile Santi Italici ed Italo greci





 






 
Saints JANVIER, évêque de Bénévent en Campanie, PROCULE, SOSIE et FAUSTUS, diacres, DESIDERIUS ou DIDIER, lecteur, ACUCE et EUTYCHE, tous martyrs sous Dioclétien (vers 305). 

 






San Gennaro  vescovo di Benevento  con Festo diacono  e Desiderio lettore ,Sosso diacono della Chiesa di Pozzuoli - Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio martiri a Pozzuoli in Campania sotto Diocleziano nel 305 (in alcuni sinassari  la loro memoria è pure riportata al 19 settembre )


Tratto da
http://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/vitesanti/gennaro.htm

Atti[1] dello ieromartire Gennaro[2],
vescovo di Benevento

festa 19 settembre*
 
* La Chiesa Ortodossa celebra la memoria del santo ieromartire Gennaro e dei suoi compagni il 21 di Aprile.

 
Dal Quotidiano Avvenire
Gennaro era nato a Napoli (?), nella seconda metà del III secolo, e fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani. Nel contesto delle persecuzioni di Diocleziano si inserisce la storia del suo martirio. Egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno e che fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania. Gennaro saputo dell'arresto di Sosso, volle recarsi insieme a due compagni, Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere. Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio. Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell'anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/29200

Vi sono ben sette antichi ‘Atti’, ‘Passio’, ‘Vitae’, che parlano di Gennaro, fra i più celebri gli “Atti Bolognesi” e gli “Atti Vaticani”. Da questi documenti si apprende che Gennaro nato a Napoli  nella seconda metà del III secolo, fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani per la cura, che impiegava nelle opere di carità a tutti indistintamente; si era nel primo periodo dell’impero di Diocleziano (243-313), il quale permise ai cristiani di occupare anche posti di prestigio e una certa libertà di culto.
Nella sua vecchiaia però, sotto la pressione del suo Cesare Galerio (293), firmò ben tre editti contro i cristiani, provocando una delle più feroci persecuzioni, colpendo la Chiesa nei suoi membri e nei suoi averi per impedirle di soccorrere i poveri e spezzare così il favore popolare.
E in questo contesto s’inserisce la storia del martirio di Gennaro; egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno, importante porto romano sulla costa occidentale del litorale flegreo; Sosso fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania, per le funzioni religiose che quotidianamente venivano celebrate nonostante i divieti.
In quel periodo il vescovo di Benevento Gennaro, accompagnato dal diacono Festo e dal lettore Desiderio, si trovavano a Pozzuoli in incognito, visto il gran numero di pagani che si recavano nella vicinissima Cuma ad ascoltare gli oracoli della Sibilla Cumana e aveva ricevuto di nascosto anche qualche visita del diacono di Miseno (località tutte vicinissime tra loro).
Gennaro saputo dell’arresto di Sosso, volle recarsi insieme ai suoi due compagni Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere e anche con alcuni scritti, per esortarlo insieme agli altri cristiani prigionieri a resistere nella fede.
Il giudice Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio.
Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell’anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi, in un pubblico spettacolo. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri cristiani nel Foro di Vulcano, presso la celebre Solfatara di Pozzuoli.
Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due
ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione; era usanza dei cristiani dell’epoca di cercare di raccogliere corpi o parte di corpi, abiti, ecc. per poter poi venerarli come reliquie dei loro martiri.
I cristiani di Pozzuoli, nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che s. Gennaro avesse sui 35 anni, come pure giovani, erano i suoi compagni di martirio. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi “Catacombe di S. Gennaro”, per volontà dal vescovo di Napoli, s. Giovanni I e sistemate vicino a quelle di s. Agrippino vescovo.
Le reliquie degli altri sei martiri, hanno una storia a parte per le loro traslazioni, ma in maggioranza ebbero culto e spostamento nelle loro zone di origine.
Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire; a ricordo delle tappe della solenne traslazione vennero erette due cappelle: S. Gennariello al Vomero e San Gennaro ad Antignano.
Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini.
Va notato che già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586. La tomba divenne come già detto, meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre aumentava il culto per s. Gennaro, diminuiva man mano quello per s. Agrippino vescovo, fino allora patrono della città di Napoli; dal 472 s. Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono principale della città.
Durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, s. Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie; dopo fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di S. Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo; riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue.
Questa provvidenziale decisione, preservò le suddette reliquie, dal furto operato dal longobardo Sicone, che durante l’assedio di Napoli dell’831, penetrò nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della città, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo.
Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli, addirittura se ne perdettero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.
Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli nel succorpo del Duomo ed unite al capo ed alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.
Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le ormai famose ampolline col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere. Le ampolle erano state incastonate in una teca preziosa fatta realizzare da Roberto d’Angiò, in un periodo imprecisato del suo lungo regno (1309-1343).
La teca assunse l’aspetto attuale nel XVII secolo, racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri di diametro, vi sono le due ampolline, una più grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa il 60% di sangue e quella più piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.
Le altre reliquie poste in un’antica anfora, sono rimaste nella cripta del Duomo, su cui s’innalza l’abside e l’altare maggiore della grande Cattedrale



San Gennaro è certamente tra i santi dell’antichità più venerati dai fedeli, principalmente napoletani che, con focosa fede, hanno condotto il suo culto, travalicando i secoli, sino a noi. Il suo nome, secondo gli storici, sarebbe Januarius e la sua discendenza, proveniente dalla famiglia gentilizia romana Gens Januaria, sacra al dio bifronte Giano (Janus), da Roma si sarebbe trasferita in Campania. Dunque Gennaro era,in realtà, il suo cognome. C’è chi afferma che si chiamasse Procolo, chi Publio Fausto Gennaro, c’è chi sostiene fosse figlio unico e chi dice che avesse una sorella, Agata. Nato nel 272, forse a Benevento o Napoli o a Caroniti, frazione del comune di Ioppolo, in provincia di Vibo Valentia, di lui parlano ben 7 antichi Atti, Passio Vitae. Tra i più celebri, gli Atti Bolognesi e gli Atti Vaticani. Eletto Vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, era amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani, per la cura che impiegava nelle opere di carità a tutti, indistintamente.

Tratto da
http://www.meteoweb.eu/2017/09/san-gennaro-ecco-la-vita-di-uno-dei-santi-piu-venerati-antichita/970834/
La vicenda del suo martirio si inserisce nell’ambito delle persecuzioni anticristiane di Diocleziano. Egli conosceva il diacono Sosso (Sossio) che guidava la comunità cristiana di Misero e che fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania. Gennaro, saputo c dell’arresto di Sossio, volle recarsi, insieme a due compagni, Festo e Desiderio, a portargli il suo conforto in carcere. Dragonio, informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio. Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme ad altri a morire nell’anfiteatro, ancora oggi esistente, sbranati dagli orsi. Ma durante i preparati, il proconsole Dragonio si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi, prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, il 19 settembre 305 li fece decapitare nel Foro di Vulcano, presso la Solfatara di Pozzuoli.
Si narra che il sangue venne raccolto da un cieco che riacquistò subito la vista e da una pia donna, Eusebia, che lo conservò in due piccole ampolle. I fedeli recuperarono le spoglie di San Gennaro, seppellendole in una località chiamata Marciano, forse lungo l’antica via collinare da Pozzuoli a Napoli. Solo in seguito il Vescovo di Napoli, Giovanni I, fece potare il corpo del martire nelle catacombe di Capodimonte. Dopo fu la volta di Benevento, Montevergine e, per interferenza dell’arcivescovo Alessandro Carafa, Napoli. Nel luogo del martirio nel 1580 venne costruito il Santuario di San Gennaro alla Solfatara, dove è conservata la pietra di marmo scolpita, ritenuta il ceppo sul quale il Santo venne decapitato. La tradizione vuole che, contemporaneamente al miracolo della liquefazione del sangue a Napoli, sulla pietra si possono osservare le macchie di sangue che si ravvivano, quasi a diventare rosso rubino.


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Pochi sanno che Ianuario era il vero nome di S.Gennaro. Discendeva, infatti dalla famiglia gentilizia Gens Januaria sacra al bifronte dio Giano. Qundi Gennaro (trasformazione napoletana di Ianuario) non era il suo nome, bensì il cognome. Fonti non ufficiali affermano che il suo nome fu Procolo.
Al di la' di questo, che andava chiarito, Gennaro resta, senza dubbio, una delle figure piu' famose nel panorama partenopeo e si puo' tranquillamente affermare che e' noto in tutto il mondo. La vicenda che vide coinvolto Gennaro, avveniva nella prima metà del III secolo, in piena persecuzione cristiana da parte di Diocleziano.
A quei tempi, Gennaro, vescovo di Benevento (si, di Benevento e non di Napoli!), insieme a Desiderio e Festo (uno lettore, l'altro diacono) si reco' a Pozzuoli per fare visita ai fedeli. Saputo di questo viaggio, Sessio (diacono dell'odierna Miseno) gli ando' incontro. Quest'ultimo venne, pero', fermato lungo la strada ed arrestato per ordine di Dragonzio, giudice anticristiano. Saputo dell'accaduto, i tre (Gennaro, Festo e Desiderio) sentirono il dovere di far visita all'amico finito in carcere a causa loro. Dragonzio approfitto' dell'occasione per arrestare anche i tre. La sentenza fu di adorazione forzata degli idoli agli altari pagani. Naturalmente i tre si rifiutarono.
Al rifiuto, Dragonzio sentenzio': divorati dalle belve nell'anfiteatro. Si scateno' la ribellione della comunita' cristiana che ottenne solo la conversione della pena: decapitazione.
A sentenza eseguita, alcuni cristiani si incaricarono di seppellire i martiri e di conservare un po' del loro sangue, rito usuale all'epoca dei fatti. Il sangue di Gennaro fu tenuto in custodia dalla sua nutrice mentre il corpo veniva sistemato prima a Fuorigrotta e poi in quelle che oggi sono le Catacombe di S.Gennaro a Capodimonte.Cio' avvenne circa un secolo dopo la sua morte, durante il mese di Aprile, in cui ancora oggi si ritualizza una delle due liquefazioni annuali. Fu proprio in questo periodo, secondo alcuni storici, che si verifico' la prima liquefazione. Si noto' che, in vicinanza delle ossa del Santo, il contenuto delle ampolle da solido diventava liquido. Ma la data ufficiale della prima liquefazione e' il 1389.
Su questo fenomeno si sono fatte molte speculazioni. Alcuni dicono che e' un prodigio altri affermano che e' un falso. Infatti il fenomeno e' facilmente riproducibile in laboratorio con tecnologie ed elementi chimici gia' disponibili nel periodo preso in considerazione.
Non e' mio compito dire se e' vero o falso. Comunque sia resta il fascino ed il mistero che accompagna tutta la vicenda attraverso i secoli. Fascino e mistero anche nelle vicende che vedono coinvolti i resti del Santo. Continui spostamenti e traslazioni. Finanche il longobardo Duca Sicone nell'831 se ne occupo' trafugandone i resti e sistemandoli a Benevento, la citta' che vide Gennaro Vescovo.
Nel 1156 furono ancora una volta trasferiti. Murati dietro l'altare maggiore del Santuario di Montevergine, se ne perse il ricordo per circa 3 secoli quando, nel 1480, per lavori di restauro all'altare, furono ritrovati. Nel 1492 vide la sua attuale sistemazione nel Duomo di Napoli in una cappella a lui dedicata, insieme alle ampolle contenenti il sangue. Molti sono gli episodi veri o falsi che fanno da corollario ai misteri gennariani. Tra i tanti cito solo il palese anacronismo riguardo il ceppo su cui fu decapitato. A quei tempi, parliamo del 300 d.c., non si usava il ceppo per la decapitazione ed il marmo su cui si presume fu decapitato Gennaro, fa parte di un complesso marmoreo di qualche secolo posteriore.





Tratto da
http://www.famedisud.it/il-mistero-delle-origini-di-san-gennaro-una-antica-tradizione-lo-vuole-calabrese/

Lo scorso 19 settembre il suo sangue è tornato a sciogliersi nella cattedrale di Napoli e San Gennaro ha rinnovato il suo tacito patto di protezione con la città che da secoli lo ha scelto come suo Patrono. Oggi però ci occupiamo di lui non per parlare del prodigioso fenomeno, bensì per indagare una tradizione molto antica che mette in discussione il suo luogo di nascita. Un’indagine che risponde al puro gusto della ricerca fra storia e leggenda e che nulla toglie al significato religioso che questa figura ha per i Campani. A tal proposito la scelta, come immagine di apertura, del dipinto La decapitazione di San Gennaro del celebre pittore calabrese Mattia Preti, non è casuale, perchè la antica tradizione di cui vogliamo parlarvi ci porta proprio in Calabria, a Caroniti, piccola frazione del comune di Joppolo (Vibo Valentia) situata sulla cima del Monte Poro, a 710 m. di altezza, a poca distanza dalla più nota cittadina di Nicotera e dal Mar Tirreno che da queste parti è di una bellezza straordinaria.
Di questa tradizione ha scritto persino Mons. Luigi Petito, ex parroco del Duomo di Napoli, nel suo libro “San Gennaro”, edito nei primi anni ’80, eppure il prof. Gennaro Luongo, ordinario di Storia di Agiografia e Letteratura cristiana antica alla Università Federico II di Napoli – interpellato più recentemente sull’argomento – ha liquidato la questione dicendo che si tratta “solo dell’invenzione di un prete”. Un’allusione riferita molto probabilmente al libro Santi e Beati di Calabria scritto nel 1996 da don Bruno Sodaro, arciprete di Santa Domenica e rettore del Santuario della Madonna delle Grazie in Torre di Ruggiero (Catanzaro), nel quale appunto si parla ampiamente dell’origine calabrese di S. Gennaro. In realtà la storia, prima ancora che da Sodaro, era già stata trattata da Bruno Polimeni nell’articolo “La fanciullezza di S. Gennaro in Calabria” uscito nel 1987 sulla rivista Calabria Letteraria, riprendendo una vexata quaestio affrontata nel 1958 anche da Raffaele Corso, studioso di etnografia e folklore di Nicotera. Non è dunque un parto della fantasia ma deriva da una tradizione plurisecolare che cercheremo, senza esprimere giudizi di veridicità o infondatezza, di ricostruire citando o riprendendo testualmente alcune fonti remote che la riportano.
Cominciamo col dire che in quanto figura caratterizzata da forti tratti leggendari, di San Gennaro è stata talvolta messa in dubbio persino la reale esistenza storica. Ciò deriva soprattutto dal fatto che le fonti ufficiali che parlano di lui sono di secoli successive alla sua presunta nascita. Prendendole però per valide, ne ricaviamo che San Gennaro, vescovo di Benevento, nato nel 272, sarebbe stato martirizzato a Pozzuoli nel 305 per decapitazione durante la persecuzione dei cristiani da parte dell’imperatore Diocleziano. Quanto al luogo di nascita, già i suoi biografi più antichi indicavano ora la città di Benevento, ora quella di Napoli, oppure omettevano qualunque indicazione, segno che la questione è sempre stata controversa. Ma veniamo alla Calabria, chiedendoci secondo quali riferimenti sia possibile ricondurre a questa regione l’origine di San Gennaro.
LE FONTI
Esiste innanzitutto una radicata tradizione popolare che lo vuole nato vicino a Caroniti cui va ad aggiungersi la presenza di una chiesa parrocchiale a lui intitolata, la celebrazione della festa il 19 settembre e una grande diffusione del nome Gennaro. Passando invece alle fonti scritte, della sua origine calabrese parlano il vescovo, teologo, giurista e filologo settecentesco Tommaso Aceti nel suo commento all’opera di Gabriele Barrio De Antiquitate et situ Calabriae, una Memoria del canonico di Nicotera Luigi Sorace, vissuto ai primi dell’Ottocento, e un volume di Memorie storiche di Nicotera scritto nel 1838 da Francesco Adilardi Di Paolo, socio dell’Accademia Florimontana Vibonese e degli Affaticati di Tropea. Vediamo cosa scrive quest’ultimo, sia pure usando la massima cautela per non urtare la suscettibilità dei Campani:
“In queste parti di Calabria è fama di essere San Gennaro di Calafàtoni [antico villaggio nei pressi di Caroniti, frazione del comune di Joppolo – NdR]. Negli atti della S. Visita del 1599 vien chiamato Concivis Nicoteranus. Aceti narra, che lo stesso fatto si ricava da una cronaca molto antica, conservata in Pozzuoli nel secolo XVII; che un martirologio, scritto non di fresco in caratteri greci, lo faceva Calabrese; e che perciò il magistrato di Nicotera in atti del suo ministero si serviva della formola: Dei gratia et intercessione S. Januarii episcopi et martyris concivis nostri etc. Noi, per non avere in mano la cronaca ed il martirologio citati dall’Aceti, non vogliamo metterci in opposizione a’ Napoletani ed a’ Beneventani, i quali pugnano per sostenere loro il S. martire, e per conseguenza ci asteniamo di appellarlo nostro concittadino.”
Le fonti citate dall’Aceti, ricordate nel precedente testo, alludono innanzitutto ad un documento che il vescovo di Pozzuoli [Martin de Léon y Càrdenas – NdR] avrebbe mostrato a Ludovico Centofloreno, nominato vescovo di Nicotera da papa Innocenzo X e trovatosi a passare per Pozzuoli nel 1650 mentre si recava in Calabria per prendere possesso della sede: un Cronicon antichissimo lì conservato dal quale sarebbe apparso chiaro che S. Gennaro era nato a Calafatoni. Riferendosi a questo episodio, il canonico Sorace scrive che Centofloreno fece una copia del documento, ne certificò l’origine e la portò a Nicotera pensando che i cittadini ignorassero la vera origine di S. Gennaro; tale documento prezioso purtroppo andò perduto nel devastante terremoto del 1783.  L’altra fonte citata dall’Aceti è un vescovo greco che passando per la Calabria avrebbe mostrato un antichissimo Martirologio scritto nella sua lingua dal quale si evinceva che S. Gennaro era Calabrese.
e poi passiamo alla Memoria di inizio Ottocento del già citato Luigi Sorace, scopriamo che Monsignor Luca Antonio Resta, nominato nel 1578 vescovo di Nicotera, “volle portarsi di persona a visitare i villaggi di Calafatoni in punto d’estinguersi, e di Caroniti sorgente, ed ancora senza chiesa (…) e avendo inteso…che [la chiesa di Calafatoni] era stata eretta sotto il titolo di San Gennaro, appunto perché essa era il locale dove San Gennaro era nato, giacché era la casa di sua abitazione, siccome egli testifica per averlo udito dagli antichi, ordinò che dette abitazioni di Calafatoni si riunissero a quelle di Caroniti poco distanti, e che ivi si fabbricasse una chiesa che consacrarsi sotto lo stesso titolo, ed una casa per il parroco (…) con la condizione che…[la chiesa di Calafatoni] si conservasse ben tenuta come rurale in memoria e venerazione del Santo, che ivi avea sortito la nascita, massime per la frequenza dei divoti, che andava sin là ad offrir voti e a raccomandarsi al Santo, come sul suolo proprio del suo nascimento.”
A questo episodio si riferisce – come spiega Raffaele Corso – la bolla datata 30 settembre 1578, la più antica di un numeroso gruppo di bolle vescovili che “consacrano tale tradizione”, e ricorda come essa si aprisse con queste eloquenti parole “Annuente domino nostro Jesu Christo , ac. B. Januario Episcopo et Martyre, quem Calaphitonenses meruerunt habere colonum”. Non è dato oggi sapere se il Corso abbia mai visto di persona queste bolle, perchè se così fosse costituirebbero un valido supporto probatorio. Certo è che gli spunti per ulteriori ricerche d’archivio non mancano.
Diversi altri indizi vengono indicati nel più recente (1997) e già menzionato libro di Bruno Sodaro, Santi e beati di Calabria, in cui leggiamo che i vescovi di Nicotera nel XVII e XVIII secolo solevano firmarsi “Episcopus Nicoterensis et Concivis S. Januarii Episcopi et Martyris” (Vescovo di Nicotera e Concittadino di S. Gennaro Vescovo e Martire), denominazione che sarebbe persistita solo fino al vescovato di Mons. Vincenzo Giuseppe Marra (1792-1816) in quanto fino ad allora Calafatoni ricadeva nella diocesi di Nicotera. Ai piedi dello stesso monumento funebre del vescovo Marra si legge “Joseph Marra Episcopus Nicoterensis Concivis S. Januarii Episcopi et Martyris”. Inoltre nella cattedrale di Nicotera c’è un Beneficio fondato dal vescovo Mons. Ottaviano Capece (1582-1619) dedicato a S. Gennaro “Episcopus et Concivis”, così come sull’arcata della Cappella del Santissimo fino ai restauri del 1930 si leggeva “Divo Januario Episcopo Concivi ac Patrono”, mentre nel Museo Diocesano della stessa città si custodisce un pastorale del XV secolo sul cui ricciolo, fino a metà Ottocento, compariva una statuina argentea di S. Gennaro.
LA TRADIZIONE POPOLARE
Torniamo alla tradizione popolare che a Caroniti, come a Napoli, si è sempre nutrita di un sentimento di devozione semplice e schietto senza interrogativi di carattere teologico o storiografico. Per risalire alla sua sorgente più vivida, ci avvaliamo del suggestivo “reportage” di Luigi Bruzzano intitolato “San Gennaro in Calafatoni” e pubblicato nel 1892 sulla rivista “La Calabria” edita a Monteleone [l’odierna Vibo Valentia – NdR]:
“Sul versante meridionale di Monte Poro, diramazione dell’Appennino, che domina il territorio di Ioppolo, a quattro chilometri dalla nota cittadina di Nicotera, nel secolo XV esisteva una terricciuola, aggregato di poche capanne di pastori e di case rurali, appellata Calafatoni. Allora tutta quella costa, a principiare dal Capo Vaticano infino alle pendici orientali, ove stanno accantonati tutti quei piccoli villaggi denominati Li Quarteri, inclusa Motta Filocastro, era tutta rivestita di boschi, i quali internandosi per le forre e pei greppi della montagna si stendevano infino alle creste settentrionali, coprendo di folta boscaglia il territorio di Mesiano e di Aràmoni. Rupi erte e scoscese, fiancheggiate da rovinosi torrenti, si ergono imponenti e pittoresche, coronate da rigogliosa verdura, mentre dai greppi e dai ciglioni, a guisa di festoni, pendono capperi e cespi di ginestre dai fiori gialli. Anima quel paesaggio il mare, colà sempre azzurro, che rumoreggiando ai piedi della sassosa spiaggia la copre di bianca spuma e la carezza coi suoi fiotti argentei; mentre l’aria diafana, dipingendo il tramonto su quell’orizzonte, ne riflette su quelle moli di granito gli ultimi raggi morenti, che fan palpitare di vita la gelida natura.
È sullo sporto della collina, tuttodì appellata Calafatoni, che io accolsi l’eco morente di una remota tradizione, la quale memora che S. Gennaro Vescovo di Benevento e Patrono della città di Napoli, avesse ivi sortito i suoi umili natali, ed avesse santificato quei luoghi nella sua prima giovinezza. Distrutto Calafatoni intorno al 1530, i naturali del luogo trasferivano in Caroniti, villaggio soprastante, i loro lari ed il culto tradizionale al loro santo conterraneo, ove è venerato con singolare divozione [le borgate in loppolo, Caroniti e Preitodi sono attaccatissime alla credenza che S. Gennaro fosse nato in Calafatoni, e se qualche oratore in occasione della festa del santo dicesse che, invece di Calafatoni, fosse nato altrove, si attirerebbe l’odio e le ingiurie della borgata, credendo in tal modo volesse contrariare il loro culto e la loro divozione]. Quest’antica e costante memoria vien confermata da tradizioni locali  e da un avanzo di muraglia, che tuttora si addita ai passeggieri, come reliquia della primitiva chiesetta [risalente al IV secolo – NdR], eretta dalla pietà dei fedeli nel luogo della sua casuccia [si afferma inoltre che nel 1808, un contadino intento a cavar pietre in questo luogo, abbia trovato – rotta in due pezzi – una lapide con un’iscrizione attestante che la chiesetta diruta sarebbe sorta sulle mura dell’abitazione del Santo – NdR].
Pieno di queste preziose reminiscenze, nel dì 27 settembre del 1876, trovandomi in quei luoghi per affari di professione, in compagnia dei contadini Francesco ed Antonio Rocco, ascesi il clivo detto Pirro, ad osservare le muraglia indicatami, la quale non è altro che un fondamento di pietra e calcina, lungo tre metri incirca, alto uno, interrato da Ponente e da Nord, scoperto da Levante, quale muraglia nell’ angolo interno, verso Maestro, offre una piccola nicchia, atta a riporre qualche lampada, per preservarla dai venti [oggi tali resti si trovano in un terreno coltivato a vigneto dove crescono anche due vecchi mandorli sotto i quali c’è una grossa pietra tonda con impressa l’orma di un piede attribuita dalla gente del posto a S. Gennaro – NdR]. A pochi passi verso Ponente vi è lo sporto della collina, coronata dagli annosi ulivi, appellati di S. Gennaro, floridi e rigogliosi alberi, per prodigiosa mole riguardevoli; più a monte sorge ritto e severo lo scoglio di S. Gennaro, che si distingue per la sua orma ovoide e colossale. Quei naturali additano quel luogo come sacro, poiché, secondo le tradizioni dei loro anziani, da quel recesso, si vide apparire il santo in atto di fugare e respingere i Saraceni, che in una scorreria per quei luoghi, si disponevano a depredare Ioppolo e Calafatoni.
Se la tradizione non ha reso popolare nella Calabria lo avvenimento della nascita di S. Gennaro in Calafatoni, deve addebitarsi alla mancanza di memorie locali per le vicissitudini dei tempi di mezzo; poiché alle vetuste glorie ed incacellabili memorie non si è mai curato ristorarne la ricordanza ; ond’è che nei primi tempi di fervore cristiano, certi ricordi non si consegnavano in pubblici atti, ma tramandandosi col vivo della parola da padre a figlio se ne formava un racconto commovente facile a scolpirsi nella memoria degli uditori. Siffatto racconto non manca per S. Gennaro, e noi in omaggio alla bellezza dell’antichità ed alla tradizione del luogo godiamo qui ricordario.
S. Gennaro, dice la leggenda, nato da genitori poveri, perdette la madre ben per tempo. Suo padre a procacciargli il vitto lo mandava a custodire i porci nel luogo istesso, ove oggi si ammirano gli annosi ulivi. Il povero fanciullo era crucciato da un desiderio ardentissimo di apprendere le lettere, e a soddisfare questa sua naturale inclinazione, due volte la settimana s’inerpicava su per le balze del monte, attraversava i boschi del Poro, e si recava nel villaggio di Aràmoni [contrada nei pressi della odierna Spilinga – NdR], ove un pio ecclesiastico lo ammaestrava. Pria di recarsi alla scuola, abitualmente chiudeva i porci in un quadrato , che tracciava sulla terra colla punta del suo bastone. I porci, quasi avessero discernimento, piu che istinto, obbedienti e pacifici, quando anche fossero stati molestati dalla fame, non ardivano oltrepassare quel segno, oltre il quale vi era il divieto del santo. Per ogni dì la matrigna gli recava un pane bigio, e poiché non sempre il fanciullo era sul luogo, la donna riponeva il pane su uno dei piedi di ulivo, che ivi erano, tra la inforcatura dei grossi rami e ritornava al casolare. Egli, intento alle vigilie ed alle orazioni, trascurava l’alimentazione propria, in modo che il pane sopravvanzava quasi sempre. Un dì fra gli altri vi erano tre pani sull’albero di ulivo, ed in quel giorno venne a passare il maestro coi discepoli, poiché presso i primi cristiani vi era la usanza di seguire il proprio maestro, imitando le gesta del Divino.
Il maestro, fattosi dappresso al piccolo Gennaro, gli volge cosi la parola: “Gennarino, ne hai pane?” E Gennarino risponde che non ne aveva. Allora il maestro riprende il fanciullo, perchè non aveva detto il vero. E Gennarino convinto risponde: “Maestro, ne ho per avere, ma non è buono per voi.” Ed il maestro a lui: “va, piglialo, perchè ogni pane leva lo appetito.” Quei pani risplendevano dalla inforcatura dei rami, ed egli, nella semplicità, stende la mano per prenderne uno; ma abbagliato dallo splendore che i pani davano, si volge al maestro, dicendogli , che quello non era il pane che egli soleva avere. Il maestro allora ad incuorarlo gli dice: “abbi fede, o Gennarino, quello è il tuo pane”. Ed il pane intanto continuava a risplendere. Mangiato il pane insieme ai discepoli, il maestro invita Gennarino a seguire la buona compagnia e fare la volontà del Signore. E Gennarino senza por tempo in mezzo risponde: “me ne vengo ; ma attendete che meni i porci a casa.” Ed il maestro a lui: “andiamo, o figlio mio, i porci se ne andran soli.” Egli allora, volgendo le spalle agli ulivi, prese a seguire il maestro, mentre i porci grufolando, quasi rimpiangessero il pastorello, si affrettarono al loro presepe.
Noi non ridiamo sulle leggende popolari, solo diciamo che le testimonianze di un passato, che vengono narrate dalla viva parola del popolo, ci sembrano più gloriose di quelle raccontate e scritte. Oggi le tradizioni sono parte integrale della storia, poiché rivelano il genio dei popoli, che tratti al maraviglioso usano un linguaggio proprio e tutto poetico. La natura cede alla storia, ma la storia si nasconde nella caligine dei tempi che più non sono, poiché le belle opre che non hanno cantor l’oblio ricopre”.
In Calabria la tradizione è stata rinverdita il 19 settembre del 1997, in occasione del convegno “La fanciullezza di S. Gennaro nella tradizione calabrese”, organizzato a Caroniti di Joppolo dall’Amministrazione Comunale. Nella circostanza, l’allora sindaco Libero Vecchio ha voluto consegnare idealmente al Santo le chiavi della città per sancire ufficialmente un rapporto che in realtà esiste già da secoli.
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Bibliografia:
Tommaso Aceti, Thomae Aceti academici Cosentini, et Vaticanae basilicae claerici beneficiati In Gabrielis Barrii franciscani De antiquitate et situ Calabriae libros quinque, nunc primum ex autographo restitutos ac per capita distributos, prolegomena, additiones, & notae. Quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattrimani patricii Cosentini, Romae: ex typographia S. Michaelis ad Ripam Hieronymi Mainardi, 1737
Francesco Adilardi Di Paolo, Memorie storiche su lo stato fisico morale e politico della città e del circondario di Nicotera, Tipografia Di Porcelli, Napoli 1838
Luigi Bruzzano, San Gennaro in Calafatoni, in “La Calabria”, Anno V, n. 1, Monteleone, 1892
Raffaele Corso, La fanciullezza di San Gennaro nella tradizione calabrese: la casa, il bosco, la rupe del Santo, ed. Lib. Tirelli, Catania 1925
Luigi Petito, San Gennaro: storia, folclore, culto, ed. LER, Roma 1983
Bruno Polimeni, La fanciullezza di San Gennaro in Calabria, in “Calabria Letteraria”, anno XXXV, n. 10/12, pag. 54-55, ill. 1987
Bruno Sodaro, Santi e beati di Calabria, Virgiglio editore, Rosarno, 1996
Consultare anche

San Gennaro nel XVII centenario del martirio. (305-2005). Atti del Convegno internazionale. (Napoli, 21-23 settembre 2005) a cura di. GENNARO LUONGO. Volume I. Editoriale Comunicazioni Sociali ..

San Gennaro
Santo Cipriano Vescovo di Brescia (verso il 552)

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San Cipriano è il diciassettesimo vescovo di Brescia. Nella cronotassi ufficiale della diocesi di Brescia, figura dopo San Paolo II e prima di Sant’Ercolano.
Secondo tutte le fonti attualmente conosciute, si ritiene che San Cipriano abbia governato la diocesi nella prima metà del Secolo VI. Solo il Gradenigo pone il suo episcopato intorno all’anno 585.
Non sappiamo nulla sulla sua vita. Conosciamo solo il suo nome dalle liste antiche dei vescovi di Brescia.
Sul suo culto troviamo traccia nei sei martirologi dei secoli XI-XV e in alcuni ordini liturgici del Trecento. Nei secoli passati secondo il Gradenigo questo vescovo era oggetto di tanta devozione: “ut eius natalis dies, veluti dies Dominica celebraretur”.
Secondo lo studioso Brunati gli viene attribuita la fondazione di San Pietro in Oliveto, dove avrebbe officiato e sarebbe stato sepolto, mentre secondo lo storico Savio ritiene sia stato sepolto nella chiesa di Sant’Eufemia.
Il 14 febbraio 1453 furono ritrovate le sue ossa assieme a quelle di San Paolo II e San Adeodato e del martire Evasio sotto l’altare maggiore del medesimo tempio.
Nel 1798 le ossa furono trasportare segretamente nella chiesa di Sant’Agata, dove tuttora sono custodite.
San Cipriano non è menzionato nel martirologio romano. In quello bresciano sono ricordate l’invenzione delle reliquie il 14 febbraio, la loro prima traslazione sotto l’altare maggiore di San Pietro oliveto il 9 febbraio, mentre nel giorno 21 aprile è stata fissata la data per la celebrazione della sua festa liturgica.


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