Santo Calogero Martire a Brescia sotto Adriano verso il 119
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La storia di San Calogero di Brescia,
il cui nome è spesso riportato anche nella particolare forma di Calocero e che
le fonti agiografiche chiamano anche col nome romano di Caio, si può desumere
dagli atti dei santi Faustino e Giovita (Passio beatissimi martyris Faustini et
Iovite - Epitome della I, II e III parte della "Legenda Maior") per
opera dei quali si era convertito al Cristianesimo. Tutti e tre, infatti, erano
soldati bresciani e probabilmente militavano nella medesima coorte poiché, allorché
dovettero essere processati, vennero insieme trasferiti a Milano. Il processo
si svolse presso le Terme d'Ercole ma nessuno dei tre abiurò la fede. Fu così
che, condannati a morte, vennero condotti presso un tempio fuori le mura, poco
lontano dall'anfiteatro, in uno spiazzo usato per le corse dei cavalli. Questa
era probabilmente un'area che in origine, quando Milano era ancora la Midland
dei Celti, era considerata sacra ed è molto verosimile che lì sgorgasse anche
una sorgente, ritenuta miracolosa dalla popolazione, poi, nel 222 a.C., alla
conquista di Milano, il console Marcello aveva sostituito il tempio celtico con
uno dedicato a Giove e l'area era rimasta sacra per secoli, conservando un
ampio spiazzo tutt'attorno; ma col passare del tempo e il mutare delle consuetudini,
i passatempi della comunità erano diventati più rozzi e l'area sacra del tempio
di Giove fuori le mura era diventata una pista per le corse. La zona in realtà
alle corse si prestava ben poco poiché era lasciata a prato e non aveva alcun
tipo di pavimentazione che le rendesse quantomeno sicure: correre coi cavalli
in quella zona significava, perciò, tentare il suicidio oppure dimostrare un
insolito coraggio, era il luogo, insomma, delle cosiddette "corse dei
plaustri" che si svolgevano a Milano come in altre città dell'Impero per
soddisfare i ben noti gusti morbosi della plebe dell'Impero, avida di passare
il tempo tra spettacoli e gare che garantissero forti emozioni. All’epoca dei
tre martiri, però, si trovavano ormai sempre meno coraggiosi disposti a
gareggiare, per cui, per non rinunciare al divertimento, era da tempo invalso
l'uso di far correre i condannati a morte, legati a carri lanciati a folle
velocità e tirati da cavalli imbizzarriti. Questa era la sorte riservata anche
a Caio, Faustino e Giovita, i tre ex ufficiali dell'esercito imperiale,
colpevoli di alto tradimento e tutti si aspettavano questa fine cruenta quando
ognuno dei tre venne legato al carro. Al segnale convenuto, i cavalli vennero
liberati e i carri partirono con la solita veemenza tra gli urli e i fischi
della folla, ma un inaspettato prodigio la deluse: i tre Santi riuscirono
prontamente a governare i propri carri e a fuggire dal patibolo evitando, per
questa volta, il martirio. Calogero prese la strada per Vigevano proseguendo
fino ad Asti per rifugiarsi nella comunità cristiana locale dove, tra gli
altri, convertì al Cristianesimo Secondo, il primo martire di Asti che andò a
Milano a farsi battezzare e ad aiutare Faustino e Giovita rimasti colà. In
seguito, Calogero, non si sa bene per quale ragione, si trasferì ad Albenga,
dove continuò la sua opera missionaria. Fu lì che venne scoperto dalla polizia
imperiale la quale pensò bene di decapitarlo immediatamente per evitare
ulteriori sorprese. L'esecuzione avvenne presso l’antica foce del Centa, in
località Campore nell’anno 121 sotto l'imperatore Adriano (117-138), era il 18
aprile. Il ricordo di Calogero divenne ben presto un forte culto locale
restando, però, limitato alle diocesi di Brescia, Milano, Asti, Ivrea e Tortona.
In regione Doria, in prossimità dell'imbocco della galleria dell'attuale SS
Aurelia in direzione di Alassio, possono ancora osservarsi i ruderi della prima
basilica cristiana di Albenga, eretta attorno ai secoli IV e V e dedicata a San
Calogero. La presunta Tomba di San Calogero è conservata ad Albenga nel Museo
Civico Ingauno, mentre nella Cattedrale di San Michele è conservata l'urna con
le reliquie del Santo. A Milano è probabilmente sopravvissuta fino ai giorni
nostri la memoria del mancato martirio di San Calogero nella toponomastica
viaria del centro storico della città: non lontano da Porta Ticinese, infatti,
si trova Via S. Calogero. Proprio in questa zona della città ora si trova la
chiesa di S. Vincenzo in Prato il cui nome, nel quale sopravvive il riferimento
a un non meglio precisato prato, fa pensare che in quella zona fosse da sempre
presente un'area non edificata come testimoniato dalla tradizione agiografica
circa i Santi Faustino e Giovita che parla di un tempio romano nella zona, un
edificio sacro pagano che sarebbe crollato in seguito a un periodo di forti
piogge, rivelando tra l'altro l'esistenza di una sorgente. Sul luogo del crollo
venne in seguito riedificata una chiesa cristiana, dedicata alla Madonna, la
sorgente pare fosse rinomata per la salubrità delle acque che ne sgorgavano e
il punto preciso della fonte, nota col nome di Fonte di San Calogero, pare
fosse custodito sotto l'altare della chiesa; successivamente, la chiesa venne
ampliata e dedicata a San Vincenzo al cui nome è tuttora legato all'edificio
sacro, si ha notizia, però, di un Oratorio di San Calogero, eretto a fianco
della chiesa di San Vincenzo, attorno al quale venne poi costruito un monastero
femminile. L'Oratorio di San Calogero venne irreparabilmente danneggiato durante
i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e fu, purtroppo, demolito. Ad
Albenga è sopravvissuto fino ai nostri giorni il complesso del monastero di San
Calogero, ormai abbandonato e trasformato in zona archeologica, che si vuole
sorto presso il luogo del martirio e che avrebbe custodito le spoglie mortali
del Santo evangelizzatore della zona finché queste non vennero traslate nella
chiesa della città. Ma secondo un'altra tradizione, che sembra cozzare con
quella ligure, il luogo di sepoltura attuale delle spoglie mortali di San
Calogero è Civate, presso cui furono traslate verso la metà del IX secolo. La
tomba attuale è custodita nella chiesa dedicata al Santo all'interno delle mura
del paese ma pare che originariamente le spoglie fossero state deposte nella
chiesa di San Pietro al Monte, secondo quanto afferma anche la leggenda di San
Pietro al Monte di Civate, in cui parte rilevante ha la presenza di una fonte
d'acqua dai poteri miracolosi. Dall'altro versante del Monte di Civate, poi,
sorge un altro paese, Caslino d'Erba, la cui principale attrazione è costituita
dalla chiesa romanica della Madonna di San Calogero, situata in un'area sacra
ove venne rinvenuta un'interessante lapide romana in cui sembra potersi leggere
il voto che un fedele fa "alle Linfe e alle Acque", dando, così, la
conferma del fatto che l'area in questione fosse in origine un vero e proprio
monte sacro, sede terrena degli spiriti delle acque. Va poi ricordato che il
luogo del martirio del Santo è situato dalla tradizione di nuovo presso
l'acqua: alla foce di un fiume. Infine, sia la piana di Albenga, creata dal
fiume Centa sia la zona di Civate e Caslino, erano in passato soggette a
frequenti alluvioni e frane per proteggersi dalle quali le popolazioni
esasperate si affidavano all'intercessione di San Calogero.
Santo
Eleuterio secondo alcuni codici vescovo
di Messina,secondo altri vescovo dell’Illiria
morto martire a Roma con sua madre Santa Anzia sotto Adriano
verso il 130
https://siciliasantiprimomillenni.blogspot.it/2018/04/santi-di-sikelia-per-il-18-aprile.html?spref=fb
Santo
Apollonio senatore romano filosofo e
martire sotto Commoso tra il 186 e il 190
Martirologio Romano:
A Roma, commemorazione di sant’Apollonio filosofo, martire, che sotto
l’imperatore Commodo, davanti al governatore Perennio e al Senato con una
raffinata orazione difese la causa della fede cristiana, confermandola poi,
dopo la condanna a morte, con la testimonianza del suo sangue.
Tratto da
S.
Apollonio fu martirizzato a Roma nel 185, sotto l’impero di Commodo (161-192);
notizie che lo riguardano ci sono pervenute da ben quattro fonti, per primo dai
processi verbali contenuti nella raccolta degli atti degli antichi martiri,
incorporata nella “Storia Ecclesiastica” di Eusebio, vescovo e storico
(265-340); poi in due capitoli del “De Viris Illustribus” di s. Gerolamo,
vescovo e Dottore della Chiesa (347-420) e in due redazioni della ‘passio’, una
in armeno e l’altra in greco, scoperte nel secolo XIX.
Secondo queste fonti, Apollonio era un’illustre personaggio romano, erudito in scienza e filosofia e sembra anche senatore; essendo cristiano venne denunciato al prefetto del Pretorio, Perennio, quindi fu chiamato a discolparsi e secondo s. Gerolamo, egli lesse davanti al senato un ”insigne volume descrittivo della fede in Cristo”.
Quindi questo ‘volumen’ invece di essere una ritrattazione, conteneva un’apologia del Cristianesimo, atto contrario al rescritto imperiale di Traiano, che lo proibiva, pertanto Apollonio venne condannato a morte.
I testi riferiscono che fu sottoposto a due interrogatori, a distanza di tre giorni l’uno dall’altro, il primo presieduto dallo stesso Perennio, il secondo da un collegio di senatori, consiglieri e giuristi. La descrizione delle udienze, meraviglia per il tono pacato ed il trattamento riservatogli, non solo per il suo rango sociale; al contrario di altre ‘passiones’ chiaramente inverosimili o troppo brevi; è ascoltato con attenzione, lo interrompono solo per contrastare, ma con serietà, le sue argomentazioni o per moderare l’asprezza delle sue parole e quindi la punibilità di esse.
Perennio è un giudice illuminato e magnanimo, come Apollonio è un uomo dalla mente pronta e vivacissima; non abbiamo in questa situazione il ripetersi prevenuto dei cristiani, del rifiuto a sacrificare agli dei, comune nell’agiografia dei martiri; ad Apollonio piace vivere, ma egli non esita a scegliere la morte, perché senza nessuna costrizione, crede volentieri nella dottrina della resurrezione e del giudizio finale, perché questa se fosse pure un’illusione o un errore, dà conforto e illumina la vita, togliendola da umilianti compromessi.
Riguardo la pena della morte subita, i testi discordano, nella ‘passio’ greca Apollonio muore dopo lo spezzamento delle gambe, supplizio esteso anche al suo denunciante (chi sa perché), mentre in quella armena invece viene decapitato e questa versione è riportata nel ‘Martyrologium Romanum’ che lo celebra al 21 aprile.
La sua figura fu inserita tardi nei Martirologi cristiani, giacché non fu oggetto di una precisa commemorazione nei primi tempi; poi nel Medioevo fu confuso con altri due santi, Apollo alessandrino e Apollonio martire insieme a s. Valentino, la cui ricorrenza è al 18 aprile, questa data fu in vigore per molto tempo, ma la recentissima edizione del ‘Martirologio Romano’ l’ha riportata al 21 aprile.
Secondo queste fonti, Apollonio era un’illustre personaggio romano, erudito in scienza e filosofia e sembra anche senatore; essendo cristiano venne denunciato al prefetto del Pretorio, Perennio, quindi fu chiamato a discolparsi e secondo s. Gerolamo, egli lesse davanti al senato un ”insigne volume descrittivo della fede in Cristo”.
Quindi questo ‘volumen’ invece di essere una ritrattazione, conteneva un’apologia del Cristianesimo, atto contrario al rescritto imperiale di Traiano, che lo proibiva, pertanto Apollonio venne condannato a morte.
I testi riferiscono che fu sottoposto a due interrogatori, a distanza di tre giorni l’uno dall’altro, il primo presieduto dallo stesso Perennio, il secondo da un collegio di senatori, consiglieri e giuristi. La descrizione delle udienze, meraviglia per il tono pacato ed il trattamento riservatogli, non solo per il suo rango sociale; al contrario di altre ‘passiones’ chiaramente inverosimili o troppo brevi; è ascoltato con attenzione, lo interrompono solo per contrastare, ma con serietà, le sue argomentazioni o per moderare l’asprezza delle sue parole e quindi la punibilità di esse.
Perennio è un giudice illuminato e magnanimo, come Apollonio è un uomo dalla mente pronta e vivacissima; non abbiamo in questa situazione il ripetersi prevenuto dei cristiani, del rifiuto a sacrificare agli dei, comune nell’agiografia dei martiri; ad Apollonio piace vivere, ma egli non esita a scegliere la morte, perché senza nessuna costrizione, crede volentieri nella dottrina della resurrezione e del giudizio finale, perché questa se fosse pure un’illusione o un errore, dà conforto e illumina la vita, togliendola da umilianti compromessi.
Riguardo la pena della morte subita, i testi discordano, nella ‘passio’ greca Apollonio muore dopo lo spezzamento delle gambe, supplizio esteso anche al suo denunciante (chi sa perché), mentre in quella armena invece viene decapitato e questa versione è riportata nel ‘Martyrologium Romanum’ che lo celebra al 21 aprile.
La sua figura fu inserita tardi nei Martirologi cristiani, giacché non fu oggetto di una precisa commemorazione nei primi tempi; poi nel Medioevo fu confuso con altri due santi, Apollo alessandrino e Apollonio martire insieme a s. Valentino, la cui ricorrenza è al 18 aprile, questa data fu in vigore per molto tempo, ma la recentissima edizione del ‘Martirologio Romano’ l’ha riportata al 21 aprile.
Autodifesa
di S. Apollonio Martire Senatore Romano
Sta in
Consultare anche
http://biscobreak.altervista.org/2013/04/santapollonio/
Saint VENUSTIEN, proconsul, martyr à Todi en Ombrie (311).
Santo Eusebio
Vescovo e Patrono di Fano ( verso il 503)
Martirologio Romano: A Fano nelle
Marche, sant’Eusebio, vescovo, che accompagnò il papa san Giovanni I inviato a
Costantinopoli dal re Teodorico, seguendolo al ritorno anche nel carcere in cui
venne rinchiuso.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/49930
La storia di Eusebio ha sicuri
riferimenti e appoggi: egli sottoscrisse il sinodo romano di papa Simmaco nel
503. Poiché nei documenti del sinodo del 499 risulta vescovo di Fano, Vitale,
c’è da pensare che l’episcopato di Eusebio abbia avuto inizio tra il 500 e il
502. Altro riferimento storico sicuro è rappresentato dal fatto che Eusebio
accompagnò papa Giovanni I nell’ambasceria, voluta da re Teodorico, presso
l’imperatore Giustino, per ottenere da questi la revoca del decreto di
requisizione delle chiese ariane.
Eusebio fu, infatti, uno dei cinque vescovi che, insieme con quattro senatori delle maggiori famiglie romane, accompagnarono il pontefice nel viaggio, che ebbe inizio nell’ottobre o novembre 525 e si concluse a Costantinopoli, prima delle feste di Natale, celebrate solennemente dal papa. L’ambasceria, dopo gli onori solenni ricevuti dall’imperatore e dal popolo e dopo l’incoronazione dell'imperatore stesso da parte del pontefice, ripartì da Costantinopoli alla fine dell’aprile 526. Il risultato parziale dell’ambasceria non soddisfece il re Teodorico, il quale, quando il pontefice sbarcò a Ravenna, lo fece, insieme coi vescovi che lo accompagnavano, chiudere in carcere, dove morì il 18 maggio 526. A questo punto, i documenti tacciono sul conto di Eusebio e a questa data la tradizione pone la sua morte, che sarebbe avvenuta a Fano.
Non abbiamo gli Atti di questo vescovo. La tradizione, accolta dagli storici locali, gli attribuisce la fondazione di un collegio di chierici, o di una canonica, presso la chiesa di San Pietro in Episcopio (allora cattedrale), chiesa che sarebbe stata restaurata dallo stesso santo e che, con rifacimento romanico, ancora esiste in via Rinalducci. Più tardi, nel secolo IX, quando la cattedrale venne trasferita nella nuova chiesa di Santa Maria Maggiore, si trasferì accanto alla nuova sede anche la canonica, di cui si trova notizia nei documenti. Ai chierici di questa canonica san Pier Damiani diresse il suo opuscolo Ad clerica Ecclesia Fanensis.
Eusebio curò la disciplina del clero e la vita cristiana del popolo. Secondo quanto afferma Giovanni, abate di Nonantola (secolo XII), nella Vita manoscritta di san Fortunato, dopo che del primitivo sepolcro si era perduta ogni notizia, le reliquie furono ritrovate sotto l’altare maggiore della cattedrale di Santa Maria Maggiore, insieme con quelle di san Fortunato e san Orso, nel 1113, quando, in seguito all’incendio della canonica dei chierici e della cattedrale stessa, avvenuto nel 1111, fu iniziata la costruzione della nuova. In tale circostanza le reliquie di Eusebio furono identificate, poiché portavano la scritta Corpus Sondi Eusebi e furono collocate sotto l’altare della cappella sita presso la sagrestia, in cornu epistola, insieme con quelle di san Orso, mentre quelle di san Fortunato vennero riposte sotto l’altare maggiore. La cappella è tuttora dedicata a san Eusebio e a san Orso ed è ornata da un quadro di Ludovico Carracci che raffigura la Vergine, regina del cielo, con accanto i due santi vescovi Orso ed Eusebio. Il quadro è stato dipinto nel 1615; sovrasta la dedica: «B. Virgini Coelorum Reginae et SS. Urso et Eusebio Patronis dicatum».
La festa di san Eusebio si celebra a Fano il 18 aprile.
Eusebio fu, infatti, uno dei cinque vescovi che, insieme con quattro senatori delle maggiori famiglie romane, accompagnarono il pontefice nel viaggio, che ebbe inizio nell’ottobre o novembre 525 e si concluse a Costantinopoli, prima delle feste di Natale, celebrate solennemente dal papa. L’ambasceria, dopo gli onori solenni ricevuti dall’imperatore e dal popolo e dopo l’incoronazione dell'imperatore stesso da parte del pontefice, ripartì da Costantinopoli alla fine dell’aprile 526. Il risultato parziale dell’ambasceria non soddisfece il re Teodorico, il quale, quando il pontefice sbarcò a Ravenna, lo fece, insieme coi vescovi che lo accompagnavano, chiudere in carcere, dove morì il 18 maggio 526. A questo punto, i documenti tacciono sul conto di Eusebio e a questa data la tradizione pone la sua morte, che sarebbe avvenuta a Fano.
Non abbiamo gli Atti di questo vescovo. La tradizione, accolta dagli storici locali, gli attribuisce la fondazione di un collegio di chierici, o di una canonica, presso la chiesa di San Pietro in Episcopio (allora cattedrale), chiesa che sarebbe stata restaurata dallo stesso santo e che, con rifacimento romanico, ancora esiste in via Rinalducci. Più tardi, nel secolo IX, quando la cattedrale venne trasferita nella nuova chiesa di Santa Maria Maggiore, si trasferì accanto alla nuova sede anche la canonica, di cui si trova notizia nei documenti. Ai chierici di questa canonica san Pier Damiani diresse il suo opuscolo Ad clerica Ecclesia Fanensis.
Eusebio curò la disciplina del clero e la vita cristiana del popolo. Secondo quanto afferma Giovanni, abate di Nonantola (secolo XII), nella Vita manoscritta di san Fortunato, dopo che del primitivo sepolcro si era perduta ogni notizia, le reliquie furono ritrovate sotto l’altare maggiore della cattedrale di Santa Maria Maggiore, insieme con quelle di san Fortunato e san Orso, nel 1113, quando, in seguito all’incendio della canonica dei chierici e della cattedrale stessa, avvenuto nel 1111, fu iniziata la costruzione della nuova. In tale circostanza le reliquie di Eusebio furono identificate, poiché portavano la scritta Corpus Sondi Eusebi e furono collocate sotto l’altare della cappella sita presso la sagrestia, in cornu epistola, insieme con quelle di san Orso, mentre quelle di san Fortunato vennero riposte sotto l’altare maggiore. La cappella è tuttora dedicata a san Eusebio e a san Orso ed è ornata da un quadro di Ludovico Carracci che raffigura la Vergine, regina del cielo, con accanto i due santi vescovi Orso ed Eusebio. Il quadro è stato dipinto nel 1615; sovrasta la dedica: «B. Virgini Coelorum Reginae et SS. Urso et Eusebio Patronis dicatum».
La festa di san Eusebio si celebra a Fano il 18 aprile.
Consultare anche
DEI
PIU' ANTICHI PROTETTORI DI FANO.
http://www.sistemabibliotecariofano.it/fileadmin/grpmnt/5596/4_NOT_1978_Tombari_Boiani_G_4.pdf
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