giovedì 14 dicembre 2017

14 dicembre santi italici ed italo greci








Santo Pompeo Vescovo di Pavia  nel IV secolo 
Di San Pompeo,secondo vescovo di Pavia, sappiamo ben poco. Fu sicuramente collaboratore del protovescovo San Siro  e il suo episcopato fu breve e pacifico.
Ed infatti il Martirologio Romano così recita “14 dicembre. A Pavia, san Pompeo, vescovo, che, successore di san Siro, dopo pochi e pacifici anni passò al Signore.”
A lui successe il Vescovo San Giovenzo; mentre San Pompeo sarebbe stato sepolto, con San Siro nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio








Santo Matroniano eremita venerato a Milano


La liturgia ambrosiana celebra il 14 dicembre un santo eremita di nome Matroniano, vissuto in epoca che non si può ancora sicuramente determinare.

La notizia piú antica sembra si trovi nella Notitia ecclesiarum urbis Romae (della fine del sec. VIII) ove si dice, parlando dei santi milanesi: "S. Nazarius in sua pausat ecclesia et in uno angulo S. Morimonianus confessor": il Morimonianus qui ricordato sarebbe da identificarsi con il nostro santo (così il card. Schuster ed. E. Villa; contro l'identificazione sono C.M. Rota l'autore della biografia del santo nelle Vies des Saints, ed altri ).

Nel Manuale ambrosiano della Valtravaglia, del sec. XI, Matroniano è invocato nelle litanie triduane del secondo giorno; nel calendario del Beroldo (del sec. XII) si ricorda che il 14 dicembre c'è la statio all'altare di s. Matroniano nella basilica di S. Nazaro. Nel Liber notitiae sanciorum Mediotani, abbiamo una indicazione analoga: la festa del santo eremita Matroniano si celebra il 14 dicembre sull'altare di S. Margherita dove egli riposa collocatovi da s. Ambrogio (cioè nella basilica di S. Nazaro).

Secondo la tradizione  medievale, raccolta da Galvano Fiamma nel suo Chronicon maius (della prima metà del sec. XIV), un tale Guglielmo de' Boccardi partendo per la caccia chiese la benedizione a s. Ambrogio, il quale domandò al giovane le primizie della caccia. Guglielmo si addentrò nella selva, i cani si fermarono abbaiando ostinatamente in un determinato punto. Qui, rimossa la terra con l'aiuto di contadini, si trovò il corpo di un eremita che portava accanto a sé scritte indicanti il suo nome - Matroniano - e i particolari della sua vita. Mentre Guglielmo rientrava in Milano, messaggeri preavvisarono s. Ambrogio, che con il clero ed il popolo mosse incontro al cacciatore. Il corteo, con il prezioso carico, entrò in città per la porta Romana, ma giunto nei pressi della Basilica Apostolorum (S. Nazaro) la lettiga con il corpo del santo divenne inamovibile. Interpretando il fatto come un segno del cielo, s. Ambrogio fece seppellire Matroniano nella basilica di S. Nazaro.

Visite e ricognizioni delle reliquie di Matroniano vennero fatte da s. Carlo, dal card. Federico Borromeo e dal card. Alfonso Litta, che nel 1657 inaugurò a S. Nazaro un altare in onore del santo. L'ultima ricognizione è stata fatta dal card. Ildefonso Schuster il 20 novembre 1941.
La festa del santo è segnata nel Martirologio Romano alla data tradizionale del 14 dicembre.
La tradizione
Galvano Fiamma fu il primo che raccolse e consacrò la tradizione  del rinvenimento del Corpo dell'eremita Matroniano de' Boccardi ad opera del giovane Guglielmo pure della famiglia de' Boccardi, e la deposizione fatta da Ambrogio presso l'altare di santa Margherita nella Basilica da lui costruita e dedicata agli Apostoli.
Della narrazione   la versione stesa dal Latuada  non dubita affatto della traslazione compiuta da sant'Ambrogio, anzi fa appello alla costante tradizione: “la quale sussisteva vigorosa insino ne' tempi di Gualvaneo Fiamma più volte citato, che mentovando nella sua Cronaca Maggiore al capo 119 le Reliquie depositate dal mentovato Pastore in questa Basilica così scrisse: ”Trovò ancora il Corpo di san Matroniano Eremita de' Boccardi in questa maniera. Era di quel tempo nella Città di Milano un Nobil'Uomo per nome Guglielmo de' Boccardi, molto inclinato alla caccia degli uccelli, a cui disse santo Ambrogio inspirato da Divina rivelazione: Figliuol mio Guglielmo oggi mi darai parte della tua Caccia; la quale inchiesta fu di buona voglia accettata. In quel giorno nel Bosco al rilasciarsi dello Sparviere, i cani ed i cavalli rimasero immobili. In tal sito fece scavare la terra, e ritrovò il Corpo di san Matroniano; e trasportandolo alla Città, tutte le Campane suonarono da loro stesse, ed il Beato Ambrogio seppellì quel Corpo santissimo nella Chiesa degli Apostoli, ossia di san Nazzaro nella Cappella di santa Margarita”.

Sant'Ambrogio nei suoi scritti, il biografo di questi Paolino, gli storici e studiosi della figura e dell'età di Ambrogio non mai alludono ad un eremita, santo, nominato Matroniano. Alludono bensì al magnifico movimento, sviluppatosi in quel secolo IV di piena libertà religiosa: il monachismo occidentale. La permanenza di san Martino a Milano, la testimonianza di sant'Agostino che ammirò la vita dei cenobiti raccolti in un Monastero fuori le mura sotto la cura di Ambrogio, confermano l'esistenza e l'influsso di bene irradiato sui barbari invasori dai consacrati alla solitudine.
Ascoltiamo Agostino: “Persino a Milano esisteva un monastero pieno di pii fratelli, fuori delle mura, tenuto in vita da Ambrogio; e noi non si aveva sentore”.
Di san Matroniano sappiamo che fu eremita: la tradizione  aggiunge che ritrovarono il suo corpo, incorrotto, seppellito dagli Angioli, fra le mani una scritta: “Vita eius”.
Quale poi la sua vita? Nessuno lo saprà; eppure la sua santità è certa, compie miracoli; dalla chiesa ottiene gli onori liturgici propri dei Santi.
E' sintomatico che nel catalogo dei codici agiografici latini della Biblioteca Ambrosiana, compilato dai Bollandisti nel 1892, non si accenni a san Matroniano.
Comunque tre fatti stanno a base della tradizione:
l'esistenza di un individuo che conducendo vita di anacoreta raggiunse il vertice della santità, si da divenire il tipo di quello stuolo di anacoreti che dimorarono nei dintorni boscosi di Milano, e nel monastero fuori le mura;
gli onori liturgici a lui tributati dalla Chiesa e dal popolo;
la sepoltura nella Basilica degli Apostoli.
Il primo fatto porterà alla discussione circa il luogo della terrena dimora, palestra della sua santità.
V'è chi pensa alla regione boscosa fuori di Porta Romana vicino a Sesto Ulteriano. Carlo Massimo Rota in uno dei suoi ultimi scritti storici allude ad un villaggio nominato Maderniano, sito nel territorio dell'attuale Comune di Sesto Ulteriano, villaggio scomparso intorno al 1200.
Suppone, il Rota: “che il nome di Matroniano sia nato proprio sul luogo, che intorno al 1200 si fece deserto e che accolse il solitario eremita che a noi tramandò il nome del paese distrutto con quello delle sue proprie virtù”.
La tesi del Rota non regge, nonostante la documentazione preziosissima che porta: san Matroniano visse molto innanzi al 1200.
I contatti della Basilica degli Apostoli con Sesto Ulteriano furono strettissimi: in pergamene del 1222 e 23 la Chiesa di S.Nazaro e il suo Capitolo sono nominati a proposito della Chiesa di S.Marziano in Sesto Ulteriano, sulla quale la Basilica esercitava l'jus patronato per l'elezione del parroco. Gli ottimi canonici di S.Nazaro vi debbono avere portato il culto di san Matroniano.
Comunque la qualifica di eremita fa pensare ad un luogo aspro e boscoso dei dintorni di Milano lungo le tortuose rive del fiume Lambro, e non è possibile allontanarsi dalla direttrice costituita dalla via Romana, né si esclude che il santo abbia avuto contatti col monastero ricordato da sant'Agostino, dove può aver attinto le norme della vita monastica, che poi condurrà in un eremo.
Il secondo fatto (gli onori liturgici) servì a circondarlo di avvenimenti in tutto simili a quelli attribuiti ai più popolari santi anacoreti, così santo Alessio.
Il terzo (la sepolture nella Basilica degli Apostoli accanto al corpo di Nazaro martire, storicamente rinvenuto – in hortis=brolo – e riposto da Ambrogio nella Basilica, a lui cara, accanto alle Reliquie degli Apostoli), fece nascere la tradizione  che quanto Ambrogio aveva antecedentemente compiuto per il corpo di Nazaro, lo aveva pure ripetuto per il corpo di Matroniano.
Pertanto si può ritenere che la tradizione conduce ad affermare, sia l'esistenza di Matroniano in un periodo che oscilla dal VI a VII secolo come si vedrà, sia la santità raggiunta, e la definitiva sepoltura nella Basilica degli Apostoli.


Santo Viatore Vescovo di Bergamo(verso il 378)

S. Viatore è unanimemente ritenuto il successore del primo vescovo di Bergamo s. Narno, quindi è il secondo della serie episcopale bergamasca.
Il suo episcopato si svolse all’incirca dal 343 al 370; è quasi sicuro che partecipò al Concilio di Sardica (Sofia in Bulgaria) del 342-343 e che ne sottoscrisse i decreti, infatti s. Atanasio nella sua “Apologia contra Arianus” lo cita tra i sottoscrittori del Concilio.
Della sua vita non si sa altro, ma il culto che gli è stato tributato è antico e certissimo, come risulta da vari Calendari dei secoli XI - XII - XIII; dalle Litanie di un codice del secolo XII;
Una tela del 1742  del pittore bolognese Francesco Monti, lo raffigura in compagnia del suo predecessore San Narno è può essere ammirare nel coro del Duomo di Bergamo  ed è anche raffigurato nel grande affresco della cupola. Storici bergamaschi riportano che, sin dall'antichità, il 13 dicembre vigilia della festa e del giorno della morte del santo, i canonici di San Vincenzo si recavano alla cattedrale al suono delle campane, accolti da inni e benedizioni. San Viatore fu sepolto nella cripta della cattedrale di Sant'Alessandro , a sinistra del sepolcro del santo patrono e sulla sua tomba fu costruito un altare. Il 1º agosto del 1561  quando fu abbattuta l'antica cattedrale di Sant'Alessandro durante la costruzione delle mura venete di Bergamo , le sue reliquie, insieme a quelle degli altri santi ivi sepolte, furono traslate con solennità nella nuova cattedrale di San Vincenzo

Santo Agnello  prima eremita poi igumeno del Monastero di San Gaudioso a Napoli (verso il 596)

Al principio del sec. X Pietro, suddiacono della Chiesa napoletana, che era stato liberato da una grave infermità per intercessione di Agnello, compose un libellus miraculorum, in cui, oltre alla sua, racconta altre ventidue guarigioni miracolose operate dal santo. Da questo testo, che è la più antica fonte che ci parli di Agnello, apprendiamo che Gaudioso Settiminio Celio, vescovo di Abitina in Africa, avendo dovuto insieme con altri presuli abbandonare la sua sede invasa dai Vandali, riparò a Napoli e vi fondò un monastero, che poi prese il suo nome. Di questo monastero, in un anno sconosciuto del sec. VI, divenne abate Agnello, che morì a sessantun'anni tra il 590 e il 604, forse nel 596, come molti affermano.

La vita di sant’Agnello Abate
http://www.pisciotta.net/it/Festivita%60/S.Agnello%20Abate/calendario/la_vita_di_santagnello_abate.htm
Quanti hanno scritto la vita di sant’Agnello Abate sono concordi nell’affermare che egli nacque a Napoli da nobili genitori di origine siracusana nel 535. La tradizione narra che la madre Giovanna, essendo sterile, pregava costantemente la Vergine affinché le fosse concesso un bambino. 
Ottenuta la grazia la pia genitrice volle offrirlo alla Madonna e, portato il neonato, che aveva solo 20 giorni, di fronte all’immagine della Vergine, tra lo stupore dei genitori, esclamò: "Ave Maria!". A ricordare tale prodigio sul luogo venne eretta una chiesa: "Sancta Maria, intercede pro miseris!". Di Sant’Agnello si narra che sin dalla tenera infanzia, non desiderava nulla di terreno, nulla di carnale e che piangeva colpe non sue e scelleraggini della patria menando vita eremitica.
Però, la grandezza di questo cristiano divenuto santo, non si limitò solo alla preghiera ma cercò di concretizzare nelle opere la sua fede, cioè di mettersi al servizio dei bisognosi; così che alla morte dei genitori impiegò i suoi averi nella costruzione di un ospedale che da lui prese il nome. 
Il Signore premiò questo suo amore per il prossimo operando per mezzo di lui numerosissimi miracoli. Fra tutti spicca la sua apparizione a difesa di Napoli nel 581 durante l’assedio dei Longobardi.Ecco perché lo si dipinge con la bandiera nella mano destra ossia con il vessillo della Croce. La fama della sua santità crebbe a dismisura tanto da costringerlo ad andare a vivere per sette anni in un luogo sconosciuto. Solo l’apparizione della Vergine lo ridestò da farlo ritornare a Napoli dove i suoi concittadini gli prepararono un autentico trionfo, si verificarono altri miracoli che il Santo, schivo com’era, non attribuiva a sé ma alle preghiere dei malati.
In questo attaccamento alla sua persona sant’Agnello vide una minaccia alla sua santità e l’ancora di salvezza gli venne offerta da un monastero dove trascorse il resto della sua vita. Alla morte dell’Abate del monastero , Sant’Agnello per voto unanime dei monaci venne chiamato a sostituirlo. Morì all’età di 61 anni e precisamente il 14 dicembre del 596 ed i funerali furono un’autentica apoteosi. Il suo culto raggiunse in Napoli e nei suoi dintorni il massimo sviluppo verso il secolo XV. Tutte le biografie del Santo infatti risalgono a questo periodo.

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Santo Venanzio Fortunato  di nazionalità italiana e poi vescovo di Poitiers in Francia ed anche innografo e poeta(di lui si ricordano gli inni Vexilla Regis  e Pange Lingua Gloriosa)-verso il 610

Tratto da  http://www.enrosadira.it/santi/v/venanziof.htm
Venantius Honorius Clementianus Fortunatus nacque verso il 530 a Valdobbiadene (Treviso)(1). Studiò grammatica e retorica nei pressi di Aquileia e diritto a Ravenna. Quando era studente fu colpito da un'infermità alla vista, cui seguì una inspiegabile guarigione, che Venanzio attribuì all’intercessione di san Martino di Tours. Decise pertanto di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia a Tours. Durante il lungo pellegrinaggio viene ospitato da famiglie signorili che conquistò dilettandole con i suoi versi composti in latino, in particolare a Mertz fu ricevuto alla corte di Re Sigisberto, dove fu apprezzato per la sua cultura e le sue liriche. A Tours prega sulla tomba di san Martino, cui dedica un suo poema. Da lì raggiunse Poitiers dove conobbe Agnese e Radegonda. Radegonda, figlia del re di Turingia, fu sposata per forza a Clotario I re di Neustria. Ella si ritirò alla vita monastica dopo l'assassinio di suo fratello ad opera di Clotario stesso. In seguito alla protezione di Radegonda, persona molto colta, Venanzio si stabilì a Poitiers, dove rimane colpito dal suo modo di vivere la fede.. Radegonda fonda un convento a Saix, non lontano da Poitiers, e ne diviene badessa. Il convento prese il nome della Santa Croce, in seguito ad una reliquia della Santa Croce donata dall'imperatore Giustino II all'abadessa Radegonda. Fu in occasione dell'installazione della reliquia all'interno del monastero che Fortunato scrisse il Vexilla Regis e il Pange Lingua, opere che saranno riconosciute dalla Chiesa come testi liturgici. Dopo la morte di Radegonda (587) decise di prendere gli ordini sacri e assunse la direzione spirituale del monastero. Nel frattempo continua a scrivere e i nuovi temi della sua poesia sono tutti religiosi: il culto della Croce, la pietà mariana, il senso della morte e la guida spirituale dei fedeli. Approfondisce la conoscenza dei Vangeli e dei salmi, dei profeti (Isaia in particolare) e della patristica. Compose tra gli altri l'inno "Vexilla regis prodeunt", in onore della Croce, che è tuttoggi cantato durante la settimana santa, mentre altri suoi inni sono stati inclusi nel Breviario. Nel 595-97 venne consacrato vescovo di Poitiers, in un periodo di lotte intestine tra le famiglie locali. Negli anni dei suo vescovato, Fortunato fu considerato esempio di temperanza e stabilità. In tutta la sua vita scrisse inni, saggi, elegie funebri, omelie e poesie dedicate alla vita dei santi, in particolare scrisse la storia della vita dei sette santi della Gallia tra cui San Martino e Santa Radegonda. Fu considerato uno degli ultimi poeti gaelici latini e uno dei primi poeti cristiani a scrivere opere in devozione a Maria. La morte lo colse il 14 dicembre probabilmente nel 607 (2) e la devozione popolare lo venera presto come un santo. Sulla sua tomba nella cattedrale di Poitiers è incisa l'iscrizione “Santo e beato” voluta nel 785 da Paolo Diacono, storico dei longobardi, che invocò più volte la sua intercessione. Negli anni dei suo vescovato, Fortunato fu considerato esempio di temperanza e stabilità. In tutta la sua vita scrisse inni, saggi, elegie funebri, omelie e poesie dedicate alla vita dei santi tra cui San Martino e Santa Radegonda, ma anche ai più umili e ai più poveri.
1) San Venanzio potrebbe essere nato nel 535 a Ceneda (oggi parte di Vittorio Veneto), come da sempre rivendicato dai cenedesi. (2) Secondo alcuni testi la data della morte sarebbe il 14 dicembre del 603.

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