sabato 9 dicembre 2017

9 dicembre santi italici ed italo greci


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Santo Siro Vescovo di Pavia



Primo vescovo di Pavia, di discussa cronologia, ma probabilmente vissuto verso la metà del 4º sec., prima del vescovo Pompeo e di Evenzio, che visse tra il 381 e il 397. Le sue reliquie, conservate nella chiesa dei SS. Gervasio e Protasio dinanzi alla città, furono nel 9º sec. traslate nella nuova cattedrale. A lui molto probabilmente si riferisce un'iscrizione trovata negli scavi dei SS. Gervasio e Protasio nel 1875.
Tuttavia l’agiografia  del manoscritto del XIV secolo De laudibus Papiæ narra che Siro sarebbe stato il ragazzo che portò le ceste di pani e di pesci che poi Gesù moltiplicò: «Vi è qui un fanciullo con cinque pani d'orzo e due pesci - aveva detto Andrea - che cos'è mai questo per tanta gente?». Sempre secondo questa tradizione Siro avrebbe poi seguito Pietro a Roma e sarebbe stato da lui inviato nella Pianura Padana  a predicare e a convertire quelle popolazioni. Divenne quindi il vescovo di Ticinum Papiæ il nome dato dai romani a Pavia  Sempre secondo questo scritto egli fu molto presente in tutta la regione predicando in tutte le principali città. 



Santo Procolo Vescovo di Verona confessore della fede sotto Diocleziano (tra il 304 e  il 320)


Procolo fu il quarto vescovo di Verona  forse nominato nel 260: nonostante un lungo episcopato, molto poco si sa di lui. Nel "Ritmo Pipiniano Procolo viene definito "confessor et pastor egregius",
Durante le persecuzioni  di Diocleziano  subì affronti e dovette lasciare la sede vescovile; ritornatovi, sarebbe morto poco dopo, forse nel 304
Attigua alla Basilica di San Zeno di Verona sorge la Chiesa di San Procolo , dove sono contenute le spoglie mortali del santo. Alcune reliquie si trovano presso la cattedrale di Bergamo insieme a quelle dei martiri Fermo e Rustico
Un'altra chiesa dedicata al santo è quella di chiesa di San Procolo  a Naturno  con un ciclo di affreschi di età carolingia  raffiguranti episodi della vita del santo.
Il Martirologio Romano così riporta  la memoria di san Procolo al 9 dicembre:

« A Verona, san Procolo vescovo, il quale nella persecuzione di Diocleziano percosso con schiaffi e bastoni fu scacciato dalla città, ultimamente ritornato alla sua Chiesa si riposò in pace. »
(Martirologio Romano)




 Cita JACOPO DIONISI, De i santi veronesi. Parte prima, che contiene i martiri ed i vescovi, Verona, MDCCLXXXVI, 72-76.





Gli antichi calendari Veronesi lo ricordano il 23 marzo, suo dies natalis: Sancti Proculi episcopi et confessoris; mentre il Martirologio Romano lo ricorda il 9 dicembre: Veronae sancti Proculi Episcopi, qui, in persecuzione Diocletiani, colaphis ac fustibus caesus, e civitate pulsus est, ac tandem, in Ecclesiam suam restitutus, quievit in pace, giorno in cui i calendari veronesi celebrano la dedicatio ecclesiae Sancti Proculi.

Essendo stato scelto a regger la Chiesa Veronese S. Procolo uomo già  maturo di età, di senno, e di dottrina; la prima sua cura fu, disposte ch’ebbe le cose sue pastorali, d’andar in pellegrinaggio in compagnia d’alcuni suoi Preti, ed altri fedeli alla visita de’ luoghi Santi di Gerusalemme. Non vi maravigliate, Nipoti mie dilettissime, di tale impresa; perché, come abbiamo dalla Storia Ecclesiastica, questo era un religioso costume d’allora, continuato poscia per lungo tempo a tal segno, che S. Girolamo ebbe a dire, la grotta di Betleme essere stata visitata da tanti Vescovi, e da tanti altri illustri personaggi, che scorrendo per tutta l’età dall’Ascensione di Cristo fino al suo tempo, era impossibile l’annoverarli. Questa divozione proveniva da fuoco di carità, per cui vivendo i Pastori della Chiesa sempre disposti al martirio, amavano di visitar la Città consacrata dal capo de’ Martiri. Veniva ancora, cred’io, da divina providenza, acciocché nelle stazioni di sì lungo cammino fossero visitati e consolati i fedeli, e fosse predicato, e confessato Gesù Cristo; come fece appunto S. Procolo, il quale giunto ai confini della Pannonia, che oggi comunemente diciamo Ungheria; e visitando i Cristiani che colà  erano carcerati in odio della Fede, ed esortandoli a star costanti nella confessione di Gesù Cristo, fu preso egli stesso dagl’Idolatri, e battuto con le verghe, e venduto schiavo. Commendabile fu dunque la sua divozione, perché animata dall’amor di Dio, perché giustificata dall’esempio di tanti altri illustri pellegrini, perché utile alla Religione, e perché finalmente protetta, e approvata da Dio Signore, il quale non lasciollo marcire nella miseria della Ichiavitù, e volle operar de’ prodigi in favore di lui. Imperciocchè riscattato, non si sa da chi, e di là ritornando co’ suoi compagni, passò per una foresta, dove mancandogli l’acqua era vicino a perir di sete: se non che con fervorosa preghiera a quel Dio rivolto, che sa trar l’acqua dalle selci, ottenne che dall’arido terreno sorgesse prontamente una fonte a ristoro di sé, e de’ suoi. Ritornò pertanto a Verona portando seco, oltre il merito di sì lungo e faticoso pellegrinaggio, la consolazione d’aver baciato i vestigi de’ piedi del Salvatore, il contento d’aver veduto e visitato tanti buoni Cristiani, tanti Confessori di Gesù Cristo, la gloria di aver lui pure confessato la verità  della Fede, e molti documenti da dar al suo gregge per ciò che in ordine alla religione avea appreso in quel viaggio.

Restituitosi dunque alla sua residenza con allegrezza indicibile del popolo suo, attese con premura al buon governo di quello: e giunto alla vecchiaja, quasi nonagenario, udì essere stati da Milano a Verona condotti prigioni due nobili Bergamaschi di nome Fermo e Rustico, e’l giorno dietro dover essere martirizzati nel Circo per comando di Anolino Prefetto dell’Imperator Massimino. A tal novella riaccesosi nel Santo Vecchio quel fervore di spirito, per cui altra volta nella Pannonia era andato incontro al martirio: ed uscendo dall’antro, o sia dalla Cripta, usato ricetto de’ suoi Predecessori, andò alla prigione dove’erano i nobili personaggi destinati al supplicio, e fatte con loro le convenienze di fraterna carità: Bisogna, disse, che voi degniate di ricevermi per compagno nel vostro cimento. Il freddo dell’età non mi scema niente l’ardente desiderio ch’ho sempre avuto di patire per Gesù Cristo. Deh lasciate, che come siamo uniti e congionti nella Fede, così lo siamo ancor nella morte, ch’è momentanea, e nella gloria, che non finirà mai: onde abbiamo unitamente a benedire in eterno il nome Santo di Dio. Accettarono essi con giubilo la magnanima offerta del Santo Pastore; maravigliandosi insieme, ch’essendo lui cadente per la vecchiezza fosse tanto robusto nella Fede, che si promettesse di star in piedi a fronte delle minaccie, e de’ tormenti del crudele tiranno. Ma che non può la divina grazia? io posso ogni cosa, diceva S. Paolo, in Dio che mi conforta. E certo dobbiamo credere, che se Dio per altro consiglio della sua providenza non avesse disposto, anche questa volta, ch’egli qual altro Isacco, fosse ostia non di sangue, ma di salute, avremmo veduto in lui rinovato l’esempio del Santo vecchio Eleazzaro.





Venuti adunque i ministri, volendo lui così, lo legarono, e lo presentarono al tribunale. Dimandò allora Anolino, chi fosse quel nuovo prigione, e perché gli fosse stato condotto dinanzi. I ministri risposero, colui esser uno che diceva d’esser Cristiano: che di sua volontà s’era posto insieme con gli altri due, ed aveva fatto istanza d’essere incatenato, e presentato esso pure, come reo della medesima setta, a ricever la stessa condanna. Udito questo, Anolino adirossi: E non vedete, disse, che per la troppa età costui ha perduto il senno? Scioglietelo tosto e scacciatelo dalla mia presenza. Ubbidiron gli sgherri; e con ischiaffi e con villane parole lo costrinsero a ritornare d’onde s’era partito. In questo modo egli dolente, non già per l’ingiurie ricevute, ma per aver perduto l’occasione del martirio, ritornò a’ suoi, raccontando loro con le lagrime agli occhi, che non gli era venuto fatto di sparger il sangue per la fede di Gesù Cristo. Quanto sono ammirabili le disposizioni del Signore! Sopravvisse un anno solo a quel caso: e pure per sì breve spazio di tempo volle Dio, togliendolo dalla spada del carnefice, lasciarlo alla cura del gregge: quando agli occhi del mondo sembrar poteva, che fosse di maggior gloria di Dio il veder un vecchio quasi decrepito sostener con eroica costanza i più acerbi supplicj. Morì dunque in pace il giorno 23 di Marzo dell’anno 239 avendo prima imposto le mani al suo successore S. Saturnino; e fu sepolto nella sua Cripta con lamina di piombo entro la cassa con queste parole: Corpus B. Proculi Episcopi, cioè, il Corpo del B. Vescovo Procolo, e col seguente Epitafio, fatto (dicesi) incider da’ suoi Preti:



Hic cito consenui:

Jam me praecedet longior aetas,

Vivamque diu melioribus annis.

Che in volgare significa:



Invecchiai ben presto qui.

Ma più lunga età  m’aspetta

Vivo ai raj di più bel dì.







Da: GIO. JACOPO DIONISI, De i santi veronesi. Parte prima, che contiene i martiri ed i vescovi, Verona, MDCCLXXXVI, 72-76.


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