http://www.iconedimisura.it/2012/07/31/sebastiano/
IL 18 DI QUESTO STESSO MESE, MEMORIA DEL SANTO MARTIRE SEBASTIANO E DEI SUOI COMPAGNI ZOE, TRANQUILLINO, NICOSTRATO, CLAUDIO, TIBURZIO, CASTULO, MARCELLINO E MARCO. E DI SUA MOGLIE ZOE martiri a Roma sotto Diocleziano(nel 287)
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Nel
260 l’imperatore Galliano aveva abrogato gli editti persecutori
contro i cristiani, ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i
cristiani pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però
stimati, occupando alcuni di loro, importanti posizioni
nell’amministrazione dell’impero.
E
in questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente anche
nell’organizzazione; Diocleziano che fu imperatore dal 284 al 305,
desiderava portare avanti questa situazione pacifica, ma poi 18 anni
dopo, su istigazione del suo cesare Galerio, scatenò una delle
persecuzioni più crudeli in tutto l’impero.
Sebastiano,
che secondo s. Ambrogio era nato e cresciuto a Milano, da padre di
Narbona (Francia meridionale) e da madre milanese, era stato educato
nella fede cristiana, si trasferì a Roma nel 270 e intraprese la
carriera militare intorno al 283, fino a diventare tribuno della
prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la sua
lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano, che
non sospettavano fosse cristiano.
Grazie
alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani
incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire
militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo,
domestico (cubicolario) della famiglia imperiale, che poi morì
martire. un giorno furono arrestati due giovani cristiani Marco e
Marcelliano, figli di un certo Tranquillino; il padre ottenne un
periodo di trenta giorni di riflessione prima del processo, affinché
potessero salvarsi dalla certa condanna sacrificando agli dei.
Nel
tetro carcere i due fratelli stavano per cedere alla paura, quando
intervenne il tribuno Sebastiano riuscendo a convincerli a
perseverare nella fede; mentre nel buio della cella egli parlava ai
giovani, i presenti lo videro circondato di luce e tra loro c’era
anche Zoe, moglie del capo della cancelleria imperiale, diventata
muta da sei anni. La donna si inginocchiò davanti a Sebastiano, il
quale dopo aver implorato la grazia divina fece un segno di croce
sulle sue labbra, restituendole la voce.
A
ciò seguì una collana di conversioni importanti, il prefetto di
Roma Cromazio e suo figlio Tiburzio, Zoe col marito Nicostrato e il
cognato Castorio; tutti in seguito subirono il martirio, come pure i
due fratelli Marco e Marcelliano e il loro padre Tranquillino.
Sebastiano
per la sua opera di assistenza ai cristiani, fu proclamato da papa s.
Caio “difensore della Chiesa” e proprio quando, secondo la
tradizione, aveva seppellito i santi martiri Claudio, Castorio,
Sinforiano, Nicostrato, detti Quattro Coronati, sulla via Labicana,
fu arrestato e portato da Massimiano e Diocleziano, il quale già
infuriato per la voce che si diffondeva in giro, che nel palazzo
imperiale si annidavano i cristiani persino tra i pretoriani,
apostrofò il tribuno: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti
del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me,
ingiuriando gli dei”.
Sebastiano
fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in
una zona del colle Palatino chiamato ‘campus’, fu colpito
seminudo da tante frecce da sembrare un riccio; creduto morto dai
soldati fu lasciato lì in pasto agli animali selvatici.
Ma
la nobile Irene, vedova del già citato s. Castulo, andò a
recuperarne il corpo per dargli sepoltura, secondo la pia usanza dei
cristiani, i quali sfidavano il pericolo per fare ciò e spesso
venivano sorpresi e arrestati anche loro.
Ma
Irene si accorse che il tribuno non era morto e trasportatelo nella
sua casa sul Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni.
Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il
consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il
martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano e al
suo associato Massimiano, mentre gli imperatori si recavano per le
funzioni al tempio eretto da Elagabolo, in onore del Sole Invitto,
poi dedicato ad Ercole.
Superata
la sorpresa, dopo aver ascoltato i rimproveri di Sebastiano per la
persecuzione contro i cristiani, innocenti delle accuse fatte loro,
Diocleziano ordinò che questa volta fosse flagellato a morte;
l’esecuzione avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il
corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non
potessero recuperarlo.
L’abbandono
dei corpi dei martiri senza sepoltura, era inteso dai pagani come un
castigo supremo, credendo così di poter trionfare su Dio e privare
loro della possibilità di una resurrezione.
La
tradizione dice che il martire apparve in sogno alla matrona Lucina,
indicandole il luogo dov’era approdato il cadavere e ordinandole di
seppellirlo nel cimitero “ad Catacumbas” della Via Appia.
Le
catacombe, oggi dette di San Sebastiano, erano dette allora ‘Memoria
Apostolorum’, perché dopo la proibizione dell’imperatore
Valeriano del 257 di radunarsi e celebrare nei cosiddetti “cimiteri
cristiani”, i fedeli raccolsero le reliquie degli Apostoli Pietro e
Paolo dalle tombe del Vaticano e dell’Ostiense, trasferendoli sulla
via Appia, in un cimitero considerato pagano.
Costantino
nel secolo successivo, fece riportare nei luoghi del martirio i loro
corpi e dove si costruirono poi le celebri basiliche.
Sulla
Via Appia si costruì un’altra basilica costantiniana la “Basilica
Apostolorum”, in memoria dei due apostoli.
Fino
a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano attirati dalla
‘memoria’ di s. Pietro e s. Paolo, visitavano in quel cimitero
anche la tomba del martire, la cui figura era per questo diventata
molto popolare e quando nel 680 si attribuì alla sua intercessione,
la fine di una grave pestilenza a Roma, il martire s. Sebastiano
venne eletto taumaturgo contro le epidemie e la chiesa cominciò ad
essere chiamata “Basilica Sancti Sebastiani”.
Tratto
da
La
figura di S., soldato e martire, già circonfusa di leggenda, risalta
nell'anonima passio
del
sec. V.
L'anonimo
compilatore lo crede oriundo di Narbona ed educato a Milano; inoltre
asserisce che fu assai caro agl'imperatori Diocleziano e Massimiano,
i quali gli affidarono il comando della prima coorte. Per la sua
qualità di militare, S. può avvicinare Marco e Marcelliano, figli
gemelli di Tranquillino e di Marcia, tenuti in custodia dal
"primiscrinius" Nicostrato, e rafforzarli nella loro fede.
Seguono infinite conversioni, anche a causa di prodigi. Durante la
persecuzione "Maximiano et Aquilino consulibus facta"
(Massimo e Aquilino del 286?), una parte delle persone convertite da
S. va in altro luogo. Fra quelli che rimangono a Roma, Marco e
Marcelliano sono eletti diaconi, Tranquillino prete, S. difensore
della chiesa. Essi abitano presso il cristiano Castolo, cubiculario
del palazzo imperiale sul Palatino. Ma comincia la decimazione: Zoe
viene presa mentre prega alla confessione di S. Pietro durante
l'anniversario degli Apostoli ed è gettata nel Tevere, Tranquillino
è lapidato mentre va a pregare alla confessione di S. Paolo.
Nicostrato, Claudio, Castorio, Vittorino, Sinforiano sono gettati in
mare, Tiburzio è decapitato, Castolo propagginato, Marco e
Marcelliano attaccati a pali. S. è pure scoperto e l'imperatore
ordina di saettarlo. Il supplizio lo lascia esanime, ma non morto.
Irene, madre di Castolo, se ne accorge e trasporta l'eroe nel proprio
appartamento. In seguito a lunghe cure, S. risana. Ma un giorno che
l'imperatore si trova presso i "gradus Heliogabali", S. lo
apostrofa rimproverandogli di perseguitare i cristiani. L'imperatore
comanda di verberarlo a morte. Il corpo, gettato nella Cloaca
Massima, e ritrovato dalla pia matrona Lucina, fu seppellito
sull'Appia "ad catacumbas", presso il luogo dove erano
state temporaneamente deposte le salme degli apostoli Pietro e Paolo.
Più tardi sorse in quel sito una basilica (l'odierna di S.
Sebastiano).
Il
redattore di questa passio
scrisse
certamente in Roma, perché registra con precisione i dati
topografici. Egli anche mantiene un certo colorito storico, pur
lavorando di molta immaginazione e applicando all'età dioclezianea i
titoli di cariche sorte molto tempo dopo. Il martire sepolto al II
miglio dell'Appia, in un ipogeo cemeteriale non più antico del sec.
III, dovette essere una vittima di quella epurazione nelle file
dell'esercito che compì Diocleziano prima ancora di emanare gli
editti persecutorî. La cripta del martire fu, agli inizî del sec.
V, sistemata da due presbiteri del titolo di Bizante, Proclino e
Urso. La basilica superiore, dedicata dapprima alla memoria degli
apostoli Pietro e Paolo, fu nel tardo Medioevo (dopo il sec. VIII)
detta di S. Sebastiano. La festa del santo si celebra il 20 gennaio.
Iconografia.
- Come s'è detto, il santo fu martirizzato con frecce che sino dalla
remota antichità furono il simbolo della peste, perciò S. fu
assunto come protettore contro questa epidemia. Già durante la peste
del 680 Pavia gli aveva dedicato un altare, e nella stessa occasione
i Romani nella chiesa di S. Pietro in Vincoli fecero eseguire un
musaico con la sua immagine, tuttora esistente: vi appare vestito di
tunica e di clamide palatina, recando la corona gemmata, e ha barba
grigia e tonda. Rappresentazioni anteriori sono quelle del cimitero
di Calisto (sec. V) e di Ravenna (sec. VI).
Con
il sec. XIV il tipo cambia totalmente: giovane di bell'aspetto, è
raffigurato nudo, legato a una colonna o anche a un tronco, il corpo
crivellato di frecce.
In
Germania, come a Venezia e in altre scuole pittoriche, spesso è
rappresentato come un giovane vestito da guerriero o da paggio, con
frecce in mano: altri suoi attributi sono la spada, la palma e la
corona del martirio.
Assai
comuni, specialmente nell'Umbria, le sue immagini votive isolate;
quando è a lato della Vergine, spesso è accompagnato da altri santi
protettori contro la peste, quali Antonio, Giorgio, Cosma e Damiano,
Rocco. Comune anche è la scena del martirio; saettato da arcieri,
impassibile al dolore, con un fondo di rovine classiche. Rari invece
i cicli leggendarî (Semitecolo, 1367, nella libreria capitolare di
Padova; Gubbio, S. Secondo, affreschi di Giovanni Bedi, 1458; Empoli,
duomo, predella del Botticini, ecc.).
Bibl.:
La passio
è in Acta
Sanctorum,
gennaio, II, 265-278; altra redazione in B. Mombritius, Sanctuarium,
vol. II dell'ed. Solesmense, pp. 459-76. Deduzioni critiche in A.
Dufourcq, Étude
sur les "Gesta Martyrum" romains,
Parigi 1900, pp. 186-89, e 301. Sulle catacombe di S. Sebastiano, v.:
O. Marucchi, Le
catacombe romane,
Roma 1933, pp. 251-81. Per la basilica superiore, v.: Chr. Huelsen,
Le
chiese di Roma,
Firenze 1927, p. 460, n. 48; per S. Maria in Pallara, ibid.,
p. 353, n. 71. - Per l'iconografia, v.: D. v. Hadeln, Die
wichtigsten Darstellungsformen d. hl. Sebastian i. d. italienischen
Malerei bis zum Ausgang d. Quattrocento,
Strasburgo 1906; K. Künstle, Ikonographie
der Heiligen,
Friburgo in B. 1926; G. Boudrès, Le
thème iconographique de St. Sébastien vêtu dans la peinture en
Occident au moyen-âge,
in Revue
de l'art,
LXI (1932), pp. 117-30.
Il monaco Vunibaldo nel Pontificale Gundenkariano
Saint
WINEBAUD, figlio di un re anglo sassone e poi monaco a Monte Cassino
ed infine igumeno in Baviera (verso il 760)
Tratto
da
San
Wunibald chiamato anche Wynnebald, nacque nel 701 nel Wessex, in Gran
Bretagna, da genitori anglosassoni, il padre secondo tardive
tradizioni, era un re di nome Riccardo e la madre si chiamava Wunna.
Divenuto
giovane, nell’estate del 721 insieme al padre ed al fratello
Willibald, intraprese un pellegrinaggio a Roma, una vera impresa per
quell’epoca, ma il padre arrivato a Lucca, morì durante il
viaggio.
Wunibald
per motivi di studio, rimase a Roma in un monastero fino al 739,
mentre il fratello Willibald proseguiva nel 723 fino alla Terra
Santa, meta finale di molti pellegrinaggi medioevali.
Nel
729-30 Wunibald ritornò brevemente in Gran Bretagna e qui convinse
ai suoi ideali ascetici, un altro fratello, di cui non si sa il nome
e insieme ripartirono per Roma. Nel 738 nella città pontificia
incontrò s. Bonifacio Winfrid (680-755) suo parente, il grande
monaco anglosassone, evangelizzatore della Germania; Wunibald
attratto dall’ideale missionario di s. Bonifacio, lasciò la vita
contemplativa del monastero romano e nel 739 giunse come missionario
in Turingia, regione della Germania, qui fu consacrato sacerdote
dallo stesso Bonifacio, il quale gli affidò la cura di sette chiese,
stabilendo la sede a Sülzenbrücken a sud di Erfurt.
Qui
ritrovò anche suo fratello Willibald il quale fu consacrato nel 742,
vescovo di Eichstätt, da s. Bonifacio, che era diventato arcivescovo
di Magonza. Chiamato dal duca Odilone, Wunibald nel 744 si recò in
Baviera per diffondere il suo apostolato missionario, nella regione
presso il fiume Vils nel Pfalz Superiore.
Dopo
tre anni di intenso lavoro, nel 747 ritornò da Bonifacio,
arcivescovo di Magonza, ma la sua permanenza in questa città non fu
lunga, egli contrariamente al fratello, era sempre attratto dalla
vita monastica e dalla solitudine e così d’accordo con il fratello
vescovo, acquistò in una zona isolata presso Eichstätt, un terreno
e insieme ad alcuni compagni, nel 752 ne iniziò la coltivazione e
nello stesso tempo cominciò ad erigere il monastero di Heidenheim.
Una
volta completato il convento, ne divenne il primo abate, dedicandosi
alle missioni ed al ripristino della fede cristiana nella
popolazione, nel frattempo ricaduta nel paganesimo; fu ammirato ma
anche odiato per il suo zelo e la sua austerità.
Gli
ultimi anni della sua vita furono provati da grave malattia,
nonostante ciò egli fece ancora un faticoso viaggio a Würzburg, per
incontrare il vescovo locale e poi al monastero di Fulda, dove era la
tomba di s. Bonifacio, morto nel 755; questi viaggi avevano lo scopo
di mantenere in vita e sostenere il suo monastero.
Desiderava
finire la sua vita a Montecassino, dove era già atteso, presso la
tomba del patriarca s. Benedetto, alla cui Regola aveva affidato il
suo monastero, ma il fratello vescovo Willibald lo distolse a causa
dell’impedimento delle sue gravi infermità. Wunibald morì
pertanto a Heidenheim, il 18 dicembre 761, assistito dal fratello e
lì sepolto.
La
sorella s. Valburga, monaca a Wimborne era stata trasferita ad
Heidenheim come badessa delle monache, chiamata dal fratello
Willibald, in questo cosiddetto doppio monastero, il cui ramo
maschile era diretto da Wunibald, alla morte di questi, divenne
badessa generale del doppio monastero; nel 776 Willibald fece
costruire una chiesa più grande e un anno dopo fece trasferire
solennemente il corpo del fratello abate, nella nuova cripta,
confermando in tal modo il culto che era iniziato subito dopo la
morte
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