venerdì 16 marzo 2018

16 Marzo Santi italici ed italo greci



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 Cristo tra i Santi Pietro e Paolo - miniatura dal Salterio di Oxford - XII secolo

Santo Alessandro I papa e patriarca di Roma Martire sotto Traiano (verso il 115)

Martirologio Romano A Roma, sulla via Nomentana, la passione dei santi Martiri Alessandro, Evenzio e Teodolo Preti. Tra essi Alessandro, sotto il Principe Adriano ed il Giudice Aureliano, dopo le catene, la prigionia, l’eculeo, le graffiature ed il fuoco, fu trafitto con punture spessissime per tutte le membra ed ucciso, Evenzio e Teodolo, dopo lunga prigionia, provati col fuoco, alla fine furono decollati.

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http://www.santiebeati.it/dettaglio/51675

Nel Liber pontificalis è detto “natione Romanus, ex patre Alexandro, de regione caput Tauri”. Tale indicazione topografica allude alla zona vicina a S. Bibiana, all'estremità della V regione Augustea, dove L. Statilius Taurus, console nel 44 d.C., eresse i suoi horti e il suo forum e nel Medioevo fu detta Taurina la porta S. Lorenzo. Il suo pontificato va dall'anno 105 al 115. Quindi è indicato il suo martirio, avendo a compagni “Eventius presbiter et Theodolus diaconus”; sepolto sulla “via Numentana, ubi decollatus est, ab urbe Roma non longe, milliario VII, nonas mai”, cioè il 3 maggio.
Il Martirologio geronimiano alla stessa data segna: “Romae via Nomentana, miliario VII, natale sanctorum Eventi, Alexandri, Theodoli”. Manca ogni indicazione di episcopi, che dà sempre ai papi, e non lo mette al primo posto; queste due circostanze fecero dubitare al Fiorentini dell'identità del papa e del martire.
Nell'itinerario del VII sec. inserito da Guglielmo di Malmesbury nei Gesta Regum Anglorum, fuori della porta Nomentana è segnato: “In septimo miliario eiusdem viae sanctus papa Alexander, cum Eventio et Theodolo pausant ”.
Questa notizia dipende dalla passio, come pure dalla passio dipende il Liber pontificalis.
La passio fa i due compagni di Alessandro ambo presbyteri. Tutti sarebbero stati sepolti da Severina, moglie del comes Aureliano che li aveva condannati, “in septimo milliario ab urbe Roma via Numentana in praedium suum, Eventium et Alexandrum in uno posuit monumento, Theodolum vero solum in loco altero sepelivit”. La passio non ha valore storico, ed è ritenuta dal Duchesne non anteriore al sec. VI; vi si parla anche dei martiri Ermete, Quirino tribuno e di sua figlia Balbina.
Ma le indicazioni topografiche e l'unione dei tre nomi che ricorrono sia nel Liber pontificalis che nel Martirologio geronimiano, nella passio e nell'itinerario detto Malmesburiense sono risultate esatte quando nel 1855 si scoprì al VII miglio della via Nomentana un cimitero e un complesso basilicale con due tombe venerate. Sulla prima era stato eretto un altare con l'iscrizione:
...ET ALEXANDRO DELICATVS VOTO POSVIT DEDICANTE AEPISCOPO VRS(0)
L'Ursus fu identificato dal Duchesne con il vescovo di Nomentum di tal nome ricordato in una lettera del papa Innocenzo I (401-417). L'iscrizione è, dunque, dell'inizio del sec. V e dimostra che Alexander è nominato per ultimo, senza alcuna dignità gerarchica, rafforzando i dubbi espressi dal Duchesne. Il cimitero e i monumenti in esso contenuti non permettono in alcun modo una datazione così remota, come l'età di Traiano, ma si tratta di un cimitero locale, iniziato non prima della seconda metà del sec. III.


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http://www.enrosadira.it/santi/a/alessandro-vesc.htm
Alessandro, vescovo, fu martirizzato sulla via Claudia, a venti miglia da Roma, sotto l'Imperatore Antonino. Superò il supplizio delle catene, dei bastoni, dell'eculeo, delle fiaccole ardenti, della lacerazione con uncini di ferro, delle fiere e delle fiamme della fornace, e solo a mezzo della spada conquistò la palma del martirio. Il suo corpo fu trasportato a Roma il 26 novembre da papa Damaso.

Alessandro, vescovo, santo, martire di Roma, papa Damaso in suo onore avrebbe costruito, al XX miglio della via Claudia, una "cryptam condignam". Nel 1053 sul luogo della sepoltura risultava una chiesa in suo onore. Papa Damaso, secondo quanto si credeva nel XVIII secolo, lo avrebbe fatto seppellire in S. Lorenzo fuori le mura







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A. è il protagonista di una Passio che ha tutti i caratteri della produzione agiografica romana dei secc. V-VI, in cui è associato a Evenzio e Teodolo.
Nei primi tre capitoli della Passio si racconta di Ermete  prefetto di Roma  già convertito da A., fatto arrestare per volontà dell'imperatore Traiano dal comes utriusque militiae Aureliano e tenuto sotto custodia dal tribuno Quirino, mentre A. è stato chiuso in carcere. Dopo vari prodigi, tra i quali la guarigione di Balbina, figlia di Quirino, anche questi si converte con la figlia, finisce martire per ordine di Aureliano, ed è sepolto nel cimitero di Pretestato, sulla via Appia. Evenzio e Teodolo, quest'ultimo di provenienza orientale, sono due presbiteri che si trovavano in carcere con A., e che impongono le mani ai carcerati convertitisi dopo una predica del vescovo. Ermete è decapitato e sepolto sulla via Salaria ; i prigionieri convertiti sono fatti gettare in mare con una pietra al collo. Balbina si consacra alla verginità. Dopo un interrogatorio in cui cerca invano di convertire il comes Aureliano, A. (che dallo stesso interrogatorio si viene a sapere essere dell'età di trent'anni) è sottoposto a vari tormenti, e dopo di lui anche Evenzio e Teodolo. Vano risulta però il tentativo di bruciare A. ed Evenzio in una fornace ardente, nella quale anche Teodolo si getta spontaneamente su invito dei compagni quando questi gli dicono di avervi trovato l'angelo che aveva salvato i tre giovani nella fornace secondo il racconto del libro di Daniele. Allora Evenzio e Teodolo sono fatti decapitare, mentre A. è condannato ad essere pungolato lungo tutte le sue membra. La vendetta divina non tarda a colpire Aureliano: sua moglie Severina seppellisce i tre martiri al VII miglio della via Nomentana, Evenzio e A. insieme, Teodolo in un sepolcro a parte. La Passio coincide con la notizia del Liber pontificalis quando identifica l'Alessandro martire della via Nomentana con il vescovo di Roma, dandogli per compagni Evenzio e Teodolo, e per il luogo e la data del loro martirio e della loro sepoltura: se ne distingue tuttavia quando fa di Evenzio e Teodolo due presbiteri - mentre nel Liber pontificalis sono rispettivamente un presbitero e un diacono - e per il particolare supplizio di A., che invece secondo il Liber pontificalis è decapitato. Non si può negare tuttavia che quest'ultima fonte si rifaccia alla stessa tradizione agiografica attestata dalla Passio: è probabile che quest'ultima ci sia giunta in una redazione leggermente diversa (forse posteriore) rispetto a quella che doveva conoscere l'autore del Liber pontificalis.



Santi Ilario Vescovo di Aquileia ,Taziano diacono,Dionigi, Felice e Largus martiri sotto Numeriano(verso il 284)

Dal  quotidiano Avvenire

Il nome di Ilario (Ilaro o Ellaro), associato a Taziano nel Martirologio geronimiano, coincide con quello del secondo vescovo dei catologhi aquileiesi. Un'antichissima tradizione vuole che il vescovo Ilario e il diacono Taziano abbiano subito il martirio sotto Numeriano il 16 marzo 284. In Aquileia era dedicato a Ilario un martyrium ottagonale, sorto probabilmente già nel IV secolo. Alla fine del VI secolo, per timore dei Longobardi, il patriarca Paolo si rifugiò a Grado, portandovi i corpi dei santi martiri, fra cui quello di Ilario e Taziano. A Gorizia era loro dedicata una chiesa già all'inizio del XIII secolo, che divenne chiesa parrocchiale della città verso il 1460, e, alla soppressione del patriarcato di Aquileia, fu eretta cattedrale della nuova arcidiocesi nel 1751. Gli stessi martiri sono venerati Patroni principali della città di Gorizia




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sant'Ilario di Aquileia ed il suo diacono san Taziano.
Sant’Ilario, detto anche Ilaro o Ellero, fu il vescovo del comune friulano di Aquileia durante l'epoca dell'imperatore Numeriano. Egli fu il secondo vescovo dei cataloghi aquileiesi ed agì con grande impegno in ambito religioso e sociale in un'epoca difficile per il culto cristiano, costretto ancora a ricevere le persecuzioni da parte dei romani. Suo prezioso assistente fu il diacono san Taziano, anch'egli venerato come santo, con cui sant’Ilario avviò una lotta alle persecuzioni nel Friuli ma in generale in tutta Italia. Sant’Ilario e san Taziano, per il fervore messo a disposizione nella difesa della cristianità, furono martirizzati proprio dai soldati di Numeriano nel 284. La cattura di san Ilario fu voluta dalla massima autorità politica di aquileia, ovvero il preside Beronio, che, dopo avergli chiesto inutilmente di fare sacrificio agli idoli, lo fece fustigare e soffrire di scarnificazione. Di lì a qualche giorno anche san Taziano fu arrestato e i due subirono insieme la condanna il 16 marzo, insieme ad altri fedeli cristiani. Da allora sant’Ilario e san Taziano sono venerati in zona nel giorno del 16 marzo. Nel periodo del patriarcato di Aquileia, una delle tante divisioni politiche dell'Italia medievale, il culto di queste due figure si intensificò e da allora ci arriva la tradizione di due uomini quasi eroici nella loro vita al servizio della zona. Le spoglie di sant’Ilario e di san Taziano, però, precedentemente conservate insieme presso un martyrium di forma ottagonale, all'arrivo dei Longobardi vennero riesumate per metterle in salvo dalle razzie dei Longobardi stessi. Fu il patriarca Paolo I, vissuto proprio nel VI secolo, che organizzò il passaggio delle due salme dal loro martyrium di Aquileia al comune di Grado. In onore dei santi è stata costruita una cattedrale, su una chiesa preesistente, che oggi è il Duomo di Gorizia e principale centro di culto cattolico della provincia. La Cattedrale metropolitana di sant’ Ilario e san Taziano è sede vescovile dal 1752 proprio di sant’Ilario nell'omonima arcidiocesi metropolitana. Anche la Basilica di Santa Maria Assunta di Aquileia reca immagini dei due Santi, raffigurati in un affresco insieme alle storie della vita di San Marco.
I due santi sono venerati principalmente nella provincia di Gorizia ma anche di Udine, di cui fa parte il comune di Aquileia e a Pordenone. Sant'Ilario e san Taziano sono anche i due patroni del comune di Gorizia

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http://www.mondocrea.it/itfriuli-113/

Il martirologio geronimiano ricorda, al 16 marzo, i martiri Ilario e Taziano: XVII Kal. Apr. In Aquileia. Helari. Tatiani.
Il Catalogo episcopale aquileiese indica Ilario come secondo vescovo di Aquileia e Taziano come suo diacono. Gli acta, redatti  verosimilmente intorno alla fine dell’XI secolo, narrano come il giovane Ilario si dedicasse con serio impegno allo studio e alla meditazione, eccellendo nella conoscenza delle sacre scritture.
Per questo motivo la comunità cristiana di Aquileia lo volle prima diacono e poi vescovo, quale successore diretto del protovescovo Ermacora. Ilario scelse come suo diacono un concittadino di nome Taziano. Durante la persecuzione scatenata dall’imperatore Numeriano, nel 284, il preside di Aquileia Beronio, istigato da Monofante, sacerdote di Ercole, fece arrestare Ilario.
Il vescovo fu condotto nel tempio di Ercole e gli fu intimato di sacrificare agli idoli. Egli rifiutò, saldo nella fede nonostante le esortazioni, le lusinghe e le minacce.
Allora Beronio lo condannò alla fustigazione: ben trenta centurioni si alternarono nell’esecuzione della condanna, ma invano, poiché il santo non cedette.
Il preside ordinò che fosse legato al cavalletto e scarnificato; mentre gli uncini di ferro gli dilaniavano le carni, il santo cantava sereno inni a Dio. La tortura fu inasprita: gli aguzzini gli versarono nelle ferite aceto, sale e peli di cammello. A quel punto Ilario, dopo aver invocato il Signore, soffio verso gli idoli d’argento collocati sull’ara, mandandoli in polvere.
I sacerdoti pagani, impauriti, chiesero a Beronio di liberare la città da quel mago potente e il preside fece rinchiudere il vescovo in prigione. Il giorno successivo anche Taziano fu incarcerato.
I due santi si misero a pregare insieme e subito il fragore di un tuono terribile mandò in pezzi il tempio di Ercole e causò la morte per spavento di numerose persone.
Beronio, temendo l’ira dei sacerdoti, decretò l’immediata pena di morte dei due santi e di altri tre cristiani prigionieri di nome Felice, Largo e Dionigi..
Verso la fine del IV secolo fu edificata in Aquileia, in prossimità del foro, una memoria dedicata a sant’Ilario; i suoi resti furono indagati archeologicamente negli anni Sessanta e Settanta.
Era un edificio esternamente a pianta quadrata, internamente ottagonale; la sua peculiarità stava nel fatto che era stato eretto proprio sopra il cardine massimo della città e che il lastricato stradale era stato mantenuto come pavimento della cappella.
La sua costruzione rese necessaria la deviazione di una delle piu importanti arterie cittadine.
Certamente la scelta dell’insolito sito era dovuta a un’importante motivazione: con ogni verosimiglianza si era voluta erigere una memoria nel luogo in cui era avvenuto l’arresto di Ilario. Non si può pensare infatti che l’edificio sacro sia stato edificato sopra la sua tomba, in quanto questa doveva trovarsi all’esterno della cinta muraria, come esigeva la legge romana.
La primitiva memoria, modificata nel corso del tempo, rimase agibile fino al 1799, allorché fu demolita in conseguenza dei decreti di soppressione di istituti religiosi emanati da Giuseppe II d’ Asburgo. Esistono due documenti che mostrano l’aspetto architettonico della cappella fra Sei e Settecento: il dipinto del palazzo arcivescovile di Udine con la pianta prospettica di Aquileia del 1693 e i disegni del canonico ed erudito Gian Domenico Bertoli (1676-1763).
Non si ha alcun documento, invece, relativo alla tomba dei due martiri, che era ancora nota alla fine del VI secolo. A quell’epoca, infatti, il patriarca Paolino, a causa dell’invasione longobarda, si rifugiò nel castrum di Grado, portando in salvo le reliquie dei martiri aquileiesi, tra le quali anche quelle di Ilario e Taziano.
Presunte loro reliquie sono tuttora conservate nella cripta della basilica di Aquileia.
Il culto dei santi Ilario e Taziano non ebbe diffusione fuori di Aquileia fino all’ epoca carolingia, per questo motivo non sono menzionati nei martirologi cosiddetti «storici».
A Ilario e Taziano era dedicata una chiesetta che sorgeva nell’area dell’attuale cattedrale di Gorizia almeno fin dall’inizio del secolo XIII; essa, ampliata, divenne chiesa parrocchiale ne11460;
la cattedrale metropolitana, eretta nella seconda metà del Seicento, ea loro intitolata dal 1830.
I santi patroni sono raffigurati nelle due statue marmore e ai lati dell’altare maggiore, scolpite nel 1707 dai goriziani Giovanni e Leonardo Pacassi. Essi compaiono anche, insieme alla Madonna e a san Carlo, nella bella pala dipinta nel1825 da Giuseppe Tominz. Nel tesoro della cattedrale sono conservate presunte reliquie dei due patroni: in due busti reliquiari in legno dipinto e dorato del primo Cinquecento e in un reliquiario in argento dorato, vetro ed ebano, a forma di scatola con il coperchio bombato e munito di quattro guglie, della meta del Settecento.
Ilario e Taziano sono raffigurati inoltre nell’abside della basilica di Aquileia, negli affreschi del catino, a sinistra della Vergine con il Bambino, accanto a san Marco.
Fra le otto figure di santi martiri della parete curvilinea compaiono invece Dionisio, Largo e Felice, che secondo gli acta subirono il martirio nello stesso giorno di Ilario e Taziano.
Nell’absidiola del transetto sinistro gli stessi pittori che decorarono l’abside maggiore al tempo del patriarca Poppone (1019-1042) affrescarono le figure di Ilario e Largo, identificabili dai nomi scritti accanto; nel terzo personaggio con ogni probabilità è da riconoscere il diacono Taziano. Ilario e Taziano, insieme ai loro predecessori Ermacora e Fortunato, sono rappresentati a sbalzo nella pala d’argento del duomo di Cividale del Friuli, commissionata dal patriarca Pellegrino II (1194-1204) a orafi di formazione romanico-bizantina.
GABRIELLA BRUMAT DELLASORTE
BIBLIOGRAFIA
CARAFFA F., IlarioJ TazianoJ FeliceJ Largo e Dionigi, in Bibliotheca Sanctorum, vol. VII, colI. 728730, Roma 1966.
TAVANO S., Sant’Ilario patrono di Gorizia, Udine 1969.

Santo Valentino vescovo di Terracina e Santo Damiano diacono  a Terracina del Vescovo Valentino  martire  (verso il 312 )

Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/91776
La storia dei due Santi Valentino e Damiano è narrata negli "Atti della Vita e del Martirio di S. Valentino Vescovo e S. Damiano Diacono". Dagli Atti si apprende che il Santo nacque a Terracina durante l'impero di Costantino il Grande. I genitori, di nobili origini, impressero nei figli un'impronta cristiana che maggiormente si manifestò in Valentino, tanto che il Vescovo della città, pensò di ordinarlo sacerdote in giovane età. Valentino si dedicò anima e corpo alla Chiesa e morto il Vescovo fu eletto all’episcopato della sua città. Iniziò subito a mostrare le sue virtù di castità, umiltà e carità; sovvenendo si bisogni dei poveri, dei malati aiutando tutti coloro che si rivolgevano a lui. Alla morte di Costantino iniziarono le persecuzioni dei Cristiani e dopo essere stato arrestato e liberato, il Vescovo Valentino iniziò il suo pellegrinaggio che lo portò, come guidato dalla volontà di Dio, alla città a cui avrebbe successivamente dato il nome. Qui Egli convertì e battezzò la popolazione del posto ed edificò nuove chiese e ordinò nuovi sacerdoti. Ma nelle città vicine vi erano molti sacerdoti pagani che vedendo tali opere, indussero la maggior parte della popolazione contro San Valentino e il suo discepolo San Damiano, fino al punto da farli catturare, trasportare in un bosco vicino e farli decapitare. Qui furono sepolti dai fedeli cristiani e rimasero senza culto fino al periodo dei Normanni quando, tra il 1075 e il 1078, il re Trogisio dopo aver rinvenuto le spoglie dei Martiri, le fece portare nell'Oratorio situato in Castel di Pietra (antico nome di San Valentino) dove iniziarono a mostrarsi innumerevoli prodigi. Fu molto probabilmente proprio in questo periodo che Castel di Pietra cambiò nome per diventare San Valentino. Oggi i loro corpi riposano nella parrocchiale dei Ss. Valentino e Damiano situata sull'alto della gradinata e progettata dall'architetto Luigi Vanvitelli.

Il capitolo terzo degli "Atti" che riguarda appunto S. Damiano: "Assunta la cura del gregge di Gesù Cristo, il Vescovo Valentino, incominciò a mostrar chiaramente il progresso ch'egli faceva d'una in altra virtù: sovveniva ai bisogni delle vedove; stendeva la mano agli orfani; provvedeva alle necessità dè poverelli: e tutto ciò che aver poteva loro volentieri il distribuiva. Eravi intanto in Terracina una certa vedova per nome Procla con un figliuolo unico chiamato Damiano, che mancando di ogni alimento per se e pel figliuolo, si accostò un giorno ai piedi del buon Pastor Valentino, pregandolo che soccorresse alla sua miseria, e le desse tanto da poter con la prole sua campar la vita. Commosso il pietosissimo Padre alle preci della povera donna, prese fra le sue braccia l'infante di lei, e strettoselo al seno e baciatolo, se lo adottò per figlio alla presenza di tutti i circostanti e donò alla donna cinquanta monete d'oro, perché provvedesse con quelle ai suoi futuri bisogni e così la rimandò tutta giuliva alla propria casa e ritenne con sé il fanciullo. Il Santo Prelato l'incominciò a nutrire con diligenza grandissima e ad istruir premurosamente nel servizio di Dio. Lo imbevve della Dottrina della Chiesa secondo il costume e il rito de' Santi Padri, e quando quello toccò l'età adulta, il promosse al grado di Diacono
; e Damiano restò sempre perseverante nella dottrina del maestro."
Santo Agapito vescovo di Ravenna (verso il 341)

Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/45500

Decimo dei vescovi ravennati, il Martirologio Romano ne celebra la memoria il 16 marzo. Visse tra la fine del III sec. e la prima metà del IV, ed è senza fondamento la notizia della sua partecipazione al concilio di Roma del 340, indetto dal papa Giulio I. La breve e generica biografia del Liber Pontificalis di Agnello ravennate non fa che rifarsi a motivi suggeriti dall'etimologia del nome, ma ne ignora il giorno della morte . Fino al sec. X rimase sepolto nell'area cimiteriale adiacente alla Basilica Probi di Classe; nel 963 l'arcivescovo Pietro IV ne riesumò le reliqui e le trasferì nell'Anastasi urbana. Ma il suo culto comincia ad affermarsi solo verso il sec. XI, quando viene estesa a tutti i primi dodici vescovi ravennati la tradizione dell'elezione miracolosa attraverso la discesa di una colomba sul capo del candidato, ltradizione  originariamente propria solo per s. Severo Fu l'arcivescovo Filippo Fòntana (1250-1270) che soprattutto diffuse e curò il culto dei cosiddetti «Vescovi Colombini».


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