Saints CHRYSANTHE,
DARIA son épouse,
CLAUDE le tribun,
HILARIA son épouse et leurs fils MAUR et JASON,
ainsi que DIODORE, prêtre, MARIEN, diacre, et d'autres pieux chrétiens qui accomplirent leur martyre en étant enfermés dans une grotte à Rome sous Numérien (283 ou 284). (Office à saints Chrysanthe et Darie traduit en français par le père Denis Guillaume au tome III des Ménées.) I
Troparion — Tone 1
Let us honor the like-minded pair of martyrs / Chrysanthus, scion of purity, and supremely modest Daria. / United in holiness of faith, / they shone forth as communicants of God the Word. / They fought lawfully for Him and now save those who sing: / “Glory to Him who has strengthened you! / Glory to Him who has crowned you! / Glory to Him who through you grants healing to all!”Kontakion — Tone 1
In the sweet fragrance of holiness, O Chrysanthus, / you drew Daria to saving knowledge. / Together in contest you routed the serpent, / the author of all evil, / and were worthily taken up to the heavenly realms.http://oca.org/saints/lives/2014/03/19/100830-martyr-chrysanthus-and-those-with-him-at-rome
Santi Crisanto e Daria,sposi, Claudio tribuno,Ilaria
sua sposa con i loro figli Mauro e Giasone ed ancora con il prete Diodoro e il
diacono Mariano e tanti altri cristiani
uccisi per la loro fede a Roma sotto Numeriano(verso il 283
Tratto dal quotidiano Avvenire
Crisanto figlio di un certo Polemio, di
origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo
dell'imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l'occasione di conoscere il
presbitero Carpoforo e si fece battezzare. Il padre Polemio cercò in tutti i
modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e
specialmente della bella vestale Daria. Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e
di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di
predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo. La cosa non passò
inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li
affidò al tribuno Claudio, che però si convertì insieme alla moglie Ilaria, i
due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e i settanta soldati della
guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati. Scoperti, vennero tutti
condannati a morte dallo stesso imperatore Numeriano. Crisanto e Daria furono
condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti
vivi
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92161
I due santi patroni della città di Reggio Emilia vissero e morirono nel III secolo, l’anno del martirio si suppone fosse il 283; sono ricordati singolarmente o in coppia in svariati giorni dell’anno secondo i vari Martirologi e Sinassari, mentre il famoso Calendario Marmoreo di Napoli e per ultimo il Martirologio Romano, li ricordano il 25 ottobre.
I due martiri sono raffigurati in varie opere d’arte, reliquiari, pannelli, affreschi, mosaici, per lo più di origine italiana, situati in alcune città d’Italia, di Germania, Austria e Francia; questo testimonia la diffusione del loro antichissimo culto in tutta la Chiesa.
La loro vicenda, narrata in modo epico e fantasioso dalla ‘passio’, risente senz’altro della lontananza del tempo e della necessità di ricostruire la ‘Vita’ con pochissime notizie certe.
Questa ‘passio’ di cui si hanno versioni in latino e in greco, era già esistente nel secolo VI poiché era nota a s. Gregorio di Tours (538-594), vescovo francese e grande storico dell’epoca.
Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna.
Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi
Dagli ‘Itinerari’ del secolo VII, si sa che i due martiri erano sepolti in una chiesetta del cimitero di Trasone sulla medesima Via Salaria nuova. Una notizia certa riferisce che per la festa dei santi martiri, affluivano molti fedeli ai loro sepolcri e che il papa Pelagio II nel 590, dette alcune reliquie ad un diacono della Gallia.
Per la storia delle reliquie, la tradizione vuole infatti che furono operate tre traslazioni, una da papa Paolo I (757-767) che dalla Via Salaria le avrebbe portate nella chiesa di S. Silvestro a Roma; la seconda da papa Pasquale I (817-824) che invece le avrebbe trasferite dalla Via Salaria alla Chiesa di Santa Prassede e l’ultima da papa Stefano V (885-891), che le avrebbe portate al Laterano.
Da questa ultima chiesa poi nell’884 sarebbero state portate nel monastero di Münstereiffel in Germania, ancora nel 947 le reliquie sarebbero state trasferite a Reggio Emilia, di cui s. Crisanto e s. Daria sono i patroni, ad opera del vescovo Adelardo, il quale le avrebbe avute da Berengario che a sua volta le aveva ricevute nel 915 da papa Giovanni X
Altre città rivendicano il possesso di reliquie come Oria (Brindisi), Salisburgo, Vienna, Napoli.
Il duomo di Reggio Emilia possiede i due busti reliquiari in argento dei martiri, opera di Bartolomeo Spani.
Tratto da
http://www.calendariobizantino.it/calendario-4.69807600.0.html
San Crisanto, figlio di un senatore
pagano, nacque ad Alessandria d'Egitto. Affinché studiasse, il padre lo mandò a
Roma, dove Crisanto conobbe un vescovo che lo convertì e istruì alla fede
cristiana. Quando suo padre lo scoprì, lo fece rinchiudere in carcere nella
speranza che abbandonasse Cristo, ma vedendo che il figlio restava fermo nelle
sue posizioni, comandò che Daria, giovane e bella filosofa di Atene di fede
pagana, fosse condotta a Roma, l'uomo infatti sperava che il figlio, innamorandosi
e sposando la fanciulla, si sarebbe allontanato dalla fede in Cristo, ma le
cose andarono in modo diverso: fu Crisanto a convertire Daria e, simulando con
lei il matrimonio, riuscirono liberamente a predicare e convertire molte
persone. Quando furono scoperti, però, vennero sepolti vivi in un pozzo di
fango, diventando in questo modo martiri della fede, nell'anno 283,
durante il regno di Numeriano.
Tratto da http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/10/25/SANTI-CRISANTO-E-DARIA-Santo-del-giorno-il-25-ottobre-si-celebrano-i-Santi-Crisanto-e-Daria/648896/
San Crisanto (o Crisante)
era figlio di un nobile pagano, il quale cercò di riportarlo al paganesimo in
seguito alla sua conversione alla fede cristiana, avvenuta a Roma con l'aiuto
del prete Carpoforo. Per riuscirci, il padre mandò a San Crisanto una
bellissima vestale, San Daria, la quale però si convertì a sua volta e
decise di rimanere con lui in una casta unione. Durante questo periodo, i due
insieme riuscirono a convertire numerosi romani, tra cui Ilaria, Giasone, Mauro
e Claudio (quest'ultimo era proprio il tribuno incaricato di custodire i due
ragazzi in arresto, successivamente ucciso a sua volta insieme alla moglie e ai
figli), prima di essere uccisi come martiri durante l'impero di Numeriano. Dal
momento che la credenza pagana impediva di versare il sangue di una vestale,
per non scatenare l'ira degli dèi, Daria e Crisanto vennero sepolti vivi
intorno al 283 d.C.
Alcune recenti
indagini scientifiche hanno confermato questa tradizione , dal momento che i
corpi identificati appartengono a due ragazzi sui quali non ci sono segni di
violenza, dunque la causa della morte è compatibile con la storia agiografica;
l'analisi ha rilevato una elevata presenza di piombo ad indicare l'appartenenza
dei due ad una classe sociale agiata, dal momento che solo questa parte di popolazione
aveva accesso all'acqua corrente in casa, trasportata appunto in tubi di
piombo. La tradizione vuole che nel corso dei secoli siano state
effettuate tre traslazioni delle reliquie dei Santi, durante le quali sarebbero
state portate in tre chiese romane e da qui in altri centri religiosi d'Europa
e d'Italia; La loro memoria è stata tramandata fin dai primi secoli,
durante i quali è tratta l'iconografia tradizionale che li vuole raffigurati in
abiti bianchi secolari; di loro si trova testimonianza negli antichissimi
Martirologi della Chiesa, nonché nei mosaici di Sant'Apollinare a Ravenna e
nelle notizie storiche di San Gregorio di Tour, vescovo francese vissuto nel VI
secolo.
Santo Quinto e compagni martiri a Sorrento
il santo Quinto, è associato ad un
gruppo di altri martiri, di cui si conoscono i nomi di alcuni, come Quintilla,
Quartilla e Marco. Essi sono denominati con qualche dubbio, come martiri di
Sorrento e vengono ricordati il 19 marzo nel ‘Martirologio Geronimiano’ e altri
Martirologi storici, come pure nel ‘Martirologio Romano’ compilato nel XVI
secolo da Cesare Baronio.
I dubbi degli studiosi riguardano l’indicazione di Sorrento, come città del loro martirio o della loro origine; si pensa che alcuni di loro, essendo un numeroso gruppo, siano invece di Corinto, compagni di santa Basilia, onorata lo stesso 19 marzo.
Per il resto non si può dire altro, che se sono di Sorrento o qui pervenute le loro reliquie da altro luogo, essi sono sempre dei cristiani, delle più svariate condizioni sociali, età, sesso, che hanno donato la loro vita, morendo in modo atroce, per l’affermazione del cristianesimo nel mondo pagano di allora
I dubbi degli studiosi riguardano l’indicazione di Sorrento, come città del loro martirio o della loro origine; si pensa che alcuni di loro, essendo un numeroso gruppo, siano invece di Corinto, compagni di santa Basilia, onorata lo stesso 19 marzo.
Per il resto non si può dire altro, che se sono di Sorrento o qui pervenute le loro reliquie da altro luogo, essi sono sempre dei cristiani, delle più svariate condizioni sociali, età, sesso, che hanno donato la loro vita, morendo in modo atroce, per l’affermazione del cristianesimo nel mondo pagano di allora
Santo Bertulfo
igumeno di Bobbio (verso il 640)
Tratto da
Nacque,
sul finire del sec. VI, da una nobile famiglia probabilmente burgunda, da
genitori pagani; pagano egli stesso, si convertì ben presto al cristianesimo,
probabilmente per influsso dei vescovo di Metz, Arnolfo, che era suo parente.
Trasferitosi subito dopo a Metz, vi soggiornò per alcuni anni, approfondendo la
sua preparazione religìosa sotto la guida spirituale dello stesso Arnolfa,
della cui familia - come è lecito dedurre dalle parole del biografo di B.,
Giona - era entrato a far parte. A Metz, tuttavia, B. non aveva trovato attuato
quell'ideale rigoroso di abnegazione e di penitenza, cui' egli aspirava;
perciò, conosciuti i principi di rinunzia e mortificazione che erano alla base
della predicazione e della vita di s. Colombano e dei suoi discepoli, si
risolse ad abbandonare Metz e, vestito l'abito monastico, chiese di essere
ammesso nel centro cenobitico di Luxeuil che, fondato da s. Colombano, era
allora retto dal suo discepolo Eustasio (613-629). A Luxeuil B. si fermò a
lungo, facendosi ben presto apprezzare per la sua dolcezza, per la forza della
sua fede e la severità della vita; qui lo conobbe e lo apprezzò un altro degli
antichi discepoli di s. Colombano l'abate Atala di Bobbio, già allora in fama
di santità. Questi, intuite le capacità del monaco, chiese ed ottenne il
permesso di portarlo con sé in Italia; fu così che B. seguì oltre le Alpi
l'abate Atala, di cui divenne il principale collaboratore, e a cui lo legarono
filiale affetto e il medesimo desiderio di perfezione e di penitenza.
Quanto
tempo B. visse a Metz, e quando si trasferì a Luxeuil, non ci è dato sapere: Il
biografò di B. - che pure fu legato a lui da una lunga consuetudine di vita e
che fu monaco a Bobbio durante l'abbaziato di Atala e di B. stesso - usa, a
proposito di questi avvenimenti, delle espressioni estremamente generiche:
"lunctus supradictus pontifice Arnulfò, cum ipso quantisper moravit",
scrive, a proposito della permanenza di B. a Metz, e "Deinde ad
venerabilem virum Eusthasium Luxovium perrexit, quo diu… mansit". Poiché,
quand'egli giunse a Luxeuil, Eustasio era già abate, bisogna ammettere che vi
si recò dopo il 613 e che vi rimase sicuramente almeno fin dopo il 616, dato
che Atala era già stato eletto abate di Bobbio quando giunse a Luxeuil. Alla
scelta di Atala non dovettero essere estranee ragioni di solidarietà:
anch'egli, infatti, come B., era di nobile famiglia burgunda; forse lo
conosceva o conosceva la sua gente.
Alla
morte di Atala (circa 627,10 marzo), B. fu eletto a succedergli dall'unanime
voto dei suoi confratelli. Tale elezione, tuttavia, se trovò consenzienti tutti
i monaci di Bobbio, provocò invece l'immediata reazione del vescovo di Tortona,
Probo, nella cui diocesi si trovava il monastero di Bobbio: il vescovo, che non
era stato previamente consultato circa la candidatuta di B., e che forse non
era nemmeno stato informato ufficialmente dell'avvenuta elezione, vide in essa
una violazione dei suoi diritti giurisdizionali. Perciò, dopo essersi
guadagnato con donativi l'appoggio degli altri vescovi della regione e,
perfino, di alcuni alti dignitari di corte, per il tramite delle interessate
pressioni di questi ultimi aveva portato la questione davanti al re dei
Longobardi, Arioaldo, perché lo risolvesse d'autorità. Anche B., che un
ufficiale di corte aveva immediatamente informato della mossa compiuta da
Probo, cercò di influenzare in senso a sé favorevole Arioaldo per il tramite di
un suo inviato. Il re, tuttavia, avrebbe dato alle due parti la medesima
risposta: "Non meum est sacerdotum causas discernere". Ai
rappresentanti di Probo chiese che provassero "ecclesiastico iure" la
tesi (che sembravano evidentemente sostenere opponendosi all'elezione di B.),
secondo la quale i monasteri "procul urbibus sita" sarebbero stati
sot toposti alla giurisdizione vescovile; agli inviati di B., che cercavano di
sapere quale fosse la sua posizione nei confronti della vertenza, il re si
limitò a rispondere ambiguamente che mai avrebbe favorito chi avesse sollevato
difficoltà contro un uomo di Dio. Inoltre, poiché B. gli aveva fatto chiedere
se gli avrebbe dato il permesso di recarsi a Roma, per sottoporre la questione
alla Sede apostolica, e se gli avrebbe permesso di fare il viaggio
"suplimento publico", a spese cioè della Corona, Arioaldo che, per
quanto ariano, poteva avere interesse a mantenere buoni rapporti con Bobbio,
data la posizione del monastero, rispose facendo consegnare a B. il danaro
necessario al viaggio di lui e dei suoi accompagnatori, tra i quali vi fu lo
stesso biografo, di B., Giona.
B.
venne accolto assai onorevolmente da Onorio I, il quale volle conoscere a fondo
i termini della vertenza, non solo, ma anche i particolari della regola secondo
cui vivevano i monaci di s. Colombano a Bobbio; quindi concesse a B. un
privilegio (che sarebbe stato il modello delle successive bolle di esenzione
dei monasteri: cfr.: Liber diurnus Romanorum pontificum…,a c. di Th. E.
ab Sickel, Vindebonae 1889, num. LXXVII, p. 82), in cui riconosceva alPabbazia
di Bobbio la più ampia immunità ed esenzione da ogni giurisdizione vescovile
(11 giugno 628). Il pontefice, però, forse preoccupato che il benevole
atteggiamento di Arioaldo (che, stando a quanto scrive Giona, era favorevole
all'indipendenza dei monasteri, almeno quelli lontani dalle città) non
influisse negativamente sulla predicazione antiariana ed antipagana sin'allora
condotta dai monaci di Bobbio, si fece un dovere di esortare l'abbate "ut
cepti itineris laborem non relinqueret et Arrianae pestis perfidiam evangelico
mucrone ferire non abnueret".
Durante
il viaggio di ritorno, presso la Roccia di Bismantova, nell'Appennino
tosco-emiliano, dove allora si trovava una munita fortezza, B., che era partito
da Roma ammalato, venne colpito da una febbre tanto forte che si credette
prossima la sua fine. Guarito miracolosamente nella notte tra il 28 e il 29
giugno, B. poté ritornare, senza altri inconvenienti, a Bobbio.
B.
resse il monastero di Bobbio per circa tredici anni; morì infatti nel 639,
probabilmente il 19 agosto, giorno in cui a Bobbio si celebra la sua festa.
Il
biografo e discepolo di B., Giona, - che compose la sua opera, le Vitae
Columbani abbatis discfiplinorumque eius, proprio dietro ordine di B., cui
dedicò il XXIII capitolo del secondo libro - ricorda di B. soprattutto l'umiltà
e la religiosità, l'impegno pastorale con cui "plebem docere ac imbuere
salubribus monitis non omisit".
Fonti
e Bibl.: Ionac Vitae sanctorum Columbani, Vedastis, Iohannis,a
cura di B. Krusch, in Mon. Germ. Hist. Scriptores rerum
Germanic. in usum scholarum,XXXVII, Hannoverae et Lipsiae 1905, pp.
280-286 (cfr. la pref. dell'editore, ibid., pp. 49 ss.); H. Cazalis, Vie
de s. Bertulthe, troisième abbé de Bobbio en Italie…, Avignon
1881; Dict. d'Hist. et de Géógr. Ecclés., VIII,
col. 1111; Bibl. Sanctorum, III, coll.115 s.
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