Santo
Basilide e i suoi santi compagni martiri a Roma (nel III secolo )
tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/56865
Basilide
è un martire romano sepolto al XII miglio della via Aurelia in località Lorium,
fra la Bottaccia e Castel di Guido. Del martire non si sa nulla, perché le tre
passiones che lo riguardano sono tardive e completamente prive di valore (BHL,
I, p. 153, nn. 1018-20). Nessuno dei suoi compagni è romano: Nabore e Nazario
sono i celebri martiri milanesi, il cui culto si diffuse a Roma sulla via
Aurelia, presso il monastero di San Vittore, anch'egli martire milanese; Cirino
probabilmente Quirino, il vescovo di Siscia, il cui corpo fu portato a Roma e
sepolto ad Catacumbas. Il Martirologio Romano ricorda Basilide anche il 10
giugno, insieme con Tripodis, Mandalis ed altri venti anonimi: i due nomi non
sono, però, nomi di santi, ma vanno ricollegati alla città di Tripolis
Magdaletis e i venti martiri sono da riferire all'Africa. Probabilmente il dies
natalis di Basilide è il 12 giugno, confermato dal Capitolare evangeliorum di
Würzburg (sec. VII) e dagli altri capitolari romani, che lo ricordano a questa
data e senza compagni. Nel Medioevo il martire era venerato in due basiliche:
la prima, eretta sul suo sepolcro sulla via Aurelia, è ricordata
dall'Itinerario Malmesburiense; la seconda, sulla via Labicana, fu restaurata
nel sec. IX da Leone III. Ambedue sono scomparse da secoli.
Santo Massimo vescovo di Napoli e
probabilmente martire .Confessa la retta
fede versus et contra l’eresia ariana (verso il 359)
Martirologio
Romano: A Napoli, san Massimo, vescovo, che per la sua fedeltà al Concilio di
Nicea fu mandato in esilio dall’imperatore Costanzo, dove, prostrato dalle
tribolazioni, morì confessore della fede.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91854
E' il
decimo vescovo di Napoli, secondo la lista episcopale compilata da Giovanni il
Diacono, succedendo a s. Fortunato. Il suo episcopato si svolse sotto
l’imperatore Costanzo (337-361) iniziando intorno al 350 e terminando nel 357.
Difese i decreti del Concilio di Nicea del 325, che condannò l’eresia ariana, scaturita dall’eretico Ario di Alessandria (280-336), il quale affermava che il Verbo, incarnato in Gesù, non è della stessa sostanza del Padre, ma rappresenta la prima delle sue creature.
L’eresia scatenò una lotta a volte anche violenta, fra le due posizioni esistenti nella Chiesa di allora, a cui non fu estraneo il potere civile. Il vescovo Massimo di Napoli, per la sua difesa intrepida della ortodossia nicena, tra il 355-356 fu condannato all’esilio, probabilmente in Oriente, come altri vescovi dell’Occidente.
Dall’esilio seppe, che la sua cattedra episcopale napoletana, era stata occupata dall’ariano Zosimo e gli lanciò contro un anatema; nonostante ciò Zosimo governò la diocesi per più di sei anni, evidentemente dopo aver ripudiato l’arianesimo, fu riconosciuto come 11° vescovo legittimo.
Alcuni noti testi latini affermano che Zosimo, verso il 363 sarebbe stato costretto a lasciare il seggio episcopale colpito dal castigo divino, perché non riusciva a parlare nelle assemblee dei fedeli.
Intanto il vescovo Massimo per i maltrattamenti subiti e per le sue malferme condizioni di salute, morì in esilio verso il 361, prima che Giuliano l’Apostata decidesse l’8 febbraio 362, il ritorno dei vescovi esiliati, per questo gli è riconosciuto il martirio.
Il suo culto cominciò, quando il suo successore legittimo s. Severo, ma considerato 12° vescovo di Napoli dal 363 al 409, nei suoi primi atti di governo episcopale, fece riportare in patria le sue spoglie, sistemandole nella nuova basilica cimiteriale, poco distante dall’ipogeo di S. Fortunato, fuori dalle mura della città di allora.
A metà del secolo IX i suoi resti compresi quelli di s. Fortunato e altri santi vescovi, furono trasferiti nella basilica Stefania. Ma esiste un’altra versione opposta a quanto detto; il 20 e il 22 novembre del 1589, i frati Cappuccini della chiesa napoletana di S. Efebo, operarono una ricognizione delle reliquie conservate dietro l’altare maggiore, il motivo è ignoto e qui trovarono le reliquie dei santi vescovi napoletani Efebo, Fortunato e Massimo.
Si può ipotizzare che verso la fine del XIII secolo dovendosi costruire la nuova cattedrale al posto della basilica Stefania, le reliquie siano state trasferite nella catacomba di S. Efebo, diventata poi chiesa cappuccina.
Durante gli scavi archeologici del 1882 e del 1957 si sono ritrovati reperti archeologici in una cappella della cattedrale, un sarcofago, un’iscrizione sepolcrale con la dicitura “Maximus episcopus qui et confessor”, confermando così la prima tomba del IV secolo di s. Massimo.
Il suo nome è riportato in varie date e in vari calendari compreso il famoso Calendario Marmoreo di Napoli, scolpito nel IX secolo e conservato negli ambienti del Duomo.
Il 12 settembre del 1840 la Sacra Congregazione dei Riti confermava l’antichissimo culto per i santi Fortunato e Massimo vescovi;
Difese i decreti del Concilio di Nicea del 325, che condannò l’eresia ariana, scaturita dall’eretico Ario di Alessandria (280-336), il quale affermava che il Verbo, incarnato in Gesù, non è della stessa sostanza del Padre, ma rappresenta la prima delle sue creature.
L’eresia scatenò una lotta a volte anche violenta, fra le due posizioni esistenti nella Chiesa di allora, a cui non fu estraneo il potere civile. Il vescovo Massimo di Napoli, per la sua difesa intrepida della ortodossia nicena, tra il 355-356 fu condannato all’esilio, probabilmente in Oriente, come altri vescovi dell’Occidente.
Dall’esilio seppe, che la sua cattedra episcopale napoletana, era stata occupata dall’ariano Zosimo e gli lanciò contro un anatema; nonostante ciò Zosimo governò la diocesi per più di sei anni, evidentemente dopo aver ripudiato l’arianesimo, fu riconosciuto come 11° vescovo legittimo.
Alcuni noti testi latini affermano che Zosimo, verso il 363 sarebbe stato costretto a lasciare il seggio episcopale colpito dal castigo divino, perché non riusciva a parlare nelle assemblee dei fedeli.
Intanto il vescovo Massimo per i maltrattamenti subiti e per le sue malferme condizioni di salute, morì in esilio verso il 361, prima che Giuliano l’Apostata decidesse l’8 febbraio 362, il ritorno dei vescovi esiliati, per questo gli è riconosciuto il martirio.
Il suo culto cominciò, quando il suo successore legittimo s. Severo, ma considerato 12° vescovo di Napoli dal 363 al 409, nei suoi primi atti di governo episcopale, fece riportare in patria le sue spoglie, sistemandole nella nuova basilica cimiteriale, poco distante dall’ipogeo di S. Fortunato, fuori dalle mura della città di allora.
A metà del secolo IX i suoi resti compresi quelli di s. Fortunato e altri santi vescovi, furono trasferiti nella basilica Stefania. Ma esiste un’altra versione opposta a quanto detto; il 20 e il 22 novembre del 1589, i frati Cappuccini della chiesa napoletana di S. Efebo, operarono una ricognizione delle reliquie conservate dietro l’altare maggiore, il motivo è ignoto e qui trovarono le reliquie dei santi vescovi napoletani Efebo, Fortunato e Massimo.
Si può ipotizzare che verso la fine del XIII secolo dovendosi costruire la nuova cattedrale al posto della basilica Stefania, le reliquie siano state trasferite nella catacomba di S. Efebo, diventata poi chiesa cappuccina.
Durante gli scavi archeologici del 1882 e del 1957 si sono ritrovati reperti archeologici in una cappella della cattedrale, un sarcofago, un’iscrizione sepolcrale con la dicitura “Maximus episcopus qui et confessor”, confermando così la prima tomba del IV secolo di s. Massimo.
Il suo nome è riportato in varie date e in vari calendari compreso il famoso Calendario Marmoreo di Napoli, scolpito nel IX secolo e conservato negli ambienti del Duomo.
Il 12 settembre del 1840 la Sacra Congregazione dei Riti confermava l’antichissimo culto per i santi Fortunato e Massimo vescovi;
Tratto da
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/vescovo-br--morto-in-esilioper-aver-difeso-la-verita_20150611
Difendere la verità ha sempre un costo
molto alto, per questo chi versa il sangue per affermare con la sua vita
l'ortodossia ha un posto particolare nella memoria della Chiesa. È il caso di
san Massimo di Napoli, che secondo le cronologie fu il decimo vescovo della
città partenopea. Divenne pastore della comunità locale molto probabilmente nel
350, 25 anni dopo il Concilio di Nicea, che aveva condannato l'arianesimo. Gli
scontri tra fazioni però non si erano placate e alcuni Pastori furono costretti
all'esilio per il solo fatto di aver difeso le affermazioni conciliari. Così
toccò a Massimo che fu allontanato dalla sua città dalle fronde eretiche tra il
356 e il 357. Nel 362 i vescovi l'imperatore decise di far rientrare tutti i
vescovi esiliati ma Massimo era già morto, provato dai maltrattamenti
Santo
Trifilio nato a Roma vescovo di
Leucosia/Nicosia a Cipro ,uno dei padri sinodali del Santo Concilio di
Nicea(verso il 370)
Martirologio
Romano: A Nicosía nell’isola di Cipro, san Trifillo, vescovo, che difese
strenuamente la retta fede di Nicea e, come afferma san Girolamo, fu l’oratore
più eloquente del suo tempo e straordinario commentatore del Cantico dei
Cantici.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/93027
il
bollandista Papebroch ha pubblicato nel 1698 l'unica Vita di Trifillio che ci è
pervenuta. F. Halkin nel 1948 ne ha dato una nuova edizione riveduta e corretta
con un commento sulla vita e sul culto del santo.
Secondo questo racconto Trifillio era originario di Roma, ma fu educato a Costantinopoli dove il padre era stato trasferito dall'imperatore Costantino. Giovane si portò insieme con la madre a Gerusalemme. Al ritorno divenne primo discepolo di s. Spiridione vescovo di Trimitonte (Cipro) e poi vescovo di Leucosia, oggi Nicosia. Durante l'episcopato predicò tutti i giorni alle sue pecorelle, fece numerosi miracoli e visse poveramente. Fondò un monastero dove sua madre morì. Dopo la morte, gli Agareni profanarono il suo corpo troncandogli la testa e gettarono le reliquie nel fuoco. Alcune di esse si salvarono e furono rinvenute nascoste nel muro.
L'autore di questa biografia si è limitato a raccogliere le tradizioni orali che circolavano a Leucosia su Trifillio. Egli non conosce quanto s. Atanasio, s. Girolamo e Sozomeno hanno scritto sul personaggio. S. Girolamo (De viris illustribus, 92) riferisce che Trifillio lasciò alcuni scritti, fra i quali commentari al Cantico dei Cantici, ma nessuna sua opera è pervenuta. Sozomeno nella sua Storia Ecclesiastica (I, 11) dà alcuni particolari sulla sua formazione giuridica a Beirut e sulla sua eloquenza un po' mondana. S. Atanasio elogia la sua ortodossia in quanto era stato a lui favorevole nel concilio di Sardica. Anche le tracce sul culto non sono numerose.
Nei menei greci è ricordato il 13, l'11 o il 12 giugno. Nel sec. XVI il suo nome fu introdotto nei calendari e martirologi occidentali: prima dal Molano nel 1573. dal Genebrard nel 1577 e dai compilatori del Martirologio Romano nel 1584 con la data al 13 giugno. Le chiese slave si sono conformate ai bizantini nella commemorazione al 13 giugno. La sua immagine orna il calendario russo figurato, dipinto nel sec. XVII e riprodotto dal Papebroch e dal Martinov.
tratto da
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=5008:13-06-memoria-di-san-trifilio-vescovo-di-leucosia-nicosia&catid=182:giugno&lang=it
a cura di Spyridon Colucci
Oggi la Chiesa Ortodossa festeggia San Trifillio, discepolo di San Spiridione. Entrambi parteciparono al Concilio di Nicea. San Trifillio fu amico e difensore di san Atanasio d'Alessandria. Quando era diacono di San Spiridione fu sgridato dal Santo perché, nel leggere il Vangelo, aveva sostituito una parola con un sinonimo più elegante. Il Santo lo fermò nel mezzo della Liturgia e gli disse: Chi sei tu per ritenerti più sapiente di colui che ha scritto il Vangelo? Un'altra volta, una donna pagana si avvicinò ai due santi chiedendo di riportare in vita il suo figlio morto, cosa che fecero. Tuttavia ,fu tanta la gioia della madre per la risurrezione del figlio, che morì. San Trifillio disse a San Spiridione: E adesso, lasciamo questo bambino orfano? Allora San Spiridione riuscitò anche la madre. Invece, mentre si recavano al concilio di Nicea, si fermarono la notte in una taverna e lasciarono i loro due muli nella stalla. Alcuni sabotatori, che non volevano che i due partecipassero al concilio, decapitarono i due muli. I due santi, la mattina, scoprirono il triste evento. San Spiridione disse a Trifillio di chiudere le porte della stalla e iniziò a pregare,poi riattaccò le teste ai muli. Siccome era buio invertì le teste: al mulo bianco attaccò la testa di quello nero e viceversa. San Trifillio divenne vescovo di Leucosia a Cipro, nonostante fosse avviato ad una brillante carriera lasciò tutto per servire il gregge di Dio, diventando per il suo zelo e la sua umiltà un vero imitatore del suo padre spirituale.
Secondo questo racconto Trifillio era originario di Roma, ma fu educato a Costantinopoli dove il padre era stato trasferito dall'imperatore Costantino. Giovane si portò insieme con la madre a Gerusalemme. Al ritorno divenne primo discepolo di s. Spiridione vescovo di Trimitonte (Cipro) e poi vescovo di Leucosia, oggi Nicosia. Durante l'episcopato predicò tutti i giorni alle sue pecorelle, fece numerosi miracoli e visse poveramente. Fondò un monastero dove sua madre morì. Dopo la morte, gli Agareni profanarono il suo corpo troncandogli la testa e gettarono le reliquie nel fuoco. Alcune di esse si salvarono e furono rinvenute nascoste nel muro.
L'autore di questa biografia si è limitato a raccogliere le tradizioni orali che circolavano a Leucosia su Trifillio. Egli non conosce quanto s. Atanasio, s. Girolamo e Sozomeno hanno scritto sul personaggio. S. Girolamo (De viris illustribus, 92) riferisce che Trifillio lasciò alcuni scritti, fra i quali commentari al Cantico dei Cantici, ma nessuna sua opera è pervenuta. Sozomeno nella sua Storia Ecclesiastica (I, 11) dà alcuni particolari sulla sua formazione giuridica a Beirut e sulla sua eloquenza un po' mondana. S. Atanasio elogia la sua ortodossia in quanto era stato a lui favorevole nel concilio di Sardica. Anche le tracce sul culto non sono numerose.
Nei menei greci è ricordato il 13, l'11 o il 12 giugno. Nel sec. XVI il suo nome fu introdotto nei calendari e martirologi occidentali: prima dal Molano nel 1573. dal Genebrard nel 1577 e dai compilatori del Martirologio Romano nel 1584 con la data al 13 giugno. Le chiese slave si sono conformate ai bizantini nella commemorazione al 13 giugno. La sua immagine orna il calendario russo figurato, dipinto nel sec. XVII e riprodotto dal Papebroch e dal Martinov.
tratto da
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=5008:13-06-memoria-di-san-trifilio-vescovo-di-leucosia-nicosia&catid=182:giugno&lang=it
a cura di Spyridon Colucci
Oggi la Chiesa Ortodossa festeggia San Trifillio, discepolo di San Spiridione. Entrambi parteciparono al Concilio di Nicea. San Trifillio fu amico e difensore di san Atanasio d'Alessandria. Quando era diacono di San Spiridione fu sgridato dal Santo perché, nel leggere il Vangelo, aveva sostituito una parola con un sinonimo più elegante. Il Santo lo fermò nel mezzo della Liturgia e gli disse: Chi sei tu per ritenerti più sapiente di colui che ha scritto il Vangelo? Un'altra volta, una donna pagana si avvicinò ai due santi chiedendo di riportare in vita il suo figlio morto, cosa che fecero. Tuttavia ,fu tanta la gioia della madre per la risurrezione del figlio, che morì. San Trifillio disse a San Spiridione: E adesso, lasciamo questo bambino orfano? Allora San Spiridione riuscitò anche la madre. Invece, mentre si recavano al concilio di Nicea, si fermarono la notte in una taverna e lasciarono i loro due muli nella stalla. Alcuni sabotatori, che non volevano che i due partecipassero al concilio, decapitarono i due muli. I due santi, la mattina, scoprirono il triste evento. San Spiridione disse a Trifillio di chiudere le porte della stalla e iniziò a pregare,poi riattaccò le teste ai muli. Siccome era buio invertì le teste: al mulo bianco attaccò la testa di quello nero e viceversa. San Trifillio divenne vescovo di Leucosia a Cipro, nonostante fosse avviato ad una brillante carriera lasciò tutto per servire il gregge di Dio, diventando per il suo zelo e la sua umiltà un vero imitatore del suo padre spirituale.
Santo Leone III papa e patriarca
di Roma rifiuta l’inserzione del
“filioque” nel Credo (verso 816)
Tratto
da
http://digilander.libero.it/gogmagog1/ortodossia/Leone_III.htm
Succedette ad Adriano I. Di umili origini, eletto
soltanto dal clero, incontrò subito l'opposizione della nobiltà romana e
pertanto si rivolse al re dei Franchi, Carlo Magno, patrizio romano dal 774,
per ottenere il giuramento di fedeltà da parte del popolo: a tale scopo inviò a
Carlo Magno il documento della sua elezione, le chiavi di San Pietro e il
vessillo dell'Urbe; Carlo Magno inviò Angilberto, abate di Saint-Riquier con
l'intento soprattutto di far presenti i doveri del papa. Qualunque fossero le
intenzioni del re con tale atteggiamento, a Roma le ostilità furono soltanto
sospese. Infatti la lotta tra nobili e papa si accese al punto che nell'aprile 799
Leone venne assalito durante una processione, percosso e gettato in prigione,
ma la notte stessa fuggì in Vaticano. Poi aiutato dal duca di Spoleto,
Guinigiso (o Winigisio), riparò a Paderborn (Sassonia) presso Carlo Magno, che
gli concedette la sua protezione e lo fece scortare a Roma. Subito dopo vi si
recò anche il re franco, che mostrò l'intenzione di esaminare le colpe di cui
era accusato Leone. Allora Leone, il 23 dicembre 800, pubblicamente e con
giuramento, appellandosi al giudizio divino, dichiarò che tali colpe egli «non
aveva perpetrate né ordinato di perpetrarle»; il giorno di Natale il papa
incoronò imperatore Carlo Magno e così rafforzò indirettamente la sua
posizione.
In campo dottrinale Leone III mostrò la sua indipendenza dai teologi franchi e dallo stesso Carlo nella questione del Filioque nella quale, sotto il pretesto dottrinale, i franchi celavano l'intenzione di creare un dissidio con la parte orientale della cristianità e quindi con l'imperatore romano-bizantino. Davanti alle pretese dei teologi franchi Leone III mostrò la posizione tradizionale di tutta la Chiesa in base alla quale il papa non aveva alcun permesso d'intervenire personalmente quippiam addendi, minuendi sue mutandi nel deposito di fede comune delle Chiese dell'ecumene. Leone III indicò così di considerare il diritto costituzionale e positivo, espresso dal collegiale consenso dei successivi concili ecumenici, come impegnativo canone per la vita organizzata della Chiesa, come storico riflesso giuridico dell'esigenza di visibile comunione e di effettiva unità di tutte le Chiese nella fede professata, indiscriminatamente indispensabile per la salvezza eterna. Forse realisticamente dubbioso sulla futura ottemperanza della Chiesa franca alla sua decisione di proibire l'inserzione del Filioque nel Credo niceno-costantinopolitano, il papa fece incidere il simbolo dei 150 Padri in greco e in latino su dei pannelli d'argento, che fece affiggere nelle basiliche di San Pietro e di San Paolo. Il testo autentico di tale simbolo, che si credeva scomparso, sussiste invece nel suo tenore integrale nel Sic et non di Abelardo, compresa la completa formula di autenticazione, che lo concludeva epigraficamente: Leo indignus tertius episcopus pro amore et cautela orthodoxae fidei fecit. (Sic et non, IV = PL CLXXVIII, col. 1357 C.)
Leone III pronunciò, inoltre, la condanna dei feliciani o adozionisti e del loro eresiarca Felice d'Urgel, nel 798. Nell'805 si recò ad Aquisgrana da Carlo Magno e consacrò la famosa cappella palatina. Gli succedette Stefano IV. L'inserimento del suo nome nel Martirologio romano avvenne soltanto nel 1673
In campo dottrinale Leone III mostrò la sua indipendenza dai teologi franchi e dallo stesso Carlo nella questione del Filioque nella quale, sotto il pretesto dottrinale, i franchi celavano l'intenzione di creare un dissidio con la parte orientale della cristianità e quindi con l'imperatore romano-bizantino. Davanti alle pretese dei teologi franchi Leone III mostrò la posizione tradizionale di tutta la Chiesa in base alla quale il papa non aveva alcun permesso d'intervenire personalmente quippiam addendi, minuendi sue mutandi nel deposito di fede comune delle Chiese dell'ecumene. Leone III indicò così di considerare il diritto costituzionale e positivo, espresso dal collegiale consenso dei successivi concili ecumenici, come impegnativo canone per la vita organizzata della Chiesa, come storico riflesso giuridico dell'esigenza di visibile comunione e di effettiva unità di tutte le Chiese nella fede professata, indiscriminatamente indispensabile per la salvezza eterna. Forse realisticamente dubbioso sulla futura ottemperanza della Chiesa franca alla sua decisione di proibire l'inserzione del Filioque nel Credo niceno-costantinopolitano, il papa fece incidere il simbolo dei 150 Padri in greco e in latino su dei pannelli d'argento, che fece affiggere nelle basiliche di San Pietro e di San Paolo. Il testo autentico di tale simbolo, che si credeva scomparso, sussiste invece nel suo tenore integrale nel Sic et non di Abelardo, compresa la completa formula di autenticazione, che lo concludeva epigraficamente: Leo indignus tertius episcopus pro amore et cautela orthodoxae fidei fecit. (Sic et non, IV = PL CLXXVIII, col. 1357 C.)
Leone III pronunciò, inoltre, la condanna dei feliciani o adozionisti e del loro eresiarca Felice d'Urgel, nel 798. Nell'805 si recò ad Aquisgrana da Carlo Magno e consacrò la famosa cappella palatina. Gli succedette Stefano IV. L'inserimento del suo nome nel Martirologio romano avvenne soltanto nel 1673
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