lunedì 25 giugno 2018

25 Giugno Santi Italici ed Italo greci


Santo Medico cittadino romano martirizzato ad Otricoli sotto Marco Aurelio

Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Medico_di_Otricoli
sarebbe stato un medico romano nativo di Otricoli che fu martirizzato durante il regno dell'imperatore Marco Aurelio. Il riferimento appare nei Sabina Otriculanae Monumenta Ecclesiae; tuttavia il Menologium graecum (vol. 3 p. 182) lo indicava come nativo di Ravenna (memoria al 26 luglio).
Ughelli nell’Italia Sacra lo menziona come uno dei protettori di Otricoli. Anche negli Acta Sanctorum san Medico è nativo di Otricoli e ricordato il 26 giugno, con una storia simile al menologio greco.
Nella chiesa di Santa Maria Assunta a Otricoli si conservano le spoglie di san Medico e di altri 57 martiri, trasportate dall'antica abbazia di San Vittore nel 1612  

Leggere anche
EDOARDO D’ANGELO
Santi e agiografia Medievale  di OtricolI

















Santo Prospero Vescovo di Reggio Emilia(verso il 466) –è ricordato pure il 25 Novembre

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/59450

Di s. Prospero si sa ben poco, fu certamente vescovo di Reggio Emilia nel sec. V ma mancano documenti dell’epoca che lo attestino. D’altra parte il culto è antichissimo e ben radicato fra i fedeli per cui bisogna considerare che all’epoca, ai fedeli più che interessare la storia cronologica della vita di un santo, aveva importanza la narrazione delle sue virtù, che in questo caso non mancano.
Bisogna considerare che il culto così diffuso è certamente spontaneo e non suggerito o imposto dalla città di Reggio Emilia, allora non in grado di farlo dato il suo scarso rilievo.
Parlano di lui due omelie del sec. X, una per la vita e un’altra per la traslazione, riportate dalla “Bibliotheca
Hagiografica Latina” 2 voll. Bruxelles 1898-1901 e nel ‘Libro dei miracoli’ di M. Mercati del 1896.
Il suo corpo fu tumulato nella chiesa di s. Apollinare nelle vicinanze della città, successivamente ricostruita e dedicata poi allo stesso s. Prospero (inizio sec. VIII). Dopo la metà del X sec. essendo la chiesa invasa dalle acque, il vescovo Ermenaldo (962) trasportò il corpo nella Cattedrale di s. Maria nel centro della città in attesa di costruirne un’altra nuova. Il progetto fu realizzato dal suo successore vescovo Teuzone (979) e il papa Gregorio V nell’anno 997 di passaggio per Reggio diretto a Pavia, consacrò il nuovo tempio nella zona di Castello. Nel sec. XVI la chiesa fu ricostruita nelle forme attuali, il corpo riposa sotto l’altare maggiore.
Il culto fu così diffuso nei secoli XI a XIV tale da contare nelle province di Parma, Bologna, Lucca e altre città oltre Reggio ben 31 chiese o cappelle a lui dedicate; dopo il Concilio di Trento il culto si restrinse verso Reggio, scomparendo man mano le intestazioni di questi edifici sacri.
La diocesi di Reggio Emilia lo celebra il 24 novembre.
E’ raffigurato quasi sempre con un libro in mano ad attestare la sua qualità di teologo e in abito episcopale.
In molte chiese di Reggio Emilia vi sono statue e affreschi che lo raffigurano come anche in un ottima tela nella chiesa di s. Giacomo dell’Orio a Venezia.


Tratto da
http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2017/11/24/news/quel-santo-tra-mito-e-mistero-che-salvo-la-citta-con-la-nebbia-1.16159064

Reggio Emilia. E Prospero, per nascondere la città ai barbari e salvarla dal saccheggio, fece calare la nebbia. Tutti, a Reggio, conoscono la leggenda e nel giorno di San Prospero non possono che pensare con affetto a quella coltre di umidità – di solito disprezzata – che quel giorno di tanti anni fa ci ha abbracciati e protetti. Ma se il mito è noto, sulle origini di San Prospero si sa poco e niente. Anticamente lo si confuse con Prospero di Aquitania, segretario e notaio di Papa Leone (440-461) che però era un laico, con moglie e famiglia; nel 1943 Juan Serra Vilarò attribuì a San Prospero un’origine spagnola identificandolo nel vescovo di Tarragona che a causa dell’invasione musulmana si rifugiò in Italia per morire a Camogli nel 711. Ciò che è certo è che Prospero fu vescovo di Reggio Emilia, probabilmente il nono dopo Protasio (328?), Cromazio (345?), Antonino (362?), Elia (379?), Santino (396?), Carosio (413?), Favenzio (451), Elpidio (V secolo). Eletto attorno al 480, resse la cattedra reggiana per 22 anni. Assistette, quindi, all’invasione degli Eruli guidati da Odoacre e anche a quella degli Ostrogoti.

Ed è lì che la leggenda affonda le sue radici. Le cronache del tempo parlano di lui come uomo savio, integro nella fede, accorto e intelligente, nonché astuto e lungimirante politico. Se la tradizione vuole che San Prospero abbia miracolosamente fatto calare la nebbia sulla città, dunque, probabilmente è perché il vescovo si adoperò per mediare con i barbari, evitando che Reggio venisse toccata dalla loro marcia.

Altro mistero è quello della festa, in calendario il 24 novembre ma in passato prevista il 25 giugno. La tradizione riporta che il vescovo volle essere tumulato il giorno dopo la sua morte nella basilica di Sant’Apollinare da lui costruita (individuata dagli storici nell’attuale chiesa di Sant’Agostino). L’anno di morte è stato inghiottito dalla storia, ma da allora e fino alla fine dell’800 a Reggio San Prospero fu venerato il 25 giugno, giorno della sua tumulazione. A partire dal X secolo le feste in suo onore divennero due: il 25 giugno e il 24 novembre, giorno in cui le ossa del santo furono traslate dalla chiesa di Sant’Apollinare.

Dove? Anche questo è incerto: per qualcuno le sue ossa furono trasferite nella nuova basilica di Sant’Apollinare fatta costruire dal vescovo Tomaso fuori dalle mura, mentre dalle “Notizie storiche della città di Reggio di Lombardia”, scritte da Camillo Affarosi, emerge che la nuova destinazione fu il tempio fatto erigere dal vescovo Tomaso in onore di San Prospero, la attuale basilica. Quel che è certo è che il patrono della città è sempre stato presente nella quotidianità dei reggiani, e non solo per la nebbia. Come ricordato da Umberto Bonafini e Giuliano Bagnoli ne “La tradizione popolare reggiana” – un libro che ogni reggiano dovrebbe avere in casa – Luigi Camparini, nel Pescatore reggiano del 1949, scriveva che la frase “Magnèr l’àj” (mangiare l’aglio) col significato di “Rodersi per la rabbia impotente, provare gran dispetto senza poterlo sfogare, per una sconfitta subìta” fosse legata alla festa del patrono di Reggio. In passato, infatti, San Prospero era celebrato per due giorni, e la sagra terminava
con una corsa di cavalli berberi nella quale si assegnavano diversi premi. La corsa si faceva lungo la via Emilia, il traguardo era il Monte di Pietà. A chi giungeva ultimo si consegnava “Òna pulèzza d’àj” (un bulbo d’aglio) tra le risate e i motteggi degli spettatori.

per la ricorrenza del 25 Novembre si rimanda a












 


Santo Massimo Vescovo di Torino (verso il 466 )

Tratto da
http://spazioinwind.libero.it/sanmassimo_decaita/testi/santi/San%20Massimo%20di%20Torino.html
San Massimo  (venerato nell'Occidente cristiano come Padre della Chiesa) è il primo vescovo di Torino di cui si conosca il nome. Le notizie sulla sua vita sono scarse e incerte. Una fonte storica primaria è il Catalogo degli uomini illustri del presbitero Gennadio, che menziona che Massimo morì (moruit) attorno al 423. Altre fonti menzionano un la presenza di un "Maximus episcopus Taurinensis", firmatario a due concili locali (a Milano nel 451 e a Roma nel 465). Alcuni storici ne hanno dedotto l'esistenza di due vescovi di Torino dallo stesso nome. Altri tendono a vedere un errore nella testimonianza di Gennadio, e ritengono di leggere nel testo originale che Massimo fiorì (floruit) attorno al 423. Accettando le parole di Gennadio e la datazione anteriore, si può supporre che Massimo (o in ogni caso il primo vescovo con questo nome) abbia convocato il Concilio di Torino nell'anno 398.
A San Massimo è attribuita una notevole produzione letteraria di omelie (la prima edizione critica fu stesa a Roma nel 1784): alcune di queste omelie sono di dubbia attribuzione, ma si considera come sicuramente suo più di un centinaio di omelie e sermoni.  Questi scritti sono di stile efficace e avvincente, e di grande interesse dal punto di vista storico (per il quadro di vita dell'Italia settentrionale nel sec. V) e teologico (per gli spunti dottrinali di ecclesiologia, cristologia, venerazione di santi e reliquie, prassi battesimale e così via). Le omelie rivelano la profonda dedizione di questo pastore per il bene del suo popolo.
Il culto di San Massimo è sempre stato vivo a Torino (anche se non sempre con alta intensità), e la sua memoria è legata alle più antiche chiese e luoghi di culto della città. Secondo la tradizione locale le sue reliquie furono nascoste, per sottrarle alle invasioni barbariche (o forse per proteggerle dagli iconoclasti, attivi a Torino agli inizi del IX secolo); alcuni piccoli frammenti di reliquie a lui attribuite sono stati scoperti nel XVII secolo.
Dal Quotidiano Avvenire
Massimo guidò la diocesi di Torino, di cui è considerato il fondatore, nel travagliato periodo delle invasioni barbariche. Nato verso la metà del IV secolo, fu discepolo di sant'Ambrogio e di sant'Eusebio di Vercelli. Nonostante il suo carattere mite, che traspare dalle «Omelie» e dai «Sermoni» che ci sono pervenuti, propose ai sui fedeli un esempio di fermezza. «È figlio ingiusto ed empio - così li spronava a non lasciare la città - colui che abbandona la madre in pericolo. Dolce madre è in qualche modo la patria». Li esortava a anche a mantenersi irreprensibili nei costumi e a non confidare in superstizioni come l'invocazione della luna: «Veramente presso di voi la luna è in travaglio - scriveva con ironia -, quando una copiosa cena vi distende il ventre e il capo vi ciondola per troppe libagioni». La data della sua morte non è certa: avvenne tra il 408 e il 423.



Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/33400

Nella lista dei vescovi torinesi figura al primo posto San Massimo, semplicemente in quanto non è storicamente accertata la presenza di suoi eventuali predecessori. Alcune improbabili leggende vorrebbero invece che Massimo sia succeduto ad un certo San Vittore.
Massimo nacque in un imprecisato paese dell’Italia settentrionale nella seconda metà del IV secolo e fu chiamato a reggere la nuova cattedra episcopale di Julia Augusta Taurinorum appena eretta dal suo maestro Sant’Eusebio di Vercelli. Il sacerdote marsigliese Gennaio, storico cristiano, nella sua opera “De viris illustribus” ci presenta Massimo quale profondo conoscitore delle Sacre Scritture, forbito predicatore ed autore di parecchie preziose opere che gli hanno meritato di essere considerato uno dei padri minori della Chiesa universale. La citazione di Gennaio termina precisando che Massimo visse regnati Onorio e Teodosio il Giovane. Soppravisse però ad entrambi e prese parte al Sinodo di Milano nel 451, comparendo tra i firmatari di una lettera inviata in tale occasione al papa San Leone Magno. Presenziò inoltre al Concilio di Roma nel 465. In un documento di quest’ultimo la firma di Massimo segue immediatamente la firma del papa Ilario ed essendo la precedenza determinata dall’età si può supporre che fosse già parecchio anziano e si morto non molto tempo dopo. Molti storici collocano però la sua morte assai prima, solitamente verso il 423.
La poderosa mole di scritti tradizionalmente attribuiti a San Massimo costituisce indubbiamente un tesoro di inestimabile interesse per gli storici della teologia. L’edizione del 1784 curata da Bruno Bruni comprendeva ben 116 sermoni, 118 omelie e 6 trattati, oggi oggetto di un attento esame di autenticità, in quanto alcuni di essi potrebbero essere in realtà attribuibili ad altri autori, anche se non mette in dubbio che il corpus principale di tali opere sia innegabilmente di Massimo e ciò permetta di ricavarne alcuni dati storici e spirituali circa la sua vita terrena. Nel 397 fu testimone del martirio dei Santi Alessandro, Sisinnio e Martirio, vescovi missionari in Rezia. I suoi testi ci danno l’opportunità di scoprire i costumi e le condizioni di vita della popolazione lombarda ai tempi delle invasioni gotiche, in un’omelia è contenuta la descrizione della distruzione di Milano operata da Attila. Tramandò così la memoria dei primi martiri torinesi: “Tutti i martiri devono essere onorati con grandissima devozione, ma devono essere onorati da noi in modo speciale questi di cui possediamo le reliquie […] dimorarono con noi, sia che ci custodiscano mentre viviamo nel corpo sia che ci accolgano quando lo abbandoniamo”. Purtroppo si limitò però a citarne nel titolo i loro nomi, Ottavio, Avventore e Solutore, senza specificare nulla di più sul loro conto.
Approfittò di due omelie di ringraziamento per rammentare ai cristiani il dovere di lodare Dio quotidianamente in particolar modo con l’ausilio dei Salmi, mattino e sera, prima e dopo i pasti. Famose inoltre le sue esortazioni a fare il segno della croce prima di compiere qualsiasi azione, per assicurarsi sempre una benedizione. Condannò infine coloro che vendevano in cambio di denaro il perdono dei peccati anziché prescrivere adeguate penitenze.
Indubbiamente una grande fama di santità circondò il vescovo Massimo già in vita e la venerazione nei suoi confronti fu perpetuata dai fedeli dopo la sua morte. Il suo culto non incontrò però purtroppo particolare fortune nei secoli successivi, forse anche a causa della mancanza dei suoi resti mortali, solitamente centro della devozione popolare nei confronti di un santo. A Collegno ancora oggi sorge un’antica chiesa e ciò ha portato a supporre che essa avesse accolto per motivi ignoti la tomba di San Massimo, anche se dopo vari scavi archeologici nulla è mai venuto alla luce. A Torino solo nel XIX secolo gli furono dedicati un edificio sacro e la strada ad esso adiacente e sempre in tale secolo si tentò un processo per attribuirgli il prestigioso titolo di “Dottore della Chiesa”. Solo dal 2004 nella Basilica Cattedrale Metropolitana di San Giovanni Battista, in occasione del rinnovo degli arredi liturgici del presbiterio voluto dall’arcivescovo cardinal Severino Poletto, San Massimo è stato raffigurato sulla nuova cattedra episcopale destinata ai suoi successori. Recentemente anche la nuova parrocchia ortodossa russa di Torino è stata a lui dedicata. L’intera Regione Pastorale Piemontese, comprendente le diocesi di Valle d’Aosta e Piemonte tranne Tortona, commemora il protovescovo torinese al 25 giugno nel suo calendario liturgico.


 


Tratto da 

http://www.famigliacristiana.it/articolo/san-massimo-torino-al-tempo-dei-barbari.aspx

Non si sa bene quando nacque (comunque dopo il 350 d. C.) né quando morì (si ipotizza il 423 d. C. ma forse visse più a lungo). Discepolo di sant'Ambrogio e di sant'Eusebio di Vercelli, fu il primo vescovo (almeno: il primo conosciuto) di Augusta Taurinorum. Scrisse molto. In un'omelia racconta la distruzione di Milano da parte di Attila.

Lo si ricorda, festeggiandolo, come primo vescovo di Torino semplicemente perché non c'è giunta traccia di (possibili) predecessorio. Di san Massimo non si sa con precisione quando nacque (sicuramente dopo il 350 dopo Cristo) nè quando morì (si ipotizza il 423 d.C. ma non è scluso che visse più a lungo). Di certo Massimo vide la luce nell’Italia settentrionale nella seconda metà del IV secolo e fu chiamato a reggere la nuova cattedra episcopale di Julia Augusta Taurinorum appena eretta dal suo maestro sant’Eusebio di Vercelli. E' altresì acclarato che fu discepolo di sant'Ambrogio.
Carattere mite, fede temprata, un'epoca storica difficile segnata dalle crescenti "invasioni barbariche" che sgretovalano l'impero romano (Goti, soprattutto), san Massimo scrisse molto. Sono giunti fino a mnoi 116 sermoni, 118 omelie e 6 trattati, oggetto di un attento esame di autenticità, in quanto alcuni di essi potrebbero essere in realtà attribuibili ad altri autori, anche se nessuno mette in dubbio che il corpus principale di tali opere sia innegabilmente di Massimo. Nel 397 fu testimone del martirio dei Santi Alessandro, Sisinnio e Martirio, vescovi missionari in Rezia. I suoi testi ci danno l’opportunità di scoprire i costumi e le condizioni di vita della popolazione piemontese e lombarda ai tempi delle invasioni gotiche, in un’omelia è contenuta la descrizione della distruzione di Milano operata da Attila.
Sembra che san Massimo abbia preso parte al Sinodo di Milano nel 451, comparendo tra i firmatari di una lettera inviata in tale occasione al papa San Leone Magno. E pare, inoltre, che abbia presenziato al Concilio di Roma nel 465. In un documento di quest’ultimo la firma di Massimo segue immediatamente la firma del papa Ilario ed essendo la precedenza determinata dall’età si può supporre che fosse già parecchio anziano e si morto non molto tempo dopo. Molti storici collocano però la sua morte assai prima, solitamente verso il 423. La fama di santità circondò il vescovo Massimo già in vita e la venerazione nei suoi confronti fu perpetuata dai fedeli dopo la sua morte. Il suo culto non incontrò però purtroppo particolare fortuna nei secoli successivi.
A Torino nel XIX secolo gli furono dedicati un edificio sacro e la strada ad esso adiacente. Solo dal 2004 nel Duomo di San Giovanni Battista, in occasione del rinnovo degli arredi liturgici del presbiterio voluto dall’allora arcivescovo, il cardinal Severino Poletto, san Massimo è stato raffigurato sulla nuova cattedra episcopale destinata ai suoi successori. Recentemente anche la nuova parrocchia ortodossa russa di Torino è stata a lui dedicata. Nel suo calendario liturgico l’intera Regione pastorale piemontese, comprendente le diocesi di Valle d’Aosta e Piemonte tranne Tortona, commemora il primo vescovo (protovescovo) di Torino il 25 giugno.




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