San Gregorio
I Vescovo Di Agrigento e in alcuni codici martire
" Del santo vescovo Gregorio
si sa solo che accolse le sante donne Bassa, Agatonica e Paola ed il monaco
custode della chiesa di San Paolo di Ostia che recavano le reliquie di
Agrippina. Da alcune parole dette dal vescovo alle reliquie della Santa ,
sembra che questi assistette al martirio di Agripina:" ora pro me filia et
memento quod optimum tibi consiliul dedi cum în tormentis consisteres".
Santo
Gregorio Vescovo di Lilibeo(oggi Marsala
in Sicilia )
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90590
Nella Vita di s. Gregorio di Agrigento
scritta da Leonzio abate di S. Saba in Roma, verso la fine del sec. VII, si
legge che questo vescovo « fu carcerato in quello stesso luogo in cui era stato
rinchiuso un s. Gregorio vescovo di Lilibeo, il quale ivi subì il martirio
condannato al taglio della testa da Tircano tiranno » (Lanzoni, p. 643).
Questo martire vescovo di Lilibeo, antica diocesi della Sicilia, oggi Marsala, non è conosciuto da altre fonti, né può essere indicato il tempo in cui visse. La sua festa si celebra il 5 giugno.
Questo martire vescovo di Lilibeo, antica diocesi della Sicilia, oggi Marsala, non è conosciuto da altre fonti, né può essere indicato il tempo in cui visse. La sua festa si celebra il 5 giugno.
Santi Giusto e
Clemente venuti dall’Africa e martiri
patroni di Volterra
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/95932
Le
vicende dei santi Giusto e Clemente furono narrate dal monaco Blinderanno nel
secolo XI, mentre fu scritta nel secolo successivo una cronaca dei loro
miracoli. Secondo queste antiche fonti Giusto e Clemente, insieme ad Ottaviano,
facevano parte di un gruppo di cristiani, tra i quali alcuni ecclesiastici, che
nel VI secolo, guidati dal vescovo Regolo, abbandonarono l’Africa perché
perseguitati. Approdarono sulle coste della Toscana: Cerbone e Regolo restarono
in Maremma, presso Populonia dove il primo divenne vescovo mentre il compagnò
per ordine di Totila trovò la corona del martirio. I nostri tre invece si
diressero a Volterra che era soggetta agli Ariani e alle scorrerie dei barbari.
Qui si misero a combattere gli eretici e riuscirono a coordinare la difesa
della città. Dopo qualche tempo Giusto fu eletto vescovo e andò a Roma per
ottenere la conferma della sua nomina. Decise poi, con i due compagni, di
condurre vita eremitica rimanendo comunque a capo dei fedeli di quelle terre.
Ottaviano si ritirò in una selva, oltre il corso del fiume Era, dove visse
presso il cavo di un olmo. Giusto e Clemente invece presero dimora in un bosco
presso Campo Marzio. In quel luogo sarebbe poi scaturita una sorgente d’acqua.
Entrambi morirono il 5 giugno di un anno imprecisato, nel giorno di Pentecoste.
Furono sepolti nel luogo del loro eremitaggio dove vennero erette due cappelle,
ben presto meta di pellegrinaggi. Queste vicende non trovano sempre riscontro
nei documenti. Gli studiosi avanzano dubbi sull’origine africana dei due santi
e se Giusto fu davvero vescovo (è rappresentato come tale solo a partire dal
secolo XIV). Ipoteticamente Clemente poté essere stato suo presbitero. Elemento
certo è che Giusto è contitolare della cattedrale volterrana in un diploma di
Ludovico il Pio e vi erano già da tempi remoti numerosissime cappelle a loro
dedicate, insieme a monasteri, in tutta la Tuscia.
Sulle tombe dei due santi fu eretta una doppia basilica che, forse perché danneggiata, fu ricostruita nel secolo X. I benedettini vi fondarono un monastero che passò ai camaldolesi nel 1113. Denominata San Giusto "in Botro", fu luogo assai importante, riferimento religioso, ma anche per mercati e fiere. Nel 1628 fu invece iniziata la costruzione della chiesa di Giusto Nuovo, per sostituire la precedente ingoiata dagli eventi franosi delle balze. L'interno conserva un'antica mensa di altare, oggi murata nel coro, con incisi i nomi di Cuniperto, re longobardo del VII secolo, del vescovo Gaudenziano e del gastaldo Alchis, fondatore del primo luogo di culto dedicato a Giusto. L’antica badia invece, oggi in grave stato di dissesto, fu abbandonata dai monaci nel 1861 a causa del terremoto del 1846 e dalle successive frane.
La festa dei Ss. Giusto e Clemente è fissata al 5 giugno (o al lunedì o martedì di Pentecoste). In tale data, nel 1491, ci fu una invenzione o ricognizione delle loro reliquie che, dopo alterne vicende, furono ricongiunte solo nel 1904. Nel 1568 A. Fortunio pubblicò il libro “Vita e miracoli dei Ss. confessori Giusto e Clemente”.
Sulle tombe dei due santi fu eretta una doppia basilica che, forse perché danneggiata, fu ricostruita nel secolo X. I benedettini vi fondarono un monastero che passò ai camaldolesi nel 1113. Denominata San Giusto "in Botro", fu luogo assai importante, riferimento religioso, ma anche per mercati e fiere. Nel 1628 fu invece iniziata la costruzione della chiesa di Giusto Nuovo, per sostituire la precedente ingoiata dagli eventi franosi delle balze. L'interno conserva un'antica mensa di altare, oggi murata nel coro, con incisi i nomi di Cuniperto, re longobardo del VII secolo, del vescovo Gaudenziano e del gastaldo Alchis, fondatore del primo luogo di culto dedicato a Giusto. L’antica badia invece, oggi in grave stato di dissesto, fu abbandonata dai monaci nel 1861 a causa del terremoto del 1846 e dalle successive frane.
La festa dei Ss. Giusto e Clemente è fissata al 5 giugno (o al lunedì o martedì di Pentecoste). In tale data, nel 1491, ci fu una invenzione o ricognizione delle loro reliquie che, dopo alterne vicende, furono ricongiunte solo nel 1904. Nel 1568 A. Fortunio pubblicò il libro “Vita e miracoli dei Ss. confessori Giusto e Clemente”.
Tratto da
https://www.valserena.it/evento/ss-giusto-e-clemente-patroni-di-volterra/
Gli antichi
evangelizzatori di Volterra dormivano nel cimitero cristiano del Monte Nibbio –
in attesa della beata risurrezione – quando Giusto e Clemente giunsero nella
città che sarebbe diventata la loro seconda patria. I nuovi arrivati avevano
scoperto con gioia dove erano le radici cristiane di Volterra, e proprio per
questo motivo avevano scelto quel cimitero come loro dimora. Ma a nessuno di
essi venne in mente di intraprendere ricerche o scavi, per mettere in luce le
prime glorie di Volterra cristiana. Quello non era tempo per dedicarsi alle
sacre curiosità: era assolutamente necessario riaccendere la genuina fede
cattolica nella vita dei Volterrani. La scoperta dei primi evangelizzatori, e
dei primi Santi fioriti a Volterra, poteva anche venire più tardi, quando a Dio
fosse piaciuto. La Provvidenza divina, che tutto prevede e tutto porta a
compimento nel tempo opportuno, aveva stabilito che la scoperta delle radici di
Volterra cristiana avvenisse a distanza di molti secoli, non però senza
l’intervento – almeno indiretto – di coloro che ormai erano i Patroni della
città. Ecco come si compirono i fortunati eventi. Nel 1140, nei dintorni del
Monte Nibbio, il terreno smottava a causa di quel fenomeno franoso che ha
prodotto le Balze. Gli smottamenti misero in pericolo il sepolcro di s.
Clemente e fu necessario esumarne la salma, se non si voleva che il movimento
franoso la coinvolgesse e la portasse via. Nel corso dei lavori venne alla luce
una lapide di marmo sulla quale erano incisi due nomi: Attinia e Greciniana.
Gli operai s’incuriosirono e vollero andare più in profondità; poco dopo
trovarono due corpi di martiri con una scritta latina che ne attestava
l’identità. La scritta diceva: “Queste due purissime fanciulle, Attinia e
Greciniana, furono martirizzate al tempo di Diocleziano e Massimiano
imperatori”. L’anno del martirio può essere fissato al 303-304, in quanto
proprio quegli anni furono i più feroci della persecuzione. Era così confermato
che prima dell’editto di Costantino, col quale veniva riconosciuta agli
abitanti dell’impero la piena libertà di esercitare il culto cristiano, a
Volterra esistevano i seguaci della nuova religione ed erano tanto convinti e
infervorati della loro fede da poter offrire a Dio – e alla Chiesa – due fiori
purissimi di verginità e di martirio. La bella scoperta avvenne – non
dimentichiamolo – nel provvedere alla difesa delle reliquie di s. Clemente; non
sembrerà quindi esagerato definirla un dono di s. Clemente alla sua Chiesa. Gli
anni che dividono il dono di s. Giusto da quello di s. Clemente sono molti: dal
1140 al 1491, ma la distanza fra i due eventi non toglie nulla al secondo, né
aggiunge alcunché al primo: semmai li completa ed esalta entrambi. Per meglio
comprendere il secondo ritrovamento, dobbiamo ricordare che la pietà dei
volterrani aveva costruito su ogni tomba dei santi Patroni un sacello simile a
quelli che i primi cristiani costruivano sulle tombe dei martiri. Nel 1491 si
vide che il sacello costruito sulla tomba di s. Giusto era in pericolo: i
movimenti prodotti dall’avanzare delle Balze minacciavano di farlo crollare da
un momento all’altro. I monaci camaldolesi della vicina Badia, ai quali era
affidata la cura della zona cimiteriale del Monte Nibbio, chiamarono gli operai
perché restaurassero il sacello, ma soprattutto perché vedessero se era
possibile difenderlo dalla frana, che stava di-vorando a poco a poco tutta
quella zona.
Mentre gli operai
esploravano il terreno attorno alla tomba di s. Giusto, apparve ai loro occhi
una tomba a pozzetto contenente un’urna protetta da coperchio ben sigillato.
Tolto il coperchio, si diffuse intorno un delicato profumo che stupì tutti i
presenti. I monaci compresero che si trattava di Reliquie in gran parte
anonime, però tre di esse erano accuratamente distinte dalle altre e trattate
con particolare attenzione. Una scritta latina diceva: “Questi sono i corpi di
Dolcissimo, Carissimo e Crescenzio”. Con onore e venerazione, tutto fu riposto
in luogo sacro e subito incominciò un lavoro di immaginazione, per trovare chi
fossero e che cosa avessero fatto le persone di cui si erano scoperte le ossa e
i “nomi”. Ad accordare le varie opinioni contribuì una tradizione popolare
secondo la quale doveva trattarsi dei primi evangelizzatori di Volterra, venuti
da Roma, e quindi mandati da quella Chiesa che è la prima fra tutte. Fu accolta
pacificamente da tutti l’idea che le sante Reliquie trovate nel riparare la
tomba di s. Giusto, fossero quelle dei primi evangelizzatori di Volterra e tale
persuasione è viva ancora.
Tratto da
http://www.quinewsvolterra.it/i-patroni-di-volterra-sono-due-santi-africani.htm
Sono
di origine africana i due santi a cui, è affidata la protezione di Volterra.
Infatti, fonti risalenti all’XI secolo testimoniano che, Giusto e Clemente,
facevano parte di un gruppo di cristiani che, nel VI secolo, guidati dal
vescovo Regolo, abbandonarono l’Africa perché perseguitati. Approdati sulle
coste della Toscana, raggiunsero Volterra dove combatterono contro i seguaci
delle dottrine di Ario e coordinarono la difesa della città dagli eretici e
dalle scorrerie dei barbari.
Eletto
vescovo, Giusto decise di condurre una vita eremitica, così si trasferì in un
bosco a Campo Marzio. Ed è qui che si compì uno dei primi eventi miracolosi: la
nascita di una sorgente d’acqua.
I
documenti non riportano l’anno della morte dei due santi, ma sappiamo che
avvenne il 5 giugno, nel giorno di Pentecoste e che, per la loro
sepoltura, fu scelto il luogo del loro eremitaggio, dove vennero erette due
cappelle.
Sulle
tombe dei due santi fu eretta una doppia basilica che poi venne ricostruita nel
X secolo, forse a causa di danneggiamenti. Agli inizi del XII secolo i benedettini
fondarono un monastero che passò in seguito ai camaldolesi. Denominato San
Giusto "in Botro", fu un importante luogo di riferimento
religioso, ma anche per il commercio e per le attività produttive.
Nel
1628, invece, fu iniziata la costruzione della chiesa di San Giusto Nuovo,
in sostituzione della precedente che franò a causa delle Balze.
All'interno
è conservata un'antica mensa di altare in cui sono incisi i nomi di Cuniperto
(re longobardo del VII secolo), del gastaldo Alchis (fondatore del primo luogo
di culto dedicato a Giusto) e del vescovo Gaudenziano.
L’antica
badia, invece, fu abbandonata dai monaci nel 1861 per i danni prodotti dal
terremoto del 1846 e per le successive frane.
Viola
Luti
Santo Eutichio
Vescovo di Como (verso il 532)
Martirologio
Romano: A Como, sant’Eutichio, vescovo, insigne per la dedizione alla preghiera
e per amore della solitudine con Dio.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55965
Ottavo vescovo di Como, Eutichio nacque
nel 482. Uomo di preghiera e illustre per doti pastorali, fu eletto vescovo nel
525, ma non volle rinunciare alla vita contemplativa. Visse in un romitorio
fuori città, onorato e amato, attento ai fedeli della sua diocesi. Morì il 5
giugno 539, all’età di cinquantasette anni. Sepolto nella basilica di s.
Abbondio, si verificarono grazie e miracoli per sua intercessione tanto che
nacque una disputa sul possesso delle sue reliquie. Furono successivamente
traslate nella chiesa di S. Giorgio e conservate in un sarcofago sopraelevato
da quattro colonnine, dietro l’altar maggiore. Oggi sono in una cappella a
sinistra del presbiterio
San Pietro Spanò (Spina)
Tratto da
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1820219308074904&set=a.1001927373237439.1073741829.100002605583903&type=3&theater
Incerto è il luogo di nascita: si indicano
Arena, Ciano (diocesi di Mileto) o anche Torre Spatola (dioc. di Squillace).
Asceta Italogreco, vissuto tra la metà del sec. XI e la metà del sec. XII, si
distinse nella pratica delle virtù proprie del monachismo cala-bro-greco: vita
solitaria, povertà assoluta, spirito accentuato di mortificazione, preghiera.
Pietro in cambio della miracolosa guarigione di Giovanni Conclubet, conte di Arena, ebbe diverse concessioni, con le quali fondò il monastero di Ciano, che poi fu intitolato al suo nome.
Morì non il 15 genn. del 1105, come asserisce il Menniti, ma in un anno imprecisato del sec. XII, ed ebbe culto pubblico nella chiesa abbaziale, con la festa liturgica al 5 giug.
D. Martire visitò questa chiesa nel 1691 e vide l'altare sormontato dall'immagine del santo in grandezza naturale. In quell'occasione l'abate Cesare Ruiz gli mostrò un libro greco, custodito accanto al detto altare, « sopra il quale chi anticamente giurava il falso era dalla lebbra assalito ». Ilmonastero di Ciano, deve la sua fama allo “scriptorium”, la scuola di scrittura dove monaci e laici trascrivevano a mano testi sacri e classici, cronache dell'epoca e opere scientifiche, che si distinguevano per lo stile e l'eleganza delle decorazioni. E, nonostante alcuni manoscritti siano andati perduti, alcuni testi, tra cui il Codice Vaticano Greco 2048, una raccolta di omelie copiate nel 1126 per l'abate Gerasimo, sono ancora conservati nella Biblioteca Vaticana, nell'Abazia di Grottaferrata e nella Biblioteca ambrosiana.
Pietro in cambio della miracolosa guarigione di Giovanni Conclubet, conte di Arena, ebbe diverse concessioni, con le quali fondò il monastero di Ciano, che poi fu intitolato al suo nome.
Morì non il 15 genn. del 1105, come asserisce il Menniti, ma in un anno imprecisato del sec. XII, ed ebbe culto pubblico nella chiesa abbaziale, con la festa liturgica al 5 giug.
D. Martire visitò questa chiesa nel 1691 e vide l'altare sormontato dall'immagine del santo in grandezza naturale. In quell'occasione l'abate Cesare Ruiz gli mostrò un libro greco, custodito accanto al detto altare, « sopra il quale chi anticamente giurava il falso era dalla lebbra assalito ». Ilmonastero di Ciano, deve la sua fama allo “scriptorium”, la scuola di scrittura dove monaci e laici trascrivevano a mano testi sacri e classici, cronache dell'epoca e opere scientifiche, che si distinguevano per lo stile e l'eleganza delle decorazioni. E, nonostante alcuni manoscritti siano andati perduti, alcuni testi, tra cui il Codice Vaticano Greco 2048, una raccolta di omelie copiate nel 1126 per l'abate Gerasimo, sono ancora conservati nella Biblioteca Vaticana, nell'Abazia di Grottaferrata e nella Biblioteca ambrosiana.
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