Santi
Nicandro e Marciano soldati e martiri cristiani a Venafro in Molise sotto
Diocleziano e Massimiano
Tratto dal
quotidiano Avvenire
La
persecuzione ordinata dell'imperatore Diocleziano arrivò nel 304 anche a
Venafro, cittadina dell'attuale Molise. Tra l'anfiteatro romano e il tempio
pagano della dea Bona " sulle cui fondamenta sorge oggi la Cattedrale di
Santa Maria Assunta in cielo " vivevano due ufficiali dell'esercito
romano: Nicandro e Marciano. Le antiche fonti storiche non si pronunciano sulla
loro provenienza (forse nativi della Grecia), ma riferiscono come i due
aderirono alla fede cristiana e rifiutarono di compiere rituali alle divinità
pagane. Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una significativa vicenda
familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch'essa al cristianesimo,
spronò lo sposo a non abiurare la fede. Questo costò anche a lei il martirio. I
loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, dove già nel 313 fu eretta
la Basilica cimiteriale a loro dedicata. Nel 1930 furono rinvenuti i loro
sepolcri. La tradizione plurisecolare li acclama patroni delle città e delle
diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro.
Tratto da
La
celebre persecuzione ordinata dell’imperatore Diocleziano arrivò nel 304 anche
a Venafro, ridente cittadina dell’attuale Molise, dapprima insediamento
preistorico e poi Prefettura e Colonia romana. Tra l’anfiteatro romano -
conservato fin ai giorni nostri - e il tempio pagano della dea Bona - sulle cui
fondamenta sorge oggi la Cattedrale di Santa Maria Assunta in cielo - vivevano
due ufficiali dell’esercito romano: Nicandro e Marciano.
Le antiche fonti storiche non si pronunciano sulla loro provenienza (forse nativi della Grecia) ne tanto meno sulla loro parentela (fratelli?), ma riferiscono per certo come i due aderirono alla Fede cristiana e rifiutarono di compiere atto di culto alle divinità pagane. Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una meravigliosa vicenda familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch’essa al cristianesimo, interverrà a spronare lo sposo incitandolo a non abiurare la Fede. Questo costerà anche a lei il martirio, che avrà luogo in un secondo momento rispetto a Nicandro e Marciano. I loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, ove già nel 313 sorgerà la Basilica cimiteriale a loro dedicata. Nel 1930 furono rinvenuti i loro sepolcri, da dove miracolosamente si rinnova il prodigio della “santa manna”, un liquido misterioso che scaturisce in circostanze liturgiche particolari.
La tradizione plurisecolare li acclama “ad immemorabili” patroni delle città e delle Diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro e il loro culto è attestato anche oggi dalla fede viva che accompagna le antichissime tradizioni manifestate in modo del tutto singolare nei loro festeggiamenti. Questi costituiscono un unico nel loro genere, per le tante sfumature antropologiche e religiose espresse con fare di altri tempi… Il 16 giugno, a mezzanotte, la popolazione venafrana bussa insistente alla porta della basilica, affidata dal 1573 ai padri Cappuccini. All’ apertura della porta del convento e al proclama dell’apertura dei festeggiamenti, si sonda una banda musicale fatta di strumenti semplicissimi (“bandarella”) che suonerà per tutta la notte nelle vie della città. Ma è la sera del 16 che i festeggiamenti entrano nel vivo: all’imbrunire il busto argenteo di San Nicandro (l’originale fu rubato nel 1986) e le altre Reliquie dei Ss. Martiri vengono portate processionalmente dalla monumentale chiesa della SS.Annunziata - ove sono conservate tutto l’anno - alla Basilica. Il giorno successivo, festa liturgica, accorrono in pellegrinaggio dal circondario numerosi fedeli e intere parrocchie; si rinnova il dono da parte del sindaco di ceri votivi, e la consegna al Vescovo delle chiavi della città, a simboleggiare il patrocinio di san Nicandro su Venafro. L’evento più atteso però è quello del 18 giugno sera, quando uno stuolo immenso di popolazione, accorsa anche da lontano ad ammirare il suggestivo spettacolo, riaccompagna i Santi alla Chiesa dell’Annunziata percorrendo un tragitto processionale di circa cinque ore. È qui che si dà sfogo a tutta la propria devozione, cantando ripetutamente l’antico Inno Popolare, sacro a generazioni e generazioni di venafrani. Un tripudio di suoni e di colori commuoventi… Periodicamente si svolge anche “l’Opera di San Nicandro”, una rappresentazione teatrale che narra gli eventi e il martirio dei santi Venafrani.
Nel 2003 la Diocesi di Isernia-Venafro ha celebrato solennemente i 1700 anni dal martirio di questi Patroni.
Frutto di questo avvenimento è stata la pubblicazione di un pregevole volume (AA.VV., NICANDRO, MARCIANO E DARIA, Conoscere e venerare i Patroni di Venafro a 1700 anni dal loro martirio, ed.VITMAR, Venafro 2003) che tratta scientificamente la storiografia e le tradizioni sui santi Martiri venafrani.
Oltre l’anica e nota testimonianza del Martirologio romano, che al 17 giugno recita: «Presso Venafro, in Campania, i Ss. Martiri Nicandro e Marciano, sono decapitati durante la persecuzione di Massimiano», si possono così avere numerose ratifiche da documenti come il “Museo Italico” del Mabillon, il “Breviarium Syrriacum”, e dagli studi dei Padri bollandisti. Oltre al luogo del loro martirio il loro culto è affermato a Sannicandro Garganico (FG) e a Tremensuoli frazione di Minturno (LT) ove si venerano come patroni e a Ravenna e L’Aquila ove sorgono chiese a loro dedicate.
Le antiche fonti storiche non si pronunciano sulla loro provenienza (forse nativi della Grecia) ne tanto meno sulla loro parentela (fratelli?), ma riferiscono per certo come i due aderirono alla Fede cristiana e rifiutarono di compiere atto di culto alle divinità pagane. Nel consumarsi del loro martirio si intreccia una meravigliosa vicenda familiare: Daria, moglie di Nicandro, convertita anch’essa al cristianesimo, interverrà a spronare lo sposo incitandolo a non abiurare la Fede. Questo costerà anche a lei il martirio, che avrà luogo in un secondo momento rispetto a Nicandro e Marciano. I loro corpi furono seppelliti nei pressi di Venafro, ove già nel 313 sorgerà la Basilica cimiteriale a loro dedicata. Nel 1930 furono rinvenuti i loro sepolcri, da dove miracolosamente si rinnova il prodigio della “santa manna”, un liquido misterioso che scaturisce in circostanze liturgiche particolari.
La tradizione plurisecolare li acclama “ad immemorabili” patroni delle città e delle Diocesi (ora unificate) di Isernia-Venafro e il loro culto è attestato anche oggi dalla fede viva che accompagna le antichissime tradizioni manifestate in modo del tutto singolare nei loro festeggiamenti. Questi costituiscono un unico nel loro genere, per le tante sfumature antropologiche e religiose espresse con fare di altri tempi… Il 16 giugno, a mezzanotte, la popolazione venafrana bussa insistente alla porta della basilica, affidata dal 1573 ai padri Cappuccini. All’ apertura della porta del convento e al proclama dell’apertura dei festeggiamenti, si sonda una banda musicale fatta di strumenti semplicissimi (“bandarella”) che suonerà per tutta la notte nelle vie della città. Ma è la sera del 16 che i festeggiamenti entrano nel vivo: all’imbrunire il busto argenteo di San Nicandro (l’originale fu rubato nel 1986) e le altre Reliquie dei Ss. Martiri vengono portate processionalmente dalla monumentale chiesa della SS.Annunziata - ove sono conservate tutto l’anno - alla Basilica. Il giorno successivo, festa liturgica, accorrono in pellegrinaggio dal circondario numerosi fedeli e intere parrocchie; si rinnova il dono da parte del sindaco di ceri votivi, e la consegna al Vescovo delle chiavi della città, a simboleggiare il patrocinio di san Nicandro su Venafro. L’evento più atteso però è quello del 18 giugno sera, quando uno stuolo immenso di popolazione, accorsa anche da lontano ad ammirare il suggestivo spettacolo, riaccompagna i Santi alla Chiesa dell’Annunziata percorrendo un tragitto processionale di circa cinque ore. È qui che si dà sfogo a tutta la propria devozione, cantando ripetutamente l’antico Inno Popolare, sacro a generazioni e generazioni di venafrani. Un tripudio di suoni e di colori commuoventi… Periodicamente si svolge anche “l’Opera di San Nicandro”, una rappresentazione teatrale che narra gli eventi e il martirio dei santi Venafrani.
Nel 2003 la Diocesi di Isernia-Venafro ha celebrato solennemente i 1700 anni dal martirio di questi Patroni.
Frutto di questo avvenimento è stata la pubblicazione di un pregevole volume (AA.VV., NICANDRO, MARCIANO E DARIA, Conoscere e venerare i Patroni di Venafro a 1700 anni dal loro martirio, ed.VITMAR, Venafro 2003) che tratta scientificamente la storiografia e le tradizioni sui santi Martiri venafrani.
Oltre l’anica e nota testimonianza del Martirologio romano, che al 17 giugno recita: «Presso Venafro, in Campania, i Ss. Martiri Nicandro e Marciano, sono decapitati durante la persecuzione di Massimiano», si possono così avere numerose ratifiche da documenti come il “Museo Italico” del Mabillon, il “Breviarium Syrriacum”, e dagli studi dei Padri bollandisti. Oltre al luogo del loro martirio il loro culto è affermato a Sannicandro Garganico (FG) e a Tremensuoli frazione di Minturno (LT) ove si venerano come patroni e a Ravenna e L’Aquila ove sorgono chiese a loro dedicate.
Santo Montano soldato martire
sull’isola di Ponza sotto Diocleziano
Tratto da
http://www.comune.ponza.lt.it/page.php?27
Il monachesimo nell'isola di Ponza non
si posiziona in un periodo storico ben preciso ma abbraccia un arco di storia
che è pressappoco di 800 anni. L'interesse dei monaci verso l'arcipelago ed in
particolare per l'isola di Ponza iniziò nel 503, quando sull'isola si svolse un
concilio composto di 119 vescovi << per giudicare fuori influenza il
pontefice Simmaco contro l'accusa di eresia >>, come cita in un suo libro
lo storico ponzese Tricoli, che ricorda anche che il pontefice fu assolto.
Triste pagina per le isole è rappresentata con l'esilio alcuni anni prima e
morte di Papa Silverio nel 537 , che poi nominato santo e martire divenne anche
patrono dell'isola. Nel 538 sull'isola di Ponza, venne fondata l'abbazia
benedettina di S. Maria. La creazione di questa abbazia fu spunto per far
divenire l'isola meta di rifugiati. Fin dal 572, causa la discesa dei
longobardi che si erano spinti fino alle soglie della campania, nelle isole
trovarono rifugio tantissime persone.
A cercare rifugio e quiete, spinti da
forti motivazioni di ordine sentimentale furono sopratutto i religiosi, infatti
nell'isola di Ponza c'erano precisi riferimenti di fede. Negli anni del dominio
romano infatti, l'isola non ospitò soltanto patrizi romani libertini e
dissoluti, ma anche i nemici dell'impero che venivano esiliati e resi in schiavitù.
Una gran parte di questi erano cristiani che preferivano l'esilio piuttosto che
riconoscere il potere di Roma. Con il passare degli anni il nome dei futuri
Santi e Martiri morti sull' isola o che vi hanno soggiornato, è andato man mano
crescendo.
Alcuni di questi sono: San Silverio,
Santa Domitilla, Sant'Anastasio, San Montano ed i santi Nereo ed Achilleo,
mentre i martiri furono Eutico, Vittorino, Marono, Sulpizio e Serviliano, e le
vergini: Irene, Agape, Chiona ed Eufrosina.
Con la presenza di questi riferimenti
religiosi, non fu difficile per i monaci trovare oltre alla sicurezza fisica
anche la pace dell'anima, e la cristianità sull'isola diventò il fulcro della
vita isolana stessa. La presenza di eremiti e monaci favori la nascita di
diverse abbazie, monasteri e chiese, di cui oggi purtroppo non vi è quasi più
traccia. Con queste premesse l'isola diventò ben presto un fiorente centro del
monachesimo, ed a farsene promotori furono i Benedettini. Gia costruttori del
primo convento di Santa Maria. Questi ultimi si dedicarono alla costruzione di
quasi tutti i conventi che c'erano sull'isola e sulle isolette vicine(Zannone,
Ventotene, Palmarola, S. Stefano) . Proprio su una di queste isole: Zannone,
sono ammirabili ancora ben conservati, i resti del convento benedettino che poi
nel 1223 per opera di Onofrio III, passò sotto la cura dei ai Cistercensi.
Onofrio III affidò la vigilanza di tutti i conventi insulari ai religiosi
dell'abbazia di Fossanova, che era stata eretta dai monaci Citeaux (Cistercium
- da cui Cistercensi). L'avvento dei Cistercensi coincise con il progressivo
abbandono delle isole, poiché le scorrerie dei pirati, oramai incontrastati
dominatori del mediterraneo, divenivano sempre più frequenti e sanguinarie
tanto da far prevalere le ragioni di sopravvivenza su quelle della spiritualità
. I segni dell'esodo migratorio ci sono ancora oggi sul continente. I monaci
fugiaschi costruirono due conventi : uno è il monastero di Santo Spirito di
Zennone costruito a Gaeta nel 1295 e dedicato al convento abbandonato a zannone
, ed un altro è la chiesa di Santa Maria di Ponza e S. Anastasio, fondato a
Formia per ricordare l'omonimo monastero di Ponza. Con questi due trasferimenti
la presenza monastica ufficialmente organizzata finì.
La chiesa, quasi sempre accostava al dominio spirituale quello temporale, ed essendo inequivocabilmente interessata alle isole pontine, dopo quasi 200 anni e con esattezza il 23 giugno 1479 per opera di papa Sisto IV decise di offrire a coloro che si stabilivano sull'isola condizioni di favore.
Papa Sisto IV, oltre a dare in enfiteusi l'isola ad alcuni cavalieri napoletani, firmò un editto che accordava agli isolani : << Di poter con ogni sicurezza andare e venire dai stati pontifici, da essere trattate come persone d'abbene, commerciarvi, immettervi ed estrarne qualunque genere per uso dell'isola con l'esenzione da ogni gabella municipale, o dazio doganale, fulminando la scomunica a tutti coloro che cercavano frastornare l'adempimento>>. Come si può intuire i numerosi vantaggi offerti agli isolani e la severa punizione per chi violava gli accordi, manifestava la ferma volontà del pontefice a mantenere una popolazione stabile sull'isola. Quest'editto fu un avvenimento veramente eccezionale per l'epoca in cui fu emanato, e per quasi 350 anni fu un esempio di generosità e liberalità, purtroppo l'esperimento fu fallimentare, poiché fino ai primi anni del 1800; i monaci e gli abitanti spesso venivano catturati dai pirati e venduti come schiavi, e l'isola non riusciva a popolarsi.
La chiesa, quasi sempre accostava al dominio spirituale quello temporale, ed essendo inequivocabilmente interessata alle isole pontine, dopo quasi 200 anni e con esattezza il 23 giugno 1479 per opera di papa Sisto IV decise di offrire a coloro che si stabilivano sull'isola condizioni di favore.
Papa Sisto IV, oltre a dare in enfiteusi l'isola ad alcuni cavalieri napoletani, firmò un editto che accordava agli isolani : << Di poter con ogni sicurezza andare e venire dai stati pontifici, da essere trattate come persone d'abbene, commerciarvi, immettervi ed estrarne qualunque genere per uso dell'isola con l'esenzione da ogni gabella municipale, o dazio doganale, fulminando la scomunica a tutti coloro che cercavano frastornare l'adempimento>>. Come si può intuire i numerosi vantaggi offerti agli isolani e la severa punizione per chi violava gli accordi, manifestava la ferma volontà del pontefice a mantenere una popolazione stabile sull'isola. Quest'editto fu un avvenimento veramente eccezionale per l'epoca in cui fu emanato, e per quasi 350 anni fu un esempio di generosità e liberalità, purtroppo l'esperimento fu fallimentare, poiché fino ai primi anni del 1800; i monaci e gli abitanti spesso venivano catturati dai pirati e venduti come schiavi, e l'isola non riusciva a popolarsi.
Santo
Imerio Vescovo di Amelia (verso il 560)
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/57750
Un
Ambrogio abate vissuto, sembra, nel sec. XII, scrisse per primo la Vita di
Imerio, ma di essa rimane solamente il prologo. Esiste invece una Vita molto
piú recente scritta dal vescovo di Amelia, Antonio Maria Graziano (15921611).
Piú importanti sono una narrazione della traslazione delle reliquie di Imerio
da Amelia a Cremona, avvenuta nel sec. X ed una raccolta di miracoli fatti dal
santo nel sec. XII, composta quest'ultima da Giovanni monaco, contemporaneo ai
fatti.
Secondo la Vita, Imerio nato nel Bruzio (odierna Calabria) fu prima anacoreta, poi cenobita ed in ultimo vescovo di Amelia, una cittadina in provincia di Terni, dove morì il 17 giugno di un anno imprecisato.
Liutprando (o Luizo), vescovo di Cremona (962-972), trasportò le reliquie di Imerio nella sua sede, prelevandole, verso il 965, "de oppido sancti Flaviani sito in episcopatu Imeliensi". Rimaste poi sotto le rovine di una chiesa, furono ritrovate nel 1129 e sul sepolcro avvennero numerosi miracoli narrati dal monaco Giovanni, vissuto al tempo del vescovo Offredo (1168-1185). Nel 1196 Sicardo, altro vescovo di Cremona, pose il corpo di Imerio in un'arca di pietra con quello del martire Archelao e consacrò un altare in loro onore.
Imerio è sconosciuto agli antichi martirologi. Fu iscritto nel Martirologio Romano dal Baronio che ne prese l'elogio dal De Natalibus e dal Molano. Le notizie date dalla tardiva Vita sono tutt'altro che certe e completa incertezza regna anche sull'epoca in cui Imerio sarebbe vissuto, per la quale le ipotesi oscillano tra il IV e il VI secolo.
Nella diocesi di Cremona la sua memoria si celebra il 18 giugno.
Secondo la Vita, Imerio nato nel Bruzio (odierna Calabria) fu prima anacoreta, poi cenobita ed in ultimo vescovo di Amelia, una cittadina in provincia di Terni, dove morì il 17 giugno di un anno imprecisato.
Liutprando (o Luizo), vescovo di Cremona (962-972), trasportò le reliquie di Imerio nella sua sede, prelevandole, verso il 965, "de oppido sancti Flaviani sito in episcopatu Imeliensi". Rimaste poi sotto le rovine di una chiesa, furono ritrovate nel 1129 e sul sepolcro avvennero numerosi miracoli narrati dal monaco Giovanni, vissuto al tempo del vescovo Offredo (1168-1185). Nel 1196 Sicardo, altro vescovo di Cremona, pose il corpo di Imerio in un'arca di pietra con quello del martire Archelao e consacrò un altare in loro onore.
Imerio è sconosciuto agli antichi martirologi. Fu iscritto nel Martirologio Romano dal Baronio che ne prese l'elogio dal De Natalibus e dal Molano. Le notizie date dalla tardiva Vita sono tutt'altro che certe e completa incertezza regna anche sull'epoca in cui Imerio sarebbe vissuto, per la quale le ipotesi oscillano tra il IV e il VI secolo.
Nella diocesi di Cremona la sua memoria si celebra il 18 giugno.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.