venerdì 22 giugno 2018

22 Giugno Santi Italici ed italo greci



San Flavio Clemente Console e martire

Flavio Clemente, console, santo, martire, nel 1725 furono ritrovate, nella chiesa di S. Clemente Papa al Laterano, alcune sue presunte reliquie. Flavio Clemente era nipote dell’imperatore Vespasiano e marito di Flavia Domitilla (omonima della santa citata nel Martirologio Romano alla data 22 giugno).
Martirologio .Romano .: 22 giugno - A Roma la Traslazione di san Flavio Clemente, uomo Consolare e Martire, fratello di santa Plautilla e zio della beata Vergine e Martire Flavia Domitilla: dall'Imperatore Domiziano, col quale aveva retto il Consolato, fu ucciso per la fede di Cristo. Il suo corpo, ritrovato nella Basilica di san Clemente, fu ivi riposto con solenne pompa.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92420


La famiglia dei Flavi, a cui appartenne Flavio Clemente, era originaria probabilmente di Rieti. Il valore, la capacità l'intraprendenza di alcuni suoi membri consentirono a questi provinciali, non appartenenti all'antica aristocrazia, il raggiunoimento, a metà del sec. I, delle più alte cariche dello Stato. Flavio Vespasiano, poi, venne proclamato imperatore nel 69 iniziando la dinastia dei Flavi.

Flavio Clemente, figlio di Flavio Sabino, fratello dell'imperatore Vespasiano, poté egli pure raggiungere altissime cariche essendo stato proclamato console nel 95. Aveva sposato una parente, Flavia Domitilla, da cui ebbe sette figli, due dei quali, destinati alla successione imperiale, giacché il cugino Domiziano, succeduto a Tito nell'81, era senza prole. Le fortune della famiglia vennero però improvvi.samente troncate da Domiziano. Infatti., negli ultimi anni del suo impero, divenuto quanto mai sospettoso e crudele, fece eliminare molte persone, ritenute a lui avverse. Iniziò anche una persecuzione contro i giudei e i cristiani, quantunque non si sappiano precisare esattamente i motivi addotti per la condanna di questi ultimi.

Anclie Flavio Clemente venne coinvolto nella persecuzione domizianea. La grande maggioranza degli storici ritiene che egli sia caduto in disgrazia perché aveva fatto professione di Cristianesimo. Sia Svetonio, sia Dione Cassio parlano esplicitamente di condanna, maper il motivo usano espressioni molto generiche. Il testo di Svetonio dice: «Denique Flavium Clementem patruelem suum, contemptissimae inertiae... repente ex tenuissima suspicione tantum non ipso eius consulatu interernit » (Domit., 15, 1). A sua volta Dione Cassio riferisce: «in questo anno (95) Domiziano mandò a morte con molti altri, Flavio Clemente, allora console, benché fosse suo cugino e avesse in moglie Flavia Domitilla, sua parente. Tutti e due furono condannati per il delitto di ateismo. Secondo questi capi di accusa furono condannati molti altri, che avevano seguito i costumi giudaici: alcuni furono uccisi, altri puniti con la confisca dei beni» (Historia romana, LXVII, 13-14). Come si vede nessun accenno al Cristianesimo; ma dalle fonti contemporanee sappiamo che i cristiani per la loro vita riservata erano ritenuti quasi degli ignavi (contemplissimae inertiae di Svetonio) e soprattutto furono accusati di ateismo, come attestano gli apologisti cristiani.

Può darsi che Flavio Clemente non volendo compiere un atto di culto pagano abbia dato a Domiziano il motivo per condannarlo. Nell'antichità non c'è menzione di culto; al 9 novembre il Martirologio Geronimiano elenca un Clemente che, peraltro, difficilmente può essere identificato con Flavio Clemente. Nel 1725 furono scoperte nella basilica di S. Clemente al Celio delle reliquie che furono credute quelle di Flavio Clemente.

Il Martirologio Romano ne ricorda la traslazione il 22 giugno.






Santo Giovanni I  Vescovo di Napoli (
http://www.santiebeati.it/dettaglio/48330

È il quattordicesimo nella serie dei vescovi napoletani: successo a sant'Orso nel 414, pontificò fino al 432 in un periodo storico turbolento sotto l’aspetto politico e religioso. Trasportò i resti mortali di san Gennaro dall’agro Marciano, presso Pozzuoli, luogo della sua prima sepoltura, nel cimitero extraurbano che divenne in seguito il maggiore della comunità cristiana di Napoli: la catacomba che prese poi il nome del celebre martire.
Nella lettera a Pacato, De obitu Paulini, Uranio narra che il vescovo di Nola, Paolino, morto da appena nove mesi, apparve in sogno a Giovanni, tre giorni prima che morisse, a preannunziargli prossima la fine. Particolari vincoli di amicizia dovevano legare il vescovo di Napoli e quello di Nola, sul cui animo, la traslazione del celebre martire, compiuta da Giovanni, esercitò tanto fascino da vederselo apparire in punto di morte. Giovanni fu colto dalla morte, mentre da poco aveva iniziato la celebrazione liturgica del sabato santo 2 aprile 432. Il suo corpo fu deposto il giorno seguente nell’oratorio, ove era stato inumato san Gennaro, e di qui, a metà del secolo IX, fu traslato dal vescovo Giovanni IV lo Scriba, nella Stefania. Lo ricordano i Calendari napoletani: marmoreo (secolo IX), tutiniano (fine secolo XII), lotteriano (fine secolo XIII) e il cassinese del secolo XIV. Tuttavia nel tardo Medioevo il suo nome cadde nell’oblio: tra il 1262 e il 1269, il cimeliarca Giovanni, volendo scrivere le memorie di san Giovanni IV, compose un ibrido centone attribuendogli quanto il Liber Pontificalis e la lettera di Uranio narrano di Giovanni I. La deplorevole confusione ebbe sanzione ufficiale nel Martirologio Romano, dove il nostro santo è ricordato al 22 giugno e nel Calendario diocesano del cardinale Decio Carafa del 1619, che stabiliva la festa di un unico san Giovanni, vescovo napoletano al 1° aprile.
La Santa Congregazione dei Riti, approvando il nuovo Proprio napoletano nel 1955, ristabiliva la verità storica e ridava l’antico culto a Giovanni I, fissandone la festa al 3 aprile.
 

San Paolino vescovo di Nola (verso il 431)

Tratto dal quotidiano Avvenire
Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne «consul suffectus», cioè sostituto, e governatore della Campania. Incontrò il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato alla fede cristiana. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia. Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi si dedicarono interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale orientale. Così, di comune accordo distribuirono le ingenti ricchezze ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna, deve venne ordinato prete. A Nola, poi, diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici. Nel 409 fu eletto vescovo di Nola. Morì a 76 anni, nel 431.

Martirologio Romano: San Paolino, vescovo, che, ricevuto il battesimo a Bordeaux e lasciato l’incarico di console, da nobilissimo e ricchissimo che era si fece povero e umile per Cristo e, trasferitosi a Nola in Campania presso il sepolcro di san Felice sacerdote per seguire da vicino il suo esempio di vita, condusse vita ascetica con la moglie e i compagni; divenuto vescovo, insigne per cultura e santità, aiutò i pellegrini e soccorse con amore i poveri.

Tratto da
http://www.enrosadira.it/santi/p/paolinodanola.htm
Paolino Ponzio Meropio Anicio, vescovo di Nola, santo, morì nel 431 e fu sepolto accanto a S. Felice a Nola. I suoi resti verso l’847 furono portati a Benevento. L’imperatore Ottone III li portò a Roma e li depose nella chiesa allora dedicata al vescovo di Praga Adalberto, all’Isola Tiberina. Tra il 1527 e il 1560, per il cattivo stato del convento, le spoglie stettero in Vaticano. Nel 1806 venne fatta la ricognizione delle sue reliquie a S. Bartolomeo Apostolo all’Isola Tiberina, in tale occasione si rinvennero anche quelle di S. Teodoro. Il 14 maggio del 1909 il corpo fu nuovamente traslato a Nola e riposto sotto l’altare della Cattedrale. Allora si prelevò parte dell’osso frontale per donarla alla chiesa che lo aveva custodito per mille anni.
Martirologio Romano(altra redazione) 22 giugno - Presso Nola, città della Campania, il natale del beato Paolino, Vescovo e Confessore, il quale da nobilissimo e ricchissimo divenne povero ed umile per Cristo, e, non avendo più nulla, si fece schiavo per riscattare il figlio di una vedova, che i Vandali devastata la Campania, avevano condotto schiavo nell’Africa. Fu poi illustre non solo per dottrina e gran santità di vita, ma anche per la sua potenza contro i demoni. Le sue splendide lodi furono celebrate nei loro scritti dai santi Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Papa. Il suo corpo, trasferito a Benevento e di là a Roma, finalmente, per ordine del Sommo Pontefice Pio decimo, fu restituito a Nola.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/27800

"I cuori votati a Cristo respingono le Muse e sono chiusi ad Apollo", così scriveva Paolino al maestro Decimo Magno Ausonio, che lo aveva iniziato alla retorica e alla poetica. Paolino era stato un giovane dal temperamento d'artista. Discendeva da ricca famiglia patrizia romana (nacque nel 355 a Bordeaux, dove il padre era funzionario imperiale) e favorito nella carriera politica da amicizie altolocate, divenne "consul suffectus", cioè sostituto, e governatore della Campania. Ebbe anche la ventura di incontrare il vescovo Ambrogio di Milano e il giovane Agostino di Ippona, dai quali fu avviato sulla strada della conversione a Cristo. Ricevuto il battesimo verso i venticinque anni, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Therasia.
Dopo la morte prematura dell'unico figlioletto, Celso, entrambi decisero di dedicarsi interamente all'ascesi cristiana, sul modello di vita monacale in voga in Oriente. Così, di comune accordo si sbarazzarono delle ingenti ricchezze che possedevano un po' ovunque, distribuendole ai poveri, e si ritirarono nella Catalogna per dare inizio ad un'originale esperienza ascetica. Paolino era ormai sulla quarantina. Conosciuto e ammirato nell'alta società, era amato ora anche dal popolo, che a gran voce chiese al vescovo di Barcellona di ordinarlo sacerdote.
Paolino accettò con la clausola di non essere incardinato tra il clero di quella regione. Declinò anche l'invito di Ambrogio, che lo voleva a Milano. Paolino accarezzava sempre l'ideale monastico di una vita devota e solitaria. Infatti si recò quasi subito in Campania, a Nola, dove la famiglia possedeva la tomba di un martire, S. Felice. Diede inizio alla costruzione di un santuario, ma si preoccupò anzitutto di erigere un ospizio per i poveri, adattandone il primo piano a monastero, dove si ritirò con Therasia e alcuni amici in "fraternitas monacha", cioè in comunità monastica.
I contatti con il mondo li manteneva attraverso la corrispondenza epistolare (ci sono pervenute 51 lettere) con amici e personalità di maggior spicco nel mondo cristiano, tra cui appunto Agostino. Per gli amici buttava giù epitalami e poesie di consolazione. Ma a porre termine a quella mistica quiete, nel 409, sopraggiunse l'elezione a vescovo di Nola. Si stavano preparando per l'Italia anni tempestosi. Genserico aveva passato il mare alla testa dei Vandali e si apprestava a mettere a sacco Roma e tutte le città della Campania. Paolino si rivelò un vero padre, preoccupato del bene spirituale e materiale di tutti. Morì a 76 anni, nel 431, un anno dopo l'amico S. Agostino.


Tratto da

Paolino nacque a Bordigala (l’odierna Bordeaux) verso il 355 e durante gli studi fu discepolo del poeta Ausonio, poi dopo aver ricoperto alcune magistrature nel 381 fu nominato governatore della Campania. Tornato in patria nel 384, dopo una breve sosta andò in Spagna dove sposò Therasia da cui ebbe un figlio, Celso, che morì prematuramente. In seguito si trasferì in Aquitania, nella Francia sud-occidentale, dove intensificò i rapporti sociali e culturali con il mondo aristocratico e letterario. Nel frattempo aveva conosciuto anche S. Ambrogio, che egli ringrazierà per il «nutrimento di fede da lui ricevuto». Prima del 389 fu battezzato dal vescovo di Bordeaux, e da qui cominciò la sua conversione all’ascetismo, suscitando la dura reazione del pagano Ausonio, il quale cercò inutilmente di dissuaderlo. Intorno al 393 Paolino, non ancora quarantenne, dopo aver venduto il suo patrimonio a Barcellona iniziò la sua vita monastica e un anno dopo fu ordinato sacerdote; quindi si stabilì a Nola, presso la tomba di S. Felice, con la moglie ormai compagna della sua vita in regime di castità, e con alcuni amici e discepoli, dando vita a una piccola comunità di asceti. Presto Nola diventò un fervido centro di spiritualità mentre a Paolino ricorrevano per consiglio, anche per via epistolare, vescovi, tra cui S. Agostino, sacerdoti, monaci e anche laici, in particolare il noto scrittore Sulpicio Severo, suo compagno di esperienze giovanili e di conversione. Nel primo decennio del secolo V il santo fu consacrato vescovo di Nola, e da allora egli ebbe molto a soffrire per causa dei Goti di Alarico dopo il saccheggio di Roma e la distruzione di Nola, dove fu fatto prigioniero. Rimesso in libertà, si adoperò con ogni mezzo per la ricostruzione della chiese distrutte, per soccorrere gli orfani e i bisognosi, dando l’esempio di una carità senza limiti. Morì il 22 giugno del 431. Di lui ci sono giunti 51 lettere, 31 componimenti poetici, tra cui i noti Carmina natalicia.













Tratto da
(con annessa bibliografia )


PAOLINO di Bordeaux, vescovo di Nola, santo (Meropius Pontius Paulinus). - Nato a Bordeaux verso il 353-354 da nobilissima famiglia della Gallia romana, studiò ivi sotto il retore Ausonio a cui fu legato da affettuosa amicizia. Giovanissimo entrò nella carriera pubblica, favorito certo dall'influenza del suo maestro alla corte di Valentiniano II. Giunto presto al grado di senatore e forse a quello di consul suffectus (per l'anno 378), fu inviato nel 379 a governare la Campania, e stabilitosi a Nola conobbe allora i luoghi consacrati alla memoria di quel S. Felice, il cui culto ebbe poi tanta parte nella vita spirituale di P. Tornato in Aquitania, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Terasia che condusse con sé in Aquitania; ivi assistette sia agli avvenimenti che portarono sul trono Massimo, sia alle polemiche religiose connesse con Priscilliano, le quali, certo con notevole esagerazione ma non del tutto arbitrariamente, come i più pensano, sono state messe in relazione con la sua formazione spirituale. Verso il 389 P. si battezzò e presto decise, in pieno accordo con la moglie Terasia, di ritirarsi completamente dal mondo, distribuendo in opere di beneficenza le sue ricchezze. Il vecchio maestro Ausonio cercò invano di stornarlo da tale proposito, e le epistole poetiche scambiate fra Ausonio e P. in questa circostanza sono fra le più significative opere di costui. Ordinato prete a Barcellona (393-395), P. si stabilì con sua moglie (i due avevano interrotto ogni rapporto coniugale) a Nola dedicandosi completamente al culto di S. Felice. La città, che dal 409 volle a suo vescovo Paolino, divenne da allora come un faro di pietà, a cui si rivolse pressoché tutto il mondo cristiano attratto dalla fama dei due santi sposi e dei miracoli di S. Felice. P. morì il 22 giugno 431. Il suo corpo, deposto nella basilica di S. Felice, fu in seguito traslato a Roma nella chiesa di S. Bartolomeo all'Isola e di qui, nel 1908, nella cattedrale di Nola dove tuttora si venera.
A parte poche opere perdute (fra le quali largamente attestato è un panegirico di Teodosio) e un certo numero di opere dubbie, l'opera letteraria di P. consta di un copioso epistolario e di una raccolta di poesie (edite a cura di G. Hartel, in Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, XXIX [Epistolae], XXX [Carmina], Vienna 1894). Le lettere sono 52 (l'edizione del Hartel ne registra 51, ma in realtà la XXV è seguita da una XXV*). Di esse la XXXIV è un'omilia intitolata De gazophylacio. De avaritia fugienda et de elemosinis erogandis. Le lettere XLVI e XLVII, dirette a Rufino d'Aquileia, sono probabilmente apocrife. Le lettere appartengono cronologicamente soprattutto al periodo 394-404 e sono in gran parte indirizzate a vescovi o amici della Gallia: Delfino e Amando di Bordeaux, Esuperio di Tolosa, Simplicio di Vienna, Alitio di Cahors, Diogeniano d'Albi, Dinamio d'Angoulême, Venerando di Clermont, Pegaso di Périgueux, Victricio di Rouen. A Sulpicio Severo, carissimo fra gli amici, sono indirizzate le lettere I, V, XI, XXII-XXIV, XXVII-XXXI. Fra i corrispondenti fuori della Gallia sono da segnalare S. Agostino (lettere IV, VI, XLV, L), Alipio di Tagaste, Pammachio. Particolare importanza ha la lettera di S. Agostino a P. (Epistolae, CLXXXVI) per metterlo in guardia contro Pelagio, già in relazione con P., e contro i discepoli di quello coi quali P. manteneva ancora rapporti. Per quanto i contemporanei abbiano considerato P. come eccellente epistolografo (in epistolari studio prope Tullium representans, afferma di lui S. Girolamo), le sue lettere appaiono letterariamente appesantite dall'abuso di citazioni bibliche e di fiori retorici, inobliabile reminiscenza, questi ultimi, dell'insegnamento di Ausonio. Maggiore considerazione ha avuto la sua opera poetica (in tutto 33 poesie) che oltre alla citata corrispondenza con Ausonio (carmi X, XI) comprende la serie dei carmi (XII-XVI, XVIII-XXI, XXIII, XXVI-XXIX) scritti fra il 395 e il 407 in occasione degli anniversarî della morte di S. Felice (detti natalicia dalla "nascita" alla vita eterna); la parafrasi poetica dei salmi I, II, CXXXVI (carmi VII, VIII, IX), una parafrasi evangelica in onore di S. Giovanni Battista (carme VI), un epitalamio in occasione delle nozze di Giuliano d'Eclano (carme XXV), un Propempticon a Niceta di Remesiana (carme XVII), una Consolatio a Pneumatio e Fidelis in occasione della morte del loro figlio Celso. Tutte queste poesie, senza segnalarsi per particolarissimi pregi poetici, hanno fortemente contribuito, con quelle di Prudenzio, alla creazione di una letteratura poetica cristiana. Come le epistole, esse rivelano in P. un cuore tenero e affettuoso, un'anima profondamente nutrita di pietà, seppure non vibrante per ricchezza di motivi spirituali, una concezione del cristianesimo e della vita religiosa improntata al più sereno, spesso quasi semplicistico, ottimismo.



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 http://www.ortodossia.info/blog/2018/02/05/s-paolino-vescovo-di-nola/











San Giovanni IV vescovo di Napoli (verso 850)

Tratto da
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-giovanni-scriba_(Dizionario-Biografico)/
(con annessa bibliografia )
GIOVANNI Scriba, santo. - Quarto vescovo di Napoli di questo nome, nacque da famiglia di umili origini presumibilmente verso la fine dell'VIII secolo. Studioso delle Sacre Scritture e dei testi dei Padri della Chiesa, di testi profani, conoscitore del latino e del greco, le fonti ne ricordano anche l'attività di amanuense che gli valse l'appellativo di scriba. Avviato alla carriera ecclesiastica, divenne diacono della cattedrale di Napoli.
Nel periodo che precedette la sua nomina vescovile, la vita politica del Ducato di Napoli era scossa da violenti scontri per il potere. Nell'831 il console e duca di Napoli Bono era entrato in conflitto con il vescovo Tiberio, lo aveva dichiarato decaduto e lo aveva posto agli arresti nello stesso episcopio (non, come riferisce Giovanni Diacono nei Gesta episcoporum Neapolitanorum, in carcere). L'ostilità del duca dovette essere rivolta al solo vescovo e non a tutto il clero, come si evince dal fatto che il suo intervento contro Tiberio non incontrò l'ostilità del clero napoletano. Esautorato il vescovo, all'interno delle candidature dei chierici che vennero proposti per sostituire Tiberio la scelta cadde su G., persona bene accetta allo stesso duca.
Chiamato alla guida della Chiesa napoletana, G., come informano i Gesta, fu costretto ad accettare l'incarico offertogli, lasciando però l'effettiva guida della diocesi a Tiberio, presso il quale egli ottenne libero accesso. La narrazione dei fatti offerta dai Gesta riprende in realtà uno schema della letteratura agiografica che vede opposti il sant'uomo e il malvagio uomo di potere: G. avrebbe infatti rifiutato l'incarico se non vi fosse stato costretto dalle minacce di Bono di rappresaglie contro il clero napoletano e contro il presule stesso, e dalla minaccia di confisca dei beni della Chiesa napoletana: "totius episcopii servos possesionesque infiscari". Le giustificazioni offerte dai Gesta lasciano intendere come l'elezione di G. non fosse legittima; la lettura degli avvenimenti - con l'omissione delle vittorie di Bono sui Longobardi contrapposta alla descrizione dell'ascesa al potere del duca e del successivo arresto del vescovo (sempre tacendo sui fatti che avevano portato al contrasto seguito alle ingerenze di Tiberio all'interno della vita politica del Ducato) - offre deliberatamente una visione di parte delle vicende che portarono G. sul soglio vescovile.
Così Bono, una volta assicurata la non ingerenza politica di G. nelle vicende del Ducato, poté proseguire la lotta intrapresa contro i Longobardi, certo di non dover affrontare un secondo scontro con il vescovo. Dopo la morte di Bono (9 genn. 834) gli successe il figlio Leone, che fu deposto dal suocero Andrea nel settembre dello stesso anno. Sotto il nuovo duca, G. mantenne lo stesso atteggiamento nei confronti del vescovo imprigionato, come testimonia il trasferimento, voluto dal duca Andrea, di Tiberio dall'episcopio (sede del domicilio coatto del vescovo) a uno degli edifici della basilica di S. Gennaro extra moenia; episodio questo estremamente illuminante della voluta estraneità di G. dalle vicende legate al presule imprigionato, considerato anche il fatto che la nuova sede cui venne destinato il vescovo Tiberio era esposta alle scorrerie dei Longobardi. La mancata presa di posizione da parte di G. nei confronti di Tiberio tradisce da una parte la condanna della linea politica assunta dal vescovo Tiberio, e dall'altra evidenzia la sostanziale condiscendenza di G. nei confronti delle scelte dei duchi. "Sotto questo aspetto, estremamente significativo è […] il fatto che Giovanni Diacono abbia sentito il bisogno di concludere la tormentata biografia di Tiberio con l'episodio del discorso da lui pronunciato "residens in pontificali cathedra", per attestare pubblicamente la stima e l'ammirazione che egli sentiva per Giovanni lo scriba, e per l'opera da lui svolta" (Bertolini, 1970, p. 427 n. 262).
Nel frattempo i Napoletani, approfittando della crisi che si era aperta a Benevento per la successione nel Principato, avevano cessato di pagare il tributo ai Longobardi; le ostilità con questi ultimi, peraltro mai sopite, avevano trovato rinnovato vigore con la successione di Sicardo al padre Sicone. Ma nell'836 il duca Andrea, allorché Napoli, cinta d'assedio da Sicardo, era sul punto di capitolare, riuscì, grazie a una nuova alleanza con gli Arabi di Sicilia, a indurre Sicardo a porre fine all'assedio e a stringere una tregua quinquennale. L'armistizio fu il risultato dell'intercessione tra i due contendenti attuata dal clero napoletano, alla cui funzione mediatrice probabilmente partecipò anche G., che compare tra i contraenti del patto stipulato il 4 luglio 836, quando il principe longobardo Sicardo promise al vescovo G. ("electo sancte ecclesie neapolitane", Capasso, II, p. 149) e al duca Andrea, nonché a tutto il popolo del Ducato napoletano e ad altri soggetti ancora, la pace per terra e per mare.
Morto il vescovo Tiberio, tra il 28 e il 31 marzo 839, seguì un lungo periodo di vacanza del seggio vescovile napoletano. L'incarico assunto da G. alla guida della Chiesa partenopea mentre era ancora vivo il vescovo titolare non era regolare dal punto di vista del diritto canonico e di conseguenza l'ordinazione di G. dovette essere sottoposta a procedimento di verifica; a creare ulteriori perplessità concorsero anche i buoni rapporti che lo stesso G. aveva intrattenuto con Bono prima e con i successori di questo poi (Leone, Andrea, Contardo e Sergio I). Così, quando Sergio I inviò una legazione a Roma per richiedere la consacrazione di G., ricevette in risposta da Gregorio IV una commissione con l'incarico di accertare che l'elezione di G. si fosse svolta in conformità alle norme canoniche e senza l'opposizione del clero. L'inchiesta durò ben due anni e mezzo e solo il 26 febbr. 842 G. venne consacrato vescovo di Napoli.
Nei primi mesi seguiti alla consacrazione di G., Sergio I gli affidò il proprio figlio Atanasio affinché approfondisse gli studi delle Sacre Scritture e degli usi liturgici, nonché l'insegnamento del greco (secondo le prescrizioni del concilio di Nicea del 787 che prevedevano, per l'elezione a vescovo, la conoscenza di tali materie). Si attuava così, consenziente G., il disegno di Sergio I che avrebbe visto Atanasio vescovo e che avrebbe confermato la sottomissione della Chiesa di Napoli al potere ducale (con un processo già ben attestato sotto Giovanni).
G. morì il 17 dic. 849, come riferiscono i Gesta episcoporum Neapolitanorum; venne sepolto nell'oratorio di S. Lorenzo all'interno della catacomba di S. Gennaro, e poi traslato prima nella Stefania e quindi nella basilica di S. Restituta, dove le reliquie furono poste nella cappella di S. Maria del Principio. Nel Martirologioromano la festa di G. viene posta al 22 giugno, in concomitanza con quella di s. Paolino, per assimilazione della notizia relativa a Giovanni (I), vescovo di Napoli, con la vita di G. narrata da Giovanni Cimeliarca (cfr. Bibl. hagiografica Latina, I, n. 4417).
Negli anni immediatamente precedenti la consacrazione, G. aveva fatto traslare le reliquie dei vescovi suoi predecessori Aspreno, Epitimito, Marone, Efebo, Fortunato I, Massimo e Giovanni (I) dal cimitero di S. Gennaro all'interno della basilica della Stefania, dove furono collocate in tombe ad arcosolio fatte affrescare da G. con i ritratti dei vescovi. La traslazione è messa in sincronia dall'autore della biografia di G. con "gli ultimi tempi dell'imperatore Teofilo (ottobre 829 - gennaio 842 […]), con l'avvento e i primi anni di governo di Michele III (21 genn. 842 - 23 sett. 867 […]), e con lo sbarco degli Arabi a Ponza, che avvenne prima dell'agosto dell'846" (Bertolini, 1974, p. 105). Queste traslazioni all'interno della Stefania sono state interpretate come atto di difesa e di conservazione delle reliquie stesse situate nella catacomba di S. Gennaro dalle scorrerie rapinatrici dei Longobardi. Secondo una diversa lettura, invece, tale gesto da parte di G. si inquadrerebbe nell'ambito del tentativo più vasto e di portata europea, da parte dei vescovi, di affermare il proprio potere; e in tale ottica di "tendenza al potenziamento della funzione carismatica episcopale" (Cilento, La Chiesa, p. 685) dovrebbe essere letta l'azione di G.; così come "a dar prestigio alla Chiesa di Napoli e al suo vescovo concorse in maniera particolare la redazione del Liber pontificalis" (ibid.), la cui prima parte sarebbe stata attribuita (secondo una contestata ipotesi formulata da Mallardo, 1947) allo stesso Giovanni. Sempre all'attività di agiografo di G. sarebbe da ricondurre la stesura del calendario marmoreo scoperto a Napoli nella basilica di S. Giovanni Maggiore nel 1742, la cui attribuzione però rimane dubbia. Alla sua attività di vescovo è legato anche il notevole impulso che ricevette l'attività dello scriptorium e della scuola della cattedrale, attività proseguita anche dal successore Atanasio (I).


 
Santo Basilio monaco ed igumeno greco nell’isola di Pantelleria in Sicilia
Tratto da
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 http://siciliasantiprimomillenni.blogspot.com/2017/06/sikelia-saints-pour-le-22-juin-du.html












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