mercoledì 1 novembre 2017

1 Novembre santi italici ed italo-greci




 Risultati immagini per ic xc ni ka


Santi Martiri  Oronzo primo vescovo di Lecce , San Fortunato suo nipote secondo vescovo   e il laico San  Tizio Giusto  ai tempi della persecuzione di Nerone dall’anno 68 all’anno 70

Oronzo che prima del battesimo si chiamava Publio , era un abitante pagano di Rudiae, antica località nei pressi dell'odierna Lecce. Secondo la tradizione , nacque nella città salentina ventidue anni dopo la nascita di Cristo.

Il padre era tesoriere dell'imperatore e, all'età di trentacinque anni, Oronzo(che allora si chiamava Publio)  succedette a lui in questo incarico. Mentre era a caccia insieme al nipote Fortunato, console della città, lungo la spiaggia di San Cataldo, incontrò san Giusto, inviato da san Paolo a Roma per consegnare alcune lettere apostoliche(che alcuni studiosi ipotizzano trattasi della famosa "lettera ai Romani") Infatti nel suo viaggio però Giusto era stato  sorpreso da una violenta tempesta lungo il canale d'Otranto. Naufragato nel porto romano che a quei tempi era conosciuto come "Porto Adriano" (presso la spiaggia dell'attuale San Cataldo), Giusto fu qui soccorso e salvato da Publio e da suo nipote Fortunato. Publio ospitò Giusto nelle sue dimore, e da lui apprese la vita e le opere di Gesù. Publio e Fortunato abbracciarono subito la fede cristiana; ed entrambi chiesero di essere battezzati, cosa che avvenne lo stesso giorno dell'incontro con Giusto. Da allora Giusto, Publio  e Fortunato cominciarono a predicare il Vangelo; evangelizzarono il Salento (del I sec d.C.) sino al nord barese e riuscirono a convertire i pagani al Cristianesimo e furono denunciati dai sacerdoti pagani al pretore romano, che impose loro di offrire incenso a Giove nel tempio a lui dedicato. A questa imposizione  i tre  si opposero e professarono la loro fede. Il pretore li  condannò alla flagellazione e li fece rinchiudere in carcere.
Appena scarcerati, Giusto ripartì per Roma per consegnare la sua lettera. Quando tornò a Lecce, Publio, Giusto e Fortunato si recarono a Corinto, dall'Apostolo Paolo, il quale narrò a Publio la vita di Gesù e della sua “risurrezione”. Fu così che Publio cambiò il suo nome in Oronzo, il cui significato etimologico è : "risorto". Secondo la tradizione l'apostolo Paolo in persona gli impose le mani consacrandolo primo Vescovo della Iapigia (l'attuale Puglia); Paolo diede a Oronzo quale compagno di apostolato il laico Tizio Giusto, e nominò Fortunato successore di Oronzo.
Tornati nell'attuale Salento, Giusto, Oronzo e Fortunato ricominciarono a predicare il cristianesimo. Ma le persecuzioni dell'imperatore Nerone (64 d.C.) contro i Cristiani erano molto repressive. E quando Nerone inviò a Lecce il ministro Antonino, Oronzo e Giusto furono costretti ad un esilio forzato da Lecce. Fortunato rimase a Lecce come vescovo della locale comunità cristiana  Così intrapresero, un lungo viaggio missionario, che li portò in varie città della Puglia e della Lucania. Per sfuggire  alle persecuzioni di Nerone e del suo Ministro Antonino e grazie anche all'aiuto delle popolazioni convertite, posero nel sottosuolo delle grotte carsiche i loro luoghi del culto cristiano. Si rifugiarono prima a Ostuni, poi a Turi dove, nella “grotta” (che sarà detta di san Oronzo) predicavano il Vangelo. Qui Oronzo battezzava e celebrava l'Eucarestia. Ma saranno perseguitati anche a Turi. Quindi Oronzo e Giusto si recarono a Siponto, a Potenza, a Taranto, infine ritornarono a Lecce, dove Oronzo consacrò a Maria Madre di Dio la prima chiesa. Nella città di Lecce (pare che) fecero a pezzi una statua di Giove, e dopo pochi giorni distrussero la statua di Marte posta fuori la città.
In seguito tornarono quindi a Turi, dove entrambi furono trovati dai legionari e ricondotti a Lecce, dove al termine di un processo sommario furono accusati di perduellio (alto tradimento nei confronti degli dei dell'Impero) e nuovamente arrestati insieme con Fortunato  Quindi vennero condannati a morte per decapitazione, secondo le leggi dell'ordinamento romano della persecuzione di Nerone. E non potè nulla neanche l'intervento dello stesso apostolo Paolo, che nel frattempo era divenuto cittadino di Roma. Dopo undici giorni di carcere (molto tormentato), furono condotti a tre chilometri da Lecce lungo la via per il mare, e lì furono sottoposti a supplizi e violenze, prima di essere martirizzati mediante decapitazione e nella tradizione latina furono uccisi all’alba del 26 agosto del 68 mediante ascia
I loro corpi furono pietosamente ricomposti e portati in gran segreto in una casupola di campagna di proprietà di una matrona cristiana, di nome Petronilla. Sul luogo della loro decapitazione oggi sorge il tempio di san Oronzo fuori le mura, detto in dialetto “Capu te Santu Ronzu”. Una tradizione  narra che la testa di san Oronzo sia rotolata sino alla vicina Campi Salentina e che dove si fermò, sia sorta la chesa a lui dedicata.

Santi CESARIO diacono  e GIULIANO presbitero , martiri di TERRACINA ai tempi dell’imperatore Traiano verso l’anno 107  
Cesario nacque nell’Africa settentrionale, precisamente a Cartagine, verso l’85 d. C.. Era figlio di un mercenario e di una nobildonna che, secondo la tradizione, discendevano dalla “Gens Julia”, la rinomata famiglia Giulia. I genitori decisero di chiamarlo Cesario per dimostrare la loro devozione ed appartenenza all'imperatore, denominato anche Cesare. I suoi avi si stanziarono a Cartagine durante la riorganizzazione dei territori africani da parte di Giulio Cesare, il quale proprio in quella città fondò una colonia romana in cui si erano trasferiti dei cittadini romani alleati con la madrepatria e quindi sotto il controllo di Roma.  La sua famiglia si convertì al cristianesimo per la fervente predicazione degli apostoli di Gesù nella zona.
Il giovane Cesario  accettò di essere ordinato diacono  Sorretto da questa fede, rinunziò al suo patrimonio e si dedicò all'evangelizzazione. Cesario decise di partire, con i suoi compagni, alla volta di Roma, dove i cristiani erano perseguitati
La nave tuttavia naufragò - a causa di una furiosa tempesta - sulle coste di Terracina, città situata nell'agro pontino, distante un centinaio di chilometri da Roma.  Cesario decise di fermarsi in questa città  e rimase nascosto in città, nella casa di un cristiano, il monaco Eusebio, servo di Dio: fu accolto nella comunità cristiana formata da Epafrodito, uno schiavo di origine greca, primo vescovo di Terracina nella metà del I sec. d. C..
Cesario ed il suo maestro spirituale, il presbitero Giuliano, iniziarono la loro opera di evangelizzazione a Terracina: imperniarono la loro missione sulla predicazione, sulla conversione e sulla formazione di comunità cristiane. L’imperatore romano Marco Ulpio Nerva Traiano, regnante dal 98 al 117 d.C., operò una persecuzione contro i cristiani: ordinò di punire chiunque si fosse rifiutato di sacrificare agli idoli.
Secondo la tradizione, in quell'epoca a Terracina vi era un pontefice  dei culti pagani di nome Firmino : il primo gennaio era consuetudine celebrare una festa in onore di Apollo, durante la quale un giovane, il più bello e nobile della città, doveva sacrificarsi  per ottenere la salvezza dello Stato e degli imperatori. L’antica usanza prevedeva di prendersi cura del giovane per sei o otto mesi, nutrendolo con cibi prelibati ed esaudendo tutti i suoi desideri, ma alla fine di quel tempo - dopo essere stato ornato con magnifiche armi e fatto montare su un cavallo riccamente bardato – doveva salire fino alla sommità del monte sovrastante la città e precipitarsi nel mare per assicurare al suo nome fama e gloria immortale. Successivamente il suo corpo era bruciato e le sue ceneri venivano conservate con grande onore nel tempio di Apollo. Quell'anno il giovane destinato al sacrificio umano si chiamava Luciano.
Quando Cesario vide per la prima volta Luciano, chiese ai suoi concittadini cosa significasse tutto questo splendore di cui questi era circondato, e riuscito a sapere la storia di questa antica tradizione, si indignò per questa barbarie.  Arrivato il 1° gennaio, le autorità, i sacerdoti pagani ed i fedeli si riunirono nel tempio di Apollo per dare inizio ai riti: Luciano sacrificò una scrofa per la salvezza della città e dei suoi abitanti. Successivamente iniziava la processione che si snodava, con lenta solennità, verso il monte. Nonostante i  vari tentativi di Cesario per interrompere questo crimine, i riti pagani  vennero eseguiti: Luciano, cavalcando, salì fino alla cima della collina; si gettò nel vuoto con il recalcitrante cavallo e, schiantandosi contro le rocce, perì tra le onde insieme alla sua cavalcatura. Dopo questa sconvolgente visione, Cesario gridò: “Sventura allo Stato e ai principi che si rallegrano delle sofferenze e si pascono di sangue! Perché dovete perdere le vostre anime per le vostre imposture ed essere sedotti dagli artifici del demonio?” Firmino - udite queste parole del diacono - gli ordinò di tacere, lo fece arrestare dalle guardie di Terracina e portare nella pubblica prigione presso il Foro Emiliano. Otto giorni dopo l’arresto di Cesario, Lussurio, primo cittadino di Terracina, e Firmino fecero venire il console Leonzio (Consularis Campaniae), che allora si trovava nella città di Fondi, per iniziare il processo e giudicare il giovane. Quando il console arrivò, le guardie portarono nel Foro Emiliano il diacono Cesario; il magistrato si limitò semplicemente a constatare lo status di cristiano e il rifiuto di adorare gli dei. Leonzio decise di portare Cesario davanti al tempio di Apollo per ordinargli di sacrificare agli dei: se avesse rinnegato la sua fede cristiana e reso evidente ciò, offrendo preghiere ed incenso alle divinità pagane, sarebbe stato perdonato sulla base del suo pentimento e lasciato in libertà. Cesario fu legato al cocchio di Leonzio e, appena si avvicinarono al tempio, il diacono, circondato da soldati, esclamò una preghiera, terminata la quale il tempio crollò improvvisamente e sotto le sue rovine morì Firmino.
Quando Lussurio ebbe appreso quest' evento soprannaturale, si recò immediatamente a Terracina per consultarsi sul tipo di punizione da infliggere al giovane diacono. Tutto il popolo fu convocato nel tempio di apollo e Cesario cercò di spiegare ai presenti la falsità della loro religione che procurava la salvezza della loro patria attraverso l’effusione di sangue umano. Tutte le persone gridavano: “E’ un uomo virtuoso, e ciò che ci propone è giusto” ed allora Lussurio lo fece riportare nella prigione, dove fu lasciato un anno e un giorno. Trascorso un anno, il console decise di far condurre di nuovo l’accusato in Forum civitatis Terracinae: Cesario uscì dalla prigione emaciato dalla sofferenza della fame e spogliato dei suoi vestiti, ma coperto dai suoi lunghi capelli. Quando fu portato al centro del foro, chiese alla guardie di allentare le sue catene ed immediatamente si gettò a terra, adorò il Signore implorandolo di mostrare la Sua misericordia. In quel momento una luce celeste apparve e rischiarava tutto il corpo del giovane diacono. Vedendo ciò, il console Leonzio gridò a gran voce:“Il Dio che predica Cesario è veramente il Signore Onnipotente”. Si gettò ai piedi del diacono, si tolse la clamide, vestì Cesario e lo pregò, davanti a tutto il popolo, di battezzarlo. Cesario prese l’acqua e battezzò Leonzio nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, mentre il presbitero Giuliano - che si trovava lì presente - gli amministrò il Corpo e il Sangue del Signore Gesù Cristo. Dopo aver ricevuto questi sacramenti, Giuliano recitò una preghiera sulla sua testa, terminata la quale, Leonzio spirò. Il corpo di Leonzio fu salvato dalla moglie e dai figli, che gli diedero sepoltura in“Agro Varano”, nelle vicinanze della città, il 30 ottobre.
Lo stesso giorno della sepoltura di Leonzio, Lussurio fece arrestare il presbitero Giuliano e pronunciò la sentenza di morte: ordinò che Cesario e Giuliano fossero chiusi in un sacco e gettati nel mare. Tre giorni più tardi - poco prima di essere condannato - Cesario disse a Lussurio: “L’acqua, nella quale sono stato rigenerato, mi riceverà come suo figlio che ha trovato in essa una seconda nascita: oggi mi renderà martire con Giuliano, mio Padre, che una volta mi fece cristiano. Quanto a te, Lussurio, oggi stesso morirai con un morso di un serpente, affinché tutti i paesi sappiano che Dio vendicherà il sangue dei suoi servi, e delle vergini che facesti perire tra le fiamme”. Era il 1° novembre dell’anno 107 d.C.: i condannati furono chiusi in un sacco e precipitati, secondo la tradizione, dall’alto della guglia del “Pisco Montano” nel mare, dove morirono per soffocamento. Lo stesso giorno del martirio, le onde riportarono i corpi di Cesario e Giuliano sulla riva, dove furono trovati accanto a quello di Lussurio che  era  stato ucciso da un serpente poco dopo l’esecuzione dei due santi secondo  la profezia del diacono..
I  corpi dei due santi furono  raccolti e sepolti presso la tomba di Cesario dal presbitero Quarto da Capua che casualmente passava di là.
Oltre che come protagonista di questa passio, Cesario appare anche in quella dei ss. Nereo e Achilleo, poiché avrebbe curato la sepoltura delle vergini Teodora ed Eufrosina, amiche di Domitilla, morte a Terracina.
Parte delle spoglie di S. Cesario diacono sono conservate, dal XIII secolo, nell'urna di basalto dell'altare maggiore della basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme.
Nel 2009 Mons. Michelangelo Giannotti, Vicario Generale dell'Arcidiocesi di Lucca, ritrova 6 ossa del Santo nella Basilica di S. Frediano di Lucca.

Santo Severino eremita a Tivoli(verso il 699)

Sicuramente uno dei tanti eremiti come anche Equizio che dalle Chiese d’Oriente arrivano nella valle dell’Aniene per testimoniare la tradizione monastica ed eremitica di loro provenienza e certamente si innestano con   tradizione latina di San Benedetto
























Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.