SINASSARIO
SANTI ITALICI ED ITALO GRECI PER IL 3
Novembre
Santo Libertino vescovo di Agrigento e martire protovescovo della città tra il I e il II
secolo
La
tradizione, raccolta dagli storici e scrittori, specie agrigentini, sino al
secolo XVIII, riteneva che S. Libertino fosse stato mandato da S. Pietro ad
Agrigento per predicarvi il Vangelo
Nel
1779 il canonio Raimondo Gaglio, utilizzando anche i lavori del suo defunto
fratello Vincenzo, sollecitato dagli accademici della Biblioteca Comunale di
Palermo, inviava loro la "Serie cronologica dei Vescovi di Girgenti dai
primordi al cadere del sec. XVIII" che poi venne pubblicata, dal 1901, dal
Boglino nella sua Sicilia Sacra.
Il Gaglio , fondandosi sull'anonimo panegirista di S. Marciano, primo vescovo di Siracusa, scrisse: “Altro non farò se non che rapportare le parole di questo anonimo le quali leggonsi nella sua orazione panegirica scritta in greco nel secolo suddetto in lode di S. Marciano, tradotta prima dal Gaetano in latino e pubblicata poi in autentica dai PP. Bollandisti, lasciando agli eruditi la libertà di seguire colla di lui scorta le sue riflessioni o di pensare altrirnenti".
Le parole citate in nota dal Gaglio sono queste:
"(Peregrinus) inter coeteros Dei praecones Marciani doctrina imbutus, testis perfectus Dei effectus est, sacrificium acceptabile ac voluntarium factus atque holocaustum in odorem sua vitatis in monte quod cacumen Crotaleos adpellatur, parem inortis triumphum retulit cum martyre et Agrigentinorum episcopo Libertino".
Continua poi il Gaglio:"Asserisce egli dunque nel cennato panegirico che S. Libertino fu martirizzato insieme con S. Pellegrino sul monte Crotaleo della stessa città.
E conclude: "Ciò che potrebbe dirsi con qualche apparenza di sicurezza si è che S. Libertino fu il primo vescovo di Girgenti, che egli visse nei primi secoli di Cristo, che vi portò, prima di tutti, la luce del Vangelo, che vi sofferse il martirio, rimanendo ancora ignoto l'anno in cui portossi a Girgenti e la maniera onde fu eletto vescovo".
Il Gaglio , fondandosi sull'anonimo panegirista di S. Marciano, primo vescovo di Siracusa, scrisse: “Altro non farò se non che rapportare le parole di questo anonimo le quali leggonsi nella sua orazione panegirica scritta in greco nel secolo suddetto in lode di S. Marciano, tradotta prima dal Gaetano in latino e pubblicata poi in autentica dai PP. Bollandisti, lasciando agli eruditi la libertà di seguire colla di lui scorta le sue riflessioni o di pensare altrirnenti".
Le parole citate in nota dal Gaglio sono queste:
"(Peregrinus) inter coeteros Dei praecones Marciani doctrina imbutus, testis perfectus Dei effectus est, sacrificium acceptabile ac voluntarium factus atque holocaustum in odorem sua vitatis in monte quod cacumen Crotaleos adpellatur, parem inortis triumphum retulit cum martyre et Agrigentinorum episcopo Libertino".
Continua poi il Gaglio:"Asserisce egli dunque nel cennato panegirico che S. Libertino fu martirizzato insieme con S. Pellegrino sul monte Crotaleo della stessa città.
E conclude: "Ciò che potrebbe dirsi con qualche apparenza di sicurezza si è che S. Libertino fu il primo vescovo di Girgenti, che egli visse nei primi secoli di Cristo, che vi portò, prima di tutti, la luce del Vangelo, che vi sofferse il martirio, rimanendo ancora ignoto l'anno in cui portossi a Girgenti e la maniera onde fu eletto vescovo".
Il
brano dell'encomio è così tradotto dal p. Agostino Amore:
"Come insegna la testimonianza scritta del vittorioso Pellegrino di cui si parlava in principio, anche lui, infatti, ripieno della dottrina di questo predicatore di Dio, Marciano, si rese perfetto testimone di Dio, fatto sacrificio accetto nella tribolazione e olocausto in odore di soavità sulla montagna della Crotala, subendo una morte simile a quella del Santo vescovo e martire Libertino della Chiesa di Agrigento
In una passione anonima pubblicata dai Bollandisti (G. van Hoof) in Acta Sanctorum Novembris si parla dei santi Libertino e Pellegrino.
Il passo riguardante S. Pellegrino è il seguente: Gli imperatori Valeriano e Gallieno (254 259) avevano scritto a Quinziano, consolare di Sicilia, di costringere i cristiani a sacrificare agli dei. Quinziano mandò in Agrigento Silvano il quale "Agrigentum ingressus Libertinum episcopum corripi jubet. Non doli, non ininae, nihil omissum quo revocaretur a Christo, simulacra veneraretur. At Libertinus in aede S. Stephani protomartyris per aras Deum laudans, oransque, spiritum coelo reddidit, nec sine luctu in foro Agrigentinorum sepultus" (Acta Sanctorum, pag. 612 n. 3: Entrato in Agrigento comandò che il vescovo Libertino fosse arrestato. Niente fu omesso, di inganni e minacce, per distoglierlo da Cristo e fargli venerare gli dei. Ma Libertino nella chiesa di S. Stefano protomartire, lodando Dio davanti gli altari, restituì la sua anima al cielo e con gran lutto fu seppellito nel foro degli Agrigentini.) "Il culto di S. Libertino dovette iniziarsi abbastanza presto: al tempo di Gregorio Magno un pretore di Sicilia ed un vescovo di Sardegna ebbero quel nome, mentre nella vita di S. Gregorio, vescovo di Agrigento, scritta da Leonzio, si ricorda una casa che la Chiesa di Agrigento possedeva da moltissimo tempo in Palermo e che si chiamava Libertino: "era intatti da molto tempo della Chiesa Agrigentina ed era detta Libertino.”
Secondo la tradizione, inserita nella liturgia latina del Santo, al 3 novembre, la predicazione di S. Libertino fu così efficace e feconda di risultati che le autorità pagane decisero di stroncarla; non riuscendovi né con le blandizie, né con le minacce, ricorsero alla violenza.
Secondo la tradizione venne martirizzato con S. Pellegrino e poi bruciato; secondo un'altra venne lapidato o ucciso con la spada o con un colpo al petto o al capo.
"Come insegna la testimonianza scritta del vittorioso Pellegrino di cui si parlava in principio, anche lui, infatti, ripieno della dottrina di questo predicatore di Dio, Marciano, si rese perfetto testimone di Dio, fatto sacrificio accetto nella tribolazione e olocausto in odore di soavità sulla montagna della Crotala, subendo una morte simile a quella del Santo vescovo e martire Libertino della Chiesa di Agrigento
In una passione anonima pubblicata dai Bollandisti (G. van Hoof) in Acta Sanctorum Novembris si parla dei santi Libertino e Pellegrino.
Il passo riguardante S. Pellegrino è il seguente: Gli imperatori Valeriano e Gallieno (254 259) avevano scritto a Quinziano, consolare di Sicilia, di costringere i cristiani a sacrificare agli dei. Quinziano mandò in Agrigento Silvano il quale "Agrigentum ingressus Libertinum episcopum corripi jubet. Non doli, non ininae, nihil omissum quo revocaretur a Christo, simulacra veneraretur. At Libertinus in aede S. Stephani protomartyris per aras Deum laudans, oransque, spiritum coelo reddidit, nec sine luctu in foro Agrigentinorum sepultus" (Acta Sanctorum, pag. 612 n. 3: Entrato in Agrigento comandò che il vescovo Libertino fosse arrestato. Niente fu omesso, di inganni e minacce, per distoglierlo da Cristo e fargli venerare gli dei. Ma Libertino nella chiesa di S. Stefano protomartire, lodando Dio davanti gli altari, restituì la sua anima al cielo e con gran lutto fu seppellito nel foro degli Agrigentini.) "Il culto di S. Libertino dovette iniziarsi abbastanza presto: al tempo di Gregorio Magno un pretore di Sicilia ed un vescovo di Sardegna ebbero quel nome, mentre nella vita di S. Gregorio, vescovo di Agrigento, scritta da Leonzio, si ricorda una casa che la Chiesa di Agrigento possedeva da moltissimo tempo in Palermo e che si chiamava Libertino: "era intatti da molto tempo della Chiesa Agrigentina ed era detta Libertino.”
Secondo la tradizione, inserita nella liturgia latina del Santo, al 3 novembre, la predicazione di S. Libertino fu così efficace e feconda di risultati che le autorità pagane decisero di stroncarla; non riuscendovi né con le blandizie, né con le minacce, ricorsero alla violenza.
Secondo la tradizione venne martirizzato con S. Pellegrino e poi bruciato; secondo un'altra venne lapidato o ucciso con la spada o con un colpo al petto o al capo.
Santi Valentino presbitero ed Ilario diacono martiri a Viterbo sotto
Massimiano (verso il 304)
La ‘passio’ composta nell’VIII secolo racconta che Valentino era un prete e Ilario un diacono entrambi ministri di Dio in una chiesa rurale e durante la persecuzione di Diocleziano (243-313) furono uccisi e sepolti il 3 novembre, in un luogo chiamato “Camillarius” probabilmente nella loro stessa chiesetta rurale
In un
documento del 788 si ha qualche conferma di quanto detto, in esso si parla di
una ‘cella s. Valentini in Silice’, cioè una chiesetta con sepolcro posta sulla
via Cassia, a due km da Viterbo.
Ma anche se non è nominato nel documento, nella chiesetta vi era anche il corpo di s. Ilario, perché l’abate di Farfa Sicardo (831-842) li trasportò ambedue nella chiesa dell’abbazia.
I corpi dei due martiri rimasero nell’ abbazia di Farfa, fino al secolo XV, ma alcune tradizioni di Viterbo dicono fino al 1303, quando le reliquie sarebbero state portate nella cattedrale della città.
Ma anche se non è nominato nel documento, nella chiesetta vi era anche il corpo di s. Ilario, perché l’abate di Farfa Sicardo (831-842) li trasportò ambedue nella chiesa dell’abbazia.
I corpi dei due martiri rimasero nell’ abbazia di Farfa, fino al secolo XV, ma alcune tradizioni di Viterbo dicono fino al 1303, quando le reliquie sarebbero state portate nella cattedrale della città.
Santo Valentiniano vescovo di Salerno
(verso il 501)
Storici
antichi gli assegnano il sesto posto nella lista dei vescovi di Salerno tra san
Gaudioso e san Gaudenzio, sulla fine del sec. V. Di Valentiniano nulla si
conosce e la stessa forma del nome è incerta. Il liber Confratrum di san Matteo
(sec. XI-XII) lo chiama Valerius; l'Ughelli, Valentinus; gli storici locali
Valentinianus e ne assegnano la festa al 3 novembre. il suo culto è
certificato dall’esistenza di una chiesa in frazione Banzano di Montoro
Superiore, forse anteriore al Mille, di cui si ha notizia certa per il 1143 e
di cui era abate rettore nel 1309 un Giovanni de Surrento.
Nella
cripta del Duomo di Salerno in cui sono conservate anche le sue reliquie.
Santa
Silvia Madre
di s. Gregorio Magno(verso il 572 a Roma o tra il 590 e il 592)
Non si conosce l’anno di nascita; molte Città, tra cui Palermo, Messina, Vizzini ( CT ), Roma, se ne contendono i natali.Nasce dalla nobile famiglia Ottavia.
Ebbe due sorelle: Emiliana e Tersilla, anch’esse Sante, venerate al 5 Gennaio e al 24 Dicembre.
Fu sposa del Senatore Gordiano della Famiglia Anicia , che amministrava una delle sette regioni di Roma.
La tradizione palermitana vuole che la casa di S. Silvia, ove pare sia nata, sorgesse sul sito della Chiesa di S. Gregorio al Capo, ove esisteva un pozzo, a Lei intitolato.
Qui concepì il figlio che partorì a Roma, il futuro Papa San Gregorio Magno. Consigliato da Silvia, lo sposo Gordiano nell’anno 569 fece dono dei beni che possedeva nel regno di Napoli al Monastero di Monte Cassino e suo figlio Gregorio sui possedimenti della madre eresse sei monasteri in Sicilia:
( S. Martino delle Scale; Maria SS. di Gibilmanna ; S. Maria La Vetere di Licata; S. Maria La Vetere di Chiaramente Gulfi; S. Giovanni Evangelista a Modica alta; Maria SS. della Vena a Piedimonte Etneo ) il settimo a Roma, dedicato all’Apostolo Andrea, sul terreno della stessa Silvia.
Oppure, se i Monasteri fossero stati tutti nella Città di Palermo, uno dei sette era S. Gregorio al Capo, come riporta la lapide posta dagli Agostiniani nella stessa Chiesa.
Gli altri erano:S. Giovanni degli Eremiti; S. Massimo e S. Agata in Lucusiano;il Pretoriano; S. Adriano;S. Giorgio in Kemonia; S. Martino delle Scale.
Altre tradizioni siciliane vogliono il monastero di S. Maria della Vena di Piedimonte Etneo fondato su possedimenti di S. Silvia:
“ l’Icona della Vergine si ferma, dà l’acqua, vuole il tempio; San Gregorio dona gli edifici ( chiesa e monastero ) e S. Silvia il bosco “ ; altri possedimenti di S. Silvia erano a Vizzini ( CT ).
Rimasta vedova condusse una vita semplice e, visse secondo la regola benedettina Si dedicò alla meditazione e al servizio dei poveri mentre il figlio diventata Papa e Vescovo di Roma Si addormentò nel Signore il 3 Novembre del 590 o del 592. Gregorio la seppellì nel monastero di S. Andrea e vi fece dipingere la sua immagine con la croce nella destra e il libro nella sinistra, con la scritta: “ Vivit anima mea et laudabit te, et iudicia tua adiuvabunt me “, cioè: “Vive la mia anima e ti loderà e i tuoi giudizi mi aiuteranno".
La tradizione romana, ( Vita S. Gregorii I, 9 Migne PL LXXV p. 66 ) la fa dimorare, rimasta vedova, nel luogo detto Cella Nova presso il Monastero di S. Saba sull’Aventino ( vicino la Basilica di S. Paolo fuori le mura ) ove a fianco dell’ingresso è l’Oratorio di S. Silvia.
Da qui mandava al figlio, quando stava nel Monastero di S. Andrea, dei legumi cotti in una tazza d’argento, che poi S. Gregorio donò in elemosina, come riferisce Giovanni Diacono. Nel luogo della Chiesa di S. Gregorio al Celio una antica tradizione pone la casa paterna di Gregorio che vi costruì una chiesa in onore di S. Andrea. Qui il Cardinale Cesare Baronio, famoso annalista e commendatario della Chiesa fondò nell’orto della chiesa tre Oratori: S. Andrea, ove furono sepolte le Sante Silvia, Emiliana e Tarsilla; S. Silvia e S. Barbara.
Un’altra tradizione vuole che S. Silvia sia stata sepolta a Preneste ( Palestrina ) nel luogo del monastero a Lei intitolato, poiché S. Silvia e il figlio Gregorio donarono ai monaci benedettini di Subiaco territori di proprietà della famiglia Anicia come quello della Wulturella con la chiesa di S. Maria ( odierna Abbazia della Mentorella ).
Il Cardinale Cesare Baronio nel 1604, restaurando la Chiesa del Santi Andrea e Gregorio al Celio in Roma, depose alcune Reliquie della Santa nell’attiguo Oratorio, a Lei dedicato.
Il Papa Clemente VIII ( 1592 - 1605 ) inserì il suo nome nel Martirologio Romano: “
A Roma santa Silvia, madre di san Gregorio Magno, Papa “.
Nel “ Martirologio Siculo “ del P. Ottavio Caietano S.J. del 1617 al 12 Marzo è recensito: “ In Sicilia, S. Silviae, Matris S. Gregorij Papae Magni” , cioè: “ In Sicilia S. Silvia, Madre di S. Gregorio Magno Papa “.
L’Arcivescovo di Palermo Martin de Leon y Cardenas ( 1650-1655 ) inserì la Festa di S. Silvia nel Calendario Palermitano nel 1653.
Il Calendario Liturgico Regionale delle Chiese di Sicilia, approvato dalla Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino nel 1976 riporta:
” Fu la madre di S. Gregorio Magno. Per il fatto che S. Gregorio istituì sei monasteri in Sicilia dotandoli dei suoi beni, si è pensato che S. Silvia fosse siciliana e la tradizione la vuole nata a Palermo. Dopo la morte del marito Gordiano si ritirò a vita solitaria e quasi monastica presso la Chiesa di S. Saba sull’Aventino a Roma, dove, ricca di meriti, morì nell’anno 592 “.
Nel “ Martirologio Siculo “ del P. Ottavio Caietano S.J. del 1617 al 12 Marzo è recensito: “ In Sicilia, S. Silviae, Matris S. Gregorij Papae Magni” , cioè: “ In Sicilia S. Silvia, Madre di S. Gregorio Magno Papa “.
L’Arcivescovo di Palermo Martin de Leon y Cardenas ( 1650-1655 ) inserì la Festa di S. Silvia nel Calendario Palermitano nel 1653.
Il Calendario Liturgico Regionale delle Chiese di Sicilia, approvato dalla Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino nel 1976 riporta:
” Fu la madre di S. Gregorio Magno. Per il fatto che S. Gregorio istituì sei monasteri in Sicilia dotandoli dei suoi beni, si è pensato che S. Silvia fosse siciliana e la tradizione la vuole nata a Palermo. Dopo la morte del marito Gordiano si ritirò a vita solitaria e quasi monastica presso la Chiesa di S. Saba sull’Aventino a Roma, dove, ricca di meriti, morì nell’anno 592 “.
altre notizie in
http://www.santiebeati.it/dettaglio/76050
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