Santo
Paterniano vescovo di Fano (tra il 343 e
il 360)
Secondo
un'antica tradizione(un codice del XII
secolo (Codice Nonantolano, Archivio del Capitolo di Fano)San
Paterniano nacque a Fano verso il 275.
Durante la persecuzione di Diocleziano una visione angelica lo avvertì di lasciare la città, riparando in luogo deserto al di là del fiume Metauro. Più tardi, quando le persecuzioni cessarono ed arrivò l’editto di Costantino , la cittadinanza fanese reclamò Vescovo l’eremita che già in vita era ritenuto santo
Durante la persecuzione di Diocleziano una visione angelica lo avvertì di lasciare la città, riparando in luogo deserto al di là del fiume Metauro. Più tardi, quando le persecuzioni cessarono ed arrivò l’editto di Costantino , la cittadinanza fanese reclamò Vescovo l’eremita che già in vita era ritenuto santo
Cercò
ma invano di opporsi e fu quasi portato di forza in città dall’eremo Governò la
diocesi per 42 anni placando gli animi, istruendo e confortando. I pagani,
trascinati dalla sua predicazione, abbandonarono gli idoli e distrussero i
templi stringendosi al santo Vescovo. Avvertito della fine imminente,
intraprese la visita all'intera diocesi, volendo arrivare di persona dove non
era giunto il suo insegnamento di Vescovo. Morì alla periferia della città il
13 novembre, probabilmente dell'anno 360. Sul suo sepolcro si moltiplicarono i
prodigi e il suo culto si estese rapidamente anche oltre i confini d'Italia.
Trentadue paesi l'hanno scelto patrono e molte località portano il suo nome. Le
sue reliquie si venerano a Fano, nella Basilica a Lui dedicata.
SANTO SPES DI SPOLETO (TRA LA FINE DEL
IV SECOLO E L’INIZIO DEL V)
È stato vescovo di Spoleto come indicato dal suo epitaffio, databile tra
la fine del IV e l'inizio del V secolo, scoperto nella chiesa, oggi scomparsa,
dei Santi Apostoli nei pressi della città. Il testo riferisce che Spes morì,
dopo 32 anni di episcopato, il giorno 23 novembre di un anno imprecisato:
(LA)
« Depositio sanctae
memoriaevenerabilis Speis aepiscopi die VIIII kal. decb. qui vixit in sacerdotio annis XXXII » |
(IT)
« Deposizione del
venerabile vescovo Speodi santa memoria il nono giorno delle calende di dicembre vescovo per 32 anni. » |
(Corpus
Inscriptionum Latinarum, vol. XI, 1901, nº 4967, p. 724)
|
Morto
nove giorni prima delle calende di dicembre - non sappiamo però di quale anno
-il Vescovo Spes venne sepolto nell'antica chiesa di San Pietro, costruita a
Spoleto da un suo predecessore, il Vescovo Achille, nell'anno 419, data che
costituisce un limite prima del quale non è possibile collocare la vita, o almeno
l'episcopato, di Santo Spes
A Spes si deve la scoperta delle reliquie di
san Vitale, martire di Terzo la Pieve, frazione di Spoleto, che fece trasferire
nella chiesa dei Santi Apostoli, e per il quale compose una iscrizione metrica Secondo alcuni studiosi, Spes potrebbe essere
stato originario della stessa Terzo la Pieve.
L'iscrizione per san Vitale menziona anche la
vergine Calvenzia (Caluentia), probabilmente figlia di Spes per
la quale il vescovo chiede l'intercessione del martire. Calvenzia, fatto voto
di castità, condusse vita religiosa e contribuì alla diffusione del movimento
eremitico femminile sul Monteluco nel VI secolo
Un'appendice
alla storia di Santo Spes di Spoleto è quella che riguarda le sue reliquie,
portate in parte, non si sa quando né per quale ragione, in Francia, ad
Aix-la-Chapelle.
Santo
Colombano il Grande di nazionalità irlandese,monaco
a Bangor ,fondatore in Francia di diversi monasteri tra cui quello di Luxeuil
ed infine abate a Bobbio in Lombardia(anno 615)
Colombano
era nato intorno all’anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est
dell’Irlanda.
Con la guida dell’abate Sinell della comunità di Cluain-Inis, nell’Irlanda settentrionale si dedicò allo studio delle Sacre Scritture. All’età di circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor nel nord- est dell’isola, ove era abate Comgall, un monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena concordia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote.
All’età di circa cinquant’anni, seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della «peregrinatio pro Christo», del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola con dodici compagni per un’opera missionaria sul continente europeo. Dobbiamo infatti tener presente che la migrazione di popoli dal nord e dall’est aveva fatto ricadere nel paganesimo intere Regioni già cristianizzate. Intorno all’anno 590 missionari arrivarono sulla costa bretone. Accolti con amicizia dal re dei Franchi d’Austrasia chiesero solo un pezzo di terra incolta. Ottennero l’antica fortezza romana di Anne-gray, ormai abbandonata, e coperta dalla foresta. Abituati ad una vita di seria rinuncia, i monaci riuscirono entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo.. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse chiamando pellegrini e visitatori E molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro. Ben presto si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a pochi chilometri di distanza, sulle rovine di un’antica città termale, Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro della tradizione monastica irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu eretto a Fontaine, un’ora di cammino più a nord.
A Luxeuil Colombano visse per quasi vent’anni. Qui il santo scrisse per i suoi seguaci la Regula monachorum per un certo tempo più diffusa in Europa di quella di san Benedetto . Come integrazione egli elaborò la Regula coenobialis, una sorta di codice giuridico per le infrazioni dei monaci Con un’altra opera famosa intitolata De poenitentiarum misura taxanda, scritta pure a Luxeuil, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; fu detta penitenza «tariffata» per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore. Queste novità destarono il sospetto dei vescovi della regione, un sospetto che si tramutò in ostilità quando Colombano ebbe il coraggio di rimproverarli apertamente per i costumi di alcuni di loro. Occasione per il manifestarsi del contrasto fu la disputa circa la data della Pasqua: l’Irlanda seguiva infatti la tradizione orientale in contrasto con la tradizione romana. Il monaco irlandese fu convocato nel 603 a Châlon-sur-Saôn per rendere conto davanti a un sinodo delle sue consuetudini relative alla penitenza e alla Pasqua. Invece di presentarsi al sinodo, egli mandò una lettera in cui minimizzava la questione invitando i Padri sinodali a discutere non solo del problema della data della Pasqua, problema piccolo secondo lui, «ma anche di tutte le necessarie normative canoniche che da molti cosa più grave sono disattese» (cfr Epistula II,1).
Contemporaneamente scrisse a Papa Bonifacio IV come qualche anno prima già si era rivolto a Papa Gregorio Magno (cfr Epistula I) per difendere la tradizione irlandese (cfr Epistula III).
Colombano entrò poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato aspramente il re Teodorico per le sue relazioni adulterine. E nell’anno 610 un decreto reale disponeva l’ espulsione da Luxeuil di Colombano e di tutti i monaci di origine irlandese Furono scortati fino al mare e imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda. Ma la nave si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma. Essi, invece di tornare a Luxeuil, decisero di cominciare una nuova opera di evangelizzazione. Si imbarcarono sul Reno e risalirono il fiume. Dopo una prima tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, andarono nella regione di Bregenz presso il lago di Costanza per evangelizzare gli Alemanni.
Poco dopo però Colombano, a causa di vicende politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di attraversare le Alpi con la maggior parte dei suoi discepoli. Rimase solo un monaco di nome Gallus; dal suo eremo si sarebbe poi sviluppata la famosa abbazia di Sankt Gallen, in Svizzera. Giunto in Italia, Colombano trovò un’accoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dall’eresia ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato la maggior parte delle Chiese dell’Italia settentrionale dalla comunione col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo contesto, scrivendo un libello contro l’arianesimo e una lettera a Bonifacio IV per convincerlo a fare alcuni passi decisi in vista di un ristabilimento dell’unità (cfr Epistula V). Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò un terreno a Bobbio, nella valle del Trebbia, Colombano fondò un nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro monastio paragonabile a quello di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni: morì il 23 novembre del 615
Con la guida dell’abate Sinell della comunità di Cluain-Inis, nell’Irlanda settentrionale si dedicò allo studio delle Sacre Scritture. All’età di circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor nel nord- est dell’isola, ove era abate Comgall, un monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena concordia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote.
All’età di circa cinquant’anni, seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della «peregrinatio pro Christo», del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola con dodici compagni per un’opera missionaria sul continente europeo. Dobbiamo infatti tener presente che la migrazione di popoli dal nord e dall’est aveva fatto ricadere nel paganesimo intere Regioni già cristianizzate. Intorno all’anno 590 missionari arrivarono sulla costa bretone. Accolti con amicizia dal re dei Franchi d’Austrasia chiesero solo un pezzo di terra incolta. Ottennero l’antica fortezza romana di Anne-gray, ormai abbandonata, e coperta dalla foresta. Abituati ad una vita di seria rinuncia, i monaci riuscirono entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo.. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse chiamando pellegrini e visitatori E molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro. Ben presto si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a pochi chilometri di distanza, sulle rovine di un’antica città termale, Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro della tradizione monastica irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu eretto a Fontaine, un’ora di cammino più a nord.
A Luxeuil Colombano visse per quasi vent’anni. Qui il santo scrisse per i suoi seguaci la Regula monachorum per un certo tempo più diffusa in Europa di quella di san Benedetto . Come integrazione egli elaborò la Regula coenobialis, una sorta di codice giuridico per le infrazioni dei monaci Con un’altra opera famosa intitolata De poenitentiarum misura taxanda, scritta pure a Luxeuil, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; fu detta penitenza «tariffata» per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore. Queste novità destarono il sospetto dei vescovi della regione, un sospetto che si tramutò in ostilità quando Colombano ebbe il coraggio di rimproverarli apertamente per i costumi di alcuni di loro. Occasione per il manifestarsi del contrasto fu la disputa circa la data della Pasqua: l’Irlanda seguiva infatti la tradizione orientale in contrasto con la tradizione romana. Il monaco irlandese fu convocato nel 603 a Châlon-sur-Saôn per rendere conto davanti a un sinodo delle sue consuetudini relative alla penitenza e alla Pasqua. Invece di presentarsi al sinodo, egli mandò una lettera in cui minimizzava la questione invitando i Padri sinodali a discutere non solo del problema della data della Pasqua, problema piccolo secondo lui, «ma anche di tutte le necessarie normative canoniche che da molti cosa più grave sono disattese» (cfr Epistula II,1).
Contemporaneamente scrisse a Papa Bonifacio IV come qualche anno prima già si era rivolto a Papa Gregorio Magno (cfr Epistula I) per difendere la tradizione irlandese (cfr Epistula III).
Colombano entrò poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato aspramente il re Teodorico per le sue relazioni adulterine. E nell’anno 610 un decreto reale disponeva l’ espulsione da Luxeuil di Colombano e di tutti i monaci di origine irlandese Furono scortati fino al mare e imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda. Ma la nave si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i monaci sulla terra ferma. Essi, invece di tornare a Luxeuil, decisero di cominciare una nuova opera di evangelizzazione. Si imbarcarono sul Reno e risalirono il fiume. Dopo una prima tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, andarono nella regione di Bregenz presso il lago di Costanza per evangelizzare gli Alemanni.
Poco dopo però Colombano, a causa di vicende politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di attraversare le Alpi con la maggior parte dei suoi discepoli. Rimase solo un monaco di nome Gallus; dal suo eremo si sarebbe poi sviluppata la famosa abbazia di Sankt Gallen, in Svizzera. Giunto in Italia, Colombano trovò un’accoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dall’eresia ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato la maggior parte delle Chiese dell’Italia settentrionale dalla comunione col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo contesto, scrivendo un libello contro l’arianesimo e una lettera a Bonifacio IV per convincerlo a fare alcuni passi decisi in vista di un ristabilimento dell’unità (cfr Epistula V). Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò un terreno a Bobbio, nella valle del Trebbia, Colombano fondò un nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro monastio paragonabile a quello di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni: morì il 23 novembre del 615
Santo Gregorio II di
Agrigento Vescovo (verso il 630)
Nato ad
Agrigento nel 559 e avviato alla carriera ecclesiastica, si entusiasmò per i
continui pellegrinaggi che in quel tempo si organizzavano per la Terra Santa, e
nel 578 partì per Cartagine. Da qui viaggiò fino a Gerusalemme. Dopo la visita
ai luoghi santi, si ritirò per quattro anni in solitudine di studio e di
preghiera, e nel 584, rientrò a Gerusalemme. Di là si recò in Antiochia e a
Costantinopoli dove la sua fama giunse all'orecchio dell'Imperatore Maurizio.
Fu invitato a prendere parte ad un concilio tenuto a Costantinopoli. Giunto a
Roma fu consacrato vescovo e destinato alla chiesa agrigentina, dove tornò nel
591. A causa di un'accusa ingiusta fu incarcerato a Roma ma il papa, in un
concilio di 150 vescovi per discutere la causa di Gregorio, ne riconobbe
l'innocenza. Nel 595 costruì nella sua diocesi un tempio ai Santi Pietro e
Paolo. Fondò parecchi collegi per l'istruzione delle donne, aiutato dalla
madre. Studioso di teologia e delle scienze fisiche e mediche lasciò molti
scritti. Sostenne la teoria del movimento della terra attorno al sole,
conciliando la scienza con l'interpretazione della Bibbia. Negli ultimi anni
della sua vita si ritirò in solitudine. Morì ad Agrigento nel 630.
Dal
sito
(probabilmente
articolo curato dall’Archimandrita Antonio Scordino di venerata memoria )
Su Gregorio d’Agrigento,
autore di un commento all’Ecclesiaste, si conosce il Racconto di Leonzio,
ieromonaco e igumeno di San Saba in Roma Antica. La cronologia è controversa,
ma sol perché non risponde all’Epistolario pseudo-gregoriano (1), sicché non pochi
eruditi, per accordare il Racconto alle presunte Epistole di Gregorio Magno,
hanno dovuto fare ricorso a continue manipolazioni (2) e, persino, a ipotizzare
l’esistenza di due omonimi vescovi agrigentini.
Nell’impossibilità di
riprodurre integralmente il lungo Racconto, presentiamo una sintesi fedele
tratta dall’ottimo D. De Gregorio, Vita di san Gregorio agrigentino, Agrigento,
2000.
Nasce ad Agrigento
Gregorio nasce a Pretorio
[Sella di Naro?], un villaggio sopra l’antica città d’Agrigento (3), da
Caritone, esperto e valente cantore, e Teodote, oriunda da Thuris [Punta Bianca
d’AG?]; è immerso nel lavacro della rinascita dal vescovo Potamione.
Giunto agli otto anni, i
genitori portano Gregorio al vescovo, suo secondo padre secondo lo spirito, per
compiere gli studi: Potamione affida il bambino a un uomo timorato di Dio,
Damiano, valente insegnante. In due anni Gregorio apprende la grammatica, la
lettura, il calcolo, il ciclo annuale delle feste e impara a memoria il
salterio: supera persino il maestro.
Gregorio ha dodici anni
quando i genitori scendono in città per riabbracciarlo: si presentano al
vescovo Potamione e gli chiedono di tonsurare il figlio.
Il vescovo taglia i
capelli di Gregorio per inserirlo nel clero, e l’ordina lettore; poi l'affida
all'arcidiacono e bibliotecario Donato. I genitori sono felici nel sentire che
Gregorio legge in modo irreprensibile ed è dolcissimo nel canto.
Un giorno Gregorio,
diciottenne, scopre la Vita di san Basilio il Grande; leggendola diligentemente
più volte, è preso dal desiderio di visitare i Luoghi Santi, dove Basilio
ricevette la Grazia del Santo Spirito.
A Gerusalemme
Una notte un uomo appare
in sogno a Gregorio e gli dice: "Poiché hai chiesto di vedere Gerusalemme
e avere la gioia di visitare quei luoghi santi, di buon mattino portati al mare
e troverai chi che ti prenderà con sé". L’arcidiacono Donato, che dorme
nella stessa stanza con Gregorio, si rende conto della visione ma il giovane,
di buon mattino si alza senza dirgli nulla, e scende verso la foce
dell’Akragas, il fiume che gira attorno alla città per unirsi allo Ypsas. Nello
stesso momento, approda una nave per rifornirsi d’acqua potabile. Avvicinatosi,
Gregorio viene a sapere che la nave è diretta a Cartagine. E’ il 30 giugno.
Gregorio ottiene il permesso d’imbarcarsi: proprio allora sorge vento
favorevole; la nave esce dal fiume e - in tre giorni - approda a Cartagine.
Varo, il comandante, durante la traversata era stato tentato di vendere
Gregorio come schiavo: ammirato al vedere il giovane pregare senza
interruzione, ora lo ospita a casa sua, in una stanza appartata e
tranquilla.
Gregorio non esce mai
dalla camera, dedito completamente a una somma ascesi; ogni due giorni - a
volte, anche dopo tre o dopo un'intera settimana - si nutre con un poco di
pane, acqua e verdure scondite. Varo, vedendo la pazienza e la lunga costanza
di Gregorio, ne parla al vescovo. Il vescovo manda l'arcidiacono a chiamarlo:
lo trova intento a leggere un libro sul martirio dei santi Maccabei. Il giovane
si presenta al vescovo: "Mi chiamo Gregorio, vengo dalla città
d’Agrigento, della provincia di Sicilia, e vado, se Dio me lo concede per le
tue sante preghiere, nella santa Sion". Gli dice il vescovo: "Nostro
Signore Gesù Cristo adempia pienamente il tuo desiderio nella grazia del Santo
Spirito! Resta tra noi sino alle sante feste [?] e il Signore Dio provvederà
per noi quello che vorrà".
Dopo alcuni giorni,
Gregorio si trova nel martyrion di san Giuliano quando, ecco comparire tre
monaci. Uno di loro gli dice: "Gregorio, Dio ci ha manifestato tutto ciò
che ti riguarda; Dio ci ha mandato per aggregarti a noi e condurti ai Luoghi
Santi, come tu desideri, perché anche noi vi andiamo". Il comandante dà
loro pane e sapa, marmellata di mosto; Gregorio, unitosi ai tre pellegrini,
parte da Cartagine; dopo venti giorni di cammino - arriva a Tripoli e sale al
martyrion di san Leonzio. Passano trenta giorni e, lasciata Tripoli, i monaci e
Gregorio riprendono la loro via: dopo quattro mesi giungono a Gerusalemme e si
fermano per la quaresima in un monastero presso la Città santa. Igumeno di quel
monastero è un uomo di spirito profetico; egli conferma Gregorio nella vita
monastica e nella pratica ascetica e sacerdotale. Avvicinandosi la Grande
Settimana, in quel monastero Gregorio vede grandi, straordinarie, incredibili
meraviglie: vede uomini che dalla terra salgono al cielo (4).
Giunto il triduo sacro
della Risurrezione, l'igumeno si reca nella Città Santa con i suoi ospiti.
Entrano nella basilica dell’Anàstasis, venerano i santi luoghi attorno, si
comunicano al vivificante corpo e prezioso sangue del Signore Dio.
Il santissimo arcivescovo
Macario di Gerusalemme ospita Gregorio e i tre monaci vicino all'episcopio.
Terminato l'Ufficio notturno e il Mattutino, l'arcivescovo riceve i vescovi, i
presbiteri, i monaci e tutto il popolo, rivolgendo loro un discorso sulla
conversione. All’abate che accompagna Gregorio, l'arcivescovo poi dice:
"Salve, signor Marco, donde ci conduci il giovane Gregorio?" Gregorio
si stupisce molto, al sentirsi chiamare per nome: lui stesso non conosceva il
nome dell’abate e degli altri due monaci, pur essendo stato tanto tempo con
loro. L'arcivescovo, infatti, fa il nome anche degli altri due: "Abate
Serapione, abate Leonzio, ringrazio Dio che ci fortifica in Cristo Gesù e che
ci giustifica per mezzo della Grazia del Santo Spirito che ha guidato ai Luoghi
Santi quest'uomo che vive della preghiera continua. Vi devo ancora dire altre
cose intorno a questo giovane, ma, poiché è il tempo del sacrificio divino, vi
riferirò dopo intorno a lui ciò che il Signore mi ha fatto
conoscere".
L'arcivescovo entra in
chiesa per compiere la sacra Mistagogia: Gregorio, che è a destra dell’ambone,
può vedere la Grazia del Santo Spirito che illumina il santo arcivescovo
Macario.
Dopo aver partecipato ai
santi misteri, l'arcivescovo invita a mensa Gregorio con i tre monaci; anche
l'igumeno del monastero con i fratelli pranzarono con l'arcivescovo domenica di
Pasqua [6 aprile 665, o 671, o 676]. Il giorno dopo, i tre monaci si
allontanano per salutare i monaci che vivono attorno alla santa Sion; Gregorio,
allora, chiede all’arcivescovo: "Santissimo padre Macario, di dove sono
questi uomini? lo ho ritenuto che questi uomini fossero dei Luoghi Santi".
L'arcivescovo risponde: "Sono di Roma Antica, lontani da essa circa tre
chilometri, e vogliono ritornarvi". Gregorio: "Temo di non rivederli
più". L'arcivescovo: "No, figlio; torneranno qui la prossima santa
domenica".
Nella settimana di
Pasqua, Gregorio abita con l'arcivescovo, lo assiste nelle cerimonie sacre e
l'imita nel modo di vivere. Ogni giorno Gregorio legge in modo impeccabile i
libri, li intende con molto acume e si mostra valente nella loro
interpretazione, perseverando nella preghiera.
Venuta la domenica
dell’Antipascha, verso sera, tornano i monaci nella santa Sion. L’indomani, il
santissimo arcivescovo Macario, avendoli salutati col bacio santo, congeda
Marco, Serapione e Leonzio. Gregorio, allora, piange: "Che cosa farò? Come
potrò stare lontano da voi? Dove mi lasciate?" L'abate: "Non
piangere: ti affidiamo al Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, e al
nostro comune padre spirituale, il santo arcivescovo Macario". E, presolo
per mano, l'abate lo conduce ai piedi di Macario dicendo: "Padre
reverendissimo, lui, un giorno, avrà il governo della Chiesa e con il timone
spirituale della dottrina la reggerà illesa. Tu, o padre di tutti noi, prendi
cura di lui in modo che la bellezza della sua anima rimanga sempre splendida,
non contaminandosi con le macchie della gioventù, e non lasciare di sostenerlo
e fortificarlo con gli insegnamenti della tua magnanima fortezza". Il
santo Macario dice: "Anche tu, padre, conosci la condotta di questo
giovanetto: digiuna tutta la settimana, non si stanca mai di meditare sulle
Sacre Scritture, leggendo i sacri libri con la massima esattezza, cogliendone
il significato e interpretandoli. Figlio, se lo gradisci, rimani qui con noi:
se vuoi partire con i fratelli, vattene in pace con loro". Gregorio:
"No, signor mio, non voglio allontanarmi da qui per tutti i giorni della
mia vita". I monaci lo abbracciano piangendo e si allontanano dalla Città
Santa il 15 aprile, due giorni dopo della santa domenica dopo Pasqua; Gregorio
rimane in Gerusalemme, visitando i Luoghi santi, i monasteri e i kellia degli
uomini santi.
Partiti da Gerusalemme,
il giorno 1 giugno i monaci arrivano a Tripoli, s’imbarcano su una nave del
vescovo di Palermo, proprio in punto per la traversata, e il 15 giugno
approdano in Sicilia, dalle parti di Plintiade [Fintiade; oggi: Licata, AG],
nel luogo detto Passararia [?]. Ripreso il viaggio dopo alcuni giorni, sbarcano
vicino ad Agrigento, alla foce del fiume, dov’è il sobborgo chiamato Emporio. I
monaci vanno a bussare alla porta del monastero che sorge là [nel quartiere
portuale]. L’igumeno scende ad accoglierli ed, essendosi vicendevolmente
scambiata la riverenza, li accompagna in chiesa. Avendo pregato, l'igumeno
dice: "Come stai, abate Paolo?". Meravigliato d’essere conosciuto per
nome, l’abate chiede: "Come sta il vescovo Potamione?". Stupito a sua
volta, l’igumeno manda a dire al vescovo dei forestieri. I tre monaci si
fermano nel monastero per la Veglia notturna; l’indomani il vescovo Serapione,
tramite l’arcidiacono Donato, li invita alla Liturgia per la festa dei santi
Pietro e Paolo, e a pranzo.
L’indomani [30 giugno],
dopo aver celebrato il Mattutino, i monaci si recano all’episcopio. In quel
momento arrivano davanti all’episcopio i genitori di Gregorio, portando i
colivi per celebrare l’anniversario della scomparsa del figlio, che credono
morto. Al vedere I compagni di scuola di Gregorio, che entrano ed escono da
casa del vescovo, Teodote grida: "Figlio mio! Quale lupo ha rubato il mio
agnellino? Dov’è sotterrato mio figlio? Chi lo ha ammazzato? Chi lo ha buttato
a mare?"
All’udire lo strepito che
molta gente d’Agrigento faceva con Teodote, i monaci chiedono spiegazioni al
vescovo. Potamione racconta di Gregorio e di come è scomparso: "Abbiamo
frugato nelle grotte e nei dirupi, abbiamo fatto ricerche in tutta l’Isola, ma
non abbiamo trovato nessuna traccia". Turbato, l’abate chiede di vedere i
genitori del disperso: subito capisce che Gregorio è il figlio di Caritone; il
padre somiglia in tutto al figlio, è anche biondo come lui (5). Si chiama
l’ultimo ad aver visto Gregorio, l’arcidiacono Donato, il quale confessa d’aver
visto l’essere divino che aveva invitato il giovane alla partenza: "Per
paura non feci conoscere a nessuno la visione, temendo che non mi credessero e
anzi ritenessero che io l’avessi o venduto o ammazzato". L’abate può
quindi iniziare il suo racconto: "Una notte che eravamo alloggiati presso
la basilica di San Pietro, apparvero due uomini che ci dissero: Partite presto
per Cartagine; a casa di Varo, proprietario d’una nave, troverete un certo
Gregorio di Agrigento; accompagnatelo a Gerusalemme e presentatelo
all’arcivescovo Macario che è già stato avvertito di tutto… Trovata una nave,
in dieci giorni siamo arrivati a Cartagine e abbiamo trovato Gregorio, in
preghiera nella chiesa di San Giuliano; con lui siamo andati a Gerusalemme e la
domenica del Rinnovamento l’abbiamo lasciato dal vescovo Macario". I
genitori di Gregorio svengono, tutti gridano, l’abate specifica: "Gregorio
vive e sta bene; somiglia al padre: è biondo, ha occhi belli, bocca e naso
armoniosi, sopracciglia perfette, labbra sottili". Dopo tre giorni, i
monaci salutano il vescovo Potamione e si recano a Palermo, da dove salpano alla
volta di Roma Antica.
A Costantinopoli
A Gerusalemme, intanto,
venuta la Pentecoste, Gregorio è ordinato diacono dall’arcivescovo Macario.
Pochi giorni dopo, Gregorio si reca a visitare i monasteri del Monte degli
Ulivi e, trascorso colà un anno, s’incammina verso il deserto. Guidato da un
monaco, in venti giorni di cammino, Gregorio giunge a una piccola oasi in cui
c’è la capanna di un vecchio eremita. Rimane quattro anni col gheron, e
Gregorio con lui studia retorica attica, grammatica, filosofia e a astronomia,
come un secondo Giovanni Crisostomo (6). Tornato a Gerusalemme e chiesto il
permesso dell’arcivescovo Macario, Gregorio il 20 aprile parte per Antiochia:
il vescovo Eustazio per un anno lo ospita in un kellion dove [secondo una
tradizione altrimenti sconosciuta] san Basilio il Grande scrisse l’Exaimeron.
Dopo un anno, Gregorio si reca nella Nuova Roma, a Costantinopoli, e si dedica
allo studio delle opere del Crisostomo, dimorando nel Monastero dei Santi
Sergio e Bacco.
Avendo saputo della
presenza in quel monastero d’un giovane molto dotto, l’arcivescovo di
Costantinopoli incarica il diacono Costantino e Massimo il Filosofo di
esaminarlo. Questi vanno al monastero per la Veglia. Dopo il canto del Signore
mi hai esaminato e mi hai conosciuto [salmo 139], si legge l’omelia del
Crisostomo su Giobbe; dopo altri salmi, Gregorio stesso legge gli Arcani del
Nazianzeno: è spiegando i brani più difficili di quest’opera, che Gregorio
riscuote l’approvazione degli esaminatori. Appena il vescovo di Costantinopoli
è informato, esclama: "Ecco l’occhio della Chiesa ortodossa; Gregorio
dalla svelta mente!" (7), e chiede al diacono siciliano di fermarsi nella
Città, per partecipare a un concilio contro il fetore dell’eresia messa fuori
dagli empi Ciro [d’Alessandria, m. 642], Sergio [di Cpoli, m. 638] e Paolo [di
Cpoli, m. 653].
Il Concilio [Ecumenico
6°] iniziò pochi giorni dopo [7.11.680], alla presenza dei vescovi di
Alessandria e Antiochia e di tutti i vescovi dell’Oriente: assente giustificato
per malattia il papa di Roma (8). Gregorio vi partecipò in rappresentanza del
vescovo di Costantia di Cipro, e svergognò molti vescovi eretici che pensavano
da insensati intorno alla Trinità (9). L’imperatore Giustiniano (10) si
congratula con il giovane diacono, presentatogli dallo spatario Marciano, e lo
congeda: Gregorio parte per Roma Antica. Vi giunge il 21 giugno; dopo aver
venerato le tombe degli Apostoli, si ritira nel Monastero di San Saba
[all’Aventino].
Ad Agrigento
Intanto la Chiesa di
Agrigento è spaccata: alla morte del vescovo Teodoro, alcuni vogliono eleggere
a successore il sacerdote Sabino, altri il diacono Crescentino. Su proposta
dell’arcidiacono Euplo, si reca allora a Roma Antica una commissione, della
quale fa parte anche Caritone, il padre di Gregorio: alla notizia dell’arrivo
degli agrigentini, Gregorio si nasconde nel Monastero di Sant’Erasmo [al
Celio], pensa persino di scappare in Spagna [?]. Continuando la lite tra le due
fazioni, il papa suggerisce di accettare come vescovo colui che era stato
onorato grandemente dal Concilio di Costantinopoli: manda quindi alla ricerca
di Gregorio; lo si trova nascosto nel giardino del monastero; nonostante le sue
resistenze e proteste, Gregorio il 16 agosto è costretto a partire per la
Sicilia, accompagnato dal vescovo Felice. Il 10 settembre la nave arriva a
Palermo: Gregorio è accolto festosamente dal vescovo locale; al suo passare, un
monaco lebbroso guarisce all’istante. Gregorio sosta qualche giorno nel
metochio episcopale di Libertino (11) che la Chiesa agrigentina aveva in
Palermo, presso il tempio di San Giorgio [presso Porta Carini?]. Dopo tre
giorni Gregorio salpa da Palermo e, in due giorni di navigazione, sbarca a
Emporio d’Agrigento, nel primo pomeriggio: al suo apparire, un monaco sordomuto
guarisce. Gregorio è accolto con una solenne Litì e accompagnato nel Monastero
della Theotokos, che sorgeva all’Emporio. L’indomani le autorità civili e
militari scortano il nuovo vescovo in città: le donne attendono festanti presso
la Porta [Aurea]. Con le mogli dei diaconi e dei sacerdoti c’è anche Teodote,
la madre di Gregorio: il vescovo bacia i piedi della mamma e saluta, una per
una, le reverende signore (12).
Era il 13 settembre,
vigilia dell’Esaltazione della Croce: durante la celebrazione della divina
Mistagogia, il vescovo Felice vide che la Potenza di Dio ricopriva
Gregorio.
Il nuovo vescovo ordina
subito sacerdoti e diaconi, tre dei quali - Filadelfo, Platonico e Smaragdo [o
Erasmo?] - vanno ricordati in particolare, e inizia a visitare le famiglie di
Agrigento: prodigiosamente, guarisce la figlia del sacerdote Sabino. Ingrato,
Sabino si accorda col presbitero Crescentino – prima, erano rivali – per far
consacrare vescovo un certo Leucio. Questi, professante eretiche dottrine
sull’economia dell’incarnazione, era stato mandato in esilio proprio per
intervento di Gregorio; deposto da un sinodo locale di Laodicea, viveva a
Modiolo [?], nascosto in casa dell’Illustre Teodoro. I tre assoldano la
prostituta Evodia, anzi la costringono; mentre Gregorio è in chiesa per il
Mesonittico, la nascondono nella camera del vescovo, avendo corrotto i portinai
Tribuno e Danatzane; l’indomani i tre fanno scoppiare lo scandalo. Gregorio è
arrestato e incarcerato nella stessa prigione in cui, al tempo di Tircano [?],
fu martirizzato di spada il vescovo di Lilibeo [Marsala, TP] san Gregorio (13).
La maggior parte degli agrigentini, tuttavia, non crede alle accuse: i
congiurati coinvolgono allora Tiberio, il diacono del Papa, che in quei giorni
si trovava a Filosofiana [Sofiana, presso Mazzarino -EN]; questi accorre ad
Agrigento per processare Gregorio. Riunite nel Foro, le autorità locali si
ribellano: "Non è legittimo che tu giudichi quest’uomo – dicono al diacono
pontificio – e non è legale che Gregorio sia processato da te e non da un
sinodo". Al diacono del Papa non resta che rapire Gregorio: di nascosto,
nottetempo, insieme al diacono Platonico, il vescovo è costretto a imbarcarsi
su una nave che fa rotta per Roma Antica; il marinaio Procopio è latore
dell’atto d’accusa. La notizia che il vescovo è stato tradotto a Roma si diffonde
subito e dilaga la rivolta: a stento il diacono pontificio si sottrae alla
furia degli abitanti che vogliono ucciderlo, a stento riesce a scappare. I
notabili d’Agrigento protestano con l’Arconte della Sicilia e con il vescovo di
Siracusa [metropolita dell’Isola]: questi inviano una squadra di duecento
uomini [per garantire l’ordine pubblico?] e un arcidiacono per mettere i
sigilli all’episcopio di Agrigento.
In carcere a Roma
Giunto a Roma, Gregorio è
messo in prigione: o scelleratezza, o durezza di cuore, o cattiveria di cui era
pieno il Papa! (14) Solo dopo un anno si ricordò del misero vescovo in catene!
Si presenta, infatti, a lui l’abate Marco di San Saba per insistere: il Papa
non ha il diritto di processare Gregorio senza aver prima sentito il parere
dell’arcivescovo di Costantinopoli e, soprattutto, dell’imperatore. Subdolo è
l’atteggiamento del Papa, che convoca subito - il 10 luglio - gli accusatori
del vescovo agrigentino: sa bene che la missiva indirizzata all’Imperatore e al
Patriarca Ecumenico, giungerà a Costantinopoli mesi dopo. L’imperatore e il
patriarca, tuttavia, nominano una commissione composta dai vescovi di Ancira,
Cizico e Corinto, dal diacono Costantino (skevofilax della Grande Chiesa) e
dallo spatario Marciano, con l’incarico di recarsi a Roma Antica per convocare
un Sinodo. Giunti a Roma, questi inorridiscono al vedere la terribile prigione
in cui era tenuto lo "straniero" - come a Roma era chiamato il
siciliano Gregorio - in attesa di processo da quasi due anni e mezzo. Il Papa
allora prende tempo: il processo si apre solo dopo la Pasqua dell’anno
successivo, nel tempio di Sant’Ippolito, presso il carcere [presso San Pietro
in Vincoli]. La composizione è chiaramente sbilanciata: il Papa e circa 110
giurati contro Gregorio, la Delegazione Imperiale e Patriarcale e pochi altri a
favore. Prende la parola il vescovo di Ancira, in difesa di Gregorio o,
piuttosto, della legalità: pretende che testimoni e accusatori siano
interrogati in presenza dell’accusato (15). Colpo di scena: proprio l’infelice
Evodia smantella l’impianto accusatorio e confessa l’ignobile tranello,
chiamando in causa gli indegni Sabino e Crescentino.
L’indomani il processo
continua nella basilica di San Pietro, nell’atrio detto di Sant’Andrea. Sabino
è condannato all’esilio in Tracia e Crescentino in Spagna, insieme a Leucio;
altri, coinvolti nella vicenda, sono confinati chi a Ravenna e chi tra i
Baschi; altri ancora finiscono in carcere nella stessa Roma Antica. Evodia fu
rinchiusa nel Monastero di Santa Cecilia dove trascorse in penitenza gli ultimi
anni, ventidue, della sua vita. Il sinodo condanna persino i futuri eredi dei
colpevoli, e ordina la ricostruzione della cattolica, della chiesa centrale
d’Agrigento, profanata dall’empio Lucio (il quale aveva persino ribaltato
l’altare per trarne e distruggere le reliquie in esso custodite). Alla Chiesa
di Agrigento, infine, si assegnano i beni demaniali sui quali avanzava pretese
la Chiesa di Roma: addirittura, la metà della città siciliana, come documentato
da rescritto imperiale che Gregorio curò di procurarsi a Costantinopoli.
(16)
Gregorio
riabilitato
Dopo il processo,
infatti, l’imperatore invita Gregorio a Nuova Roma: insieme al vescovo
agrigentino, Giustiniano [II] dedica tutta la quaresima a formulare sacri
canoni a beneficio della Chiesa universale (17); Gregorio approfitta della sua
permanenza nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco per tenere discorsi sui
dogmi, sulla quaresima, su san Pietro, su sant’Andrea, ecc.
Gregorio fa quindi
ritorno ad Agrigento, colmo di doni avuti dall’imperatore e dalla sua sposa
[Teodora]: tra accoglierlo c’è ancora il padre e, tra le reverende presbitere,
anche la madre; Gregorio non vuole però entrare nell’episcopio (18), e si
stabilisce presso il tempio dedicato a Eber e Raps [divinità puniche = Eracle e
Trittolemo o Castore e Polluce?] che trasforma in chiesa cristiana, dedicata ai
santi Pietro e Paolo; la precedente cattedrale, infatti, era stata riconsacrata
– o meglio, profanata – da due compari di Leucio, gli eretici vescovi del
Grande Ponto e di Seleucia (19). Gregorio morì in pace, dopo una lunga vita e
dopo aver edificato il popolo con molti miracoli (20).
NOTE
1) Si attribuiscono al
papa Gregorio I (590\604) un migliaio circa di Epistole, verosimilmente redatte
sul finire dell’8° secolo da compilatori di facsimili per la Curia Pontificia,
o – come esercitazione scolastica - da "concorrenti" alla
Cancelleria, oppure da quei falsari che confezionarono i documenti esibiti a
Carlomagno da Adriano I per giustificare le pretese territoriali del Papato. E’
verosimile che alcuni "casi" liturgici e morali, risolti nelle
Epistole, siano stati tratti dal Racconto di Leonzio e fittiziamente riferiti
all’età gregoriana.
2) Per accordare il
Racconto all’Epistolario psudo-gregoriano, è necessario falsificare il testo
trasmesso dalla tradizione, cambiando quasi tutti i nomi citati dall’agiografo
(patriarca Macario: Giovanni VI; imperatore Giustiniano II: Maurizio; ecc.) ed
eliminando sia la menzione degli eretici Sergio, Ciro e Paolo, sia dei Concili
Costantinopolitani..
3) Akragas, "la più
bella città dei mortali" (Pindaro), fondata nel 581 a.C. da cittadini di
Gela (colonia di dori-cretesi), invasa dai Normanni nel 1086, subisce la
cattolicizzazione a opera di Gerlando di Besançon, un allobrogo imparentato con
i conquistatori; per molti secoli il Patriarcato Ecumenico continua, tuttavia,
a conferire il titolo di vescovo agrigentino. Nel 20° secolo la città
riacquista l’antico nome, abbandonando quello ereditato dai Berberi (Girgenti,
da Kerkent) e la Sacra Arcidiocesi d’Italia ricostituisce una parrocchia
ortodossa.
4) Monaci in estasi o
Gregorio assiste a fenomeni di levitazione?
5) Una singolare anomalia
genetica (colorito scuro \ occhi verdi; capelli biondi \ occhi scuri),
riscontrabile in Sicilia e Grande Grecia sin dalla preistoria (tramite l’esame
del DNA), di solito è attribuita, invece, alla fusione tra l’etnia locale –
romana ortodossa - e gli invasori francogermanici. Non è l’unico caso in cui
l’agiografia (vedi, per es. san Filarete l’Ortolano) smentisce il luogo
comune.
6) In realtà, l’agiografo
pare che qui abbia copiato la Vita di san Giovanni Crisostomo.
7) In greco, grègoros =
veloce.
8) I pochi mesi del
pontificato di Agatone furono funestati da una tremenda peste che spopolò Roma
Antica: il papa morì a Concilio appena iniziato.
9) Tra gli
"insensati eretici" il Concilio condannò anche Onorio, papa di Roma Antica.
10) Il minorenne
Giustiniano II, figlio di Costantino IV che convocò e presiedette il VI
Concilio Ecumenico.
11) Secondo la
tradizione, primo vescovo d’Agrigento è un san Libertino, martire – pare – a
seguito degli editti persecutori promulgati da Valeriano (257 e 258).
12) Teodote è tra
diaconesse e presbitere perché madre d’un vescovo e sposa d’un cantore.
13) Del tutto
sconosciuto: a meno che non si tratti di quel vescovo Gregorio, fedele al dogma
di Calcedonia, giunto in Sicilia con il diacono Demetrio e l’asceta Calogero;
questi si ritirò (nascose?) nelle caverne del Monte Cronio presso Sciacca -AG,
mentre i primi due subirono il martirio (dai Vandali?).
14) Testuali parole della
Vita. Da notare: agrigentini, arconte imperiale e metropolita di Siracusa,
formano un "partito" contrapposto a quello formato da eretici,
diacono pontificio e Papa.
15) In tutta la vicenda è
evidente il contrasto tra una posizione garantista, improntata al Diritto
Romano, e una posizione giustizialista o barbarica.
16) All’epoca in cui fu
scritto il Racconto di Leonzio, a Roma Antica già era nota la leggenda alla
base della famigerata Donatio Constantini.
17) Si parla del Concilio
del 692, il Quintosesto? Gran parte dei suoi canoni tentano di riportare la
cristianità occidentale all’ortodossia della tradizione liturgica e
disciplinare.
18) Può darsi che, per
qualche tempo, Agrigento sia stata divisa tra eretici e ortodossi?
19) Il Grande Ponto è
forse l’Armenia Minore; Seleucia è il centro della Chiesa Nestoriana che in un
Sinodo del 486 permise le nozze dei vescovi: il metropolita Barsauma di Nisibi,
per "dare l’esempio", sposò la monaca Mamoe. Si noti che Sabino,
pretendente alla sede vescovile d’Agrigento, è coniugato.
20) Manca lo spazio per
elencare i molti miracoli della Vita; manca lo spazio, purtroppo, per riportare
le tante preghiere disseminate nel testo e che, messe insieme, formerebbero un
piccolo Eucologio.
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