Saint VICTOR, natif d'Italie, martyr à Damas sous Antonin (vers 160).
(Office à saint Victor traduit en français par le père Denis Guillaume
au tome XI des Ménées.)
Santo
Menna del Sannio eremita (verso il 583)
santo
Patrono di Vitulano, nacque a Vitulano nel VI secolo d.C. all’epoca della
dominazione longobarda. E’ il vir
Dei di S. Gregorio
Magno che lo ricorda nei suoi Dialoghi. Le incalzanti dominazioni barbariche
devastarono il Sannio e indussero San Menna a rifugiarsi, solitario eremita,
sui monti della sua terra. Invocato, soprattutto, per il latte materno da
parte delle donne che ne erano sprovviste, la sua fama ben presto si diffuse in
tutta l’Italia meridionale, trovando maggiore slancio dopo la conversione dei
Longobardi del Sannio al Cristianesimo (VII secolo d.C.). La sua vita, i fatti
prodigiosi a lui attribuiti e la sua opera di difensore dei deboli e della
tradizione religiosa ne fecero l’”Apostolo del
Sannio“. Morì intorno al 583
Nel 1094 Roberto conte di Alife e di Caiazzo
fece trasportare le reliquie dell’eremita, rinvenute in un oratorio sul Monte
Taburno, nella Cattedrale di Caiazzo. In seguito le reliquie furono trasferite
in S. Agata de’ Goti, in una chiesa che porta oggi il suo nome e che Papa
Pasquale II consacrò nel 1110.
Fu
eletto il 10 aprile 1705, in solenni assemblee di popolo e di clero, Patrono
di Vitulano. E’ venerato sia nella Valle Vitulanese che in molte diocesi
dell’Italia meridionale.
Santo Bartolomeo da Rossano ,greco di
Calabria,discepolo e agiografo di San Nilo da Rossano, igumeno dei monaci di
Grottaferrata nei pressi di Roma(tra il 1054 e il 1055)
nacque a Rossano nel 980 circa da una
nobile famiglia discendente da Costantinopoli. Venne battezzato con il nome di
Basilio. Manifestò fin da piccolo grande interesse per la vita monastica tanto
che i nobili genitori decisero di affidarlo, all’età di sette anni, ai monaci
del monastero di san Giovanni Calibita in Coloveto.
Poi, attratto dalla fama di
Nilo, lo raggiunse nel monastero di S. Michele a Vallelucio, ai piedi di Monte
Cassino, e lì rivestì l'abito monastico. Seguì il maestro allorché questi,
verso la fine del 994, dopo la morte dell'abate di Monte Cassino Aligerno e
l'elezione di Mansone, si spostò con un gruppo di monaci a Serperi, presso
Gaeta, per sottrarre la comunità alla corruzione che da Monte Cassino, sotto il
nuovo abate, dilagava. Molto probabilmente accompagnò a Roma Nilo quando, tra
il 998 e l’anno 1000 , vi si recò per intercedere presso Gregorio V e Ottone
III in favore dell'antipapa Giovanni XVI (Giovanni Filagato), suo conterraneo.
Nel 1004 si trasferì col maestro nel Tuscolano, nel monastero greco di
Sant'Agata, che fu la sede dei monaci di s. Nilo prima che venisse fondata la
Badia di Grottaferrata..
Dopo la morte a Grottaferrata di Nilo, nel 1004, Bartolomeo.
ne continuò l'opera, pur
non volendo assumere immediatamente il titolo di abate (igumeno), che tuttavia
accettò più tardi, dopo Paolo e Cirìllo, immediatì successori di Nilo. Curò la
costruzione già iniziata della Badia di Grottaferrata e fece edificare, con
materiale tratto dalle antiche ville tuscolane vicine, la chiesa che fu
dedicata alla Vergine e consacrata il 7 dic. 1024 da Giovanni XIX. Prese parte
a vari sinodi durante il pontificato di Benedetto IX, e nell'aprile del 1044
intervenne al concilio lateranense. Su Benedetto IX avrebbe avuto notevole
ascendente sì da indurlo a rinunciare al papato e a intraprendere una vita di
penitenza nel monastero di Grottaferrata: la morte del papa nel monastero è,
comunque, tradizione assai improbabile. Nel 1045 si recò a Salerno per intercedere presso
Guaimaro V in favore di Adenolfo, duca di Gaeta, che era stato fatto
prigioniero e rinchiuso nella fortezza di Salerno. Per la sua mediazione Adenolfo avrebbe ottenuto il
dominio di un altro territorio Bartolomeo morì verso la metà del secolo,
probabilmente nel 1055 e venne sepolto accanto a san Nilo nella cappella a loro
intitolata nel monastero laziale. I loro resti rimasero a Grottaferrata fino al
1300; dopo questa data è scomparsa ogni traccia delle loro reliquie
Copista di molti codici, Bartolomeo è
considerato il più grande innografo del secolo XI. Fra le sue opere ricordiamo il “Typicon”, codice
liturgico-disciplinare per il monastero; ma quella che è definita come la
principale è la biografia di san Nilo.
Nella biografia del Santo, si narra anche un miracolo che sottolinea il suo amore per i poveri, accaduto pochi anni dopo la morte.
Il protagonista di questo evento è un monaco di nome Franco, il quale in fin di vita ed incapace di parlare, guarisce miracolosamente. Costui raccontò ai confratelli ormai pronti per la sepoltura che nel sonno aveva visto due colombe, una bianca e una nera, avvicinarsi a lui e guidarlo in un campo pieno di luce in cui vi era Bartolomeo con una moltitudine di poveri.
A tutti diede del pane, entrando poi in un bellissimo palazzo nel quale vi era una donna di irripetibile bellezza, cioè la Vergine Maria. Qui Bartolomeo rivolgendosi al monaco Franco lo consiglia di ricordare ai rimanenti monaci di Grottaferrata di essere misericordiosi nei confronti dei poveri.
Sia il Bios più antico, sia il più tardo encomio, sia il sinassario, come anche inni scritti in suo onore, sono concordi nel ricordare e celebrare l'attività melodico-innografica di Bartolomeo. L'edizíone degli inni sacri da lui composti dovuta al Giovanelli (1956) presenta 54 inni tra canoni, contaci, ecc. (di cui 34 sarebbero attribuiti a lui con sicurezza, gli altri 20 con notevole probabilità), tratti dagli antichi triodi e menei conservati in manoscritti della Badia di Grottaferrata o da essa provenienti. In tali inni Bartolomeo celebra soprattutto santi dell'Occidente, che non avevano avuto un innografo di tradizione costantinopolitana che li celebrasse: santi italogreci, come Giovanni Theristis e Nilo; italiani, come Cesario di Terracina, Cecilia di Roma, Vitale e Apollinare di Ravenna; siciliani, come Lucia di Siracusa, Agata e Leone di Catania, Afflo, Filadelfo e Cirino di Lentini, od occidentali, come Martino di Tours; ma vi sono anche inni per i santi in onore dei quali il monastero possedeva chiese e reliquie, come Bartolomeo Apostolo, Nicola di Mira, Barbara, Matrona, i 40 martiri di Sebastia, ecc., o per gli Apostoli. Particolarmente numerosi sono gli inni che celebrano la Vergine e i suoi principali misteri: la natività, il parto, la divina maternità, la presentazione al tempio, l'assunzione al cielo. In lode della Vergine è anche l'inno per la consacrazione della chiesa di Grottaferrata. L'innografia di Bartolomeo viene esaltata dalle fonti criptensi con alte lodi e vien paragonata a quella dei maggiori innografi bizantini, Romano il Melode, Giovanni Damasceno, Cosma di Mayuma, Giuseppe innografò. In realtà Bartolomeo. seguendo le orme di Nilo, diede inizio alla scuola innografica criptense, la quale in Occidente diede nuova vita alla innografia sacra che nell'Oriente, dopo aver avuto rappresentanti insigni, come Romano il Melode (sec. VI) e Andrea di Creta (sec. VIII), dal X sec. era andata decadendo. Bartolomeo si ispira particolarmente a Giuseppe innografo. Perfetta è la sua conoscenza della metrica e delle altre norme, anche delle più complesse, che regolano l'innografia.
Nella biografia del Santo, si narra anche un miracolo che sottolinea il suo amore per i poveri, accaduto pochi anni dopo la morte.
Il protagonista di questo evento è un monaco di nome Franco, il quale in fin di vita ed incapace di parlare, guarisce miracolosamente. Costui raccontò ai confratelli ormai pronti per la sepoltura che nel sonno aveva visto due colombe, una bianca e una nera, avvicinarsi a lui e guidarlo in un campo pieno di luce in cui vi era Bartolomeo con una moltitudine di poveri.
A tutti diede del pane, entrando poi in un bellissimo palazzo nel quale vi era una donna di irripetibile bellezza, cioè la Vergine Maria. Qui Bartolomeo rivolgendosi al monaco Franco lo consiglia di ricordare ai rimanenti monaci di Grottaferrata di essere misericordiosi nei confronti dei poveri.
Sia il Bios più antico, sia il più tardo encomio, sia il sinassario, come anche inni scritti in suo onore, sono concordi nel ricordare e celebrare l'attività melodico-innografica di Bartolomeo. L'edizíone degli inni sacri da lui composti dovuta al Giovanelli (1956) presenta 54 inni tra canoni, contaci, ecc. (di cui 34 sarebbero attribuiti a lui con sicurezza, gli altri 20 con notevole probabilità), tratti dagli antichi triodi e menei conservati in manoscritti della Badia di Grottaferrata o da essa provenienti. In tali inni Bartolomeo celebra soprattutto santi dell'Occidente, che non avevano avuto un innografo di tradizione costantinopolitana che li celebrasse: santi italogreci, come Giovanni Theristis e Nilo; italiani, come Cesario di Terracina, Cecilia di Roma, Vitale e Apollinare di Ravenna; siciliani, come Lucia di Siracusa, Agata e Leone di Catania, Afflo, Filadelfo e Cirino di Lentini, od occidentali, come Martino di Tours; ma vi sono anche inni per i santi in onore dei quali il monastero possedeva chiese e reliquie, come Bartolomeo Apostolo, Nicola di Mira, Barbara, Matrona, i 40 martiri di Sebastia, ecc., o per gli Apostoli. Particolarmente numerosi sono gli inni che celebrano la Vergine e i suoi principali misteri: la natività, il parto, la divina maternità, la presentazione al tempio, l'assunzione al cielo. In lode della Vergine è anche l'inno per la consacrazione della chiesa di Grottaferrata. L'innografia di Bartolomeo viene esaltata dalle fonti criptensi con alte lodi e vien paragonata a quella dei maggiori innografi bizantini, Romano il Melode, Giovanni Damasceno, Cosma di Mayuma, Giuseppe innografò. In realtà Bartolomeo. seguendo le orme di Nilo, diede inizio alla scuola innografica criptense, la quale in Occidente diede nuova vita alla innografia sacra che nell'Oriente, dopo aver avuto rappresentanti insigni, come Romano il Melode (sec. VI) e Andrea di Creta (sec. VIII), dal X sec. era andata decadendo. Bartolomeo si ispira particolarmente a Giuseppe innografo. Perfetta è la sua conoscenza della metrica e delle altre norme, anche delle più complesse, che regolano l'innografia.
A Bartolomeo viene attribuito da una perenne tradizione
della Badia criptense anche il Bios del suo maestro Nilo.
La
vita di s. Nilo, oltre al valore agiografico e letterario, che la pone in
primissimo piano tra i testi agiografici dell'Italia meridionale, ne ha uno non
minore dal punto di vista storico. Essa ci informa ampiamente sulle condizioni
della vita monastica del Mezzogiomo, sui rapporti tra i monaci greci venuti in
Campania e i monaci latini di S. Benedetto dell'abbazia di Monte Cassino,
rapporti che nonostante le differenze profonde nella disciplina e nei riti
furono cordiali sotto il pio abate Aligemo, mentre peggiorarono sotto il
mondano Mansone, su cui viene espresso dal biografo un giudizio severo
confermato del resto dalle cronache uffliciali di Monte Cassino; ci fa anche
penetrare nella vita economica e sociale delle province meridionali per il
periodo bizantino , vita resa ancor più difficile e burrascosa dalle incursioni
saracene, cui l'Impero non era in grado di far fronte. E infine ci fa intravedere
l'azione politica svolta da Nilo (e continuata dalla comunità criptense) per la
fine della corruzione ecclesiastica e sociale e per la rinascita spirituale del
ministero del papa di Roma
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.