Santi Graziano e Felino, Carpoforo e Fedele Martiri a Perugia sotto Decio venerati in Piemonte ad Arona nel territorio di Novara(verso il 250)
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http://www.santiebeati.it/dettaglio/92257
La città di Arona, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore in diocesi e provincia di Novara, festeggia come suoi santi patroni due coppie di martiri: Graziano e Felino, Carpoforo e Fedele. Essi sono ancora oggi i protagonisti della celebre festa del Tredicino, che si svolge annualmente sulle sponde del lago nel mese di marzo. L’origine della festa, che ricorre propriamente il 13 del mese, da cui il nome popolare di tredicino, è collegata alla presenza ad Arona delle reliquie dei quattro santi,
Per comprendere il motivo dell’importanza assunta da questa ricorrenza e fare chiarezza sull’identità dei santi martiri, si deve necessariamente partire dalle notizie riportate in un documento, tutt’ora conservato nell’archivio parrocchiale, risalente, per le parti più antiche, al X secolo. Il manoscritto si compone di 249 fogli in pergamena ed è redatto, con caratteri gotici, in latino medievale Tra le molte e varie notizie che vi sono riportate, compare anche una narrazione della passio dei Santi Gratiniano o Graziano e Felino e della traslazione delle loro reliquie ad Arona. Secondo il racconto, Gratiniano e Felino erano due soldati romani di stanza a Perugia, convertiti al cristianesimo dal vescovo della città, dal quale furono poi battezzati. Durante la persecuzione dell’imperatore Decio, essi sarebbero stati martirizzati, insieme ad altri cristiani, per non aver voluto rinnegare la loro fede; I loro corpi vennero sepolti in un terreno non lontano dal luogo del martirio. Nel 979, il conte del Seprio Amizzone, capitano di truppe al soldo dell’imperatore Ottone I, avrebbe trasferito, col permesso del vescovo, i resti dei due santi ad Arona, per farne dono al costruendo monastero che ne avrebbe poi preso il nome. La fondazione del cenobio da parte dello stesso Amizzone, venne intrapresa come penitenza per una scomunica che gli era stata inflitta in seguito all’incendio che i suoi soldati avevano appiccato al portico della basilica romana di San Paolo sulla Via Ostiense.
La critica agiografica tende a considerare leggendaria la vicenda dei due martiri perugini che, secondo alcuni studiosi, andrebbero identificati con i martiri Gratiliano e Felicissima. Se tale assimilazione corrisponde a verità, è comunque certo che al tempo di Amizzone si era già verificato uno sdoppiamento della coppi a di santi, forse per un errata lettura o trascrizione di Gratiliano, trasformato in Gratiniano e della sigla Fel. interpretata come Felino o anziché Felicissima.
Ancora maggiori problemi di identificazione pone l’altra coppia di martiri: Carpoforo e Fedele, di cui ci vengono fornite notizie da padre Francescantonio Zaccaria, un gesuita del settecento che ricercò e studiò molti documenti esistenti negli archivi aronesi. Egli ricorda la tradizione locale che voleva i resti dei due santi, anch’essi soldati romani ritenuti appartenenti alla famosa Legione Tebea, traslati nella città per opera di un religioso del monastero, per forse salvarle da eventuali saccheggi all’epoca di una delle guerre combattute tra Milano e Como. Quest’ultima città ha tuttavia sempre contestato ad Arona il possesso dei resti di San Fedele, custoditi gelosamente nella locale chiesa che porta il suo nome. Il martirio del santo è, infatti, avvenuto sulla sponda settentrionale del Lario, nei pressi di Samolaco, ove sarebbe stato raggiunto dai soldati imperiali incaricati di ucciderlo. Il suo corpo, deposto inizialmente in un sepolcro sul quale venne edificata una chiesa, fu trasportato a Como nel 964. Lungo i secoli molti sono le testimonianze che accrediterebbero la presenza in questa città delle reliquie del santo, le più importanti delle quali sono relative alle ricognizioni cui esse furono sottoposte da parte dei vescovi locali. Una avvenne nel 1365, dopo una quindicina di anni dalla presunta traslazione arnese (che il Bascapè colloca nel 1350) mentre un'altra nel 1638; nella prima il vescovo Stefano Gatti fece incidere sulla cassa che conteneva i sacri resti: Qui giace tutto ed integro il corpo del martire Fedele, quasi in risposta alle pretese della cittadina sul del Verbano. Qui vari documenti, risalenti al 1259 ed al 1321, testimoniano tuttavia l’esistenza di una venerazione in Arona per questo santo ed il suo compagno Carpoforo, dei quali si dice appunto di possedere i sacri corpi. Una ulteriore testimonianza a favore degli aronesi verrebbe da uno scritto di Goffredo da Bussero (1220 – 1289 ca.) il quale, parlando del gruppo dei presunti martiri tebei uccisi nei territori lombardi, afferma: sed horum duo corpora ad monasterium de Arona dati sunt. L’autore non specifica però di quali santi tra Fedele, Carpoforo, Cassio, Essanto, Licinio, Severo e Secondo, vennero donati i resti.
Nel febbraio del 1576 San Carlo Borromeo, dispose che venissero trasferite a Milano le ossa dei Santi Carpoforo e Fedele ritrovate, circa un secolo prima (1487), in un muro della chiesa abbaziale durante dei lavori nell’edificio; la sua intenzione era quella di collocarle nella erigenda chiesa milanese a loro dedicata. Benché non esistesse di fatto tra la popolazione di Arona una particolare devozione verso questi due santi, bastò la notizia che le loro reliquie sarebbero state portate via dalla città per suscitare un movimento di protesta, tanto intenso quanto inaspettato. Le autorità cittadine, su pressione popolare, dovettero rivolgersi al Borromeo, giungendo infine ad un compromesso col quale si decise di riportare ad Arona le ossa dei due avambracci sinistri dei martiri. La restituzione avvenne il 13 marzo dello stesso anno, nella cornice di una grandiosa festa di popolo che le cronache dell’epoca ricordano come memorabile, con la partecipazione di trenta, forse quarantamila persone giunte da ogni centro sulla sponda del lago. Il consiglio cittadino decretò che ogni anno l’anniversario di tale ricorrenza sarebbe stato decretato giorno festivo e autorizzò per l’occasione lo svolgimento di una fiera che, col passare dei secoli, crebbe sempre più d’importanza, attirando sulle sponde del lago migliaia di persone. Al ricordo di tale restituzione venne unita anche la commemorazione per gli altri due martiri Gratiniano e Felino, unificando in tale data la loro festa, un tempo celebrata nella terza domenica dopo Pentecoste.
A prescindere dalle vicende biografiche delle due coppie di martiri, rimane insoluto il problema dell’identificazione delle loro reliquie. Si può ipotizzare che per quanto riguarda Gratiniano e Felino, giunsero dall’Umbria solo parte dei resti dei due martiri che, se identificati con Gratiliano e Felicissima, ancora riposerebbero rispettivamente nella cattedrale di Civita Castellana e nella chiesa di San Sisto a Viterbo. Per Carpoforo e Fedele resta il dubbio, se si deve dar credito alla notizia della traslazione, circa quali corpi siano stati trasferiti ad Arona, visto che anche nel caso di San Carpoforo, oltre a quello già ricordato per san Fedele, i comaschi ne venerano le reliquie presso l’attuale chiesa parrocchiale di Santa Brigida nel borgo di Camerata, ivi trasferite, nel 1932, dalla vicina basilica romanica sorta in suo onore. Soltanto un’accurata ricognizione, accompagnata da una indagine anatomica scientifica ed un confronto con i depositi di Como, potrebbe aiutare a fare ulteriore chiarezza sulla provenienza ed identificazione delle reliquie aronesi. I resti dei Santi Gratiniano e Felino sono conservati, dal’700, in un sacello sopra l’altare maggiore, mentre i due avambracci dei Santi Carpoforo e Fedele, restituiti dal Borromeo, sono custoditi in un cofanetto reliquiario sull’altare della seconda cappella di destra.
Nell’arte locale i quattro santi sono raffigurati in abiti militari rinascimentali, senza particolari attributi che li contraddistinguano; i più importanti esempi sono ovviamente conservati nella chiesa loro intitolata ad Arona. In particolare si possono ricordare: la pala quattrocentesca, dell'abate Calagrani, opera di Ambrogio Bergognone (1489), collocata sulla parete del coro dietro all'altare e i rilievi marmorei laterali dell’altare maggiore, probabilmente eseguiti dallo scultore "Pollicetus de Luonibus" di Milano.
Nella diocesi di Como la loro memoria si celebra il 7 agosto.
Tratto da
TESTIMONI DELLA FEDE - Diocesi Perugia
alle reliquie dei due santi è legata una singolare
storia, raccontata dagli Acta Aronensia. Il conte Amizzone del Seprio,
un feudatario di Ottone I, che nel 963 aveva devastato in Roma la basilica di
San Paolo fuori le Mura, volendo riparare il male arrecato, pensò di costruire
nel territorio di Arona (Milano) una abbazia ed una chiesa, ove trasferì i
corpi dei due martiri perugini, ottenuti dal vescovo del tempo. A tali “corpi
santi” s’interessò successivamente lo stesso san Carlo Borromeo, che li fece
trasferire a Milano per la erigenda chiesa di San Fedele. Il 28 marzo 1618 i
Decemviri di Perugia chiesero agli aronesi di poter riavere parte di quelle
reliquie, che di fatto ottennero solo nel 1713, accogliendole con festosa
processione e deponendole nella cappella interna del palazzo dei Priori, ove
era già stato custodito il “santo anello” del matrimonio di Maria e Giuseppe, e
commissionarono un ritratto dei due santi martiri a un pittore del tempo,
Giacinto Boccanera.
Al martire
Gratiniano è dedicata una piccola chiesa alle pendici del monte Tezio, nei
pressi di Pieve Petroia; su un mattone è incisa la data 1786.
Santi Martiri
Fiorenzo Marcellino Giuliano
Faustino in Umbria a Perugia
Tratto da
TESTIMONI DELLA FEDE - Diocesi Perugia
Il nome di
Fiorenzo compare in più passiones dai contorni storici incerti e
confusi, che hanno lasciato molto perplessi i Bollandisti; in un caso lo fanno
anche vescovo, ma senza alcun fondamento. Sarebbe stato martirizzato sub
Decio (250 c.) insieme ad altri cristiani, tutti decapitati al di là del
Tevere “in loco silvoso dicto Funesto” (altrove si menziona un Fanestri).
La tradizione locale indica, però, come luogo del martirio la zona di
Monterone, ove fu anche edificata una chiesa. In effetti nella chiesa di
Monterone – nei pressi dell’attuale cimitero – dedicata alla Madonna (Santa
Maria “a fenestrillo”), c’è un affresco cinquecentesco che ricorda il
martirio di san Fiorenzo.
Il vescovo
Decenzio, non meglio documentato, ne fece raccogliere i corpi dal pio
Esuperanzio, indicato nella passio come rettore d’una chiesa dedicata a
Santa Maria, che li trasferì intra moenia, nel luogo ove nel secolo VIII
sorse poi la chiesa, tuttora esistente, dedicata a San Fiorenzo.
È considerato
patrono contro le pestilenze perché alla sua protezione i perugini ricorsero
durante la grave pestilenza del 1348, portandone in processione il corpo per le
vie della città. Nel 1388 Bonifacio IX concesse indulgenza plenaria a chi
visitava la chiesa. Ai santi Fiorenzo e Lorenzo fu dedicata una chiesa a
Papiano, in diocesi di Perugia.
Santo Secondo martire ad Amelia sotto
Diocleziano nel 303
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/96813
I padri Bollandisti pubblicarono al 1
giugno degli Acta Sanctorum una Passio di San Secondo inviata loro dalla città
di Pergola. Qui le reliquie del santo erano giunte da Gubbio nel 1285. Ma
almeno una terza città, Amelia, che però in questi Acta non compare mai,
annovera tra i suoi patroni il medesimo martire.
Dal testo di una Passio di origine farfense, apprendiamo che Secondo era un soldato ed apparteneva alla famiglia dell’imperatore Aureliano (214-277).
Durante la persecuzione di Diocleziano e Massimiano (303-305) il proconsole Dionisio lo fece prelevare da Amelia, portare al suo cospetto presso il tribunale di Spoleto ma, non essendo riuscito a convincerlo ad abiurare la fede cristiana, lo fece ripetutamente torturare. Mentre veniva sottoposto ai supplizi, Secondo implorò da Dio un segno che facesse convertire i suoi persecutori; a questo punto un violento terremoto abbatté il grandioso tempio di Ercole eretto proprio in onore dell’imperatore Massimiano Erculio.
Dionisio, infuriato, ordinò allora di riportarlo ad Amelia ed affogarlo nel Tevere, che scorreva a pochi chilometri dalla città. Eseguita la sentenza, i soldati presero la via del ritorno ma un orso sbarrò loro la strada, ne uccise alcuni, mentre gli altri, terrorizzati dalla fine dei propri compagni, corsero dal sacerdote Eutizio chiedendo perdono dell’atto compiuto e facendosi poi battezzare da lui. Intanto, il corpo di Secondo, riemerso miracolosamente dal fiume, venne recuperato e sepolto da una matrona di nome Eudossia in un suo terreno appena fuori le mura di Amelia dove poi sorse la chiesa a lui dedicata.
La versione eugubina della Passio parla invece di Gubbio come residenza di Secondo, di Gubbio è anche Eudossia, e fuori della città di Gubbio ella lo fa seppellire.
Non è difficile capire come le due versioni dipendano una dall’altra, forse con una precedenza temporale per quella amerina. Va fatto anche notare come la Passio di Secondo sia sovrapponibile a quella di Valentino ed Ilario, martiri di Viterbo, venerati il 3 novembre, il cui culto è stato diffuso proprio dai monaci di Farfa, monaci benedettini che, quasi certamente, portarono tale culto anche sull’isola Polvese, sul lago Trasimeno, dove eressero una loro chiesa in onore del medesimo santo.
Un’ultima annotazione sull’affinità delle vicende del Secondo amerino con i santi Secondo di Salussola (Biella) e di Pinerolo (Torino): anche questi erano dei militari, appartenenti alla leggendaria “Legione Tebea”; così, pure il culto di San Secondo di Salussola venne diffuso da monaci benedettini, della Novalesa. A questo punto forse non è da escludere una sovrapposizione e una diffusione di culti del medesimo martire in almeno alcune delle città in cui è venerato.
Dal testo di una Passio di origine farfense, apprendiamo che Secondo era un soldato ed apparteneva alla famiglia dell’imperatore Aureliano (214-277).
Durante la persecuzione di Diocleziano e Massimiano (303-305) il proconsole Dionisio lo fece prelevare da Amelia, portare al suo cospetto presso il tribunale di Spoleto ma, non essendo riuscito a convincerlo ad abiurare la fede cristiana, lo fece ripetutamente torturare. Mentre veniva sottoposto ai supplizi, Secondo implorò da Dio un segno che facesse convertire i suoi persecutori; a questo punto un violento terremoto abbatté il grandioso tempio di Ercole eretto proprio in onore dell’imperatore Massimiano Erculio.
Dionisio, infuriato, ordinò allora di riportarlo ad Amelia ed affogarlo nel Tevere, che scorreva a pochi chilometri dalla città. Eseguita la sentenza, i soldati presero la via del ritorno ma un orso sbarrò loro la strada, ne uccise alcuni, mentre gli altri, terrorizzati dalla fine dei propri compagni, corsero dal sacerdote Eutizio chiedendo perdono dell’atto compiuto e facendosi poi battezzare da lui. Intanto, il corpo di Secondo, riemerso miracolosamente dal fiume, venne recuperato e sepolto da una matrona di nome Eudossia in un suo terreno appena fuori le mura di Amelia dove poi sorse la chiesa a lui dedicata.
La versione eugubina della Passio parla invece di Gubbio come residenza di Secondo, di Gubbio è anche Eudossia, e fuori della città di Gubbio ella lo fa seppellire.
Non è difficile capire come le due versioni dipendano una dall’altra, forse con una precedenza temporale per quella amerina. Va fatto anche notare come la Passio di Secondo sia sovrapponibile a quella di Valentino ed Ilario, martiri di Viterbo, venerati il 3 novembre, il cui culto è stato diffuso proprio dai monaci di Farfa, monaci benedettini che, quasi certamente, portarono tale culto anche sull’isola Polvese, sul lago Trasimeno, dove eressero una loro chiesa in onore del medesimo santo.
Un’ultima annotazione sull’affinità delle vicende del Secondo amerino con i santi Secondo di Salussola (Biella) e di Pinerolo (Torino): anche questi erano dei militari, appartenenti alla leggendaria “Legione Tebea”; così, pure il culto di San Secondo di Salussola venne diffuso da monaci benedettini, della Novalesa. A questo punto forse non è da escludere una sovrapposizione e una diffusione di culti del medesimo martire in almeno alcune delle città in cui è venerato.
Santo
Procolo martire a Bologna nel 304
Martirologio Romano: A Bologna, san
Procolo, martire, che per la verità cristiana fu trafitto con dei chiodi da
trave.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/55530
San Procolo è venerato ab antiquo come
martire nella Chiesa Bolognese. Paolino da Nola nel IV secolo, in occasione
della traslazione delle reliquie alla basilica di san Felice, lo associa nella
venerazione ai santi Vitale ed Agricola, e ne esalta la gloriosa testimonianza.
Vittricio di Rouen, nel libro In lode dei santi (fine sec. IV) afferma che il
culto dei martiri bolognesi è diffuso anche in Gallia. Un’antica tradizione
attesta che il luogo del martirio di Procolo era fuori dei limiti della città
romana e alto-medievale, non lontano da una porta denominata poi Procula. Il
suo corpo è tuttora custodito nel tempio a lui dedicato. Una scultorea
raffigurazione del martire è posta sull’Arca di san Domenico. Sia il
Martirologio Geronimiano sia il Martirologio Romano fissano la festa di san
Procolo al primo giugno.
Tratto da
SAN
PROCOLO TITOLARE
DELLA CHIESA FAENTINA DI PIEVE PONTE
Un
enigma agiografico
Il Vescovo di
Ravenna? Il Martire di Bologna? Il Martire Umbro?
(di Giuseppe Sgubbi)
PROCOLO martire e Procolo
vescovo di Bologna.
La presenza anche in contemporanea di due
Procolo, fatti oggetto di culto nella città di Bologna, crea non pochi
ostacoli alla loro corretta individuazione.
Un Procolo martire è ricordato nel
396 da Vittricio vescovo di Rouen (infatti nel suo De laude sanctorum XII,
si trova scritto “Curat Bononia Proculum”) e nel 403 è pure ricordato
da Paolino di Nola (Carme XXCII :“martyres Agricola et
Proculus”): entrambi avevano fra le mani alcune sue reliquie. Poi
fino alla fine del primo millennio non è più
nominato e non si ritrova a Bologna alcuna traccia del suo culto. Nel XII
secolo sarebbe stato trovato il suo corpo e deposto nell’urna attualmente
esistente nella chiesa bolognese a lui dedicata (16). Pochi anni
dopo è ricordato nella leggendaria “Passio Sancti Proculi
militis ed martiris” B.H.L 6954, e successivamente nella non meno
leggendaria “Passio Sancti Proculi Episcopi” B.H.L 6956. Da
questa ultima passio si apprende che un S. Procolo, arrivato con alcuni
compagni dalla Siria, diventa vescovo di una città umbra, poi,
perseguitato dai pagani, fugge a Bologna e diventa pure vescovo di
questa città, ma dopo poco tempo viene fatto uccidere dal re dei Goti
Totila. Si tratta più o meno di un racconto estratto di sana pianta dalla
leggenda dei XII Siri di cui si riparlerà più avanti quando passeremo in
rassegna il Procolo Umbro. Queste due leggende hanno fatto credere che fossero
esistiti a Bologna due Procolo, ma in verità si tratterebbe di uno
solo. Da tempo questo santo è a Bologna fatto oggetto di
un grande culto: a lui sono dedicate varie chiese: quella di S. Procolo
dentro le mura, con annesso monastero, la chiesa parrocchiale di
Fradusto, e due parrocchiali ora scomparse: quella di San Procolo
del Lavino, (Pieve S. Lorenzo in Collina) e quella di San
Procolo di Piderla, (Pieve Guzzano ) (17). Molte sono le
rappresentazioni di questo santo, sia in pittura che in scultura,
fra queste occorre annoverare la statuetta scolpita da Michelangelo. Da
tempi immemorabili i bolognesi considerano San Procolo il
loro protettore e lo festeggiano il 1° giugno. Non è chiaro perché
è festeggiato in tale data. Nel Martirologio Geronimiano, in mezzo ad una
selva di nomi, è ricordato al 1° giugno un San Procolo, ma non si dice
che è quello di Bologna. Su questa data dovremo comunque ritornare. Nella lista
episcopale della chiesa bolognese (Elenco Renano) (18), non compare
nessun vescovo col nome Procolo. Sorprende non poco che questo Procolo
bolognese non abbia trovato una sicura testimonianza nei due
conosciutissimi codici liturgici di Bologna , Cod. Angelica
123 e Cod. Biblioteca Universitaria 1576
(19). Nonostante il grande culto, ben poco si sa di questo Procolo: non
si sa esattamente da dove provenga, non si conosce esattamente in che periodo
sia vissuto, non si è sicuri che il corpo contenuto nell’Arca esistente nella
chiesa urbana di San Procolo sia veramente il suo, non si trova
espressamente registrato in nessun antico Martirologio (Geronimiano,
Usuardo, Adone, Floro e Beda). Le poche notizie che si conoscono
sono riportate in un non ben decifrabile lezionario
membranaceo, ora scomparso, ma a suo tempo custodito dai monaci benedettini del
monastero bolognese di S. Procolo. Gli studiosi che si sono interessati di
questo santo si sono al riguardo espressi in modo diversi: per il
Delehaye (20), alla luce delle testimonianze di Vittricio di Rouen e di
Paolino di Nola, sarebbe l’unico Procolo genuino che al seguito del
diffondersi del suo culto avrebbe “creato” gli altri fra cui quello di Pozzuoli
e quello di Ravenna. Il Lanzoni non ha mai chiaramente preso posizione,
ma in un suo manoscritto, esistente nella biblioteca comunale di Faenza (21),
esprime qualche dubbio al riguardo della esistenza di questo
Procolo. Il Pini nega decisamente l’esistenza di questo santo (22).
Questi insistenti “dubbi e riserve” hanno oscurato non poco il culto del
Procolo bolognese. Un primo doloroso risultato lo si può già
annoverare: nella restaurata immagine di bronzo argentato dei protettori
bolognesi, collocata nel nuovo altare della cattedrale di San Pietro, non
compare più san Procolo (23).
Anche al seguito delle notizie ricavate
dal Procolo bolognese (24), non sono scaturiti elementi che possano far pensare
che la primitiva dedicazione di Pieve Ponte possa essere derivata da questo
Procolo.
16) M.
Fanti, San Procolo, la chiesa, l’abbazia, leggenda e storia,
1986, pp. 37.
(17) Ibid, pp. 54.Vi sarebbe pure a
parere di R.Zagnoni, una pieve ,quella di Succida, dedicata a S: Procolo,
ma si tratta di una dedicazione con buone ragioni esclusa dal Pini.
(18) F.
Lanzoni, San Petronio vescovo di Bologna,1907, pp.201-215.
(19) A.I.
Pini, Nuove ipotesi su S.Procolo martire di Bologna ,in
“San Procolo e il suo culto”,1989 pp. 29.
(20) H. Delehaye, Les Origines du culte
des martyrs, in « Subsidia Hagiographica » 20 1933, pp 328.
(21) F.
Lanzoni , Manoscritto in biblioteca Manfrediana Faenza , LL VI
3-2/7.
(22) A.I.Pini,
Nuove ipotesi ecc op , cit, ,pp. 32.
(23) A.I.
Pini, Un’agiografia “militante”: san Procolo ,san Petronio, e il
patronato civico di Bologna medioevale, in “Atti MemRomagna”
1998, pp. 279.
(24) Molto è stato scritto su S. Procolo di
Bologna:G.B.Melloni Atti,
o Memorie degli Uomini illustri in Santità nati o morti in
Bologna,1786; S. Baldassarri,
S.Procolo, in “S.Procolo e la sua tomba”, 1943; E.M. Zanotti Storia dei santi Procolo soldato
e Procolo siro 1742: C.Degli Esposti, San Procolo, 1983 ; G.D.Gordini, voce Procolo martire
di Bologna in “Biblioteca Sanctorum”; naturalmente si vedano gli Atti
del convegno, San Procolo e il suo culto, 1989 con articoli di Pini,
Ropa, Gregorie, Zanetti, Prete, ed altri.
Santo Fortunato di
Spoleto presbitero (verso il 400)
Martirologio
Romano: Presso Montefalco in Umbria, san Fortunato, sacerdote, che, come si
tramanda, povero egli stesso, provvide con assiduo lavoro ai bisogni dei
poveri, mettendo la sua vita a servizio dei fratelli.
TRATTO
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92382
Il santo commemorato in data odierna
visse tra il IV Ed il V secolo. Originario presumibilmente della città umbra di
Montefalco, esercitò il suo ministero presbiterale nel vicino paese di Torrita.
Purtroppo non ci sono state trasmessi ulteriori dati storici sul suo conto. La
tradizione ha però tramandato un significativo dettaglio del suo pellegrinaggio
terreno: la sua attività di contadino per guadagnarsi il necessario per la
sussistenza. Per i suoi concittadini costituì sempre un grande esempio di
laboriosità, sempre contrario all’avarizia che egli considerava addirittura uno
dei vizi più temibili e dannosi, in quanto atto a spegnere la carità.
Un dì, mentre era intento a zappare la terra, Fortunato rinvenne dal sottosuolo due monete apparentemente senza valore. Interrate ed opache, pensò comunque di metterle in tasca. Verso sera, rincasando al termine del suo lavoro, incontrò per strada un povero e decise di donargliele. Miracolosamente la fiacca luce del sole ormai tramontante le fece brillare come oro puro. Temendo allora di restare vittima dell’avarizia, il santo sacerdote contadino nascose prontamente il piccolo tesoro fra le mani del povero e si allontanò. Con un così semplice gesto San Fortunato insegnò come sia possibile vincere la tentazione dell’avarizia non disprezzando la ricchezza, bensì non tenendola in considerazione più del dovuto e trasformandola così in carità.
Alla sua morte, i parrocchiani recuperarono la verga con cui era solito guidare i buoi al pascolo. L’oggetto come per incanto si animò, mise radici, rami e foglie, crebbe sino a divenire un grande albero ombroso. In particolare intorno ad esso iniziò a svilupparsi un primitivo culto verso San Fortunato, poiché sotto la sua ombra i fedeli poterono incontrarsi per ricordare la meravigliosa fiaba del loro santo buon pastore.
In seguito una chiesa in suo onore fu edificata presso l’aerea terrazza umbra di Turri, frazione di Montefalco, in provincia di Perugina, ove ancora oggi sorge il Convento San Fortunato
Un dì, mentre era intento a zappare la terra, Fortunato rinvenne dal sottosuolo due monete apparentemente senza valore. Interrate ed opache, pensò comunque di metterle in tasca. Verso sera, rincasando al termine del suo lavoro, incontrò per strada un povero e decise di donargliele. Miracolosamente la fiacca luce del sole ormai tramontante le fece brillare come oro puro. Temendo allora di restare vittima dell’avarizia, il santo sacerdote contadino nascose prontamente il piccolo tesoro fra le mani del povero e si allontanò. Con un così semplice gesto San Fortunato insegnò come sia possibile vincere la tentazione dell’avarizia non disprezzando la ricchezza, bensì non tenendola in considerazione più del dovuto e trasformandola così in carità.
Alla sua morte, i parrocchiani recuperarono la verga con cui era solito guidare i buoi al pascolo. L’oggetto come per incanto si animò, mise radici, rami e foglie, crebbe sino a divenire un grande albero ombroso. In particolare intorno ad esso iniziò a svilupparsi un primitivo culto verso San Fortunato, poiché sotto la sua ombra i fedeli poterono incontrarsi per ricordare la meravigliosa fiaba del loro santo buon pastore.
In seguito una chiesa in suo onore fu edificata presso l’aerea terrazza umbra di Turri, frazione di Montefalco, in provincia di Perugina, ove ancora oggi sorge il Convento San Fortunato
Santo Simeone italo greco
di Siracusa eremita in Palestina e monaco poi a Betlemme.Fu anche
successivamente eremita sul Sinasi e poi definitivamente in Renania .Uno degli
ultimi asceti di unità tra il Cristianesimo d’Occidente e l’Ortodossia(verso il
1035)
San
Simeone, di origini greche ma nativo di Siracusa, divise la sua vita fra la
Terra Santa e l’Europa settentrionale. Eremita e monaco in Palestina e sul
Monte Sinai, fu poi inviato con un confratello in Normandia per riscuotere un
necessario tributo dal duca Roberto II. Appresa la morte di quest’ultimo, non
restò a Simeone che porsi al servizio del vescovo di Treviri Poppone, su
consiglio dei suoi amici Riccardo, abate di Verdun, ed Eberwino, abate di San
Martino. Condusse infine vita eremitica presso Treviri, ove morì e si sviluppò
una forte fama di santità nei suoi confronti.
Martirologio Romano: A Treviri in
Lorena, oggi in Germania, san Simeone, che, nato a Siracusa da padre greco,
dopo aver condotto vita eremitica presso Betlemme e sul monte Sinai e avere a
lungo peregrinato, morì infine recluso nella torre della Porta Nigra in questa
città.
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