Santi
Fermo e Rustico martiri in Africa le cui reliquie si trovano a Verona(verso il
303)
Tratto
da http://www.santiebeati.it/dettaglio/65650
Con questi nomi ci sono stati in Africa del Nord due martiri:
Fermo, che morì a Cartagine (di fame) al tempo imperatore Decio, promotore di
una delle più dure persecuzioni contro i cristiani (249-251). E Rustico, che
invece fu ucciso con altri a Lambesa (Algeria) nel 259, sotto imperatore
Valeriano.
I loro resti si trovano a Verona, in San Fermo Maggiore, singolare complesso sacro formato da due chiese costruite in tempi diversi l 'una sopra l' altra, nel XIII secolo e poi nel XIII-XIV
I loro resti si trovano a Verona, in San Fermo Maggiore, singolare complesso sacro formato da due chiese costruite in tempi diversi l 'una sopra l' altra, nel XIII secolo e poi nel XIII-XIV
Tuttavia secondo un’antica “Passione”, Fermo e
Rustico non erano africani, ma bergamaschi, e morirono decapitati per la fede
fuori dalle mura di Verona, super ripam Athesis, sulla sponda dell’Adige, al
tempo dell’imperatore Massimiano (286-310). Dopodiché i due corpi sarebbero
stati portati da Verona fino all’Africa del Nord, per essere seppelliti a
Cartagine. Ma più tardi, eccoli di nuovo imbarcati e in rotta verso l’Italia,
con una sosta a Capodistria, e con Trieste come destinazione finale. E qui,
durante il regno longobardo di Desiderio e Adelchi (757-774) ecco arrivare il
vescovo Annone di Verona; il quale riscatta a pagamento i resti dei due
martiri. E poco dopo i veronesi li accolgono con grande solennità, collocandoli
in una chiesa che da molto tempo era stata innalzata in loro onore. Tutto ciò
si legge in due documenti: la Translatio ss. Firmi et Rustici della seconda
metà dell’VIII secolo, e il Ritmo pipiniano (a cavallo tra VIII e IX secolo).
Leggendario, quel racconto di un viaggio andata-ritorno dei due corpi. Ma nella leggenda il suggerimento c’è. Il richiamo all’Africa fa pensare non a un ritorno, ma a una venuta. Ossia all’estendersi anche in Italia del culto per le figure e le reliquie di questi martiri d’Africa. Come è avvenuto per altri, la cui fama è stata portata e divulgata in Europa dall’emigrazione forzata di tanti romani d’Africa di fronte all’invasione (429) dei Vandali di Genserico. E Verona era aperta a questa accoglienza, avendo avuto come vescovo – e volendolo, poi per sempre come patrono – il nordafricano Zeno. "Tutti questi elementi, posti nel vasto quadro della venerazione in Italia di santi africani, confermano l’ipotesi dell’origine africana dei santi Fermo e Rustico" (Silvio Tonolli, Bibliotheca Sanctorum).
Leggendario, quel racconto di un viaggio andata-ritorno dei due corpi. Ma nella leggenda il suggerimento c’è. Il richiamo all’Africa fa pensare non a un ritorno, ma a una venuta. Ossia all’estendersi anche in Italia del culto per le figure e le reliquie di questi martiri d’Africa. Come è avvenuto per altri, la cui fama è stata portata e divulgata in Europa dall’emigrazione forzata di tanti romani d’Africa di fronte all’invasione (429) dei Vandali di Genserico. E Verona era aperta a questa accoglienza, avendo avuto come vescovo – e volendolo, poi per sempre come patrono – il nordafricano Zeno. "Tutti questi elementi, posti nel vasto quadro della venerazione in Italia di santi africani, confermano l’ipotesi dell’origine africana dei santi Fermo e Rustico" (Silvio Tonolli, Bibliotheca Sanctorum).
Giovanni Maria Parente, Vita di san Gimignano, 1495
San Geminiano primo vescovo di Modena (verso il 348)
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/39175
Non è possibile stabilire con
esattezza la data del suo episcopato. Gli studi piú recenti lo collocano tra il
342-44 e il 396 ca. E' ritenuto originario del territorio modenese e
probabilmente di famiglia romana, come indica il suo nome.
La tradizione ci dice che fu diacono del vescovo Antonio a cui successe per unanime designazione dei suoi concittadini, e che per sottrarsi al gravissimo compito, fuggi da Modena, ma ben presto raggiunto, dovette piegarsi al volere divino.
Il suo governo, sempre secondo la tradizione, fu particolarmente fecondo: la conversione totale della città al Cristianesimo e la consacrazione dei templi pagani al nuovo culto. Queste notizie trovano conferma nelle condizioni generali del tempo; è proprio infatti nel sec. IV, che si realizza quella maturazione ambientale che rese il Cristianesimo preminente sul paganesimo, e che determinò Teodosio I a proclamare il Cristianesimo religione ufficiale dell'impero e a bandire il culto pagano.
Geminiano ci è presentato come uomo di molta preghiera e pietà, inoltre è ricordato il suo potere sui demoni, ed è per questo che la fama della sua santità ne portò il nome fino alla corte di Costantinopoli, dove si recò per ridonare la salute alla figlia dell'imperatore Gioviano. Episodio da ritenersi leggendario perché facilmente ricorrente nella vita di altri santi del tempo. Cosí pure deve ritenersi leggendaria la presenza di s. Severo di Ravenna ai funerali di Geminiano, come riferito nel Liber Pontificalis di Agnello di Ravenna.
Con ogni probabilità il patrono di Modena è il vescovo Geminiano che nel 390 fu presente al concilio dei vescovi dell'Italia settentrionale, presieduto da s. Ambrogio per condannare l'eretico Gioviniano. Nella lettera sinodale di s. Ambrogio a papa Siricio tra le sottoscrizioni dei vescovi si legge: "ex jussu Domini Episcopi Geminiani, ipso praesente, Aper presbiter subscripsi".
I dubbi sorti, che il Geminiano presente a Milano nel 390 fosse il vescovo di Alba, possono dirsi superati dopo gli ultimi studi del Promis, del De Rossi, del Savio e del Lanzoni, che non conoscono nessun vescovo di questo nome ad Alba in quel tempo.
La ricognizione delle sue reliquie, compiuta nel 1955, ha permesso di constatare che il sarcofago, che attualmente le contiene, è certamente quello in cui originariamente è stato deposto il corpo del santo dopo la sua morte. Infatti questo sarcofago presenta tutte le caratteristiche e rispecchia tutte le condizioni di decadenza della fine del IV sec. a cui accenna s. Ambrogio, nella lettera ad Faustinum, descrivendo lo stato di miserevole abbandono, in cui si trovano le già fiorenti città dell'Emilia, tra cui Mutina, da lui visitate. E' in mezzo a tanta desolazione che si manifesta la grandezza di Geminiano ed è proprio questo il motivo fondamentale del piú che millenario culto verso di lui e delle espressioni appassionate dell'antica liturgia modenese che lo invoca a difensore contro le avversità: a qui nos ab errore duxit ad rectum tramitem, habeamus defensorem contra cunctam adversariam potestatem".
La Relatio translationis S. Giminiani, manoscritto del sec. XII, conservato nell'Archivio capitolare, descrive la traslazione e la ricognizione del corpo di s. Geminiano avvenute rispettivamente il 30 aprile ed il 7 ottobre 1106, alla presenza di papa Pasquale II, Matilde di Canossa e di tutta la cittadinanza modenese. Dopo questa del 1106 segue un'altra ricognizione per opera di Lucio III, il 12 luglio 1184, quando, in viaggio per Verona, si fermò a Modena per consacrarvi il duomo. La bellissima iscrizione sulla parete esterna del duomo testimonia il fervore con cui fu accolto il pontefice e la vivissima fede e devozione verso il santo patrono. Dopo il 1184 nessun'altra ricognizione fu compiuta fino al 1955 e ciò si deduce non solo dal silenzio delle cronache sull'argomento, ma anche dagli oggetti ritrovati nel sarcofago: due piccole croci d'argento, un anello e ca. settanta monete d'argento dell'epoca comunale di data anteriore al 1184, con l'esclusione di qualsiasi moneta modenese in circolazione solo dopo il 1200, argomento piú che sufficiente per concludere che la ricognizione del 1955 ha come sua precedente solo quella del 17 luglio 1184.
Tutta la storia modenese è permeata del ricordo di s. G. I piú antichi documenti dell'Archivio capitolare fanno continua menzione della Ecclesia s. Geminiani, il duomò di Modena nel rifacimento iniziato nel 1099 è la Domus clari Geminiani, il sigillo antico della comunità modenese e dell'Università portano l'immagine sua e cosí pure nelle monete modenesi costantemente viene efEigiato il santo patrono. La devozione non è solo diffusa nel modenese ma a San Gimignano in Toscana, a Pontremoli ed a Venezia dove sorgeva una chiesa, rifatta dal Sansovino ed ora abbattuta.
La festa si celebra il 31 gennaio, giorno anniversario della depositio, ed il 30 aprile anniversario della traslazione del corpo.
La tradizione ci dice che fu diacono del vescovo Antonio a cui successe per unanime designazione dei suoi concittadini, e che per sottrarsi al gravissimo compito, fuggi da Modena, ma ben presto raggiunto, dovette piegarsi al volere divino.
Il suo governo, sempre secondo la tradizione, fu particolarmente fecondo: la conversione totale della città al Cristianesimo e la consacrazione dei templi pagani al nuovo culto. Queste notizie trovano conferma nelle condizioni generali del tempo; è proprio infatti nel sec. IV, che si realizza quella maturazione ambientale che rese il Cristianesimo preminente sul paganesimo, e che determinò Teodosio I a proclamare il Cristianesimo religione ufficiale dell'impero e a bandire il culto pagano.
Geminiano ci è presentato come uomo di molta preghiera e pietà, inoltre è ricordato il suo potere sui demoni, ed è per questo che la fama della sua santità ne portò il nome fino alla corte di Costantinopoli, dove si recò per ridonare la salute alla figlia dell'imperatore Gioviano. Episodio da ritenersi leggendario perché facilmente ricorrente nella vita di altri santi del tempo. Cosí pure deve ritenersi leggendaria la presenza di s. Severo di Ravenna ai funerali di Geminiano, come riferito nel Liber Pontificalis di Agnello di Ravenna.
Con ogni probabilità il patrono di Modena è il vescovo Geminiano che nel 390 fu presente al concilio dei vescovi dell'Italia settentrionale, presieduto da s. Ambrogio per condannare l'eretico Gioviniano. Nella lettera sinodale di s. Ambrogio a papa Siricio tra le sottoscrizioni dei vescovi si legge: "ex jussu Domini Episcopi Geminiani, ipso praesente, Aper presbiter subscripsi".
I dubbi sorti, che il Geminiano presente a Milano nel 390 fosse il vescovo di Alba, possono dirsi superati dopo gli ultimi studi del Promis, del De Rossi, del Savio e del Lanzoni, che non conoscono nessun vescovo di questo nome ad Alba in quel tempo.
La ricognizione delle sue reliquie, compiuta nel 1955, ha permesso di constatare che il sarcofago, che attualmente le contiene, è certamente quello in cui originariamente è stato deposto il corpo del santo dopo la sua morte. Infatti questo sarcofago presenta tutte le caratteristiche e rispecchia tutte le condizioni di decadenza della fine del IV sec. a cui accenna s. Ambrogio, nella lettera ad Faustinum, descrivendo lo stato di miserevole abbandono, in cui si trovano le già fiorenti città dell'Emilia, tra cui Mutina, da lui visitate. E' in mezzo a tanta desolazione che si manifesta la grandezza di Geminiano ed è proprio questo il motivo fondamentale del piú che millenario culto verso di lui e delle espressioni appassionate dell'antica liturgia modenese che lo invoca a difensore contro le avversità: a qui nos ab errore duxit ad rectum tramitem, habeamus defensorem contra cunctam adversariam potestatem".
La Relatio translationis S. Giminiani, manoscritto del sec. XII, conservato nell'Archivio capitolare, descrive la traslazione e la ricognizione del corpo di s. Geminiano avvenute rispettivamente il 30 aprile ed il 7 ottobre 1106, alla presenza di papa Pasquale II, Matilde di Canossa e di tutta la cittadinanza modenese. Dopo questa del 1106 segue un'altra ricognizione per opera di Lucio III, il 12 luglio 1184, quando, in viaggio per Verona, si fermò a Modena per consacrarvi il duomo. La bellissima iscrizione sulla parete esterna del duomo testimonia il fervore con cui fu accolto il pontefice e la vivissima fede e devozione verso il santo patrono. Dopo il 1184 nessun'altra ricognizione fu compiuta fino al 1955 e ciò si deduce non solo dal silenzio delle cronache sull'argomento, ma anche dagli oggetti ritrovati nel sarcofago: due piccole croci d'argento, un anello e ca. settanta monete d'argento dell'epoca comunale di data anteriore al 1184, con l'esclusione di qualsiasi moneta modenese in circolazione solo dopo il 1200, argomento piú che sufficiente per concludere che la ricognizione del 1955 ha come sua precedente solo quella del 17 luglio 1184.
Tutta la storia modenese è permeata del ricordo di s. G. I piú antichi documenti dell'Archivio capitolare fanno continua menzione della Ecclesia s. Geminiani, il duomò di Modena nel rifacimento iniziato nel 1099 è la Domus clari Geminiani, il sigillo antico della comunità modenese e dell'Università portano l'immagine sua e cosí pure nelle monete modenesi costantemente viene efEigiato il santo patrono. La devozione non è solo diffusa nel modenese ma a San Gimignano in Toscana, a Pontremoli ed a Venezia dove sorgeva una chiesa, rifatta dal Sansovino ed ora abbattuta.
La festa si celebra il 31 gennaio, giorno anniversario della depositio, ed il 30 aprile anniversario della traslazione del corpo.
Tratto da https://www.finetastesofmodena.com/it/san-geminiano/
Egli nacque a Cognento, nei pressi
di Modena verso il 312 d.C. Fin da giovane fu ben voluto da tutti perchè era
forte e zelante ma al tempo stesso anche amabile e benevolo nel trattare con la
gente. La sua famiglia lo mandò a studiare a Modena dove Geminiano conobbe il
Vescovo di Modena Antonino e grazie a lui capì di avere la vocazione per
seguire Dio.
Il Vescovo Antonino lo aiutò negli
studi sacri e ben presto con l'approvazione di tutto il popolo lo nominò suo
diacono. Quando il Vescovo Antonino morì, tutti i cittadini di Modena chiesero
all'unanimità che Geminiano diventasse il loro nuovo Vescovo, ma secondo
la leggenda egli non si sentì degno di questo incarico e scappò. Venne però
raggiunto dai modenesi che con insistenza lo convinsero ad accettare
l'incarico.
Geminiano
aveva il potere di scacciare i demoni dai corpi degli ossessi e per questo
l'imperatore Gioviano lo volle a Costantinopoli per liberare dai demoni e
guarire sua figlia. Questo episodio è anche riportato nel bassorilievo che orna
la "porta dei principi" del Duomo di Modena. San Geminiano fece molti
miracoli in vita ed ancor di più ne compì dopo la sua morte. Nel 452 Attila
"Il flagello di Dio" (GeiàŸel Gottes) dopo aver invaso il Veneto si
apprestava a scendere verso Sud per invadere e sottomettere anche la nostra
regione, il popolo modenese invocò l'aiuto di San Geminiano che fece scendere
una fitta nebbia su Modena tanto che Attila non riuscì a vedere nulla e
proseguì oltre senza procurare danni alla nostra città . Altro miracolo
molto caro ai Modenesi riguarda il salvataggio di un bambino che stava
precipitando dalla Ghirlandina e inspiegabilmente si salvò, secondo la credenza
popolare, San Geminiano lo salvò afferrandolo per i capelli.
Il
Vescovo Geminiano morì nel 397 e grazie alla profonda devozione del popolo
modenese, il suo sucessore, il Vescovo Teodoro fece costruire sul sepolcro di
S. Geminiano il primo Duomo di Modena, il quale venne poi sostituito 4 secoli
più tardi da un altro Duomo più bello e più ampio nel quale venne traslata la
salma del Santo protettore e che venne denominato "Domus Clari
Geminiani" (Casa di San Geminiano).
Tratto
da
http://www.unesco.modena.it/it/organizza-la-tua-visita/link-cattedrale/san-geminiano
Per
San Geminiano, come per molti vescovi della tarda antichità, le notizie certe
sono pochissime. Secondo la tradizione egli morì il 31 gennaio 397 e
probabilmente nacque nei primi decenni del IV secolo, ma non si sa esattamente
dove: la tradizione che lo vuole nativo di Cognento risale al XVI secolo.
Apparteneva probabilmente ad una famiglia del ceto medio – alto, quello che
forniva i quadri dirigenti e formava l’ossatura della nuova religione, che era
stata ufficialmente riconosciuta con l’editto di Milano (313). Impossibile dire
quali studi egli abbia compiuto, se non ricorrendo in modo generico alla
presenza di tradizioni culturali romane ben consolidate in Modena.
La sua elezione episcopale dovette avvenire per acclamazione da parte della locale comunità cristiana; la consacrazione avvenne probabilmente a Milano, sede metropolitica della provincia ecclesiastica alla quale il vescovado di Modena apparteneva.
Della sua figura storica non sappiamo nient’altro: tutto quello che è stato tramandato attraverso scritti, immagini, musiche è frutto di una tradizione agiografica costruita sull’assenza di dati certi, con lo scopo di magnificarne le gesta, perpetuarne la memoria e il culto.
La sua elezione episcopale dovette avvenire per acclamazione da parte della locale comunità cristiana; la consacrazione avvenne probabilmente a Milano, sede metropolitica della provincia ecclesiastica alla quale il vescovado di Modena apparteneva.
Della sua figura storica non sappiamo nient’altro: tutto quello che è stato tramandato attraverso scritti, immagini, musiche è frutto di una tradizione agiografica costruita sull’assenza di dati certi, con lo scopo di magnificarne le gesta, perpetuarne la memoria e il culto.
La
comparsa si raffigurazioni relative a San Geminiano segue di quasi sette secoli
la sua morte, anche se è storicamente provata una precoce diffusione del culto,
tanto intenso anzi da riuscire a spostare il fulcro dell’abitato medievale
allargandolo intorno alla sua sepoltura. L’esistenza di uno scarto
considerevole fra la vita del santo e la formazione della relativa iconografia
trova molteplici giustificazioni: il declino della città in epoca
altomedievale, le modalità di formazione del culto e la scarsa consistenza
storica del personaggio. Come in molti altri casi analoghi, anche nel caso
modenese fondamentale fu il culto delle reliquie, efficace strumento di
diffusione del Cristianesimo, promosso da Sant’Ambrogio nella seconda metà del
IV secolo.
Le più antiche immagini di San Geminiano compaiono proprio nell’ambito del grande cantiere wiligelmico e costituiscono il fondamento del complesso programma iconografico della Porta dei Principi databile intorno al 1110.
Le più antiche immagini di San Geminiano compaiono proprio nell’ambito del grande cantiere wiligelmico e costituiscono il fondamento del complesso programma iconografico della Porta dei Principi databile intorno al 1110.
Per
tutto il Trecento, con una particolare concentrazione nella prima metà del
secolo, l’immagine del patrono modenese fu replicata lungo i muri esterni della
cattedrale, quasi a ribadire e rafforzare in tal modo il proprio legame con la
comunità cittadina. Ne sono testimonianza i frammenti di affreschi esposti oggi
nella Sala d'Arte Sacra dei Musei Civici modenesi.
Santa Marcella vedova ed
asceta a Roma(verso il 410) Martirologio Romano: A
Roma, commemorazione di santa Marcella, vedova, che, come attesta san Girolamo,
dopo avere disprezzato ricchezze e nobiltà, divenne ancor più nobile per
povertà e umiltà.
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/39200
Appartenne ad una delle piú illustri famiglie romane: quella dei
Marcelli (secondo altri dei Claudi). Nacque verso il 330, ma non ebbe la
giovinezza felice, essendo ben presto rimasta orfana del padre. Contratto
matrimonio in giovane età fu nuovamente colpita da un gravissimo lutto per la
morte del marito avvenuta sette mesi dopo la celebrazione delle nozze. Questi
luttuosi avvenimenti fecero maggiormente riflettere Marcella sulla caducità
delle cose terrene tanto piú che nella fanciullezza era rimasta assai
affascinata dalle mirabili attività del grande anacoreta Antonio, narrate nella
sua casa dal vescovo Atanasio (340-343).
Lo spirito ascetico propugnato dal monachesimo, consistente nell'abbandono di ogni bene mondano, andò sempre piú conquistando l'animo della giovane vedova. Quando perciò le furono offerte vantaggiose seconde nozze col console Cereale (358), nonostante le premurose pressioni della madre Albina, oppose al ventilato matrimonio un netto rifiuto, motivato dal desiderio di dedicarsi interamente ad una vita ritirata facendo professione di perfetta castità.
Cosí Marcella, secondo s. Girolamo, fu la prima matrona romana che sviluppò fra le famiglie nobili i principi del monachesimo. Il suo maestoso palazzo dell'Aventino andò trasformandosi in un asceterio ove confluirono altre nobili romane come Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea; la stessa madre Albina si associò a questa nuova forma d i vita.
Piú che di vita monastica in senso stretto può parlarsi di gruppi ascetici senza precise regole, ma ispirati ai principi di austerità e di disprezzo del mondo, propri della scuola egiziana, assai conosciuti attraverso la vita di s. Antonio e le frequenti visite di monaci orientali. Lo stesso vescovo di Alessandria, Pietro, fu nel 373 ospite della casa Marcella e narrò la vita e le regole dei monaci egiziani.
Porse proprio dopo il 373 la casa di Marcella divenne un vero centro di propaganda monastica. Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera, studio, vesti dimesse, esclusione di vane conversazioni furono il quadro della vita quotidiana quale risulta dalle lettere di s. Girolamo, divenuto dal 382 il direttore spirituale del gruppo ascetico dell'Aventino. Nella domus di Marcella entravano vergini e vedove, preti e monaci per intrattenersi in conversazioni basate specialmente sulla S. Scrittura. Il sacro testo, specie il Salterio, non fu studiato solo superficialmente: per meglio comprenderne il significato Marcella imparò l'ebraico e sottopose al dotto Girolamo molte questioni esegetiche, come ne fanno fede varie lettere a lei dirette. Fra Girolamo e Marcella si strinse una profonda spirituale amicizia, continuata anche dopo la partenza del monaco per la Palestina.
Tuttavia questa donna fu di spirito piú moderato tanto da non condividere pienamente le violente diatribe e le acerbe polemiche del dotto esegeta. Simile moderazione dimostrò nelle pratiche ascetiche; pur amando e professando la povertà non alienò in favore della Chiesa e dei poveri tutti i suoi beni patrimoniali, anche per non recare dispiacere alla madre. Né volle trasferirsi a Betlemme, nonostante una pressante lettera delle amiche Paola ed Eustochio. Preferí invece continuare la diffusione della vita ascetica e penitente in Roma; per molti anni infatti la sua domus dell'Aventino rimase un cenacolo ascetico specie fra le vergini e le vedove della nobiltà.
Verso la fine del IV sec. si trasferí in un luogo piú isolato nelle vicinanze di Roma, forse un suo ager suburbanus, nel quale visse con la vergine Principia come madre e figlia. Rientrò in Roma nel 410 sotto il timore dell'invasione gota; in tale occasione Marcella subí percosse e maltrattamenti e a stento riuscí a salvare Principia dalle mani dei barbari, rifugiandosi nella basilica di S. Paolo.
Morí nello stesso anno e la sua festa è celebrata il 31 gennaio
Lo spirito ascetico propugnato dal monachesimo, consistente nell'abbandono di ogni bene mondano, andò sempre piú conquistando l'animo della giovane vedova. Quando perciò le furono offerte vantaggiose seconde nozze col console Cereale (358), nonostante le premurose pressioni della madre Albina, oppose al ventilato matrimonio un netto rifiuto, motivato dal desiderio di dedicarsi interamente ad una vita ritirata facendo professione di perfetta castità.
Cosí Marcella, secondo s. Girolamo, fu la prima matrona romana che sviluppò fra le famiglie nobili i principi del monachesimo. Il suo maestoso palazzo dell'Aventino andò trasformandosi in un asceterio ove confluirono altre nobili romane come Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea; la stessa madre Albina si associò a questa nuova forma d i vita.
Piú che di vita monastica in senso stretto può parlarsi di gruppi ascetici senza precise regole, ma ispirati ai principi di austerità e di disprezzo del mondo, propri della scuola egiziana, assai conosciuti attraverso la vita di s. Antonio e le frequenti visite di monaci orientali. Lo stesso vescovo di Alessandria, Pietro, fu nel 373 ospite della casa Marcella e narrò la vita e le regole dei monaci egiziani.
Porse proprio dopo il 373 la casa di Marcella divenne un vero centro di propaganda monastica. Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera, studio, vesti dimesse, esclusione di vane conversazioni furono il quadro della vita quotidiana quale risulta dalle lettere di s. Girolamo, divenuto dal 382 il direttore spirituale del gruppo ascetico dell'Aventino. Nella domus di Marcella entravano vergini e vedove, preti e monaci per intrattenersi in conversazioni basate specialmente sulla S. Scrittura. Il sacro testo, specie il Salterio, non fu studiato solo superficialmente: per meglio comprenderne il significato Marcella imparò l'ebraico e sottopose al dotto Girolamo molte questioni esegetiche, come ne fanno fede varie lettere a lei dirette. Fra Girolamo e Marcella si strinse una profonda spirituale amicizia, continuata anche dopo la partenza del monaco per la Palestina.
Tuttavia questa donna fu di spirito piú moderato tanto da non condividere pienamente le violente diatribe e le acerbe polemiche del dotto esegeta. Simile moderazione dimostrò nelle pratiche ascetiche; pur amando e professando la povertà non alienò in favore della Chiesa e dei poveri tutti i suoi beni patrimoniali, anche per non recare dispiacere alla madre. Né volle trasferirsi a Betlemme, nonostante una pressante lettera delle amiche Paola ed Eustochio. Preferí invece continuare la diffusione della vita ascetica e penitente in Roma; per molti anni infatti la sua domus dell'Aventino rimase un cenacolo ascetico specie fra le vergini e le vedove della nobiltà.
Verso la fine del IV sec. si trasferí in un luogo piú isolato nelle vicinanze di Roma, forse un suo ager suburbanus, nel quale visse con la vergine Principia come madre e figlia. Rientrò in Roma nel 410 sotto il timore dell'invasione gota; in tale occasione Marcella subí percosse e maltrattamenti e a stento riuscí a salvare Principia dalle mani dei barbari, rifugiandosi nella basilica di S. Paolo.
Morí nello stesso anno e la sua festa è celebrata il 31 gennaio
Tratto da quotidiano Avvenire
Appartiene
ad una delle piú illustri famiglie romane: quella dei Marcelli. Nata verso il
330, rimane orfana del padre. Sposatasi da giovane dopo sette mesi rimane
vedova e lo spirito ascetico la conquista e rifiuta le seconde nozze. Il suo
palazzo diventa un luogo dove ove confluiscono altre nobili romane come
Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea. Lo stesso vescovo di Alessandria,
Pietro, nel 373 è suo ospite. E proprio dopo il 373 la casa di Marcella diventa
un centro di propaganda monastica. Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera,
studio, vesti dimesse caratterizzano la vita quotidiana come risulta dalle
lettere di san Girolamo, divenuto dal 382 il direttore spirituale del gruppo
ascetico. Nella domus di Marcella entravano vergini e vedove, preti e monaci
per intrattenersi in conversazioni sulla Sacra Scrittura. Verso la fine del IV
sec. si trasferisce in un luogo isolato vicino a Roma dove fa ritorno nel 410
per timore dell'invasione gota. Muore nello stesso anno
Santi
Giulio prete e Giuliano diacono,di nazionalità greca, fratelli secondo la carne
ed apostoli nel territorio del Lago Maggiore e in particolare San Giulio è
patrono di Orta nel territorio della provincia di Novara (nel V secolo )
Tratto dal quotidiano
Avvenire
Giulio e Giuliano erano fratelli oriundi della Grecia; educati
cristianarnente dai genitori, abbracciarono lo stato clericale e Giulio fu
ordinato presbitero mentre Giuliano diacono.
Nauseati dagli errori diffusi dagli eretici e per sfuggire alle loro persecuzioni, decisero di allontanarsi dalla patria; si recarono allora dall'imperatore Teodosio dal quale ottennero l'autorizzazione a distruggere altari e boschi pagani ed edificare chiese cristiane. Passati poi in Italia dimorarono per un po' di tempo nei pressi di Roma ad Aqua Salvia, quindi attraversarono il Lazio e pervennero nell'Italia settentrionale predicando, convertendo molti alla vera fede e soprattutto edificando un. cospicuo numero di chiese, che raggiunsero il centinaio. Le due ultime le costruirono nei pressi del lago di Orta e precisamente la novantanovesima a Gozzano, dedicata a s. Lorenzo, dove rimase Giuliano che ivi anche morì e vi fu sepolto; l'altra, la centesima, Giulio la costruì sulla piccola isola esistente nel lago, dedicandola agli apostoli Pietro e Paolo e nella quale egli stesso fu poi sepolto.
Nauseati dagli errori diffusi dagli eretici e per sfuggire alle loro persecuzioni, decisero di allontanarsi dalla patria; si recarono allora dall'imperatore Teodosio dal quale ottennero l'autorizzazione a distruggere altari e boschi pagani ed edificare chiese cristiane. Passati poi in Italia dimorarono per un po' di tempo nei pressi di Roma ad Aqua Salvia, quindi attraversarono il Lazio e pervennero nell'Italia settentrionale predicando, convertendo molti alla vera fede e soprattutto edificando un. cospicuo numero di chiese, che raggiunsero il centinaio. Le due ultime le costruirono nei pressi del lago di Orta e precisamente la novantanovesima a Gozzano, dedicata a s. Lorenzo, dove rimase Giuliano che ivi anche morì e vi fu sepolto; l'altra, la centesima, Giulio la costruì sulla piccola isola esistente nel lago, dedicandola agli apostoli Pietro e Paolo e nella quale egli stesso fu poi sepolto.
tratto da
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2164594960304002&set=a.1001927373237439&type=3&theater
San Giulio di Orta è stato un prete greco, promotore del Cristianesimo nella zona intorno al lago d'Orta e nell'alto Novarese. Alla fine del IV secolo i due fratelli Giulio e Giuliano , originari dell'isola di Egina arrivano sulle rive del Cusio e si dedicano, con il beneplacito dell'imperatore Teodosio I all'abbattimento dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. La leggenda vuole che Giulio abbia lasciato al fratello il compito di edificare a Gozzano la novantanovesima chiesa, cercando da solo il luogo dove sarebbe sorta la centesima. Individuata nella piccola isola il luogo adatto, ma non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull'isola Giulio sconfisse i draghi e i serpenti che popolavano quel luogo, simbolo evidente della superstizione pagana, confinandoli sul Monte Camosino, e gettando le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la basilica di San Giulio.
Santo Atanasio Siciliano di nascita e poi vescovo a Methoni nel
Peloponneso(verso880)
Prospetto storico dei Santi della
Grande Grecia dove il Il Padre Antonio Scordino di venerata
memoria cosi scrive
Atanasio vescovo di Methoni [31 gennaio]. Nato a Catania, fu vescovo di Methoni alla fine dell’VIII secolo
Atanasio vescovo di Methoni [31 gennaio]. Nato a Catania, fu vescovo di Methoni alla fine dell’VIII secolo
Altre
fonti ed altri studi in
Rileggendo l’Epitafio di Atanasio, vescovo di Metone, di Pietro d’Argo (BHG 196), in "La Sicilia del IX secolo tra Bizantini e Musulmani". Atti del IX Convegno di Studi, Caltanissetta, 12-13 maggio 2012, Caltanissetta 2013, pp. 183-193
http://www.academia.edu/7141088
Saints FIRMUS et RUSTICUS, martyrs à Vérone sous Maximien (303).
Saint GEMINIEN, premier évêque de Modène en Emilie (348).
Sainte MARCELLE, veuve et ascète à Rome
Saints JULES, prêtre, et JULIEN, diacre, Grecs de nation, frères selon la chair et apôtres des îles du Lac Majeur (Lago Maggiore) entre la
Lombardie et le Tessin (Vème siècle). Saint Jules est le patron d'Orta dans le Novarais.
Saint GEMINIEN III, évêque de Modène (458 ou 460).
Saint ATHANASE, Sicilien de nation, évêque de Méthone dans le Péloponnèse (vers 880).