mercoledì 31 gennaio 2018

31 gennaio Santi Italici ed Italo greci

 
Santi Fermo e Rustico martiri in Africa le cui reliquie si trovano a Verona(verso il 303)



Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/65650

Con questi nomi ci sono stati in Africa del Nord due martiri: Fermo, che morì a Cartagine (di fame) al tempo imperatore Decio, promotore di una delle più dure persecuzioni contro i cristiani (249-251). E Rustico, che invece fu ucciso con altri a Lambesa (Algeria) nel 259, sotto imperatore Valeriano.
I loro resti si trovano a Verona, in San Fermo Maggiore, singolare complesso sacro formato da due chiese costruite in tempi diversi l 'una sopra l' altra, nel XIII secolo e poi nel XIII-XIV



Tuttavia secondo un’antica “Passione”, Fermo e Rustico non erano africani, ma bergamaschi, e morirono decapitati per la fede fuori dalle mura di Verona, super ripam Athesis, sulla sponda dell’Adige, al tempo dell’imperatore Massimiano (286-310). Dopodiché i due corpi sarebbero stati portati da Verona fino all’Africa del Nord, per essere seppelliti a Cartagine. Ma più tardi, eccoli di nuovo imbarcati e in rotta verso l’Italia, con una sosta a Capodistria, e con Trieste come destinazione finale. E qui, durante il regno longobardo di Desiderio e Adelchi (757-774) ecco arrivare il vescovo Annone di Verona; il quale riscatta a pagamento i resti dei due martiri. E poco dopo i veronesi li accolgono con grande solennità, collocandoli in una chiesa che da molto tempo era stata innalzata in loro onore. Tutto ciò si legge in due documenti: la Translatio ss. Firmi et Rustici della seconda metà dell’VIII secolo, e il Ritmo pipiniano (a cavallo tra VIII e IX secolo).
Leggendario, quel racconto di un viaggio andata-ritorno dei due corpi. Ma nella leggenda il suggerimento c’è. Il richiamo all’Africa fa pensare non a un ritorno, ma a una venuta. Ossia all’estendersi anche in Italia del culto per le figure e le reliquie di questi martiri d’Africa. Come è avvenuto per altri, la cui fama è stata portata e divulgata in Europa dall’emigrazione forzata di tanti romani d’Africa di fronte all’invasione (429) dei Vandali di Genserico. E Verona era aperta a questa accoglienza, avendo avuto come vescovo – e volendolo, poi per sempre come patrono – il nordafricano Zeno. "Tutti questi elementi, posti nel vasto quadro della venerazione in Italia di santi africani, confermano l’ipotesi dell’origine africana dei santi Fermo e Rustico" (Silvio Tonolli, Bibliotheca Sanctorum).




 
 Giovanni Maria Parente, Vita di san Gimignano, 1495



San Geminiano primo vescovo di Modena (verso il 348)

Tratto  da http://www.santiebeati.it/dettaglio/39175



Non è possibile stabilire con esattezza la data del suo episcopato. Gli studi piú recenti lo collocano tra il 342-44 e il 396 ca. E' ritenuto originario del territorio modenese e probabilmente di famiglia romana, come indica il suo nome.
La tradizione ci dice che fu diacono del vescovo Antonio a cui successe per unanime designazione dei suoi concittadini, e che per sottrarsi al gravissimo compito, fuggi da Modena, ma ben presto raggiunto, dovette piegarsi al volere divino.
Il suo governo, sempre secondo la tradizione, fu particolarmente fecondo: la conversione totale della città al Cristianesimo e la consacrazione dei templi pagani al nuovo culto. Queste notizie trovano conferma nelle condizioni generali del tempo; è proprio infatti nel sec. IV, che si realizza quella maturazione ambientale che rese il Cristianesimo preminente sul paganesimo, e che determinò Teodosio I a proclamare il Cristianesimo religione ufficiale dell'impero e a bandire il culto pagano.
Geminiano ci è presentato come uomo di molta preghiera e pietà, inoltre è ricordato il suo potere sui demoni, ed è per questo che la fama della sua santità ne portò il nome fino alla corte di Costantinopoli, dove si recò per ridonare la salute alla figlia dell'imperatore Gioviano. Episodio da ritenersi leggendario perché facilmente ricorrente nella vita di altri santi del tempo. Cosí pure deve ritenersi leggendaria la presenza di s. Severo di Ravenna ai funerali di Geminiano, come riferito nel Liber Pontificalis di Agnello di Ravenna.
Con ogni probabilità il patrono di Modena è il vescovo Geminiano che nel 390 fu presente al concilio dei vescovi dell'Italia settentrionale, presieduto da s. Ambrogio per condannare l'eretico Gioviniano. Nella lettera sinodale di s. Ambrogio a papa Siricio tra le sottoscrizioni dei vescovi si legge: "ex jussu Domini Episcopi Geminiani, ipso praesente, Aper presbiter subscripsi".
I dubbi sorti, che il Geminiano presente a Milano nel 390 fosse il vescovo di Alba, possono dirsi superati dopo gli ultimi studi del Promis, del De Rossi, del Savio e del Lanzoni, che non conoscono nessun vescovo di questo nome ad Alba in quel tempo.
La ricognizione delle sue reliquie, compiuta nel 1955, ha permesso di constatare che il sarcofago, che attualmente le contiene, è certamente quello in cui originariamente è stato deposto il corpo del santo dopo la sua morte. Infatti questo sarcofago presenta tutte le caratteristiche e rispecchia tutte le condizioni di decadenza della fine del IV sec. a cui accenna s. Ambrogio, nella lettera ad Faustinum, descrivendo lo stato di miserevole abbandono, in cui si trovano le già fiorenti città dell'Emilia, tra cui Mutina, da lui visitate. E' in mezzo a tanta desolazione che si manifesta la grandezza di Geminiano ed è proprio questo il motivo fondamentale del piú che millenario culto verso di lui e delle espressioni appassionate dell'antica liturgia modenese che lo invoca a difensore contro le avversità: a qui nos ab errore duxit ad rectum tramitem, habeamus defensorem contra cunctam adversariam potestatem".
La Relatio translationis S. Giminiani, manoscritto del sec. XII, conservato nell'Archivio capitolare, descrive la traslazione e la ricognizione del corpo di s. Geminiano avvenute rispettivamente il 30 aprile ed il 7 ottobre 1106, alla presenza di papa Pasquale II, Matilde di Canossa e di tutta la cittadinanza modenese. Dopo questa del 1106 segue un'altra ricognizione per opera di Lucio III, il 12 luglio 1184, quando, in viaggio per Verona, si fermò a Modena per consacrarvi il duomo. La bellissima iscrizione sulla parete esterna del duomo testimonia il fervore con cui fu accolto il pontefice e la vivissima fede e devozione verso il santo patrono. Dopo il 1184 nessun'altra ricognizione fu compiuta fino al 1955 e ciò si deduce non solo dal silenzio delle cronache sull'argomento, ma anche dagli oggetti ritrovati nel sarcofago: due piccole croci d'argento, un anello e ca. settanta monete d'argento dell'epoca comunale di data anteriore al 1184, con l'esclusione di qualsiasi moneta modenese in circolazione solo dopo il 1200, argomento piú che sufficiente per concludere che la ricognizione del 1955 ha come sua precedente solo quella del 17 luglio 1184.
Tutta la storia modenese è permeata del ricordo di s. G. I piú antichi documenti dell'Archivio capitolare fanno continua menzione della Ecclesia s. Geminiani, il duomò di Modena nel rifacimento iniziato nel 1099 è la Domus clari Geminiani, il sigillo antico della comunità modenese e dell'Università portano l'immagine sua e cosí pure nelle monete modenesi costantemente viene efEigiato il santo patrono. La devozione non è solo diffusa nel modenese ma a San Gimignano in Toscana, a Pontremoli ed a Venezia dove sorgeva una chiesa, rifatta dal Sansovino ed ora abbattuta.
La festa si celebra il 31 gennaio, giorno anniversario della depositio, ed il 30 aprile anniversario della traslazione del corpo.



Tratto da  https://www.finetastesofmodena.com/it/san-geminiano/

Egli nacque a Cognento, nei pressi di Modena verso il 312 d.C. Fin da giovane fu ben voluto da tutti perchè era forte e zelante ma al tempo stesso anche amabile e benevolo nel trattare con la gente. La sua famiglia lo mandò a studiare a Modena dove Geminiano conobbe il Vescovo di Modena Antonino e grazie a lui capì di avere la vocazione per seguire Dio.



Il Vescovo Antonino lo aiutò negli studi sacri e ben presto con l'approvazione di tutto il popolo lo nominò suo diacono. Quando il Vescovo Antonino morì, tutti i cittadini di Modena chiesero all'unanimità  che Geminiano diventasse il loro nuovo Vescovo, ma secondo la leggenda egli non si sentì degno di questo incarico e scappò. Venne però raggiunto dai modenesi che con insistenza lo convinsero ad accettare l'incarico.



Geminiano aveva il potere di scacciare i demoni dai corpi degli ossessi e per questo l'imperatore Gioviano lo volle a Costantinopoli per liberare dai demoni e guarire sua figlia. Questo episodio è anche riportato nel bassorilievo che orna la "porta dei principi" del Duomo di Modena. San Geminiano fece molti miracoli in vita ed ancor di più ne compì dopo la sua morte. Nel 452 Attila "Il flagello di Dio" (GeiàŸel Gottes) dopo aver invaso il Veneto si apprestava a scendere verso Sud per invadere e sottomettere anche la nostra regione, il popolo modenese invocò l'aiuto di San Geminiano che fece scendere una fitta nebbia su Modena tanto che Attila non riuscì a vedere nulla e proseguì oltre senza procurare danni alla nostra città . Altro miracolo molto caro ai Modenesi riguarda il salvataggio di un bambino che stava precipitando dalla Ghirlandina e inspiegabilmente si salvò, secondo la credenza popolare, San Geminiano lo salvò afferrandolo per i capelli.

Il Vescovo Geminiano morì nel 397 e grazie alla profonda devozione del popolo modenese, il suo sucessore, il Vescovo Teodoro fece costruire sul sepolcro di S. Geminiano il primo Duomo di Modena, il quale venne poi sostituito 4 secoli più tardi da un altro Duomo più bello e più ampio nel quale venne traslata la salma del Santo protettore e che venne denominato "Domus Clari Geminiani" (Casa di San Geminiano).



Tratto da http://www.unesco.modena.it/it/organizza-la-tua-visita/link-cattedrale/san-geminiano

Per San Geminiano, come per molti vescovi della tarda antichità, le notizie certe sono pochissime. Secondo la tradizione egli morì il 31 gennaio 397 e probabilmente nacque nei primi decenni del IV secolo, ma non si sa esattamente dove: la tradizione che lo vuole nativo di Cognento risale al XVI secolo. Apparteneva probabilmente ad una famiglia del ceto medio – alto, quello che forniva i quadri dirigenti e formava l’ossatura della nuova religione, che era stata ufficialmente riconosciuta con l’editto di Milano (313). Impossibile dire quali studi egli abbia compiuto, se non ricorrendo in modo generico alla presenza di tradizioni culturali romane ben consolidate in Modena.
La sua elezione episcopale dovette avvenire per acclamazione da parte della locale comunità cristiana; la consacrazione avvenne probabilmente a Milano, sede metropolitica della provincia ecclesiastica alla quale il vescovado di Modena apparteneva.
Della sua figura storica non sappiamo nient’altro: tutto quello che è stato tramandato attraverso scritti, immagini, musiche è frutto di una tradizione agiografica costruita sull’assenza di dati certi, con lo scopo di magnificarne le gesta, perpetuarne la memoria e il culto.



La comparsa si raffigurazioni relative a San Geminiano segue di quasi sette secoli la sua morte, anche se è storicamente provata una precoce diffusione del culto, tanto intenso anzi da riuscire a spostare il fulcro dell’abitato medievale allargandolo intorno alla sua sepoltura. L’esistenza di uno scarto considerevole fra la vita del santo e la formazione della relativa iconografia trova molteplici giustificazioni: il declino della città in epoca altomedievale, le modalità di formazione del culto e la scarsa consistenza storica del personaggio. Come in molti altri casi analoghi, anche nel caso modenese fondamentale fu il culto delle reliquie, efficace strumento di diffusione del Cristianesimo, promosso da Sant’Ambrogio nella seconda metà del IV secolo.
Le più antiche immagini di San Geminiano compaiono proprio nell’ambito del grande cantiere wiligelmico e costituiscono il fondamento del complesso programma iconografico della Porta dei Principi databile intorno al 1110.

Per tutto il Trecento, con una particolare concentrazione nella prima metà del secolo, l’immagine del patrono modenese fu replicata lungo i muri esterni della cattedrale, quasi a ribadire e rafforzare in tal modo il proprio legame con la comunità cittadina. Ne sono testimonianza i frammenti di affreschi esposti oggi nella Sala d'Arte Sacra dei Musei Civici modenesi. 





Santa Marcella vedova ed asceta a Roma(verso il 410) Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di santa Marcella, vedova, che, come attesta san Girolamo, dopo avere disprezzato ricchezze e nobiltà, divenne ancor più nobile per povertà e umiltà.



Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/39200

Appartenne ad una delle piú illustri famiglie romane: quella dei Marcelli (secondo altri dei Claudi). Nacque verso il 330, ma non ebbe la giovinezza felice, essendo ben presto rimasta orfana del padre. Contratto matrimonio in giovane età fu nuovamente colpita da un gravissimo lutto per la morte del marito avvenuta sette mesi dopo la celebrazione delle nozze. Questi luttuosi avvenimenti fecero maggiormente riflettere Marcella sulla caducità delle cose terrene tanto piú che nella fanciullezza era rimasta assai affascinata dalle mirabili attività del grande anacoreta Antonio, narrate nella sua casa dal vescovo Atanasio (340-343).
Lo spirito ascetico propugnato dal monachesimo, consistente nell'abbandono di ogni bene mondano, andò sempre piú conquistando l'animo della giovane vedova. Quando perciò le furono offerte vantaggiose seconde nozze col console Cereale (358), nonostante le premurose pressioni della madre Albina, oppose al ventilato matrimonio un netto rifiuto, motivato dal desiderio di dedicarsi interamente ad una vita ritirata facendo professione di perfetta castità.
Cosí Marcella, secondo s. Girolamo, fu la prima matrona romana che sviluppò fra le famiglie nobili i principi del monachesimo. Il suo maestoso palazzo dell'Aventino andò trasformandosi in un asceterio ove confluirono altre nobili romane come Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea; la stessa madre Albina si associò a questa nuova forma d i vita.
Piú che di vita monastica in senso stretto può parlarsi di gruppi ascetici senza precise regole, ma ispirati ai principi di austerità e di disprezzo del mondo, propri della scuola egiziana, assai conosciuti attraverso la vita di s. Antonio e le frequenti visite di monaci orientali. Lo stesso vescovo di Alessandria, Pietro, fu nel 373 ospite della casa Marcella e narrò la vita e le regole dei monaci egiziani.
Porse proprio dopo il 373 la casa di Marcella divenne un vero centro di propaganda monastica. Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera, studio, vesti dimesse, esclusione di vane conversazioni furono il quadro della vita quotidiana quale risulta dalle lettere di s. Girolamo, divenuto dal 382 il direttore spirituale del gruppo ascetico dell'Aventino. Nella domus di Marcella entravano vergini e vedove, preti e monaci per intrattenersi in conversazioni basate specialmente sulla S. Scrittura. Il sacro testo, specie il Salterio, non fu studiato solo superficialmente: per meglio comprenderne il significato Marcella imparò l'ebraico e sottopose al dotto Girolamo molte questioni esegetiche, come ne fanno fede varie lettere a lei dirette. Fra Girolamo e Marcella si strinse una profonda spirituale amicizia, continuata anche dopo la partenza del monaco per la Palestina.
Tuttavia questa donna fu di spirito piú moderato tanto da non condividere pienamente le violente diatribe e le acerbe polemiche del dotto esegeta. Simile moderazione dimostrò nelle pratiche ascetiche; pur amando e professando la povertà non alienò in favore della Chiesa e dei poveri tutti i suoi beni patrimoniali, anche per non recare dispiacere alla madre. Né volle trasferirsi a Betlemme, nonostante una pressante lettera delle amiche Paola ed Eustochio. Preferí invece continuare la diffusione della vita ascetica e penitente in Roma; per molti anni infatti la sua domus dell'Aventino rimase un cenacolo ascetico specie fra le vergini e le vedove della nobiltà.
Verso la fine del IV sec. si trasferí in un luogo piú isolato nelle vicinanze di Roma, forse un suo ager suburbanus, nel quale visse con la vergine Principia come madre e figlia. Rientrò in Roma nel 410 sotto il timore dell'invasione gota; in tale occasione Marcella subí percosse e maltrattamenti e a stento riuscí a salvare Principia dalle mani dei barbari, rifugiandosi nella basilica di S. Paolo.
Morí nello stesso anno e la sua festa è celebrata il 31 gennaio











Tratto da quotidiano Avvenire

Appartiene ad una delle piú illustri famiglie romane: quella dei Marcelli. Nata verso il 330, rimane orfana del padre. Sposatasi da giovane dopo sette mesi rimane vedova e lo spirito ascetico la conquista e rifiuta le seconde nozze. Il suo palazzo diventa un luogo dove ove confluiscono altre nobili romane come Sofronia, Asella, Principia, Marcellina, Lea. Lo stesso vescovo di Alessandria, Pietro, nel 373 è suo ospite. E proprio dopo il 373 la casa di Marcella diventa un centro di propaganda monastica. Riservatezza, penitenza, digiuno, preghiera, studio, vesti dimesse caratterizzano la vita quotidiana come risulta dalle lettere di san Girolamo, divenuto dal 382 il direttore spirituale del gruppo ascetico. Nella domus di Marcella entravano vergini e vedove, preti e monaci per intrattenersi in conversazioni sulla Sacra Scrittura. Verso la fine del IV sec. si trasferisce in un luogo isolato vicino a Roma dove fa ritorno nel 410 per timore dell'invasione gota. Muore nello stesso anno



 






Santi Giulio prete e Giuliano diacono,di nazionalità greca, fratelli secondo la carne ed apostoli nel territorio del Lago Maggiore e in particolare San Giulio è patrono di Orta nel territorio della provincia di Novara (nel V secolo )



Tratto dal quotidiano Avvenire

Giulio e Giuliano erano fratelli oriundi della Grecia; educati cristianarnente dai genitori, abbracciarono lo stato clericale e Giulio fu ordinato presbitero mentre Giuliano diacono.
Nauseati dagli errori diffusi dagli eretici e per sfuggire alle loro persecuzioni, decisero di allontanarsi dalla patria; si recarono allora dall'imperatore Teodosio dal quale ottennero l'autorizzazione a distruggere altari e boschi pagani ed edificare chiese cristiane. Passati poi in Italia dimorarono per un po' di tempo nei pressi di Roma ad Aqua Salvia, quindi attraversarono il Lazio e pervennero nell'Italia settentrionale predicando, convertendo molti alla vera fede e soprattutto edificando un. cospicuo numero di chiese, che raggiunsero il centinaio. Le due ultime le costruirono nei pressi del lago di Orta e precisamente la novantanovesima a Gozzano, dedicata a s. Lorenzo, dove rimase Giuliano che ivi anche morì e vi fu sepolto; l'altra, la centesima, Giulio la costruì sulla piccola isola esistente nel lago, dedicandola agli apostoli Pietro e Paolo e nella quale egli stesso fu poi sepolto.


L'immagine può contenere: una o più persone e persone in piedi




tratto da

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2164594960304002&set=a.1001927373237439&type=3&theater


San Giulio di Orta è stato un prete greco, promotore del Cristianesimo nella zona intorno al lago d'Orta e nell'alto Novarese. Alla fine del IV secolo i due fratelli Giulio e Giuliano , originari dell'isola di Egina arrivano sulle rive del Cusio e si dedicano, con il beneplacito dell'imperatore Teodosio I all'abbattimento dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. La leggenda vuole che Giulio abbia lasciato al fratello il compito di edificare a Gozzano la novantanovesima chiesa, cercando da solo il luogo dove sarebbe sorta la centesima. Individuata nella piccola isola il luogo adatto, ma non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull'isola Giulio sconfisse i draghi e i serpenti che popolavano quel luogo, simbolo evidente della superstizione pagana, confinandoli sul Monte Camosino, e gettando le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la basilica di San Giulio.






Santo Atanasio Siciliano di nascita e poi vescovo a Methoni nel Peloponneso(verso880)




Prospetto storico dei Santi della Grande Grecia  dove il Il Padre Antonio Scordino di venerata memoria  cosi scrive


Atanasio vescovo di Methoni [31 gennaio]. Nato a Catania, fu vescovo di Methoni alla fine dell’VIII secolo

Altre fonti ed altri studi in

Rileggendo l’Epitafio di Atanasio, vescovo di Metone, di Pietro d’Argo (BHG 196), in "La Sicilia del IX secolo tra Bizantini e Musulmani". Atti del IX Convegno di Studi, Caltanissetta, 12-13 maggio 2012, Caltanissetta 2013, pp. 183-193


 http://www.academia.edu/7141088










Saints FIRMUS et RUSTICUS, martyrs à Vérone sous Maximien (303).  

 Saint GEMINIEN, premier évêque de Modène en Emilie (348).

Sainte MARCELLE, veuve et ascète à Rome 
Saints JULES, prêtre, et JULIEN, diacre, Grecs de nation, frères selon la chair et apôtres des îles du Lac Majeur (Lago Maggiore) entre la Lombardie et le Tessin (Vème siècle). Saint Jules est le patron d'Orta dans le Novarais.
 Saint GEMINIEN III, évêque de Modène (458 ou 460).
Saint ATHANASE, Sicilien de nation, évêque de Méthone dans le Péloponnèse (vers 880).

1 febbraio santi di Francia /Calendrier des saints du mois de février 01 février

Saint EUBERT de Séclin, chorévêque, apôtre des Nervins et des Morins et patron de la ville de Lille (vers 294).

 Saint CECIL, évêque itinérant, missionnaire au Roussillon et en Espagne (IVème siècle).

 Saint TORQUAT, évêque du Tricastin (sud de l'actuel département de la Drôme) (avant 371).

Saint PAUL, évêque du Tricastin, successeur de saint Torquat (vers 375). (La ville de Saint-Paul-Trois- Châteaux porte aujourd'hui son nom.)


 Saint PRECORD, Ecossais de nation, prêtre et ermite à Corbie et à Vailly en Picardie (VI ème siècle).

Saint CHARTIER, prêtre et confesseur en Berry (VI ème siècle).

Saint TRAJAN ou TUIAN, higoumène de Braspart en Bretagne (VI ème siècle).



Saint IGNER, moine, missionnaire en Bretagne (VIème siècle).

 Saint FAUSTE, higoumène du monastère d'Agaune (aujourd'hui Saint-Maurice) en Valais (513).
 Saint SEVER, higoumène près de Vire, puis évêque d'Avrenches en Normandie (vers 570).

Saint SOUR, ermite, puis fondateur et premier higoumène du monastère de Terrasson près de Sarlat dans le Périgord (vers 592).

Saint LEGER, évêque de Coutances (VIIème siècle).

Saint MARTIN, évêque du Velay (VIIème siècle).

Saint AGREVE, Espagnol de nation (?), évêque du Velay, et saint URSICIN, martyrs par la main des Ariens à Chiniacum, village du Vivarais aujourd'hui appelé Saint-Agrève (vers 650). 



Saint SIEGBERT III, roi d'Austrasie, un des illustres saints de la maison de France, remarquable par sa piété (654).  



1 febbraio santi martiri dal XVI al XXI secolo


 
Saint ANASTASE, peintre, martyr par la main des Musulmans (Nauplie 1655).

Saint PIERRE SKIPETROV, prêtre, martyr par la main des Communistes (Russie 1918).

Saint NICOLAS, prêtre, martyr par la main des Communistes (Russie 1938).


martedì 30 gennaio 2018

31 gennaio santi di Francia/ Saints du jour 31 janvier



Saint GAUD (VALDUS, WALDUS), évêque d'Evreux, puis ermite à Scicy (491).

Saint POUANGE, confesseur en Champagne (VIème siècle)

Saint BOBIN ou BOCIN, moine à Moutier-La Celle, puis évêque de Troyes (vers 766).

31 gennaio Santi Martiri dal XVI al XXI secolo

Saint ELIE ARDOUNIS, mort par le feu à Calamas (Péloponnèse) par la main des Musulmans (1686). 

 

http://www.johnsanidopoulos.com/2010/01/holy-new-martyr-elias-ardounis.html

30 gennaio Santi Italici ed italo greci


 

 

Santa Martina vergine martire a Roma sotto Alessandro Severo (verso il 226 )
Martina, figlia di un nobile romano, sarebbe stata diaconessa, che per aver rifiutato di fronte al tribunale di Alessandro Severo di sacrificare ad Apollo, dopo infiniti tormenti e prodigi da parte sua, fu condannata ad essere decapitata. La più antica notizia su Martina è che papa Onorio I le dedicò una chiesa nel Foro.
Tratto da 
http://www.santiebeati.it/dettaglio/39150

La storia di questa giovane santa comincia a ritroso, dalla sua tomba, 1.400 anni dopo il suo martirio, quando nel 1634 l'attivissimo Urbano VIII, impegnato sul fronte spirituale nella controriforma cattolica e su quello materiale nella restaurazione di celebri chiese romane, avendo riscoperto le reliquie della martire, ripropose ai romani la devozione di S. Martina, fissandone la celebrazione al 30 gennaio. Ne compose egli stesso l'elogio, con l'inno: "Martinae celebri plaudite nomini, Cives Romulei, plaudite gloriae", che invita ad ammirare la santa nella vita immacolata, nella carità esemplare e nella coraggiosa testimonianza resa a Cristo col martirio.
Chi era in realtà S. Martina, che riemergeva improvvisamente e prepotentemente nella devozione popolare, tanto da essere considerata come una delle patrone di Roma, dopo tanti secoli di oblio? Le notizie storiche sono poche. La più antica risale al VI secolo, quando papa Onorio le dedicò una chiesa nel Foro. Cinquecento anni dopo, compiendosi degli scavi in questa chiesa, si trovarono in effetti le tombe di tre martiri. La festa della santa era già celebrata nel secolo VIII. Null'altro si conosce, per cui è necessario attingere altre notizie da una Passio leggendaria. Secondo questo racconto, S. Martina era una diaconessa, figlia di un nobile romano. Arrestata per la sua aperta professione di fede, venne condotta al tribunale dell'imperatore Alessandro Severo (222-235). Questo principe semiorientale, aperto a tutte le curiosità, al punto di includere Cristo tra gli dei venerati nella famiglia imperiale, fu estremamente tollerante verso i cristiani e il suo governo è contrassegnato da una fruttuosa parentesi di distensione nei confronti della Chiesa, che in quel periodo ebbe una grande espansione missionaria.
Tutto è ignorato dall'autore della Passio, il quale si diffonde nell'elenco delle atroci torture inflitte dall'imperatore alla santa. Martina, trascinata davanti alla statua di Apollo, la fece andare in frantumi, provocando subito dopo un terremoto che distrusse il tempio e uccise i sacerdoti del dio.
Il prodigio si ripetè con la statua e con il tempio di Artemide. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre i suoi persecutori a riflettere; al contrario, più ostinati che mai, infierirono sulle delicate membra della fanciulla sottoponendola a crudelissimi tormenti, dai quali ella uscì sempre illesa. Fu la spada a porre fine a tante sofferenze, troncando il capo della martire, il cui sangue andò a irrorare il fertile terreno della Chiesa romana.
Il culto di santa Martina è inoltre attestato a Martina Franca (Taranto), dove è giunto in via particolare. Nel 1730 il cardinale Tommaso Innico Caracciolo, della famiglia dei duchi di Martina, pochi mesi prima di morire, volle donare alla città natale, e in particolare alla Collegiata di San Martino, in segno di affetto alcuni frammenti ossei della Santa, in un prezioso reliquiario d'argento, provenienti dalla chiesa dei Santi Luca e Martina di cui aveva il titolo cardinalizio, accompagnando il dono con una affettuosa lettera in cui annunciava che voleva donare alla città le reliquie della Santa che ne portava lo stesso nome. Santa Martina fu dichiarata patrona secondaria di Martina Franca.

Tratto 
http://www.vaticano.com/la-misteriosa-leggenda-santa-martina/
Martina fu una diaconessa, figlia di un nobile console romano. Rimasta orfana in tenera età si dedicò alle opere di carità cristiana, distribuendo soprattutto ai poveri le ricchezze ereditate dalla sua famiglia. Nei poveri ella vedeva l’immagine stessa del Cristo:
“In verità io vi dico: tutto quello che avrete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me”. Mt 25,40
Visse durante il terzo secolo d.c. e proprio perché confessò apertamente e pubblicamente la sua fede in Cristo venne arrestata e perseguitata. Condotta in tribunale dall’imperatore Alessandro Severo e tentata in tutti i modi ad abbandonare la fede cristiana fu minacciata affinché sacrificasse agli dei pagani.
Martina, nonostante tutto, rimase fedele al divino Maestro Gesù e sempre in atteggiamento di preghiera.

La santa fu trascinata davanti alla statua del dio pagano Apollo e la frantumò. Ne seguì un terremoto che distrusse il tempio causando la morte di alcuni sacerdoti del dio pagano. Lo stesso avvenne per il tempio dedicato ad Artemide. Tutto ciò portò i persecutori della fanciulla a sottoporla a crudeli tormenti dai quali Martina uscì illesa grazie alla protezione divina. Infine ella morì decapitata. Al crudele martirio assistette gente pagana che presto si convertì alla vera fede.
Papa Onorio I, le dedicò una chiesa nel foro romano.
La sua memoria viene celebrata il 30 gennaio, data fissata da Papa Urbano VIII che la proclamò una delle patrone della città di Roma.
Nell’iconografia Martina viene rappresentata con un giglio, simbolo della verginità, una palma che rappresenta il martirio e un paio di tenaglie e una spada, strumenti della sua tortura, sofferenza e morte.
Il culto di santa Martina è presente soprattutto a Martina Franca a Taranto dove giunse una parte delle sue reliquie.
La vita esemplare, la carità generosa e la coraggiosa testimonianza di fede resa a Gesù Cristo col martirio fanno di Martina una donna santa, esempio e testimonianza per tutti i cristiani.


Tratto da http://lagioiadellapreghiera.it/2017/01/30-gennaio-santa-martina-preghiera-e-vita.html

La storia di questa giovane santa cominciaa ritroso, dalla sua tomba, 1.400 anni dopo il suo martirio, quando nel 1634 l’attivissimo Urbano VIII, impegnato sul fronte spirituale nella controriforma cattolica e su quello materiale nella restaurazione di celebri chiese romane, avendo riscoperto le reliquie della martire, ripropose ai romani la devozione di S. Martina, fissandone la celebrazione al 30 gennaio. Ne compose egli stesso l’elogio, con l’inno: “Martinae celebri plaudite nomini, Cives Romulei, plaudite gloriae“, che invita ad ammirare la santa nella vita immacolata, nella carità esemplare e nella coraggiosa testimonianza resa a Cristo col martirio. Chi era in realtà S. Martina, che riemergeva improvvisamente e prepotentemente nella devozione popolare, tanto da essere considerata come una delle patrone di Roma, dopo tanti secoli di oblio? Le notizie storiche sono poche. La più antica risale al VI secolo, quando papa Onorio le dedicò una chiesa nel Foro. Cinquecento anni dopo,compiendosi degli scavi in questa chiesa, si trovarono in effetti le tombe di tre martiri. La festa della santa era già celebrata nel secolo VIII. Null’altro si conosce, per cui è necessario attingere altre notizie da una Passio leggendaria.
Secondo questo racconto, S. Martina era una diaconessa, figlia di un nobile romano. Arrestata per la sua aperta professione di fede, venne condotta al tribunale dell’imperatore Alessandro Severo (222-235). Questo principesemiorientale, aperto a tutte le curiosità, al punto di includere Cristo tra gli dei venerati nella famiglia imperiale, fu estremamente tollerante verso icristiani e il suo governo è contrassegnato da una fruttuosa parentesi di distensione nei confronti della Chiesa, che in quel periodo ebbe una grande espansione missionaria. Sebbene quindi il clima generale non fosse ostile ai cristiani Martina, viene trascinatadavanti alla statua di Apollo. Martina, si fece il segno della croce e iniziò a pregare. La statua andò in pezzi. I presenti fecero un balzo ma non ebbero il tempo di chiedersi che cosa diavolo stesse succedendo perché immediatamente ci fu un terribile terremoto che rase al suolo il tempio, uccidendo tutti i sacerdoti di Apollo e una buona dose di quanti si trovavano lì in quel momento. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre i suoi persecutori a riflettere; al contrario, più ostinati che mai, iniziarono con una fustigazione, ma Martina ne uscì illesa. Visto che la prima opzione era fallita fu colpita ripetutamente con il flagello uncinato epoi le vennero strappati brani di carne con delle tenaglie, ma anche qui non si ottennero dei risultati. Non solo Martina continua ad avere fede nel suo Dio, ma per di più le ferite scomparivano come se non ci fossero mai state.
Dopo averle fatto passare qualche giorno nel carcere Mamertino, decisero di ripresentarla al cospetto degli dei e qui alcuni affermano che si trattava del tempio di Artemide mentre altri parlano del tempio di Diana, fatto sta che il risultato non cambia. Il prodigio si ripeté esattamente come nel precedente, dopo che Martina entrata nel tempio, ordinò al demonio di abbandonare la statua. Provarono così nuove torture: la lapidarono con cocci, tegole e mattoni e poi, per giusta misura, le infilzarono tutte le membra con spilloni appuntiti. Inutile dire che Martina uscì da questo trattamento senza nemmeno un segno. Provarono adimmergerla nel grasso bollente: la santa ne uscì unta, ma viva. Allora la portarono nel circo perché fosse sbranata dalle fiere, ma queste non si degnarono nemmeno di assaggiarla; anzi, le si accucciarono ai piedi. Anche l’ultimo tentativo, gettarla nel fuoco, fallì miseramente. Fu allora la spada a porre fine a tante sofferenze, troncando il capo della martire, il cui sangue andò a irrorare il fertile terreno della Chiesa romana. Il culto di santa Martina è inoltre attestato a Martina Franca (Taranto), dove è giunto in via particolare. Nel 1730 il cardinale Tommaso Innico Caracciolo, della famiglia dei duchi di Martina, pochi mesi prima di morire, volle donare alla città natale, e in particolare alla Collegiata di San Martino, in segno di affetto alcuni frammenti ossei della Santa, in un prezioso reliquiario d’argento, provenienti dalla chiesa dei Santi Luca e Martina di cui aveva il titolo cardinalizio, accompagnando il dono con una affettuosa lettera in cui annunciava che voleva donare alla città le reliquie della Santa che ne portava lo stesso nome. Santa Martina fu dichiarata patrona secondaria di Martina Franca. Martina viene rappresentata, oltre che insieme a un giglio (che ne rappresenta la verginità) e alla palma (simbolo del martirio), con un paio di tenaglie (o un attrezzo che somiglia a un piede di porco) e una spada, ossia gli strumenti della sua sofferenza e morte.
 
 
Sant’Ippolito e altri e altre martiri a Ostia nel 269
http://web.tiscali.it/gl-wolit/ostia/ippolito.htm

Nella zona di Portus, odierna Isola Sacra, la chiesa di S.Ippolito costituì sin dall'età medievale il principale centro del culto cristiano. L'edificio, sorto sopra un quartiere romano del II d.C., presenta varie fasi costruttive che vanno dal IV (basilica a tre navate) al XII ( campanile romanico). Tra II e IV secolo l'area era stata utilizzata come cimitero ed è forse in tale circostanza che poté nascere il culto di Ippolito.
La sua identificazione con Ippolito antipapa della chiesa di Roma dal 217 al 235 e rivale di Callisto papa è probabilmente da respingere. Così come non è accettabile il dato tradizionale che lo considera vescovo di Portus, poiché la città non aveva allora un vescovo e semmai dipendeva da quello di Ostia (e comunque il primo vescovo ostiense di cui si abbia notizia partecipa al Concilio di Arles solo nel 314).
Negli Atti dei Santi si legge che il corpo martirizzato di S.Aurea venne ritrovato sulla spiaggia da Nonosus, che viene chiamato anche Ippolito e da questi seppellita nel suo terreno, dove abitava il 29 di Agosto. Si legge poi che Ippolito venne torturato ed affogato in una fossa davanti alle mura della città, vicino al fiume Tevere, e si specifica, in un altro manoscritto, nell'isola che ad un lato confina col mare, e per due è delimitata dal fiume Tevere. La notte seguente, i cristiani tolsero in segreto il corpo dalla fossa e lo seppellirono nei paraggi, a circa 60 piedi di distanza (ca 18 m.) in data 23 agosto. Vi è quindi una contraddizione di date la quale non può essere spiegata che ipotizzando un fatto storico trasformato e confuso dal racconto tradizionale.
In altre fonti Nonosus-Ippolito viene associato ai martiri Ercolano, Taurino ed Acontio: i primi due sono menzionati in una iscrizione della fine del IV (ad Ercolano è tra l'altro dedicata la chiesetta di Pianabella), mentre sappiamo che ancora nell'XI esisteva a Porto una chiesa intitolata a S.Acontio.
Nella chiesa di S.Ippolito è stata invece trovata una iscrizione del IV, reimpiegata nella ricostruzione del IX, in cui si menziona il vescovo Eraclida che costruisce una basilica ad Ippolito Martire. Mentre in un sarcofago del IX trovato sotto l'altare, si legge l'iscrizione HIC REQUIESCIT BEATUS YPOLIYUS MAR(TYR): altre fonti asseriscono invece che proprio in questo periodo il papa Formoso, avendo trasferito la sede vescovile all'Isola Tiberina, avrebbe ivi trasportato anche le reliquie di Ippolito e degli altri martiri di Porto.
 
Atti dei Martiri di Ostia Tiberina
traduzione della versione latina di un antico manoscritto greco che era conservato in Vaticano, pubblicato da Simone De Magistris nel 1795. Esiste anche un’altra antica versione latina della stessa storia, con leggere differenze in Acta Sanctorum, Augustus IV, p. 757 ff..

Gli “Acta martyrum ad Ostia Tiberina” narrano il martirio di alcuni cristiani ad Ostia Tiberina. L’anonimo redattore ha voluto raccogliere in un unico testo nomi di martiri (tra cui vari esponenti del clero di Ostia e di Porto), uccisi talvolta a distanza di qualche decennio (Censurino avrebbe subito il martirio qualche decennio prima rispetto ad Aurea, mentre Taurino, Ercolano e Ippolito anni dopo), probabilmente perché accomunati dalla località del martirio, Ostia; cristiani che ruotavano attorno alla figura di una nobile giovane Romana chiamata Chryse[1] in greco e Aurea in Latino (anche se De Magistris ha tradotto Chryse con Aura). Gli eventi riguardanti Aurea ed alcuni dei suoi compagni di martirio risalirebbero al 269, durante il regno di Claudio II il Gotico (268-270). Non c’è, tuttavia, motivo di dubitare che la storia è basata su fatti realmente accaduti. Aurea fu sepolta sul luogo dove poi sorse la cittadina di Ostia Antica, e dove successivamente è stata costruita una chiesa a lei dedicata,nei pressi della quale, nel 387, troverà sepoltura santa Monica, madre del beato Agostino d’Ippona. La Chiesa Ortodossa fa memoria dei martiri di Ostia il 30 gennaio.
http://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/vitesanti/ostiamartiri.htm
I (parte I)

Durante il regno di Claudio[2], mentre era governatore vicario Ulpio Romolo, ebbe inizio una persecuzione su grande scala contro i cristiani. Vi era un comandante con potestà di magistrato, che era segretamente cristiano, timorato di Dio e credente nella virtù del Signore Gesù Cristo, quotidianamente in segreto stava nelle sue preghiere, e praticava il digiuno e l’elemosina. Non indietreggiando in questo neanche alla presenza dell’imperatore Claudio, e quando vide che alcuni appartenenti alla comunità cristiana erano stati trascinati ad una morte violenta o alla prigione, li confortava in segreto e – come poteva – provvedeva loro cibo in prigione, servendoli sia nelle catene sia nelle carceri. Quando il re Claudio ebbe udito questo, infuriato ordinò che fosse arrestato e una volta preso allora gli disse: “Sei tu quell’uomo Censorino, adoratore degli dei, sempre benevolo alla maestà eterna? Non c’è nessuno dei servi che la nostra clemenza non ha rispettato, ma attraverso il culto degli dei conserviamo sempre coloro che governano lo stato!”. Allora Censorino rispondendo disse: “Testimonio il Signore Gesù Cristo: perché è il Dio vero; perché fu crocifisso e sepolto; ed è risuscitato dai morti, che è stato veduto dalla gente stessa che lo ha crocifisso; perché aveva predetto che avrebbe vissuto dopo la morte; e mentre lo guardavano, è asceso al cielo. Che nei nostri giorni è stato ritenuto degno di discendere dal Padre suo al grembo della Vergine; è stato ritenuto degno di discendere sulla terra in tale maniera, Lui che non avrebbe lasciato il cielo”. Allora Claudio, infuriato, disse: “Sei pazzo, Censorino!”, ed ordinò che fosse messo in prigione all’avamposto militare di Ostia. Tuttavia egli in prigione e stretto in catene, cantava le lodi del Signore giorno e notte.

II

In quella città vi era una tale ragazza di discendenza reale chiamata Aurea, che già aveva avuto esperienza di molte persecuzioni provocate da accuse. Era stata condannata ed aveva vissuto in una piccola proprietà che era di suo possesso[3], con uomini pii e sante vergini. Ogni giorno visitava san Censorino, prendendosi cura della sua vita giorno e notte: lavando con le proprie mani le sue catene e tergendo i suoi occhi e la fronte. Ora in quello stesso luogo vi erano, oltre lui, il santo il presbitero Massimo e il diacono Archelao, che offrivano quotidiani sacrifici a Dio sotto forma di inni e preghiere. Inoltre Massimo il presbitero operava miracoli di una tal grandezza nel nome del Signore Gesù Cristo, che non appena fu messo insieme al beato Censorino, immediatamente le catene si sciolsero dalle sue mani e dai piedi. Allora soltanto il benedetto Massimo aprì la sua bocca ed iniziò a parlare alle guardie: “Fratelli, abbandonate i demoni e tutti gli idoli e riconoscete il Signore Gesù Cristo, il re eterno, che è esistito prima di tutti i secoli e vive e che verrà a giudicare i vivi ed i morti ed il mondo col fuoco. Infatti il cielo e la terra passeranno, ma il mio Signore Gesù Cristo vivrà ora e sempre e per tutta l’eternità”. Le guardie chiesero a Massimo il presbitero: “E che cosa dovremmo fare, di modo che possiamo riconoscere ciò che predicate?”. Massimo il presbitero rispose: “Lasciate che ciascuno sia battezzato e credete in Cristo, il nostro Dio ed abbandonate gli idoli insignificanti e fate penitenza, perché inconsapevolmente avete bestemmiato il suo Nome santo ed avete ucciso molti dei suoi santi”. Allora Felice, Massimo, Taurino, Ercolano, Nevino, Historacino, Menna, Commodio, Hermis, Mauro, Eusebio, Rustico, Monaxio, Armandino, Olimpio, Eipros e Teodoro il tribuno, tutti e diciassette, si gettarono ai piedi del beato Massimo, desiderando essere battezzati. E subito furono battezzati secondo l’uso consueto e ricevettero la grazia di Cristo. Allora il santo vescovo Ciriaco, ungendoli con il Crisma di Cristo, li suggellò con le parole della fede.
III

Ora in quello stesso luogo vi era un calzolaio, il cui figlio era morto in quel momento. Il calzolaio stava piangendo la morte di suo figlio, quando Ciriaco e il benedetto Massimo e la beata Aurea passarono lì vicino. Allora il benedetto Massimo disse al calzolaio: “Tu, credi in Gesù Cristo Dio in presenza di noi tutti e tu vivrai e riavrai tuo figlio!”. Ma quegli in lacrime disse: “In che cosa dovrei credere? In ciò che nella mia gioventù ho bestemmiato?”. Massimo benedetto rispose: “Fa’ penitenza, perché Dio non risponde al nostro pentimento secondo i nostri peccati, ma si comporta secondo la sua grande misericordia”. Allora il calzolaio disse: “Credo in Gesù Cristo Dio”. Allora il benedetto Massimo lo battezzò nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e quando ebbe ricevuto il suggello di Cristo, gioendo ed esultando, condusse il benedetto Ciriaco e Massimo il presbitero a suo figlio. Allora il benedetto vescovo Ciriaco disse: “Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di assumere aspetto di schiavo[4], affinché noi potessimo essere liberati dalla schiavitù del diavolo[5], che ti sei degnato di risuscitare dai morti Lazzaro, che già puzzava[6], e che hai restituito alla vedova il suo unico figlio[7]! Concedi su questi tuoi servi la tua misericordia, affinché sia riconosciuto il Dio vivo e vero, il nostro Creatore, nella sua propria rigenerazione, perché tu regni nei secoli dei secoli”. E quando tutti ebbero detto “Amen”, colui che era morto ritornò in vita e iniziò a parlare dicendo: “Ho veduto Gesù Cristo Dio, ricondurmi (indietro) dalle tenebre alla luce[8]”. Allora lo istruì nella fede[9] e quando fu battezzato ed ebbe ricevuto il suggello della Croce, la beata Aurea lo prese con sé (come un figlio), perché il ragazzo risuscitato, che aveva nome Faustino, aveva dieci anni. Allo stesso tempo fu riferito a Claudio che un morto era stato risuscitato per la preghiera dei santi. E Claudio disse: “Questo può essere fatto soltanto con la magia”. E convocò il vicarius Urbis[10] chiamato Ulpio Romolo, che informò, dicendo: “Sottoponi a castigo la sacrilega Aurea, che offuscò la sua stirpe reale della sua potestà, avendo desiderato vivere permanentemente nelle pratiche magiche. Così che se sacrificherà agli dei e alle dee e crederà in loro, vivrà e l’accusa stabilita da me sarà ritirata. In caso contrario, coloro che saranno trovati partecipi a quella comunità saranno puniti e torturati insieme”.

I (parte II)

Ulpio Romolo andò alla città di Ostia ed ordinò che tutti i santi fossero messi in carcere. Alzatosi all’alba ordinò che Aurea benedetta fosse portata di fronte a lui. Così le disse: “Quale insana predilezione per le arti magiche è fiorita in te? Cosa ti ha spinto a rovinare la regale maestà e a lasciare gli illustri natali?”. La benedetta Aurea rispose: “Io ho lasciato i demoni ed ho abbandonato gli idoli falsi ed artificiali e ho riconosciuto l’unico Dio vivo e vero, e Gesù Cristo Dio, suo Figlio, che verrà a giudicare i vivi ed i morti e verrà a condannare il diavolo, vostro padre, che, insieme a Claudio, vi tiene nelle tenebre”. Il vicario Romolo disse: “Sei spinta ad un pazzo desiderio per le arti magiche, abbandona queste falsità e provvedi alla tua nobiltà!”. La benedetta Aurea soffiò sul viso del vicario e disse: “Misero, se conoscessi il Dio, Creatore del cielo e della terra, non emetteresti dalla tua bocca tali bestemmie”. Ma il vicario Romolo, infuriato, ordinò che venisse sospesa sul letto di tortura[11]. E mentre allungavano i suoi tendini con forza disse, con volto allegro e bello: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di sollevarmi dagli inferi agli eccelsi cieli”. E Romolo disse: “Dov’è il tuo Cristo, che predici ti libererà?”. La benedetta Aurea rispose: “Io non sono degna, ma Colui che si è degnato di liberarmi dall’oscurità del mondo, ha il potere di distruggere te e Claudio”. E appena ebbe detto questo il cavalletto di legno si spezzò. Quando fu deposta giù dall’apparecchio ordinò che fosse battuta con i randelli, dicendo, con voce da banditore: “Aurea sacrilega, non bestemmiare gli dei e i governanti del regno!”. Ma lei diceva: “Benedetto sei, Signore Gesù Cristo, che io posso già vedere!”. Allora Romolo disse ai suoi esecutori: “Arrecate le fiamme vicino ai suoi fianchi” e quando le fiamme furono appressate gioendo, felice, con voce limpida e splendido viso lei disse a Romolo: “Uomo infelice! Non c’è vergogna in te nel guardare membra (come quelle) di tua madre bruciate dal fuoco al tuo cospetto?”[12]. Romolo disse: “La tua infelicità merita queste cose. Poiché hai abbandonato gli dei immortali e la tua regale stirpe e perché hai desiderato contaminarti con le arti magiche”. Allora ordinò che, semi-bruciata, fosse gettata nuovamente dentro la prigione.

II

Ed ordinò che Massimo il presbitero e Archelao il diacono venissero condotti di fronte a lui, ed a loro disse: “Attraverso voi e i vostri insegnamenti sono bestemmiati i nomi degli dei ed ingannate le genti, di modo che non credono secondo le antiche consuetudini[13]”. Massimo il presbitero rispose e disse: “Non noi fuorviamo la gente, ma quanto la grazia di Dio permette per lo stesso (Dio) nostro Gesù Cristo, che la liberiamo dagli errori terreni e la acquistiamo nel suo nome santo”. Allora Romolo disse: “Questi uomini meritano la morte”. Ed ordinò che Ciriaco il vescovo, Massimo il santo presbitero, Archelao il diacono e tutti i soldati fossero decapitati vicino all’arco (di Caracalla) davanti al teatro[14]. Ordinò che i loro corpi fossero gettati in mare. Il beato Eusebio raccolse i corpi, nascondendoli vicino alla spiaggia, nei campi e li seppellì vicino a Roma in luogo sotterraneo[15] della via Ostiense. Nascose Taurino ed anche Ercolano a Porto Romano. Depose il beato Teodoro il tribuno nel suo sepolcro e raccolse tutti gli altri e li mise vicino ai corpi dei santi Ciriaco vescovo e Massimo il presbitero.

III

Dopo cinque giorni Romolo ordinò che la benedetta Aurea fosse portata di fronte a lui. Quando fu in piedi davanti lui, rallegrandosi gli disse: “Uomo infelice, perché stai sprecando i tuoi giorni? Riconosci il tuo creatore Cristo Figlio di Dio e non adorare le pietre o il bronzo, l’argento o l’oro, ma adora il Signore Gesù Cristo, che è stato crocifisso, che è risuscitato dalla tomba il terzo giorno ed è salito al cielo, da dove verrà a giudicare i vivi ed i morti ed il mondo attraverso fuoco”. Romolo rispose: “In un momento vedrai il tuo Cristo, nel quale credi se non sacrificherai agli dei”. La benedetta Aurea disse: “Hai detto bene, uomo infelice, e per una volta che la verità è venuta dalla tua bocca, quando dici che non sarà stato vinto affatto, se io non avrò sacrificato ai demoni”. Ordinò che le sue mascelle fossero battute a lungo con una pietra. La benedetta Aurea però gridava dicendo: “Gloria a Te Signore Gesù Cristo, perché ho meritato di essere chiamata tra i tuoi servi!”. Romolo disse: “Ora provvedi alla tua nobiltà, adora gli dei, sacrifica e prendi un marito adatto ai tuoi natali”. Con confidenza e con voce limpida la benedetta Aurea gli disse: “Ho uno sposo, il Signore del cielo e della terra, Gesù Cristo, che tu, uomo infelice, hai rifiutato di conoscere. Invece riconosci i demoni, che hanno riempito il tuo cuore di follia e di collera”. Romolo, infuriato, immediatamente ordinò che fosse finita col flagello piombato, al suo cospetto. Ma più veniva battuta più era rafforzata, e dopo ciò diede la sua condanna, ordinò che una grande pietra fosse legata intorno al suo collo e che venisse gettata in mare. Il suo corpo santo giunse alla spiaggia. Ma il beato Nonnus[16] raccolse il suo corpo[17] e lo seppellì nella sua stessa proprietà, quella in cui aveva vissuto, fuori delle mura della Porta di Ostia, il nono (giorno) delle Calende di settembre[18].

IV

Allora Romolo arrestò Sabiniano, un contadino di quella proprietà e prese a richiedere da lui le sue ricchezze, dicendo: “La sacrilega Aurea, che ha preferito morire per le arti magiche, piuttosto che godere della vita con noi, ha goduto sempre della tua amicizia. Ora porta rapidamente alla nostra presenza i suoi tesori e gioielli e sacrifica agli dei e vivi e sii umile secondo gli ordini imperiali”. Sabiniano rispose: “Io in verità sono stato educato sempre a essere umile dalla santa e benedetta Aurea, che mi ha insegnato a riconoscere il mio Signore, Gesù Cristo, che è nato da Maria vergine per mezzo dello Spirito Santo. Infatti dovresti sapere che non ho (altro) oro o argento o perle, se non il Signore Gesù Cristo”. Romolo disse: “Bada a te, e restituisci i tesori nascosti dell’imperatore, e sacrifica agli dei e recedi da questa follia falsa”. Sabiniano disse: “Senza dubbio io merito di essere battuto per i miei peccati, ma rendo grazie al Signore mio Gesù Cristo e credo che mi renderà atto alla conoscenza della sua misericordia, lui che persino si è degnato di donarmi la sua grazia nel battesimo. E dovresti sapere che non ho questo oro temporale e che la mia testa non si inchina ai demoni. Fa quel che vuoi”. Romolo, infuriato, ordinò che la sua nuca fosse battuta col flagello piombato e con voce fortissima gridò: “Non bestemmiare gli dei e le dee degli imperatori!”
V
Lo stesso giorno il beato Ippolito[19], ormai uomo anziano, che aveva sentito questo, si presentò al cospetto di Romolo, al quale, con voce sonora, così disse: “O misero, se soltanto sapessi, non daresti ai tormenti le teste dei santi, ma umilieresti te stesso e crederesti in Dio e nel Signore Gesù Cristo e ai suoi servi e non a pietre e a metallo inutili”. Romolo, infuriato, diede istruzioni che fosse gettato vivo in un pozzo, con le mani ed i piedi legati. Ma quando il beato Ippolito fu gettato nel pozzo davanti alle mura di Porto Romano, fu sentita una voce per il tempo di un’ora, come di bambini che ad alta voce rendevano grazie a Dio. Romolo disse: “Riconosco questo come la follia delle arti magiche”.

VI

Allora, infuriato, cominciò a gridare e disse: “Questo Sabiniano che è consumato dal desiderio per le arti magiche e dalla bramosia per le ricchezze, lo spezzerò in un momento o lo strapperò da terra, se non si umilierà di fronte agli dei e non sacrificherà loro”. Dopo aver detto questo ordinò che fosse battuto con i randelli e gli fosse gridato con voce molto forte: “Restituisci i tesori dell’imperatore e umiliati davanti agli dei che governano lo stato[20]”. Ma egli invece diceva: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato unirmi ai tuoi servi”. Ed anche se fu battuto a lungo, il suo viso rimase fermo e allegro. Romolo, infuriato, ordinò che fosse sollevato sul letto di tortura e mentre i suoi tendini si stiravano con forza e Romolo gli gridava a gran voce, continuò a rendere grazie al Signore Gesù Cristo. Romolo disse: “È pazzo e sicuro dei suoi espedienti magici”, ed ordinò che fosse tormentato dalle fiamme. E quando le fiamme furono avvicinate ai suoi fianchi, Romolo cominciò gridare e disse: “Ora provvedi a te e riconsegna i tesori!”. Il beato Sabiniano rese grazie a Dio dicendo: “Signore accogli il mio spirito”. E detto questo, rese lo spirito. Romolo ordinò che il suo corpo fosse gettato in un pozzo. Poco dopo, di notte, giunse un presbitero di nome Concordio, che tolse il corpo dal pozzo e lo depose vicino al corpo della beata Aurea il giorno quinto delle calende di gennaio[21]. Tutto ciò è accaduto durante il Regno del nostro Signore Gesù Cristo, al quale è la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen
Traduzione e note di E. M.
© Tradizione Cristiana
Febbraio 2009

 

[1] Chryse, nel 1981 nella chiesa di S. Aurea ad Ostia è stata ritrovato un frammento di epigrafe: CHRYSE HIC DORM[IT], a riprova che in antico quello era stato il luogo di sepoltura di S. Aurea.
[2] Nel testo del Martirio di Censorino (in Acta Sanctorum, September, II, p. 521-524) l’imperatore è invece Treboniano Gallo (206-253).
[3] Fonti documentarie citano una “Massa Aureana” nell’area di Laurentum.
[4] Cfr. Filippesi 2, 7.
[5] Cfr. 2 Timoteo 2, 26.
[6] Cfr. Giovanni 11, 39.
[7] Cfr. Luca 7, 11-17.
[8] Cfr. 1 Pietro 2, 9.
[9] cathechizavit eum.
[10] Operava in qualità di sostituto del prefetto di Roma, quando quest’ultimo seguiva l’imperatore nei suoi spostamenti attraverso l’impero.
[11] in eculeo.
[12] Lo stesso rimprovero fu mosso da S. Agata a Quinziano, che aveva dato ordine agli aguzzini di strapparle via le mammelle: “Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna ciò che tu stesso succhiasti nella madre tua?”.
[13] ut non credant secundum morem antiquitatis: una delle maggiori accuse mosse ai cristiani, riportate già da Tacito e Svetonio, era proprio di diffondere una “superstitio nova ac malefica”, un culto quindi che, essendo incompreso nei suoi riti (i cristiani erano a torto accusati di cannibalismo e riti orgiastici) e non godendo nemmeno di antichità (come ad es. il Giudaismo o i culti Egizi e i vari altri orientali) era molto disprezzato dai Romani, e condannato dalle autorità civili, laddove il rifiuto di sacrificare agli dei e all’imperatore veniva visto non più come una semplice minaccia all’ordine pubblico (come furono considerati i culti dionisiaci delle baccanti) ma come vera e propria sovversione tendente a minare le basi dell’impero.
[14] ad arcum ante theatrum, il luogo del martirio è situato vicino all’arco gemellato di fronte al Teatro di Ostia, dove in seguito sorse una chiesa dedicata ai martiri, di cui restano alcune tracce tra cui il sarcofago di Ciriaco.
[15] in crypta.
[16] Nonosus nel martirio di Aurea in Acta Sanctorum, Augustus IV, p. 757-761 cap. II, 17; altrove citato come Nummus.
[17] Il corpo di s. Aurea fu deposto fuori delle mura urbane di Ostia, in quel podere di proprietà della sua famiglia dove aveva vissuto in esilio da Roma. I suoi resti furono in seguito trasferiti a Roma, presso la Catacomba di san Saturnino (o di Trasone) sulla via Salaria; nel 1735 furono definitivamente trasferiti ad Albano, nella chiesa delle Oblate di Gesù e Maria, dove sono tuttora esposte alla venerazione.
[18] 24 agosto.
[19] Si tratta di san Ippolito martire, vescovo di Porto, spesso confuso per errore con l’omonimo martire Ippolito Romano (quest’ultimo celebrato il 13 agosto). Il Martirologio Romano definisce il vescovo di Porto persona molto erudita, e lo dice martire sotto l’imperatore Alessandro, fissandone la memoria al 22 agosto. Parte delle sue reliquie si trovano nell’altare della chiesa di san Giovanni Calibita in Roma, e parte a san Lorenzo in Damaso, insieme a quelle di Ercolano e Taurino.
[20] res publica.
[21] 28 dicembre.


Santa Savina di Milano vedova (verso il 311)

Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/91964


S. Savina nacque a Milano dalla nobile famiglia dei Valeri nel 260/267. Adulta, andò in sposa ad un patrizio lodigiano, forse della famiglia dei Trissino. Rimasta presto vedova, S. Savina si dedicò, essendo una fervente cristiana, ad opere di religione e di carità, soprattutto a favore dei perseguitati dell’ultima persecuzione di Diocleziano contro i cristiani. S.Savina fece seppellire nella propria casa, di nascosto, i corpi dei martiri Nabore e Felice, soldati della legione tebana, decapitati a Laus Pompeia (Lodi Vecchio) verso il 300-304. Cessata la persecuzione, Savina fece portare a Milano i corpi dei due martiri, trasportandoli su un carro alla presenza dei figli dell’imperatore. I corpi dei santi Nabore e Felice furono deposti nella cappella gentilizia dei Valerii. La traslazione dovette avvenire il 18 maggio del 310. Più tardi, dopo una vita spesa in veglie e preghiere, S. Savina morì (a. 311/317) e fu sepolta accanto ai “suoi” martiri.
Nel 1798, le reliquie di s. Savina e dei santi martiri Nabore e Felice furono traslate nella basilica di S. Ambrogio, dove a santa Savina è dedicata una cappella.
Secondo una tradizione, Savina traslò le reliquie dei martiri della legione tebana da Lodi a Milano, nascosti in una botte. Alle guardie delle porte di Milano, per poter passare senza problemi, santa Savina disse che la botte conteneva miele. Le guardie vollero controllare la botte e trovarono effettivamente del miele. Per questo, quel luogo fu poi chiamato Melegnano.

Tratto da http://digilander.libero.it/leggendeitaliane/leggende/lombardia/Santa%20Savina.htm
Alla fine del III secolo d. C. la persecuzione di Diocleziano era nella sua fase più terribile, chiunque osasse manifestare qualche tendenza verso la fede cristiana veniva torturato e ucciso. Le vittime furono moltissime ma la leggenda ne ricorda in particolare due: Naborre e Felice, militi mauritani. Naborre e Felice dopo lunghe ed efferate torture vennero decapitati a Lodi, e i loro corpi furono trafugati da una donna cristiana, Savina, che li nascose in casa sua e l'imbalsamò.I corpi di Naborre e Felice rimasero in casa di Savina finché al persecuzione di Diocleziano non iniziò a scemare, cioè circa 20 anni.In quel periodo il vescovo di Milano, approfittando della relativa calma, decise di recuperare in città i corpi di tutti i cristiani uccisi e seppellire le loro salme con tutti gli onori.Saputo della decisione del vescovo, Savina colse l'occasione di portare le salme dei due martiri. Nascose i due corpi in una botte di legno e con molta fatica li caricò sul carro.Arrivò sul fiume Lambro cercando di pensare un modo per traghettare senza essere vista dai soldati o gabellieri; trovò un punto molto isolato, ma arrivata sull'altra sponda scoprì di essere capitata in un posto di blocco. I guardiani chiesero spiegazioni a Savina, ma si mostrarono molto scettici a causa della tarda ora e della scelta del luogo di traversata del fiume.Savina rispose prontamente ai soldati che stava trasportando miele ma questi non gli credettero; uno dei soldati schiodò un asse della botte e vi immerse la mano, quando la ritrasse, con molto stupore da parte di Savina, la mano grondava di miele. Naborre e Felice ebbero un'adeguata sepoltura e vennero sepolti nel cimitero di porta Vercellina dove poi sorse una basilica in loro memoria. Savina morì pregante sulle tombe dei due martiri; si crede sia sepolta nella basilica Ambrosiana venerata come protettrice delle madri milanesi.Il luogo in cui avvenne il miracolo da allora cambio nome: da il villaggio del Grano divenne Melegnano a causa del miele


Sant’Armentario vescovo di Pavia (verso il 711)

Martirologio Romano: A Pavia, sant’Armentario, vescovo, che depose solennemente nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro il corpo di sant’Agostino, ivi traslato dal re Liutprando.

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91284

Si hanno pochissime notizie sulla sua vita. Succedette al vescovo di Pavia Gregorio e resse quella Chiesa tra il 710 ed il 722 circa. Lottò per difendere dalle pretese della Metropolia di Milano la diretta dipendenza di Pavia dalla Sede Apostolica. È ricordato per aver accolto le spoglie di S. Agostino giunte dalla Sardegna per volontà del re Liutprando, e per aver consacrato al grande santo un altare della basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro.
Morì nel 731. La sua tomba fu meta di numerosi pellegrinaggi, grazie alla fama di potente intercessore attribuitagli dal popolo dopo la morte. Le reliquie si venerano attualmente nella Cattedrale di Pavia.








Sainte MARTINE, vierge, martyre à Rome sous Alexandre Sévère (vers 226). 


Saints HIPPOLYTE, hiéromartyr, CENSORINUS, SABIN, CHRYSIE (AURA), FELIX, MAXIME, HERCULE, VENERIUS, STYRACIUS, MENAS, COMMODE, HERMES, MAURUS, EUSEBE, RUSTIQUE, MONAGRE, AMANDINUS, OLYMPIUS, CYPRUS, THEODORE le tribun, MAXIME le prêtre, ARCHELAÜS le diacre et CYRIAQUE l'évêque, martyrs à Ostie (vers 269). (Office à saint Hippolyte traduit par le père Denis Guillaume au tome I des Ménées.) 
http://oca.org/saints/lives/2014/01/30/100351-hieromartyr-hippolytus-the-pope-of-rome 

http://oca.org/saints/lives/2014/01/30/100355-virginmartyr-chryse-of-rome

http://www.johnsanidopoulos.com/2017/01/synaxarion-of-holy-hieromartyr.html

Troparion — Tone 4

Your lamb Chryse, / calls out to You, O Jesus, in a loud voice: / “I love You, my Bridegroom, / and in seeking You, I endure suffering. / In baptism I was crucified so that I might reign in You, / and I died so that I might live with You. / Accept me as a pure sacrifice, / for I have offered myself in love.” / Through her prayers save our souls, since You are merciful.


Saint HIPPOLYTE, martyr à Plaisance en Italie.


Sainte SAVINE de Lodi, veuve (vers 311). 

http://www.santiebeati.it/dettaglio/91964

Saint FELIX IV, pape et patriarche de Rome, confesseur (530).

Saint ARMENTAIRE, évêque de Pavie (vers 711). 
Si hanno pochissime notizie sulla sua vita. Succedette al vescovo di Pavia Gregorio e resse quella Chiesa tra il 710 ed il 722 circa. Lottò per difendere dalle pretese della Metropolia di Milano la diretta dipendenza di Pavia dalla Sede Apostolica. È ricordato per aver accolto le spoglie di S. Agostino giunte dalla Sardegna per volontà del re Liutprando, e per aver consacrato al grande santo un altare della basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro.
Morì nel 731. La sua tomba fu meta di numerosi pellegrinaggi, grazie alla fama di potente intercessore attribuitagli dal popolo dopo la morte. Le reliquie si venerano attualmente nella Cattedrale di Pavia.