giovedì 25 gennaio 2018

25 gennaio santi italici ed italo greci

 
Santa Felicita martire a Roma con i suoi sette figli Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale (verso il 164)
Martirologio Romano alla data del 23 Novembre: A Roma nel cimitero di Massimo sulla via Salaria nuova, santa Felicita, martire.
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/78825
Il più antico documento che ricorda la martire Felicita il Martirologio Geronimiano, il quale, alla data del 23 novembre, ha: "Romae in cimiterio Maximi, Felicitatis" (il cimitero di Massimo è sulla via Salaria Nuova). Questa notizia del Geronimiano è confermata dagli itinerari, i quali indicavano ai pellegrini il sepolcro della martire in quel cimitero, e dalle biografie dei papi che lo avevano restaurato. Un frammento di epitafio ci fa sapere che due cristiani si erano scelti qui il sepolcro:
Conferma questa notizia il fatto che, al tempo di Gregorio Magno (590-604), tra gli altri olii raccolti dal presbitero Giovanni sui sepolcri dei martiri romani, fu offerto alla regina Teodolinda anche l'olio della lampada che ardeva presso il sepolcro della martire. Egli, tuttavia, attrverso la pittura murale, rappresentante Felicita in mezzo a sette figure, credette che qui riposassero con lei i suoi sette figli
Felicita è conosciuta comunemente come la madre dei sette fratelli martiri. La sua passio è pervenuta attraverso due testi: il primo, molto breve, è conservato in numerosi documenti il secondo si riallaccia ad una traslazione di reliquie a Benevento ed è un rimaneggiamento del primo. Secondo la passio più antica, composta tra la fine del sec. IV e l'inizio del sec. V, Felicita, ricca vedova, fu accusata da sacerdoti pagani all'imperatore Antonino. Publio, prefetto di Roma, incaricato dall'imperatore di giudicare la santa, cominciò ad interrogarla da sola, e tuttavia non ottenne alcun risultato. Il giorno dopo fece condurre la madre e i sette figli presso il foro di Marte, ma Felicita esortò i figli a rimanere saldi nella fede. Il giudice se li fece condurre davanti l'uno dopo l'altro: Gennaro, Felice, Filippo, Silano, Alessandro, Vitale e Marziale. Non riuscendo a piegare la loro costanza, li assegnò a diversi giudici incaricati di eseguire la sentenza di morte, che fu eseguita con diversi supplizi.
Sul sepolcro di Felicita, papa Bonifacio I (418-22) edificò una basilica nella quale egli stesso fu sepolto, come indicano il Martirologio Geronimiano (VI sec.) e il Liber Pontificalis. La devozione del papa a Felicita nacque dall'essersi egli rifugiato in quel cimitero ed avere abitato in costruzioni sopra terra durante lo scisma di Eulalio, terminato come egli ritenne, per opera della santa. Nella basilica, s. Gregorio Magno recitò un'omelia nel dies natalis della martire, facendo riferimento alla passio. I resti di un dipinto del sec. VIII, nella stessa catacomba, mostrano il Redentore che dà la corona a Felicita e a sette martiri, quegli stessi che sono stati ritenuti figli di Felicita.
Presso le terme di Traiano dal lato verso il Colosseo, nel 1812 fu scoperto un oratorio in onore della santa con la sua immagine; qui si recavano le matrone a pregare. Felicita, come attesta l'iscrizione ivi scoperta, posta ai lati del capo, era venerata come protettrice delle donne romane:FELICITAS CULTRIX ROMANARUM.
L'oratorio, di modeste dimensioni, era ornato, nella nicchia dell'altare, da una pittura del sec. V-VI, la quale rappresentava la martire, eretta, in figura di orante, con intorno i suoi sette figli, e in alto la figura' del Redentore, che tiene nella destra una corona gemmata per cingerle il capo. Quando il dipinto venne alla luce, mostrava a destra, in basso, la figura di un carceriere con la chiave: forse perché si credeva che Felicita fosse stata in carcere in questo luogo, prima di sostenere il martirio. Il De Rossi ritiene che il sito fosse l'abitazione di Felicita: se ciò corrispondesse alla realtà, si spiegherebbe la devozione delle matrone romane per esso.

MARTIRIO DI SANTA FELICITA
E DEI SUOI SETTE CRISTIANISSIMI FIGLI
Sta in
http://www.oodegr.com/tradizione/tradizione_index/vitesanti/sfelicitaefigli.htm

La prima accusa alla cristiana Felicita, vedova e madre di sette figli (come Sinforosa di Tivoli), è mossa dalle autorità sacerdotali pagane. Può sembrare strano che l’abbia accolta un imperatore come Marco Aurelio, che aderiva alla filosofia stoica, non senza una venatura di scetticismo per tutte le fedi religiose, ma l’accusa dei pontefici toccava un tasto molto delicato: «Contro la vostra salute questa vedova con i suoi figli insulta i nostri dèi!»[1]. Sul culto dell’imperatore si scontravano Roma e il cristianesimo e, fin dai tempi di Plinio e Traiano, l’atto di adorazione al sovrano era la condizione indispensabile perché un cristiano venisse prosciolto da un’accusa. Inoltre l’impero di Marco Aurelio fu turbato da guerre, pestilenze e altre calamità che, per i sacerdoti e la folla pagana, erano causati dalla collera degli dèi: l’ostilità dei cristiani al culto tradizionale doveva quindi essere punita. Felicita e i figli erano di famiglia nobile, tanto che a uno dei giovani il prefetto Publio, il quale dirige il processo, promette di farlo diventare «amico degli Augusti»[2]. La condanna imperiale a morire sotto diversi giudici (e quindi con diversi supplizi) mirava forse a dare un esempio agli abitanti dei vari quartieri di Roma.
Alcuni studiosi hanno messo in dubbio l’autenticità degli atti, considerando il racconto un’imitazione di quello dei sette fratelli Maccabei (II libro dei Maccabei 1,1-41)[3], ma un documento scritto del IV secolo relativo alla loro sepoltura e alcuni ritrovamenti archeologici sembrano confermarne l’autenticità. In una omelia, pronunciata nella basilica di santa Felicita, San Gregorio il Dialogo, papa di Roma, fa riferimento ad un antico documento, le “Gesta emendatoria”, contenente la storia dei nostri martiri, e li ricorda in un suo commento all’Evangelo di Matteo (12, 47).
La Chiesa Ortodossa li onora il 25 gennaio. Nella Chiesa di Roma Antica, nel IV secolo, la loro festa veniva celebrata, con molta solennità e grande partecipazione dei fedeli, il 10 luglio[4], chiamato dalla gente “dies martyrum”.


I - Ai tempi dell’imperatore Antonino scoppiò una rivolta dei pontefici e fu arrestata e trattenuta in carcere la nobildonna Felicita con i suoi sette cristianissimi figli[5]. Permanendo nello stato di vedovanza, aveva consacrato a Dio la sua castità e, dedicandosi giorno e notte alla preghiera, offriva alle anime caste uno spettacolo altamente edificante. I pontefici allora, vedendo che, per opera sua, progrediva la divulgazione del nome cristiano, la calunniarono all’imperatore dicendo: «Contro la vostra salute questa vedova con i suoi figli insulta i nostri dèi! Se non venererà gli dèi, sappia la pietà vostra che i nostri dèi si adireranno talmente da non poter essere placati con nessun mezzo».
Allora l’imperatore Antonino ingiunse a Publio[6], prefetto della città, di costringerla, insieme con i suoi figli, a mitigare con i sacrifici le ire dei loro dèi. Pertanto Publio, prefetto della città, fece venire al suo cospetto la donna in udienza privata e, pur invitandola al sacrificio con blande parole, le minacciava la morte tra i supplizi. Felicita gli rispose: «Non potrò né cedere alle tue blandizie né piegarmi alle tue minacce. Ho infatti lo Spirito santo che non permette che io sia vinta dal demonio; pertanto sono sicura che ti vincerò da viva e, se sarò uccisa, meglio ancora ti vincerò da morta».
Replicò Publio: «Disgraziata, se per te è dolce morire, fa vivere almeno i tuoi figli!».
Rispose Felicita: «I miei figli vivranno, se non sacrificheranno agli idoli; se invece commetteranno un delitto così grande, andranno incontro alla morte eterna».

II - Il giorno dopo Publio sedette nel foro di Marte, mandò a chiamare Felicita con i figli e le disse: «Abbi pietà dei tuoi figli, giovani retti e nel fiore dell’età!».
Rispose Felicita: «La tua misericordia è empietà e la tua esortazione crudeltà» e, rivolta ai figli, disse loro: «Mirate al cielo, o figli, e levate in alto lo sguardo; là vi attende Cristo con i suoi santi. Combattete per le vostre anime e mostratevi fedeli nell’amore di Cristo!».
Udendo queste parole, Publio la fece schiaffeggiare, dicendo: «Hai osato, in presenza mia, dare codeste esortazioni, affinché disprezzino i comandi dei nostri sovrani?».

III - Quindi chiamò il primo dei figli di lei, di nome Gennaro, e, promettendogli abbondanza di beni terreni,, parimenti gli minacciava le frustate, se si fosse rifiutato di sacrificare agli idoli. Gennaro rispose: «Cerchi d’indurmi alla stoltezza, ma la sapienza di Dio mi protegge e mi farà superare tutte queste prove».
Subito il giudice lo fece percuotere con le verghe e rinchiudere in carcere. Quindi si fece condurre il secondo figlio, di nome Felice. Mentre Publio lo esortava a immolare agli idoli, il giovane dichiarò con fermezza: «Uno solo è il Dio che adoriamo, a cui offriamo il sacrificio della pia devozione. Guardati dal credere che io o qualcuno dei miei fratelli deviamo dalla strada dell’amore di Cristo. Ci si preparino pure le frustate, pendano sul nostro capo decisioni di sangue. La nostra fede non può essere né vinta né cambiata! ».
Mandato via anche questo, Publio si fece condurre il terzo figlio, di nome Filippo. Quando gli disse: «L’imperatore (Marco Aurelio) Antonino, signore nostro, vi ha comandato d’immolare agli dèi onnipotenti», Filippo rispose: «Codesti non sono né dèi né onnipotenti, ma simulacri vani, miseri e insensibili e quelli che vorranno sacrificare loro correranno eterno pericolo».
Fatto allontanare Filippo, Publio si fece condurre il quarto figlio, di nome Silvano, a cui disse così: «Come vedo, d’accordo con la vostra pessima madre, avete preso la decisione d’incorrere tutti nella condanna, disprezzando gli ordini dei sovrani».
Rispose Silvano: «Se temeremo la morte temporale, incorreremo nel supplizio eterno. Ma poiché sappiamo bene quali premi siano riservati ai giusti e quale pena sia stabilita per i peccatori, tranquillamente disprezziamo la legge umana per rispettare i precetti del Signore. Chi sprezza gli idoli, infatti, e obbedisce al Dio onnipotente, troverà la vita eterna, ma chi adora i demoni andrà con essi alla perdizione e al fuoco eterno».
Fatto allontanare Silvano, si fece venire vicino Alessandro, al quale disse: «Se non sarai ribelle e farai ciò che più desidera il nostro sovrano, si avrà riguardo per la tua età e per la tua esistenza che non è ancora uscita dall’infanzia. Quindi, sacrifica agli dèi, per poter diventare amico degli Augusti e conservare la vita e il loro favore».
Rispose Alessandro: «Io sono servo di Cristo. Lo confesso con le labbra, lo conservo nel cuore, lo adoro incessantemente. L’età tenera che tu vedi in me ha la saggezza degli anziani, quando venera il Dio unico. Invece i tuoi dèi con i loro adoratori saranno condannati alla morte eterna».
Fatto allontanare Alessandro, fece venire a sé il sesto, Vitale, a cui disse: «Forse, almeno tu desideri vivere e non andare incontro alla morte». Rispose Vitale: «Chi desidera vivere meglio? Chi adora il vero Dio o chi desidera avere propizio il demonio?».
Disse Publio: «E chi è il demonio?». Rispose Vitale: «Tutti gli dèi dei gentili sono demoni e tutti coloro che li adorano»[7].
Fatto andar via anche questo, fece entrare il settimo, Marziale, e gli disse: «Crudeli contro voi stessi per vostra volontà, disprezzate le leggi degli Augusti e vi ostinate a rimanere nel vostro danno».
Rispose Marziale: «O se sapessi quali pene sono destinate ai cultori degli dèi! Ma Iddio attende ancora a mostrare la sua collera contro di voi e contro i vostri idoli. Infatti, tutti coloro che non riconoscono Cristo come vero Dio saranno mandati al fuoco eterno».
Allora Publio fece allontanare anche il settimo dei fratelli e spedì all’imperatore una relazione scritta del processo[8].

IV - L’imperatore li inviò a giudici diversi, per farli morire sotto diversi supplizi. Uno dei giudici fece morire il primo dei fratelli con fruste di piombo. Un altro uccise a furia di bastonate il secondo e il terzo, un altro ancora scaraventò il quarto da un precipizio. Un altro dei giudici fece eseguire la pena capitale contro il quinto, il sesto e il settimo, un altro infine fece decapitare la loro madre. Così, morti per diversi supplizi, furono tutti vincitori e martiri di Cristo e, trionfando con la madre, volarono in cielo a ricevere i premi che avevano meritato. Essi che, per amore di Dio, avevano disprezzato le minacce degli uomini, le pene e i tormenti, divennero nel regno dei cieli amici di Cristo, che, con il Padre e lo Spirito santo, vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.


[1] Martirio di santa Felicita, c. I.
[2] Martirio di santa Felicita, c. III.
[3] Oltre al contegno eroico dei giovani e della loro madre, un importante elemento di affinità tra il presente racconto e quello biblico è il frequente accenno alla vita che attende l’anima dopo la morte. La fiducia nell’immortalità è un dato acquisito dalla fede cristiana, ma nella storia del popolo ebraico non lo era stato fin dalle origini ed aveva cominciato ad assumere consistenza proprio all’epoca dei Maccabei.
[4] Così la Depositio Martyrum. Il martirologio geronimiano ricorda Felicita il 23 novembre e i figli in date diverse.
[5] Un affresco (V-VI sec) scoperto dal De Rossi al Colle Oppio alla fine del 1800, presso un antico oratorio ritenuto la casa o il carcere dei martiri, riproduceva la santa (Felicitas Cultrix Romanarum) circondata dai figli, mentre il Salvatore le regge la corona sul capo dall’alto; non si sa però se esso derivi dagli atti del martirio o da un documento posteriore.
[6] Publio Salvio Giuliano, successo a Urbico nel 162, giureconsulto che resse la prefettura di Roma a cavallo tra l’impero di Antonino Pio (138-161) nel 161 e quello di M. Aurelio e L. Vero nel 161-162.
[7] Per i cristiani antichi gli dèi pagani sono veri spiriti del male e non immagini imperfette di una verità intravista, sia pure confusamente. Tale motivo viene spesso ripreso negli atti dei martiri.
[8] Esempio di scrupolo professionale non raro tra i funzionari dell’impero, che solo una tradizione edificante, ma superficiale, immagina tutti accaniti nel tormentare i cristiani.

 Santi Mauro e Placido discepoli di San Benedetto di Norcia (verso il IV secolo)
Tratto da
http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2013/10/5/SANTO-DEL-GIORNO-Il-5-ottobre-si-celebra-San-Placido-discepolo-di-san-Benedetto-da-Norcia/432667/

San Placido, assieme a San Mauro, è uno dei discepoli i di San Benedetto da Norcia più conosciuti e venerati dalla cristianità. La vita di questo santo si colloca nel IV secolo ma sappiamo ben poco o meglio quasi nulla sulla sua nascita e le sue origini.
E’ certo che San Placido Monaco venne affidato a San Benedetto in fanciullezza già da Subiaco (Lazio) e che era più giovane di San Mauro. Proprio per la sua tenera età è da sempre considerato il Patrono protettore dei novizi benedettini. Sappiamo che entrambi i due discepoli furono molto cari all'Abate San Benedetto che li istruì alla professione religiosa con amore e dedizione. L'indole di Placido era soprattutto celebre tra i suoi confratelli per la sua mitezza e la sua mansuetudine e forse, non a caso, l'etimologia del nome Placido rivela proprio queste qualità in chi porta questo nome. L'agiografia riporta un evento miracoloso che vede questo santo protagonista. Nei “Dialoghi di Papa Gregorio Magno” viene narrato che un giorno Placido si recò al lago vicino per attingere dell'acqua. Placido cadde accidentalmente nelle acque del lago e fu trascinato lontano dalla riva da una forte corrente. San Benedetto, che in quel momento era nella sua cella, ebbe la visione di ciò che stava accadendo al suo caro discepolo e chiamò immediatamente Mauro per mandarlo in soccorso del confratello. Mauro obbedì senza esitazioni precipitandosi sulle rive del lago dove camminò sulle acque fino ad afferrare Placido per portarlo in salvo sulla terra asciutta. Solo dopo aver salvato il suo confratello si rese conto del miracolo che lo aveva coinvolto. Quando i due discepoli tornarono da San Benedetto raccontarono il prodigio di Mauro. San Benedetto lo attribuì all'obbedienza di Mauro mentre lo stesso lo attribuiva alle doti del suo maestro. A risolvere la questione fu lo stesso Placido che spiegò loro che mentre veniva tratto in salvo vide sul suo capo il mantello di San Benedetto al punto che pensò che fosse lui a trascinarlo a riva.
Secondo una tradizione diffusa nel IX secolo, Mauro fondò a Glanfeuil , in Francia, un monastero dove portò la Regola benedettina; per questo i religiosi della congregazione benedettina francese, sorta nel 1618, presero il nome di Maurini.
Tratto da
http://vangelodelgiorno.org/main.php?language=MI&module=saintfeast&localdate=20180115&id=11641&fd=0

Nel secondo libro dei Dialoghi, Gregorio Magno, papa, narra la vita di san Benedetto da Norcia, abate, che è la figura di riferimento fondamentale della tradizione del monachesimo d’Occidente.Lungo la narrazione della vita di Benedetto (VI secolo), si racconta di due suoi discepoli, da Benedetto particolarmente amati, Mauro e Placido, condotti in giovane età al monastero di Subiaco.
Mauro, figlio del nobile romano Equizio e Placido, figlio del patrizio Tertullo, vengono educati dal patriarca del monachesimo d’Occidente e partecipano alle esperienze luminose della vita di lui. L’episodio che rese particolarmente cari i due discepoli alla storia della spiritualità monastica e cristiana in genere, è (c. VII del II Libro dei Dialoghi) quello dell’obbedienza pronta e umilissima di Mauro che, seguendo l’ordine di Benedetto, cammina sulle acque per accorrere a salvare dai gorghi del lago il piccolo Placido incautamente sportosi e caduto in acqua.
Circolarono nei secoli successivi biografie agiografiche di Mauro (Odone di Glanfeuil nel IX secolo, ripreso poi dallo pseudo Fausto) che lo descrivono trasferito in Francia (dove avrebbe fondato il monastero di Glanfeuil, oggi Saint-Maur-sur-Loire), attraverso peregrinazioni le cui tappe sono tutte costellate da miracoli che illustrano diverse sedi dell’Italia e della Francia. Vari luoghi vantano di custodire le sue reliquie. La venerazione dei due santi, e particolarmente di Mauro, crebbe in epoca moderna; del nome di Mauro si fregiò una famosa congregazione francese (i “Maurini”), nota per gli studi critici ed eruditi di patristica, storia, agiografia.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/37850
Un prete di vita sconcia, per far fuori Benedetto da Norcia, gli manda nella sua comunità di Subiaco l’omaggio tradizionale di un grosso pane benedetto. Ma a lui basta toccarlo per “sentire” che è avvelenato. E chiama un corvo suo amico, che pronto arriva a uncinare il pane col becco e a portarlo lontano. Un affresco nel Sacro Speco di Subiaco mostra il corvo già in volo col pane, Benedetto che lo saluta e due ragazzi che stanno a guardare stupefatti. Si chiamano Placido e Mauro, figli dei patrizi romani Tertullo ed Eutichio, che li hanno condotti nella “confederazione” di piccoli monasteri creata da Benedetto, e a lui li hanno affidati per l’educazione.
Parla di Mauro il papa Gregorio Magno (590-604) nei suoi Dialoghi e gli attribuisce gesta prodigiose. Come quando, visto cadere Placido nel vicino lago, lo raggiunge camminando sull’acqua e lo tira in salvo per i capelli. O quando si mette a pedinare un monaco che taglia sempre la corda nell’ora della preghiera: e smaschera così un piccolo diavolo che sta vicino a lui, e lo tira per la tonaca... Ma tutto avviene sempre per ordine e con l’aiuto del padre spirituale, cioè di Benedetto. (Con i Dialoghi, papa Gregorio voleva trasmettere insegnamenti ascetici e morali; non certo fare opera di puro cronista. I suoi molti racconti hanno appunto questo scopo. Ma va anche detto che gli studiosi del nostro tempo si stanno interessando anche all’importanza storica dell’opera).
Quando Benedetto lascia Subiaco per Montecassino (verso il 529), Mauro quasi certamente rimane lì, come abate di Subiaco. E a questo punto finisce la sua storia …non conosciamo gli anni di nascita e di morte né alcun altro fatto che lo riguardi. Affondato nel mistero.
Trecento anni dopo (863) compare in Francia una agiografica “biografia” di lui. Autore: l’abate Odone di Glanfeuil, che dice di aver praticamente riscritto il racconto di un certo Fausto, amico di Mauro e arrivato con lui in Francia, portandovi la Regola benedettina. Non c’è alcun documento che confermi il racconto di Odone o che certifichi la presenza di Mauro in terra francese. Pura fantasia, si direbbe. Eppure...
Eppure il paese dell’abate Odone, Glanfeuil, si è poi chiamato Saint Maur sur Loire. Eppure nel 1618, mille anni dopo Mauro, nasce in Francia una congregazione benedettina, che nel 1766 avrà 191 case e 1.917 monaci. E con loro, ecco tornare il nome del discepolo di san Benedetto: questi religiosi si chiamano infatti monaci maurini. La fine della loro congregazione, poi, è una grande pagina di storia benedettina: nei “massacri di settembre” della Francia rivoluzionaria (1792) viene messo a morte l’ultimo abate generale: Agostino Chevreux. E con lui altri quaranta confratelli. Tutti monaci maurini. Ne ha fatto di strada, questo nome.
 
Sainte FELICITE, martyre à Rome avec ses sept fils saints JANVIER, FELIX, PHILIPPE, SILVAIN, ALEXANDRE, VITAL et MARTIAL (vers 164). http://www.santiebeati.it/dettaglio/78825



Troparion — Tone 4

Your holy martyr Felicitas, O Lord, / Through her sufferings has received an incorruptible crown from You, our God. / For having Your strength, she laid low her adversaries, / And shattered the powerless boldness of demons. / Through her intercessions, save our souls


Saints ARTEME, enfant, et ses compagnons ANTIMASE, SABIN, LEODOCE et THEOGENE, martyrs en Campanie.

Sainte CASTULE de Capoue en Campanie.

Saints FABIEN et SABINIEN, martyrs en Sicile.

Saint SODON de Ravenne.

Saint PROJECT, diacre et martyr à Casale en Italie (VIIIème siècle).
Saints MAUR et PLACIDE, disciples de saint Benoît de Nursie (Italie, VIème siècle
  

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