martedì 16 dicembre 2014

17 dicembre il santorale






















 
Mémoire du saint prophète DANIEL et des trois saints jeunes gens: ANANIAS, AZARIAS et MISAËL (VIème siècle avant NSJC). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XII des Ménées.) 



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Troparion — Tone 2

Great are the accomplishments of faith, / for the Three Holy Youths rejoiced in the fountain of flames as though in the waters of rest; / and the prophet Daniel appeared, a shepherd to the lions as though they were sheep. / So by their prayers, O Christ God, save our souls!

Kontakion — Tone 3



When your pure heart was purged by the Spirit / you became a vessel of clear prophecy; / you saw things far away as though they were near at hand. / When cast into their den you tamed the lions. / Therefore, we honor you, blessed prophet, glorious Daniel.

Santi Anania, Misaele e Azaria (Abdenago, Misach e Sidrach) Martiri


Abdenago, Misach e Sidrach, chiamati anche Anania, Misaele e Azaria, sono personaggi biblici. Il libro del profeta Daniele, nei primi tre capitoli, espone la vicenda di questi tre personaggi con dovizia di particolari. Sono i tre giovinetti, divenuti governatori di Babilonia, che, per non aver voluto adorare un idolo pagano, furono gettati in una fornace ardente dalla quale rimasero, però, illesi. Le reliquie dei tre santi vetero-testamentari furono traslati da Babilonia a Costantinopoli, nella chiesa di S. Daniele stilita. Da là queste reliquie furono portate, nel 1156, nell’abazzia di Montevergine dove tuttora si venerano. Le reliquie dei tre fanciulli babilonesi sono esposte in tre reliquiari diversi. In uno di questi, su una targhetta, c’è scritto “Ossa S. Misach ex tribus puer Babylon”. Nel secondo la targhetta avverte trattasi di “Ossa S. Sidrach ex tribus puer Babylon”. Nel terso reliquiario vi sono le “Ossa S. Abdenago ex tribus puer Babylon”. La festa dei tre fanciulli babilonesi viene celebrata, a Montevergine, il 16 dicembre
 


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Daniele, l'ultimo dei quattro profeti detti maggiori, giudeo, nato probabilmente a Gerusalemme da famiglia nobile, forse imparentata coi re di Giuda, fu deportato a Babilonia da Nabucodonosor, insieme con altri giovani dello stesso rango sociale, nell'anno terzo o quarto di Ioakin, re di Giuda, cioè il 606-605 a.C.


A Babilonia fu scelto con altri tre giovani nobili giudei (Anania, Azaria e Misaele) per essere ammesso, dopo una conveniente preparazione di tre anni nella lingua e negli usi dei Caldei, alla corte del re, per assolvere incarichi ufficiali onorifici. Secondo l'uso, fu loro cambiato il nome: a Daniele, che poteva avere allora dai quindici ai venti anni, si diede quello di Baltassar. Con i suoi compagni fu presentato al re al quale fece ottima impressione, non solo per la sua prestanza fisica (conservata malgrado l'astinenza dal vino, dalla carne, e da altri cibi prelibati che gli venivano offerti dalla mensa del re e che egli, per amore della Legge, gentilmente rifiutava), ma soprattutto per le doti di spirito che in lui il re poté ammirare quando, avendolo esaminato, trovò scienza e intelligenza dieci volte superiori a quelle di tutti i suoi magi e indovini (Dan. 1, 20). Ammesso pertanto alla corte, dopo che ebbe dato saggi non equivocabili, anzi, sbalorditivi, della sua rettitudine, fu fatto principe di Babilonia e prefetto su tutti i sapienti del regno; dietro sua richiesta, anche i compagni (Anania, Azaria e Misaele) ebbero posti onorevoli e cariche di responsabilità nella provincia, mentre egli rimaneva a palazzo presso il re (Dan. 2, 46-49).

Il primo saggio della sua probità e saggezza sembra sia stato dato da Daniele nella causa di Susanna: ella fu sottratta alla morte a cui era stata ingiustamente condannata, e la sentenza si ritorse contro i due giudici disonesti dopo che essi erano stati convinti pubblicamente da Daniele della loro falsa testimonianza contro l'innocente. Daniele è presentato in questo episodio in giovane età (Dan. 13, 45), circostanza che rende tanto più ammirevole la sua maturità di giudizio, in contrasto con la fatuità e corruzione dei due giudici anziani. Come questo suo intervento nel caso di Susanna gli acquistò fama presso il suo popolo, cioè gli esuli giudei, il cui numero era nel frattempo aumentato con la seconda deportazione del 598, così l'interpretazione del sogno di Nabucodonosor sulla grande statua plurimetallica, abbattuta dalla piccola pietra staccatasi dal monte, lo rese celebre tra i babilonesi e onorato della piena fiducia del re tra i principi della corte. Il Dio d'Israele è glorificato come Dio sommo, che solo ha la sapienza delle cose occulte e la comunica ai suoi servi fedeli, come Daniele (Dan. 2, 47).

Era l'anno dodicesimo di Nabucodonosor (=593), quando Daniele, allora tra i ventisette e i trent'anni, si affermò quale oracolo di Dio, favorito dalla scienza dei segreti, superiore di gran lunga a quella di tutti i magi, indovini, saggi e caldei di Babilonia. Egli non fu coinvolto nell'accusa dei babilonesi mossa contro i suoi tre compagni, Anania, Misaele e Azaria, per non aver voluto adorare la statua del re, ma la pena della fornace ardente, loro inflitta, dovette affliggerlo grandemente, vedendo che quello stesso ufficio onorifico di prefetto della provincia di Babilonia, concesso loro dal re per sua mediazione (Dan. 2, 49), era stato occasione di disgrazia: tuttavia l'esito felice di quella prova mutò la tristezza in gaudio e poiché i suoi compagni, scampati al fuoco, riebbero le loro cariche (Dan. 3, 97), il Dio di Israele fu riconosciuto con regio decreto come l'unico Dio vero, capace di salvare coloro che credono in lui (Dan. 3, 96).
Pochi anni dopo Daniele interpretò un altro sogno di Nabucodonosor, quello del grande albero rigoglioso, abbattuto e reciso, che risorse dalle radici con la magnificenza di prima. Daniele, chiamato dal re, gli spiegò il senso di quel sogno, invano cercato dai sapienti: l'albero è simbolo dello stesso re, che per la sua superbia sarà privato della gloria regia e ridotto allo stato umiliante di una bestia fino a che non riconoscerà che l'Altissimo detiene il dominio sul regno degli uomini e lo dà a chi vuole (Dan. 4, 21 sg.). Per mitigare alquanto questo annunzio così severo e terrificante Daniele, da buon amico, consiglia al re di procacciarsi la divina clemenza con opere buone e con la pietà verso i poveri (Dan. 4, 24). 
Nuova prova dello spirito di sapienza ricevuto da Dio la diede Daniele nello svelare il senso delle enigmatiche parole Mane' Thecel, Phares nella cena di Baltassar, il quale nella lunga assenza di suo padre Nabonide, ne teneva le veci a Babilonia: questa cena di gala con tutti i principi e dignitari di corte, con le mogli e concubine, era un affronto alla religione dei giudei, in quanto in essa si faceva uso dei vasi sacri del Tempio di Gerusalemme. L'orgia si arrestò, però, alla vista della mano misteriosa che scriveva sul muro segni ignoti. I sapienti, magi e indovini, chiamati dal re, non furono capaci di decifrare la scrittura. Allora, su consiglio della regina, fu introdotto Daniele, che dopo aver rifiutato i sommi onori e i regali che il re gli prometteva, lesse e interpretò le fatidiche parole, che contenevano la sentenza di Dio sulla fine di Baltassar e del suo impero, sentenza che si compì quella stessa notte, subentrando l'impero persiano a quello babilonese (538). 
Le visioni profetiche, sia quelle coi tratti apocalittici di bestie simboliche, raffiguranti i diversi regni della terra fino all'avvento del Regno di Dio (capp. 7-8), il cui tempo è approssimativamente indicato (cap. 9), sia quelle che, senza simboli, parlano direttamente degli stessi regni e dei loro re, senza però nominarli (capp. 10-11), e quella ultima che annunzia la fine dei tempi (cap 12), sono tutte messe in bocca a Daniele che parla in prima persona e riceve da un angelo (Gabriele) la spiegazione delle visioni avute.
Per muovere Dio a clemenza, Daniele affligge se stesso col digiuno. indossa gli abiti di penitenza e confessa i peccáti suoi e quelli del popolo, riconoscendo la giustizia di Dio in tutto quel che si patisce. Implora misericordia, pregando Dio di affrettare il suo aiuto, per amore del suo santuario, che da tanto tempo è desolato, e per riguardo a se stesso, fedele alle sue promesse. In risposta alla sua accorata preghiera, Dio gli manda l'angelo Gabriele con un messaggio di consolazione. 
Daniele, sopravvissuto al crollo dell'impero neo-babilonese (539-38), vide ancora i primi anni del nuovo impero persiano: la sua ultima visione è datata dall'anno terzo di Cliro (536), quando egli, nato verso il 620, era già più che ottantenne.










Saint martyr IAKCHOS, mort par le glaive. 



Saints PATERMOUTHIOS, COPRIS et ALEXANDRE, moines, martyrs en Egypte sous Julien l'Apostat, probablement en 362. 

Saint MAXENCIOLE (MAXENCIEUL, MEZENÇEUL, MAXENCIEUL), disciple de saint Martin de Tours et apôtre en Anjou (Vème siècle). 

Saint TYDECHO, ascète dans le Gwynedd au pays de Galles (VIème siècle).



Saint BRIAC (BRIARCH), Irlandais de nation, moine dans le pays de Galles, puis abbé de Bourbriac près de Guingamp en Bretagne (vers 555 ou 627). 




Sainte BEGGA, fille de saint Pépin de Landen et de sainte Ida, mère de Pépin d'Héristal, en son veuvage abbesse d'Andenne sur la Meuse (698). Begga nacque da nobilissima famiglia: figlia del b. Pipino di Landen (m. 640) e di s. Itta (o Iduberga), fondatrice del monastero di Nivelles (m. 652), ebbe per fratelli lo sventurato Grimoaldo, che morì nel 663 vittima di intrighi cortigiani, e s. Gertrude, badessa a Nivelles fino al 659, anno della sua morte.

Begga sposò uno dei figli di s. Arnolfo di Metz, Ansegiso o Ansegisello, domesticus alla corte di Sigeberto III (m. 656) e dì Childerico Il (m. 675) e firmatario di alcuni diplomi nel 670. Ansegiso è generalmente confuso col nobile Adalgysel della Cronaca di Fredegario o della carta di fondazione di Cugnon (645-47). Dopo la morte del marito, avvenuta nel 685, Begga fondò e intitolò a Notre-Dame un monastero ad Andenne-sur- Meuse (Belgio), in un terreno di sua proprietà. 
Nell'abbandonare il mondo Begga s'ispirò al comportamento della madre Itta che, alla morte del marito, si era rinchiusa nel monastero di Nivelles (Belgio), da lei fondato. E proprio ad Agnese, badessa di Nivelles, ella si rivolse per ottenere libri, reliquie e suore con cui sostenere la sua fondazione di Andenne. Si attribuiva, inoltre, a Begga la fondazione di sei oratori che, disposti intorno alla chiesa principale, rappresentavano le sette basiliche di Roma e valsero ad Andenne il nome dì "sept-tglises" , ad septem ecclesias. Le monache di Nivelles praticavano probabilmente la regola di s. Colombano, se si considerano i costanti legami dell'abbazia (consolidatasi sotto la vigile protezione di Amando, Foillano e Ultano, fratelli questi di s. Furseo) coi monaci irlandesi. Ma nel 691 la regola importata ad Andenne era mista di elementi desunti dalle regole di s. Colombano e di s. Benedetto. 


Saint STURM (STURMI, STURME, SURMIUS), Bavarois de nation, apôtre des Saxons et fondateur du monastère de Fulda (779). 

Saint ETIENNE le Confesseur, nommé auparavant DUNALE (ou DANIEL selon les sources slaves), Espagnol de nation, ascète à Constantinople, en Palestine et en Egypte (après 919). 

Saint NICETAS, jeune homme natif d'Ancyre en Galatie, martyr par la main des Musulmans à Nysse en Cappadoce (vers 1290-1300). 
Saint DENYS le Nouveau, natif de Zante (Zakynthos), évêque d'Egine dans le golfe Saronique, thaumaturge qui poussa l'amour du prochain jusqu'à donner asile à l'assassin de son propre frère (1622). 
 

(Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XII du Supplément aux Ménées.) 
 http://www.johnsanidopoulos.com/2016/12/saint-dionysios-of-zakynthos-resource.html


Né en 1547,
dans l'île de Zakynthos, au sein d'une famille pieuse et distinguée, Saint Denys montra dès son enfance une vive intelligence et de fortes dispositions pour la vie contemplative. Pour mener le combat contre le monde, contre la chair et contre le diable, il renonça bientôt à tout ce qui lui était cher et devint moine au Monastère des Iles Strophades, situées à quelques milles de Zakynthos, vers le Sud. Malgré son jeune âge, il devint vite un modèle de vertu et d'observance des règles monastiques, même pour les moines éprouvés. Ses jeûnes, ses veilles quotidiennes Pendant la plus grande partie de la nuit, ses prières et ses méditations assidues le firent élever à la dignité sacerdotale.





Après quelque temps, comme il cherchait un navire pour se rendre en pèlerinage aux Lieux Saints, il passa par Athènes, où l'Archevêque, informé de ses brillantes vertus, le pressa d'accepter la charge d'archevêque d'Egine. Abandonnant son projet et sacrifiant son amour de la solitude pour obéir à la volonté de Dieu, l'humble moine monta sur le trône épiscopal et guida avec sagesse et paternelle sollicitude son troupeau spirituel dans les chemins de la Grâce. Comme au fil des ans sa renommée grandissait, il décida finalement de démissionner pour échapper à la vaine gloire et à la dispersion du monde, et regagna sa patrie, en 1579. Sur l'injonction du Patriarche de Constantinople, il remplaça pendant quelque temps l'Evêque défunt de Zakynthos; puis, sitôt élu son remplaçant, il courut avec empressement se retirer dans les hauteurs de l'île, au Monastère de la Mère-de-Dieu Anaphonitria, dont il devint le père spirituel. De nouveau seul avec Dieu, il reprit avec l'empressement de sa jeunesse le jeûne, l'ascèse et la prière. Il ne laissait jamais personne entrer dans sa cellule, d'où il ne sortait que pour distribuer des aumônes aux pauvres ou pour prodiguer à ses disciples son enseignement lumineux.




Il excellait par-dessus tout dans l'amour du prochain et la mansuétude. Un jour, l'assassin de son propre frère, poursuivi par la police et par les parents de la victime, parvint jusqu'au monastère et demanda asile à Saint Denys, sans savoir de qui il s'agissait. En apprenant la cause de sa fuite et qui était la victime, l'homme de Dieu contint de toute sa force la douleur de la nature et la tentation de tirer vengeance de ce crime. A l'imitation du Christ pardonnant à ses ennemis et priant pour ses persécuteurs, il s'avança vers lui avec compassion, le réconforta, l'exhorta au repentir et le cacha dans une cellule retirée. Quand les poursuivants arrivèrent au monastère, ils annoncèrent la terrible nouvelle au Saint, qui feignit de l'ignorer et essaya de calmer leur agitation et leur désir de vengeance par des paroles de paix. Une fois la troupe éloignée, il fit sortir le meurtrier, paralysé de terreur et de surprise devant cet exemple de bonté surhumaine, puis il le renvoya librement pour travailler au salut de son âme, après l'avoir muni de vivres et d'argent pour le voyage.


Orné de vertus si sublimes, Denys reçut également de Dieu le pouvoir d'accomplir des miracles. Un jour de pluies torrentielles, il fit arrêter le cours d'un fleuve en crue pour le traverser, lui et son disciple. Comme le corps d'une femme morte, objet d'une malédiction, ne pouvait se décomposer, Denys fit ouvrir son tombeau et lut la prière d'absolution. Aussitôt après, le corps tomba en poussière, conformément à la nature. Par la force de sa prière, il donna l'occasion à des pêcheurs infortunés, qui blasphèmaient contre Dieu et contre son serviteur, de faire une pêche miraculeuse et de se repentir ainsi de leur impiété. Dieu l'avait en plus orné du don de clairvoyance et de discernement des coeurs, de sorte qu'il rappelait leurs péchés, omis ou gardés secrets, à ceux qui venaient se confesser à lui.




Le saint prélat parvint ainsi jusqu'à l'âge de 75 ans, répandant autour de lui les miracles, la joie, la paix et l'amour pour tous. Le corps accablé par une douloureuse maladie et par de longues années d'ascèse, il remit son âme à Dieu, le 17 décembre 1622, après avoir prédit son décès à ses disciples quelques jours auparavant. Selon sa volonté, son corps fut transporté immédiatement au Monastère des Strophades pour y être enseveli, accompagné des hymnes et des prières d'une grande foule. Quelque temps plus tard, à la suite d'un grand nombre d'apparitions du Saint à l'Higoumène et aux frères du monastère, on procéda à l'exhumation de ses Reliques. Et, ô miracle, on eut alors la surprise, de découvrir sa dépouille totalement incorrompue, exhalant un suave parfum de vie éternelle. On plaça le corps, revêtu de ses ornements épiscopaux, dans le narthex de l'église; puis, en 1717, à la suite de la dévastation du monastère par des pirates turcs, on transféra la précieuse Relique dans la cathédrale de Zakynthos, où elle est vénérée avec dévotion par tous les habitants de l'île. Les miracles, les apparitions et les signes multiples par lesquels Saint Denys a montré jusqu'à aujourd'hui qu'il est toujours bien «vivant», l'ont fait considéré comme le principal protecteur et patron de Zakynthos.




Saints PAÏSSIOS, higoumène, et HABACUC (AVVAKOUM), diacre, martyrs par la main des Musulmans à Belgrade (Serbie 1814). 





Troparion — Tone 4

As true soldiers of Christ, / you shone forth with meekness and humility / and for Christ you suffered courageously, / O Holy Martyrs Paisius and Avakum, / but your deaths proclaim to all / that it is better to die for Christ and for one’s country / than without Christ to gain the whole world.

Kontakion — Tone 3

In this world you lived like angels / and by your lives fulfilled the Gospel. / You laid down your souls for faith and country, / in death you showed yourselves to be stronger than your tormentors, / therefore we celebrate your memory, / O holy venerable martyrs Paisius and Avakum.
San Cristoforo di Collesano Monaco



Sui pendii del Mercurio in Basilicata, san Cristoforo da Collesano, monaco, che si dedicò intensamente con tutta la sua famiglia alla propagazione della vita monastica.
http://www.santiebeati.it/dettaglio/81960



Saints ALEXANDRE et NICOLAS, prêtres, martyrs par la main des Communistes (Russie 1918). 



Saints PIERRE et JEAN, prêtres, martyrs par la main des Communistes (Russie 1937

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