Santa
Demetriade vergine ed asceta in Italia e nipote di Santa Proba (verso il 425)
Vergine
romana (sec. 4º-5º) della famiglia
degli Anici; in seguito al sacco di Roma (410), con la
madre Giuliana e la nonna Santa Proba , si rifugiò in Africa e si stabilì a Cartagine,
dove abbracciò la vita monastica. Lettere di congratulazione ed esortazione
scrissero a lei in tale circostanza s. Agostino (epist. 143), s. Girolamo (epist. 130),
il papa Innocenzo I e Pelagio (Ad
Demetriadem); una lettera a D. intorno all'umiltà, conservata in
alcuni codici sotto il nome di Ambrogio, fu accolta dal Quesnel tra le opere di
Leone Magno. Tornata a Roma sotto papa Leone Magno (440-61), fece edificare a sue spese la basilica di S. Stefano sulla
via Latina. Festa, 24 febbraio.
Anicia
Demetriade nacque nel 398 circa,[2] figlia di Anicio Ermogeniano
Olibrio,[3] console nel 395, e di Anicia Giuliana[3][4] e dunque membro delle nobile e
influenti gentes Anicia e
Amnia;[5] è descritta come la più nobile e
ricca persona del mondo romano negli anni 410.[3]
Nel 410, in
occasione del sacco di Roma, Demetriade lasciò la città con sua madre Giuliana
e con la nonna paterna Anicia Faltonia Proba e si recò a Cartagine, dove le tre
nobildonne furono imprigionate dal comes
Eracliano, che le liberò solo dopo il pagamento di un enorme riscatto.[3]
Mentre si
trovavano a Cartagine, sua madre e sua nonna furono in contatto col vescovo
Agostino d'Ippona, che le aiutò a seguire una vita religiosa. Demetriade, che
aveva circa quindici anni nel 413, doveva sposarsi, ma seguiva segretamente una
vita ascetica, influenzata da Agostino.[4] Non rivelò la propria scelta ai
suoi parenti, per paura di contrariarli, ma quando il suo matrimonio fu vicino,
decise di raccontare alla madre e alla nonna della sua intenzione di non
sposarsi e di prendere il velo. Le sue parenti furono molto contente e, nel
413, prese il velo in una cerimonia presieduta dal vescovo Aurelio di Cartagine
Per aiutarla
nella sua vita spirituale, Giuliana e Proba chiesero a diversi uomini di Chiesa
di inviare consigli a Demetriade. Agostino rispose consigliandole di leggere il
suo De sancta virginitate,[6] Girolamo le inviò una lunga
lettera con molti consigli, mentre Pelagio, un teologo avversario di Agostino,
le indirizzò un trattato sotto forma di lettera, la Epistola ad Demetriam.
Più tardi,
Demetriade tornò alla sua città nativa, Roma; a questo periodo è fatta risalire
l'anonima Epistula ad Demetriadem de
vera humilitate, scritta nel 440 da papa Leone I o, secondo un'altra
interpretazione, nel 435 da Prospero di Aquitania, in cui si attaccano le
posizioni di Pelagio sulla base delle tesi di Agostino.[7]
Demetriade
eresse una chiesa dedicata a Stefano protomartire lungo la via Latina, a tre
miglia da Roma, su una delle sue proprietà. [5] Morì durante il pontificato di
papa Leone I (440-461).
Note
1. ^ È chiamata «Demetriade» nelle fonti, mentre il nome
«Anicia» è stato ricostruito dagli storici (Kurdok, pp. 190-224).
2. ^ Non aveva più di quindici anni nel 413(Agostino d'Ippona Lettere,
188).
3. ^ a b c d Sofroni Eusebio Girolamo, Epistulae, 130.
4. ^ a b Agostino d'Ippona, Epistulae,
150, 188.
6. ^ Agostino, Epistulae
19, 23.
Lettera
CXXX.(di
San Girolamo) A DEMETRIADE
sta in
http://clarisseremite.xoom.it/virgiliowizard/sites/default/files/sp_wizard/docs/Girolamo%20-%20Lettera%20130%20-%20A%20Demetriade.pdf
Vita
e fatti del nostro santo padre Giovanni Theresti
Questo nostro santo padre Giovanni
Terestì era di Calabria, dalle parti di Stilo, figlio di genitori cristiani
nobili e ricchi; e suo padre era arconte di un villaggio chiamato Cursano;
sopraggiunti un tempo alcuni barbari per mare con navi dall’isola di Sicilia
contro la detta regione e devastando e saccheggiando molte città e villaggi,
annientarono anche il predetto villaggio di Cursano, e uccisero il padre del
santo, ma portarono prigioniera nella loro terra, nella città di Palermo, la
madre che era incinta; lì uno dei capi di quelli la prese come sua sposa. Ma
quando partorì e generò questo venerando fanciullo, la madre lo allevava
nell’educazione e nella legge del Signore; mentre il marito di quella lo
abituava ai suoi barbarici costumi. Ma quando giunse a quattordici anni gli
disse la madre: “Sappi, figlio, che questa non è la nostra patria, né questo è
tuo padre; ma sei figlio di un nobile; ed io fui condotta qui prigioniera di
guerra; e tuo padre venne ucciso da questa gente barbara in Calabria nostra
patria, nel nostro villaggio di Cursano, presso lo Stilaro, lungo il fiume
sopra il monastero del luogo chiamato Rodo Robiano sotto il monte di Stilo; e
in quel villaggio è il nostro palazzo e lì abbiamo nascosto i nostri tesori”: e
gli indicava il luogo dove li avevano nascosti…
[La madre insegna a Giovanni la
necessità del battesimo e gli consegna una croce che cela ai Saraceni. Il
giovane fugge dalla Sicilia e giunge a Stilo, dove il vescovo lo sottopone a
dure prove, infine…] lo condusse in chiesa con molto e grande onore, e lo
battezzò e lo chiamò con il suo nome di Giovanni e lo teneva con sé dei giorni
opportuni per catechizzarlo e gli insegnò le verità della fede. E in quei
giorni entrando spesso il santo in chiesa osservava molte immagini di differenti
santi; e domandava a quello: “Di chi è questa immagine? e quest’altra di chi
è?”…
Venuto all’immagine di san Giovanni
Battista, chiedeva: “E questo chi è, vestito di pelle di cammello?”, gli
risposero: “Questo è san Giovanni Battista, che tu devi prendere a modello: tu,
infatti, ti chiami Giovanni come questo santo; per questo devi imitarne la
vita”. Invitatili a spiegarli la vita di questo santo, e gli dissero che questo
santo vagava nel deserto, e gli narrarono il resto della sua vita. Ed egli sentitolo
fu pieno di amore divino, e presentatosi dal vescovo, chiese licenza di recarsi
in un deserto, ove potesse raggiungere la quiete e salvare la sua anima; e gli
indicarono sul monte a settentrione un luogo selvoso distante due miglia, dove
c’era un cenobio, dicendo: “In quella casa abitano alcuni monaci che osservano
la vita e la regola del grande Basilio”. Andato in santo giovane in quel luogo
trovò due santi padri, Ambrogio e Nicola.
[Respinto dai monaci, si impone loro
per la fortezza della determinazione, e viene infine accolto nel cenobio.]
Dopo non molto tempo si ricordò il
santo delle parole che gli aveva dette la madre, e rivelò tutto a quei santi
padri, e che egli era di quella regione, del villaggio devastato di Cursano,
figlio del nobile che era stato ucciso dai barbari, e i tesori nascosti dove
era il suo palazzo, e il resto.
Un giorno dunque il santo, preso con
sé uno di quei santi padri, andarono nel detto luogo e cercarono i suoi tesori;
e avendoli trovati, distribuirono tutto ai mendicanti, secondo la regola del
loro padre il grande Basilio.
[Un nobile offende Giovanni, e viene
punito con un fuoco nelle viscere; per le preghiere della madre di quello, il
santo lo guarisce; essi donano al monastero un campo che dall’episodio prende
il nome di Pirito.]
C’era un nobile in Robiano, che ora
si chiama Monasterace, che era benefattore del monastero, e ogni anno usava
donare ai santi padri ciò che fosse loro necessario. Voleva una volta il santo
Giovanni recarsi da lui, nel mese di giugno e nel tempo della mietitura; prese
con sé un piccolo vaso di vino e poco pane e andava. Giunto nei luoghi chiamati
Muturabulo e Marone, vide una turba di mietitori che mieteva i campi del detto
nobile, i quali, visto il santo, cominciarono a dileggiarlo e deriderlo; ma
quello avvicinatosi li abbracciava, e invitandoli diede da mangiare e bere a
tutti del pane e del vino che aveva, e tutti si saziarono, e il pane e il vaso
non diminuirono. Visto questo, il santo si gettò a terra ringraziando Dio, e
mentre pregava si levò il vento e iniziò a piovere. Tutti i mietitori fuggirono
sotto gli alberi. Solo il santo rimaneva a pregare. Terminata la preghiera,
vide quei campi mietuti e tutti i covoni legati, e tornò al suo monastero.
Cessata la pioggia vennero di nuovo i mietitori a completare il loro lavoro; e
trovarono tutto ormai mietuto e legato; ma non videro il santo; ma si recarono
a casa del padrone per ricevere il salario, cantando e danzando per strada.
Fattosi loro incontro per strada il padrone cominciò a rimproverarli e
svillaneggiarli dicendo loro: “Stolti e pazzi, perché fate ciò? chi vi ha
insegnato a lasciare il lavoro a mezzodì in un giorno di mietitura?”, e
risposero a lui: “Signore, è tutto mietuto e legato”. Egli disse: “Come è
possibile ciò, se neppure per domani mi basterebbero trecento altri
mietitori?”, e quelli confermavano quanto detto, che il tutto era andato così.
Li interrogò dicendo: “Avete preso forse qualche altro aiuto?”; risposero: “Non
abbiamo avuto altro aiuto se non un monaco del monastero, che venne da noi e ci
diede da mangiare e bere, poi non l’abbiamo visto più”. Allora disse quel
signore: “Questo monaco per grazia divina ha mietuto i miei campi ed io voglio
che questi campi siano suoi”: e consacrò al monastero i detti luoghi di
Muturabulo e Marone. Il monastero li ha e possiede fino ad oggi; e per questo
miracolo il santo fu chiamato Therestì.
Un nobile di nome Ruggero, figlio
del sovrano del paese, aveva sul volto una ferita inguaribile, che non poteva
venire curata da alcun medico. Questi, ascoltata la fama di questo santo, che
compiva molti prodigi e curava molti da diversi e vari morbi, e cacciava molti
demoni dagli uomini, speranzoso andò da lui; e lo trovò che era uscito da
questa vita, e ne giacevano le spoglie; e caduto a terra ai suoi piedi, lo
invocava a lungo dicendo: “O beato Giovanni, ti prego, non per grazia mia, ma
per la tua virtù e bontà; supplica il pietoso Dio per me perché mi liberi da
questo morbo del volto”, e così avendo detto prese il lembo della veste del
santo e con quello si nettò il volto, e subito venne liberato da quella
malattia, e sul volto non rimase alcun segno. Visto ciò quel nobile e altri
miracoli che avvenivano di fronte a lui, glorificò Dio e questo san Giovanni
Terestì, e per il beneficio ottenuto restaurò tutto il monastero e la chiesa, e
vi consacrò molte terre e ricchezze, che il detto monastero ha e possiede fino
ai giorni nostri.
autore: ULDERICO
NISTICO’
VITA E
FATTI DEL SANTO PADRE NOSTRO GIOVANNI THERISTìS
Sta in
1. Il nostro santo padre Giovanni
Theristìs era della regione della Calabria, del territorio della città di
Stilo, figlio di Genitori cristiani nobili e ricchi, e suo padre era arconte di
un villaggio chiamato Cursano. Giunti una volta dall’isola di Sicilia alcuni
barbari, per mare, con delle navi, nella predetta regione, devastando e depredando
molte città e villaggi, devastarono anche il predetto villaggio di Cursano ed
uccisero il padre del santo, mentre condussero schiava la madre, che era
incinta, nel loro paese, nella città di Palermo; lì uno dei loro arconti la
prese in moglie. Quando partorì generò questo venerabile fanciullo, che la
madre allevava nella disciplina e nella ammonizione del Signore, mentre suo
marito lo abituava ai suoi costumi barbarici. Quando fu di circa quattordici
anni, la madre gli disse: “Sappi, o figlio, che questa non è la nostra patria,
né questa è la tua patria, ma sei figlio di un nobile: io fui condotta schiava
qui, mentre tuo padre fu ucciso da questo popolo barbaro in Calabria, nella
nostra patria, vicino allo Stilaro, presso il fiume sopra un monastero detto
... di Rodo Robiano ... sotto il monte di Stilo, nel quale villaggio vi è il
nostro palazzo, ed in esso nascondemmo i nostri tesori”, e gli indicò il luogo
dove li avevano posti. Dopo di ciò lo ammonì con parole salutari, dicendo:
2. “Figlio, nessuno può salvare la
sua anima senza il battesimo, che è donato nella nostra patria, dove vi sono i
cristiani ortodossi: infatti, restando qui, non potrai salvare la tua anima,
giacché non hai chi ti battezza; se riceverai questo, guadagnerai il regno dei
cieli”. La beata madre, detto ciò ed altre parole simili a queste, mosse e
spinse suo figlio al divino zelo di diventare cristiano. Avendolo visto fermo e
... nella fede di Cristo, gli disse le parole del profeta: “Affida al Signore
la cura di te, ed egli ti nutrirà” ; ed avendo detto così, gli diede una
piccola croce che aveva segretamente presso di sé, e piangendo gli diede la
materna benedizione e lo mandò via; quello, allontanatosi dalla madre, andò
via.
3. Giunto presso il mare,
trovò lì una barchetta e si imbarcò. Avendolo visto alcuni marinai barbari, lo
inseguirono; ma egli, presa la croce che aveva ed essendosi voltato, li
disperse: infatti scomparvero. Giunto dalle parti di Stilo sbarcò dalla
barchetta, ma gli uomini di quella regione, avendolo visto vestito con un abito
barbarico, lo credettero un barbaro e lo condussero dal vescovo. Avendogli
chiesto il vescovo: “Da dove vieni? e cosa vuoi?”, rispose: “Vengo dal paese
dei barbari desiderando diventare cristiano, e ricevere il santo battesimo,
che, come ho udito, è somministrato in questa regione”. Il vescovo, per
metterlo alla prova, gli disse: “Non puoi essere battezzato, essendo così
grande di età, se prima non ti getti in una pentola piena di olio bollente”.
Quello subito con ardore rispose: “Sono pronto a sopportare tutto; sia fatto
come vuole la tua signoria, affinché riceva questo santo battesimo: infatti
sono venuto per questo”. Allora il vescovo comandò di porre sul fuoco una
pentola di olio a bollire, e stava ad osservare l’ardore del giovinetto: quello
eccitava il fuoco, affinché bollisse subito, e quando vide che la pentola già
bolliva, incominciò a togliersi le vesti, per gettarsi nudo nella detta
pentola. Avendo visto ciò il vescovo che era stato a vedere e ad ammirare la
sua audacia, corse e glielo impedì, ed avendolo preso lo portò in chiesa con
molto e grande onore, lo battezzò e lo chiamò dal proprio nome Giovanni, e si
trattenne con lui un numero sufficiente di giorni, in cui lo ammaestrò e gli
insegnò le cose della fede. In quei giorni il santo, andando spesso in chiesa,
vedeva molte icone dipinte di differenti santi, ed interrogava quelli che erano
con lui dicendo: “Di chi è questa icona? e quest’altra di chi è?”, e così per
le altre. Giunto presso l’icona di san Giovanni Battista chiese: “E chi è
questo, vestito di una pelle di cammello?” e gli risposero: “Questo è san
Giovanni Battista, che tu devi imitare: tu infatti ti chiami Giovanni come
questo santo, e perciò dovrai imitarne la vita”. Avendoli esortati a narrargli
la vita di questo santo, gli dissero che questo santo andò nel deserto ed ivi
trascorse il resto della vita. Egli, avendo udito ciò, fu riempito di amore
divino, ed andato dal vescovo gli chiese il permesso di andare in un luogo
deserto dove potesse vivere in solitudine e salvare la sua anima; e gli
mostrarono un luogo selvoso sul monte che era a settentrione, a circa due
miglia di distanza, dove vi era un
cenobio, dicendogli: “: “In quella casa abitano alcuni monaci che
osservano la regola e l’ascesi del grande Basilio”. Il santo giovanetto, giunto
in quel luogo, vi trovò i santi padri Ambrogio e Nicola. Egli li chiamava
affinché lo accogliessero lì come monaco, ma quelli risposero: “Ritorna, o
figlio, nel mondo; infatti sei ancora giovinetto, e sei venuto qui più per molestarci
che per qualche buona intenzione”, ma quello con umiltà rispose: “O padri, non
sono venuto da voi per qualche cattiva intenzione, ma solo desiderando la
salvezza della mia anima”. E quelli: “Allontanati da noi, o figlio – dissero –
perché non potrai sopportare qui con noi la regola del nostro grande padre
Basilio, che noi sopportiamo, perché essa è molto rigida”. Ma quello rispose:
“Potrò, venerandi padri, con l’aiuto di Dio e col vostro mezzo, sottostare a
tutta la regola ed osservarne tutte le norme; perciò sono venuto qui da voi”.
Quelli per molti giorni non lo fecero entrare, ma rimasero dentro a pregare,
mentre il santo era fuori della porta aspettando con pazienza ed esortandoli
continuamente ad accoglierlo. 4. Infine i padri, vedendone la perseveranza,
lo condussero al monastero, lo vestirono dell’abito monastico, e gli
insegnarono la regola e l’ascesi del grande Basilio; e lì rimase vivendo
santamente. Dopo non molto tempo il santo si ricordò delle parole che gli aveva
dette sua madre, ed espose tutto a quei santi padri: che egli era di quella
regione, del villaggio distrutto chiamato Cursano, figlio del nobile che era
stato ucciso dai barbari, e che aveva i tesori nascosti dove era il suo
palazzo, e tutto il resto.
5. Uno di quei giorni dunque, il
santo, prese con sé uno di quei santi padri, e insieme andarono nel luogo
distrutto e cercarono i suoi tesori; avendoli trovati, li distribuirono ai
poveri, secondo il precetto del loro padre, il grande Basilio.
6. Questo san Giovanni aveva una spelonca, non lontano dal monastero, dove vi
era dell’acqua, e questa spelonca oggi si chiama l’Acqua del santo; in essa
spesso soleva recarsi da solo per la preghiera. Un giorno, nella stagione
invernale, egli si trovava lì, secondo il suo costume, pregando, quando passò
un nobile, che tornava dalla caccia insieme ad altri; questi vide il santo
nella grotta, e, credendo che si lavasse, si scandalizzò e voltatosi disse a
quelli che erano con lui: “Vedete cosa fanno questi monaci? Si lavano per
sembrare più freschi al mondo”. Appena detto ciò, subito nel corpo gli venne un
fuoco che gli divorava le viscere; ed andato così pieno di dolore a casa sua,
si gettò al petto di sua madre gridando acutamente e lamentandosi. La madre gli
disse: “Cosa hai, o figlio?” e quello rispose: “Sento un fuoco che mi distrugge
il corpo, ohimé, o madre!”. Avendogli chiesto: “Cosa hai fatto oggi? Dove sei
stato? E per quale via sei passato?” rispose: “Sono andato a caccia, e
ritornavo per la via dinanzi alla spelonca dell’acqua, e lì vidi un monaco che
si lavava, mi scandalizzai; e subito venne in me questo dolore”. Subito sua
madre andò al monastero e trovò i santi padri che pregavano; e, caduta ai loro
piedi, narrò loro tutto chiedendo perdono per il peccato di suo figlio. San Giovanni,
piegato dalle preghiere supplichevoli della donna, le diede un vaso dicendo:
“Recati presso quella spelonca, riempi questo di quell’acqua, e dalla a bere a
quel tuo figlio”. Avendo la donna fatto ciò, subito si spense quel fuoco, ed il
nobile guarì con l’aiuto di Dio e per mezzo di san Giovanni Theristìs. Avendo
visto il miracolo, il nobile e sua madre consacrarono a quel monastero un
podere; e da quella malattia del fuoco questo podere è chiamato tutt’oggi
“Pyriton” (campo del fuoco).
7. Vi era in Robiano, dove oggi si chiama Monasteraci, un altro nobile, che era
un benefattore del monastero, ed ogni anno soleva dare ai santi padri ciò che
serviva per i loro bisogni. Una volta san Giovanni, nel mese di giugno,
nell’epoca della mietitura, voleva andare da lui; prese con sé un piccolo vaso
da vino ed un poco di pane e si avviò. Giunto nei luoghi chiamati Muturabulo e
Marone, vide una moltitudine di mietitori che mietevano i campi del detto
nobile. Questi allora, visto il santo cominciarono a prenderlo in giro ed a
deriderlo, ma quello, avvicinatosi, li salutò e chiamatili diede a tutti da
mangiare e da bere dal pane e dal vino che aveva; e mentre tutti si saziarono,
il suo pane ed il vaso non furono diminuiti. Il santo, avendo visto ciò, cadde
a terra ringraziando Dio; e mentre egli pregava si levò il vento e cadde la
pioggia. Tutti i mietitori fuggirono sotto gli alberi, e solo il santo rimase
lì a pregare. Terminata la sua preghiera, vide quei campi mietuti e tutti i
manipoli legati, e ritornò al proprio monastero. Terminata la pioggia,
tornarono i mietitori a terminare il loro lavoro, e trovarono tutto già mietuto
e legato, mentre non trovarono il santo. Andarono allora a casa del loro
padrone per prendere la loro mercede, cantando e saltellando lungo la strada.
Il loro padrone, avendoli incontrati per strada, incominciò a rimproverali ed a
biasimarli dicendo loro: “Sciocchi e dissennati, perché avete fatto ciò? Chi vi
ha insegnato a lasciare il lavoro a mezzogiorno nel tempo della mietitura?”.
Essi allora gli risposero: “Padrone, tutto è mietuto e legato”, e quello allora
disse: “Come può essere ciò, che trenta altri mietitori non compirebbero
neanche per domani?”. Quelli maggiormente gli confermavano ciò che avevano
detto, ed allora egli chiese: “Avete preso forse qualche aiuto?”. Risposero:
“Non abbiamo avuto altro aiuto se non un monaco di quelli che sono nel
monastero, che venne da noi, che ci diede da mangiare e da bere, e che poi non
abbiamo visto più”. Allora disse quel nobile: “Questo monaco con l’aiuto di Dio
ha mietuto i miei campi, e voglio che questi campi siano suoi”, e consacrò al
monastero i predetti fondi di Muturabulo e di Marone, che il monastero finora
possiede; e per questo miracolo il santo fu chiamato Theristìs (il Mietitore).
8. Un altro grande nobile di nome Ruggiero, figlio del re di quella regione,
aveva nel volto un’ulcera inguaribile, che non poteva essere curata da nessun
medico. Questi, avendo udito la fama di questo santo, che faceva molti
miracoli, guariva molti da diverse malattie e scacciava molti demoni dagli
uomini, pieno di coraggio andò a lui, ma trovò che era partito da questa vita,
e le sue spoglie giacenti. Caduto per terra dinanzi ai suoi piedi, molto lo
invocò dicendo: “Beato Giovanni, ti chiedo non per me, ma per la tua bontà e
misericordia, supplica per me la misericordia di Dio, affinché mi liberi da
questa malattia che ho nel viso”, ed avendo detto ciò, prese il lembo della
veste del santo e con quello si nettò il volto, e subito fu liberato da quella
malattia, senza che alcun segno rimanesse sul suo volto. Quel nobile, visto ciò
ed altri miracoli compiuti dinanzi a lui, glorificò Dio e questo suo santo
Giovanni Theristìs e per il beneficio ricevuto restaurò tutto il monastero e la
chiesa, e consacrò ad esso molti fondi e molti possedimenti, che il detto
monastero tuttora possiede.
S.
BORSARI, Vita di San Giovanni Terista.
Testi greci inediti,
in
“Archivio Storico per la Calabria e Lucania”,
Roma,
XXII, 1953, pp. 136-15
Giovanni
nacque verso il 995 a Palermo, dove la madre, già incinta, era stata portata
prigioniera dai saraceni, che l'avevano catturata in un'incursione a Stilo.
Istruito dalla madre, Giovanni, all'età di 14 anni, quando seppe delle vicende
della sua famiglia, decise di ritornare a Stilo. Qui fu accolto e battezzato in
uno dei monasteri della Valle dello Stilaro. Crescendo Giovanni fortificò la
sua fede con la preghiera e l'ascesi.
Alle falde delle Serre calabresi, vi è un’antica e nobile cittadina, Stilo, la
quale diede i natali a questo santo monaco basiliano. Essa subiva varie
incursioni arabe essendo, come tutta la Calabria, terra di confine dell’Impero
d’Oriente; in una di queste incursioni, operata dai saraceni del secolo X, il
padre fu ucciso e la madre incinta, insieme ad altre donne fu condotta schiava
a Palermo, allora come tutta la Sicilia, dominata dagli arabi.
Lì partorì il bambino che però crebbe nella fede cristiana e quando ebbe 14
anni fu mandato dalla madre nella sua patria calabrese per ricevere il
Battesimo, il vescovo locale Giovanni, interdetto di fronte a questo giovane
vestito come un arabo, lo sottopose a duri esami che furono felicemente
superati e quindi lo battezzò dandogli anche il suo nome.
Cresciuto in età, sentì sempre più forte l’attrazione per la vita eroica che
conducevano quei monaci nelle grotte nei dintorni di Stilo, specie di due
asceti basiliani Ambrogio e Nicola, che vivevano in una laura sul Monte
Consolino; aggregatosi alla Comunità, si distinse nelle virtù religiose e
contemplative al punto che dopo un po’ i monaci lo vollero come loro abate.
Vicino al popolo, assisteva ed aiutava come meglio poteva i contadini dei
dintorni, operando anche vari miracoli di cui il più celebre è quello, che
imbattutosi in un gruppo di contadini disperati, per un furioso temporale che
stava per abbattersi sul grano, che non erano ancora riusciti a raccogliere;
accortosi di ciò Giovanni si raccolse in preghiera intensa e il buon Dio lo
esaudì e davanti agli occhi stupiti dei contadini, inviò un angelo che in un
baleno fece la mietitura del campo salvando il raccolto.
Questo ed altri episodi testimonianti l’aiuto soccorrevole ai contadini fece sì
che passò ai posteri con l’appellativo di “Theristis” cioè il “Mietitore”.
Morì intorno alla metà del secolo XI, e grazie alle offerte dei fedeli e la
generosità dei Normanni, la chiesa e il monastero furono ingranditi e
intitolati al suo nome.
La memoria del santo si trova in tutti i menologi e sinassari greci, ma anche
in quelli bizantini, poi passata anche nel ‘Martirologio Romano’ al 23
febbraio. Stilo lo ha dichiarato suo patrono e protettore
Oriundo forse dalla Siria, al tempo
dell’imperatore Eraclio, ovvero negli anni 610-641, condusse vita ascetica tra
i kellioti di Arsafià, sui monti di Stilo. Non ricordandosi più nulla della sua
vita, nell’XI o XII secolo un ignoto innografo si ispirò al romanzo che narra
le gesta dell’akrita, del militare di frontiera Vasilio, detto dìghenis perché
nato da un emiro musulmano e da una bella cristiana ortodossa, fedele alla
Vasilìa, all’impero dei Romani, e così cantò che Giovanni, figlio di un emiro
musulmano e di una bella cristiana ortodossa, abbandonò la fede del padre e
giunse a Stilo per abbracciare la fede della madre: prima ancora di diventare
cristiano compì un miracolo, arrestando la corsa di alcuni buoi impazziti.
Cantò anche che Giovanni vestì l’abito monastico per mano d’un igumeno chiamato
Romano o Vasilio, e che fu istruito nelle Sacre Scritture direttamente
dall’apostolo Paolo; come un albero piantato tra i fiumi Assi e Stilaro,
produsse molti frutti di santità e un giorno mieté in un attimo un gran campo
di grano minacciato dalla tempesta, meritandosi l’appellativo di Mietitore. Un
più tardo canone, del XIII o XIV secolo, composto dal monaco Leonzio di Stilo,
aggiunge che Giovanni, navigando nello Stretto di Messina diretto in Calabria,
scampò prodigiosamente a un assalto di Saraceni. Tempo dopo, nel XIV o XV
secolo, furono composte due Vite, poco dissimili tra loro, prive di qualsiasi
fondamento, e purtroppo alla base di tutte le sciocche leggende che si narrano.
Le reliquie del santo erano custodite in un monastero, fiorente ancora nel
1551, sebbene sin dal 1482 fosse stato venduto dalla Curia pontificia, con
tutti i monaci, a un laico. Poco dopo però la biblioteca del Monastero, ricca
di pregiati manoscritti, fu dispersa (in parte assorbita dalla Biblioteca
Vaticana) e nel 1662 il complesso monastico fu abbandonato del tutto. Da
terremoti e frane si salvò solo parte del katholikòn, usato come stalla sin
quasi alle soglie del terzo Millennio.
Da
leggere
I
Bizantini e la vallata dello Stilaro:istituzioni ecclesiastiche e insediamenti
monastici
di
Fulvio Calabrese,Giorgio Metastasio
e Danilo
Franco
in https://www.academia.edu/34826071/I_Bizantini_e_la_vallata_dello_Stilaro_istituzioni_ecclesiastiche_e_insediamenti_monastici
Inoltre CANONE A SAN
GIOVANNI THERISTIS DEL NOSTRO SANTO PADRE BARTOLOMEO DI ROSSANO, DETTO IL
GIOVANE, III IGUMENO DEL MONASTERO DI GROTTAFERRATA
Ma anche in
Da Leggere
Il monastero calabro di San Giovanni Therestis: documentazione e tradizione fino all'età moderna
Tesi di laurea di di Paola Gaglioti presso L'università degli Studi di Torino
sta in
http://www.vallatadellostilaro.com/language/de-de/Cultura/Biblioteca/Il-monastero-calabro-di-San-Giovanni-Therestis