San Sabino vescovo di Avellino e martire sotto Traiano (verso il 109)
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/40350
Per la verità s. Sabino fu vescovo di ‘Abellinum’ antica città romana che si trovava molto vicino al castello dell’attuale Atripalda e che nella storia irpina divenne poi Avellino.
Visse e fu vescovo tra il V e il VI secolo, ebbe come diacono e amministratore il giovane Romolo, il quale essendogli molto legato, lo assisté quando morì il 9 febbraio di un anno imprecisato, ma senz’altro dell’inizio del VI secolo.
Sabino fu sepolto nello ‘Specus martyrum’, uno dei più insigni monumenti di archeologia cristiana dell’Irpinia, esistente ad ‘Abellinum’ e ora ipogeo della chiesa di S. Ipolisto ad Atripalda.
Romolo fra i suoi incarichi di diacono, aveva anche quello di attento custode dello ‘Specus’, dove erano conservate reliquie di martiri cristiani, sepolto lì s. Sabino, Romolo raccolse in un’ampolla un liquido detto ‘manna’ che prodigiosamente stillava dalla tomba del suo venerato vescovo; questo liquido operava guarigioni e rendeva fertile la campagna irpina.
Dopo poco tempo anche Romolo morì, si dice per il dolore della perdita della sua guida spirituale e venne sepolto in una tomba a fianco a quella di s. Sabino. Le due lapidi poste sui sepolcri, sono giudicate unanimemente del VI secolo; su quella del vescovo, l’iscrizione mette in risalto la figura del pastore, vigile ed operoso, che restaurò la sede vescovile di Abellinum, che era dovuta rimanere per alcuni anni vacante, dopo la morte del vescovo Timoteo suo predecessore.
Così in quel periodo d’inizio del secolo VI, mentre gli Ostrogoti invadevano tutta l’Italia, Sabino attendeva alla cura delle anime, divenendo aiuto e sostegno dei cittadini, amministrando integerrimo la giustizia e sollevando con la carità i cristiani, verso la visione del Regno di Dio.
La seconda iscrizione, sulla tomba di s. Romolo, dice che il giovane diacono del vescovo Sabino, era morto dopo di lui, ma era stato associato a lui in quella terra benedetta dello ‘Specus’.
Al tempo del principe Marino Caracciolo I (1576-91) duca di Atripalda, in occasione di lavori per ampliare la chiesa di S. Ipolisto, il corpo di s. Sabino fu collocato presso l’altare maggiore, ma il 16 settembre 1612, il vescovo di Avellino, Muzio Cinquini, dietro le insistenze del clero e dei magistrati del popolo, operò una solenne ricognizione delle reliquie e le fece riporre nell’antico ‘Specus’.
I due santi Sabino e Romolo, vescovo e diacono, sono accomunati nella venerazione dei fedeli, specie di Atripalda ed Avellino, solitamente vengono festeggiati in due date, il 9 febbraio giorno della morte di s. Sabino e il 16 settembre ricorrenza della solenne traslazione del 1612.
È il patrono principale di Atripalda, affiancato da s. Romolo e da s. Ipolisto martire.
L'epigrafe di Sabino
Sta in https://it.wikipedia.org/wiki/Sabino_di_Avellino
Il vescovo Sabino è noto, almeno fin dal Medioevo, per il lungo epitaffio inciso sul suo sarcofago e conservato nel cosiddetto specus martyrum nei sotterranei della chiesa di Sant'Ippolisto di Atripalda. Pubblicato per la prima volta nel Seicento riporta il seguente elogio:
« Si nescit mens sancta mori, si pura voluntas
Cum membris numquam praecipitata ruit;
Viuis in hoc mundo meritis post fata Sacerdos
Atque tuos titulos nulla sepulchra tenent.
Civibus auxilium, solatia semper egenis [virtutes]
Praestabas animis, pectore, mente pius.
Iustitiae sector, sacri servator honesti:
Numquam furta tibi, nec placuere doli.
Tempsisti mundum, semper caelestia captans;
Quottidiana tibi lucra fuere Deus.
Sacra colens, sacrum numquam corrumpere nosti;
Praemia nec fidei subripuere tuae.
Communis, carus, humilis, dum summa teneres,
Dives semper erat et tua larga manus,
Testatur Praesul sedes reparata Sabine
Auctoris clara lucida facta sui. »
Acta sanctorum februarii, vol. II, p. 333. Libera traduzione di: Nicola Gambino, Ricorda che… Un gruppo di martiri ha dato la vita per la libertà della Santa chiesa avellinese, Avellino 1990, p. 32)
Traduzione in Italiano
« Una coscienza santa non può morire,
una volontà intemerata non può mai finire insieme al corpo,perciò tu, o sacerdote, dopo la morte vivi ancora in questo mondo per i tuoi meriti e nessun sepolcro può tenere chiusa la gloria.
Tu assicuravi regolarmente un aiuto ai cittadini
e sempre un soccorso ai poveri.
Retto nel sentimento e nel pensiero
sei stato fautore della giustizia e difensore della morale cristiana.
Non ti sei mai compiaciuto degli intrighi e delle astuzie.
Hai ritenuto vile quello che è terreno
per cercare di impadronirti delle cose del cielo
e così Dio è stato il tuo solo guadagno giorno per giorno.
Occupandoti del culto divino giammai lo hai lasciato decadere.
In tal modo hai raggiunto il premio adeguato alla tua fede.
Sei stato affabile, amato, umile anche quando occupavi l'alta dignità. »
'epitaffio è datato al VI secolo per l'impostazione testuale, grafica e iconografica del manufatto che trova riscontri in altre epigrafi dello stesso periodo, con elementi paleografici e iconografici simili
tratto da http://www.prolocoatripalda.it/index.php?option=com_content&view=article&id=27:s-sabino-vescovo-patrono-di-atripalda&catid=13&Itemid=142
Sabino nacque probabilmente tra gli anni 440 e 460 d.C. dalla famiglia che discendeva da Publio Catino Sabino, inviato come "legato militare di Cesare Augusto" a sovrintendere al processo di romanizzazione del territorio abellinate.
Appartenendo ad una famiglia di nobile casato, fu avviato agli studi classici. La testimonianza di vita cristiana dei genitori, la loro apertura ai bisogni degli altri, la pratica dell'onestà e della giustizia, la forza d'animo nell'affrontare le difficoltà della vita, si stamparono profondamente nell'animo di Sabino e lo aprirono sempre più ai valori del Cristianesimo nel servizio a Dio ed al prossimo; il contatto con la realtà sociale e con le miserie degli uomini del suo tempo fecero maturare in lui anche la vocazione sacerdotale, consacrandosi totalmente al ministero dell'evangelizzazione delle popolazioni irpine non ancora cristianizzate.
Col progredire degli anni, la fama di Sabino si diffuse oltre i confini dell'Irpinia tant'è che venne elevato alla dignità episcopale e preposto alla guida della "Sancta Ecclesia Abellinensis".
In un periodo molto difficile della storia d'Italia, sconvolta dalle invasioni barbariche, dalla mancanza di un'autorità politica, dallo sbandamento socio religioso delle popolazioni, Sabino, come tutti i vescovi del suo tempo, dovette compiere opera di supplenza anche civile, unendo al ministero episcopale l'esercizio del potere politico, amministrativo e giudiziario, per guidare le popolazioni al superamento di quel difficile momento. Alla sua morte, nel 520 d.C., i fedeli decidono di dargli sepoltura nello Specus Martyrum. Il 1° maggio del 1588 si decise per la solenne ricognizione del corpo del Santo nel coro della chiesa di Sant'Ippolisto, eseguita da Marcantonio De Canditiis di Nola, vicario generale del vescovo di Avellino. Si racconta, che in quell'occasione, una volta aperto il sarcofago vi si trovò l'intero corpo ricoperto da circa quattro dita di acqua limpida e pura che fu riposta nei Sacrari. Alcune gocce di questo liquido vennero applicate al piede di uno storpio, chiamato Sabino Farese, che divenne improvvisamente sano. Da quel momento in poi, la linfa del Santo Patrono, fu chiamata, "la Santa Manna"; essa nel corso degli anni trasudando dal corpo del Santo è stata religiosamente raccolta ed etichettata fino al 1943, anno in cui il fenomeno si è interrotto definitivamente.
Oggi, la tradizione e il culto legato alla figura del vescovo San Sabino vogliono che in occasione dell'anniversario della morte, il 9 febbraio, al termine della messa pomeridiana, tre, quattro o cinque sacerdoti traccino sulla fronte dei fedeli che sfilano d'avanti a loro un segno di croce con una piuma imbevuta del liquido chiamato "Santa Manna" mescolato con acqua benedetta; altri, invece, chiedono di bagnare di Manna un fazzoletto di stoffa o di carta o un batuffolo di cotone idrofilo per portarlo a casa della persona cara come segno e come pegno della protezione del Santo.
La città celebra il Santo Patrono anche il 16 settembre in ricordo dello spostamento delle sacre reliquie riportate nella cripta nel 1612, mentre sempre in quell'anno, il capo del Santo è stato inserito nel mezzo busto d'argento, opera di un argentiere napoletano del secolo XVII, collocato in una cappella nella navata laterale della chiesa di S. Ippolisto.
La nuova icona di San Sabino di Maddalena Strippoli
https://www.canosaweb.it/notizie/la-nuova-icona-di-san-sabino-di-maddalena-strippoli/in
San Sabino di Canosa Vescovo (verso il 566)
Tratto da Quotidiano Avvenire
E’ un vescovo vissuto tra la fine del V secolo e la metà del VI, di lui prima dell'episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514. Dal Papa Agapito fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli per constatare l'eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena, che convocò un sinodo nel 536. San Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare san Benedetto a Montecassino. In una di queste visite gli disse, che era preoccupato per l'ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie. E Totila in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo. Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò
Martirologio Romano: A Canosa in Puglia, san Sabino, vescovo, che fu amico di san Benedetto e venne inviato a Costantinopoli come legato della sede Romana per difendere la retta fede dall’eresia monofisita.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/40300
Si tratta di un vescovo vissuto tra la fine del secolo V e la metà del VI, di lui prima dell’episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514.
Lo si ritrova con altri vescovi nel 531, accanto a Bonifacio II nel Sinodo romano di quell’anno; oltre ad essere un campione di virtù, doveva essere molto saggio e uomo di dottrina, visto la missione di grande importanza che gli aveva affidato il papa Agapito.
S. Sabino fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli, su invito dell’imperatore Giustiniano, per constatare, dibattere e condannare l’eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena.
Papa Agapito che era giunto personalmente per evitare conflitti, morì sul luogo il 22 aprile 536; toccò a Sabino e agli altri vescovi continuare nell’opera, affiancando il patriarca Mena nel sinodo da lui indetto nel 536, da cui scaturì la condanna definitiva di Antimo, Severo, Zoara e dei loro discepoli monofisiti.
S. Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare s. Benedetto a Montecassino, a cui portava sincera amicizia, in una di queste visite disse a s. Benedetto che era preoccupato per l’ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie. E fu con Totila che si verificò l’episodio in cui il re barbaro in giro nel Meridione, in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo, Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò.
Anche un ambizioso arcidiacono, gli preparò una bevanda avvelenata, ma il vescovo lo scoprì e disse al servo che gli porgeva la coppa: “Io berrò il veleno, ma egli non sarà vescovo”; Sabino rimase incolume e l’altro proprio allora si accasciò morto.
Dopo circa 52 anni di episcopato, il santo vescovo morì il 9 febbraio del 566. La città di Canosa di Puglia lo venera come suo patrono, ma anche Bari gli tributa grande culto, venerandolo come compatrono insieme a s. Nicola. Bari ereditò dall’XI secolo la sede episcopale, fino allora dipendente da Canosa.
Tratto da http://obiettivamente-bari.blogautore.repubblica.it/2016/02/06/san-sabino-un-santo-dimenticato/
l 9 Febbraio si festeggia San Sabino. Il santo morì a Canosa il 9 Febbraio del 566 all’età di 105 anni, dopo 56 anni di episcopato. Il suo corpo dopo varie traversie fu sepolto nella Cattedrale di Canosa. Nel IX secolo come attesta una lapide posta dietro l’altare della cripta della Cattedrale di Bari per opera del vescovo Angelario parte dei suoi resti furono traslati dalla Cattedrale canosina a quella barese. La chiesa di Bari da quel momento lo elesse suo patrono. Quest’anno 2016 ricorre il 1450° anniversario del suo “dies natalis”. Questa ricorrenza diventa motivo per riaccendere le luci sulla vita di S. Sabino, che un tempo è stato primo patrono di Bari.
San Sabino di Canosa
S. Sabino, come scrive l’anonimo canosino, nacque a Canosa di Puglia, antico e importante "municipio romano" nel 461 d.C., sotto il regno di Leone I imperatore a Costantinopoli e di Maggiorano a Roma (457-461). I suoi parenti erano i Sabini nobili romani che, fin dalla guerra di Canne, da Roma si trasferirono a Canosa. Ancora giovane, dopo la morte dei suoi genitori, ereditò i loro beni che incominciò a donare largamente ai poveri. Fu ordinato sacerdote per l’imposizione delle mani del suo maestro e guida, il vescovo Probo. Nominato vescovo di Canosa nella prima metà del Vi secolo, il suo lungo episcopato, s’intrecciò con le vicende di otto Papi che trovarono il lui un interlocutore sempre attento e capace, un abile e sapiente mediatore, e un sicuro punto di riferimento per la Santa Sede romana e per la sua comunità di Canosa. S. Sabino, oltre a costruire la Chiesa spirituale canosina, fatta di "pietre vive", pensò anche a costruire quella materiale.
San Sabino e… Bari
A Bari quando si pronuncia S. Sabino, inevitabilmente, si fa riferimento a S. Nicola. Quando si parla della Cattedrale, il confronto con la basilica di S. Nicola è invitabile. Universalmente noto, Nicola conquistò subito l'animo del popolo barese sin dal momento in cui le sue reliquie giunsero a Bari (9 maggio 1087). Sabino, invece nonostante i ruoli importanti ricoperti, come legato papale, dovette faticare non poco per conquistarsi il ruolo di compatrono. Nel capoluogo pugliese, sono tante le testimonianze e le opere che ricordano il Santo. Fu l’arcidiacono barese Giovanni, che alla fine dell’XI secolo scrisse l’“Historia inventionis S. Sabini episcopi canusini”. Secondo il racconto di Giovanni era opinione comune che sotto l’altare della cripta della Cattedrale di Bari, fossero custodite le reliquie di Memore e Rufino, i due vescovi canosini predecessori di Sabino sulla cattedra di Canosa. Era anche convinzione di tutti che le reliquie di S. Sabino - in verità mai ritrovate - fossero custodite nella chiesa di Canosa. Delle reliquie di S. Sabino si erano perse le tracce. Fu l’arcivescovo Elia (1089-1105), che ordinò una ricognizione sotto l’altare della cripta della Cattedrale barese. Demolito l’altare, furono rinvenute, in una cavità della parte anteriore, delle ossa avvolte in un panno sul quale si poteva leggere: “Angelarius episcopus attulit corpus S. Sabini”. L’arcivescovo Elia ordinò quindi che fosse costruito un sepolcro di marmo, coperto da una lastra, su cui fece incidere un’iscrizione in memoria della data della scoperta: 10 dicembre 1091. Dopo questa scoperta il tema del culto di S. Sabino a Bari fu ripetutamente affrontato in controversia che vide fronteggiarsi aspramente le due principali chiese di Bari, la Cattedrale e la Basilica di S. Nicola a proposito del patrono della città. Iniziata nel XVII secolo, la polemica raggiunse l’apice nell’ultimo trentennio del XVIII secolo. Nel 1785 la R. Camera di S. Chiara di Napoli dichiarò che il priore di S. Nicola era molto dispiaciuto per l’atteggiamento degli arcivescovi, i quali, considerando S. Sabino come principale protettore, dimostravano di trascurare S. Nicola. Un chiarimento si rendeva indispensabile e non poteva fornirlo che il consiglio decurionale con una votazione segreta. L’operazione ebbe luogo il 14 agosto con risultato di soli 3 voti a favore di S. Sabino, a fronte dei 24 conseguiti da S. Nicola. Ma questioni di tal genere non si potevano risolvere con tanta semplicità. Ci vollero otto anni di diatribe per giungere a un decreto della Sacra Congregazione dei Riti che in data 30 gennaio 1793, stabilì entrambi i santi, patroni principali. Per chiarire la presenza delle reliquie nella Cattedrale di Bari il 25 marzo 1994 l’arcivescovo di Bari-Bitonto Mons. Mariano Magrassi O.S.B. autorizzò la ricognizione delle reliquie sotto l’altare maggiore della cripta della Cattedrale. Però questa recente ricognizione non sembra abbia dato una risposta ai tanti quesiti sollevati sulla presenza delle reliquie a Bari, anche perché la parallela tradizione canosina, sostiene di detenere nella sua Cattedrale le ossa di S. Sabino. Tuttavia S. Sabino, rimane un punto di riferimento cultuale a Bari (l’onomastica ne fa fede) e le sue reliquie continuano ancora oggi a vegliare sulla popolazione barese dall’altare della confessione della cripta della chiesa madre, dove il vescovo Angelario volle deporle tanti secoli fa, il vescovo Elia scoprì e l’arcidiacono Giovanni ne raccontò le vicende.
Tratto da https://www.arcidiocesibaribitonto.it/diocesi/patroni/san-sabino
La Chiesa di Bari, pur non avendolo avuto come suo vescovo, venera in modo tutto speciale S. Sabino, affidandosi alla sua particolare protezione.
S. Sabino, originario di Canosa di Puglia, l'antico e importante "municipio romano", apparteneva a famiglia cristiana di elevata posizione sociale. Divenuto sacerdote, in una realtà sociale che stentava ad assorbire il messaggio cristiano, coltivò prima di tutto nel popolo il rispetto della persona umana, l'amore alla giustizia e alla verità, per poi aggiungervi l’educazione alla vita di fede e di carità. Alla morte del vescovo Memore, nel 514, all'età di 54 anni, gli subentrò nella sede di Canosa, in un momento particolarmente grave per la Chiesa in Italia, dominata dai Goti e con il re Teodorico che favoriva gli Ariani. A Canosa, per di più, all'emergere degli Ariani, persisteva un paganesimo duro a estinguersi. S. Sabino si manifestò maestro illuminato, guida ferma e decisa del suo popolo che "nutriva abbondantemente con la Parola di Dio". Sotto la sua guida, si può dire che Canosa acquistò il suo volto cristiano vero e proprio, facendo fruttificare al massimo l’eredità ricevuta dai grandi e santi vescovi che lo avevano preceduto.
Canosa, per la sua opera di pacificatore, fu salvata dalla devastazione dei Goti e giustamente lo designò "difensore della città".
Sabino, oltre a costruire la Chiesa canosina con "pietre vive", pensò anche a costruire quella materiale: il vasto Battistero dodecagonale, detto di S. Giovanni, la basilica dedicata al Salvatore, una chiesa dedicata alla Vergine, una ai SS. Cosma e Damiano, una al martire S. Quirico.
Tutta questa realtà fa emergere l’interesse del vescovo per il bene della comunità a lui affidata.
Negli Atti di San Lorenzo, vescovo di Siponto, i Bollandisti scrivono: "S. Benedetto sul monte Cassino, S. Germano nella città di Capua, S. Sabino nella città di Canosa, sedendo sulle loro cattedre episcopali, rifulgevano nel mondo come astri di prima grandezza nel cielo".
Inoltre, a più vasto raggio, la saggezza di S.Sabino venne in aiuto anche al papa Bonifacio II che, nel 531, lo chiamò al Sinodo Romano per la causa di Stefano di Larissa contro il patriarcato di Bisanzio. Più tardi, nel 535, da papa Agapito venne mandato a Costantinopoli, quale suo rappresentante, dall'imperatore Giustiniano per risolvere alcune delicate questioni.
Dopo un episcopato di ben 52 anni, il 9 febbraio 566 segnò il suo "dies natalis", all’età di 105 anni, e il suo corpo, per un certo tempo, trovò probabilmente sepoltura nella Cattedrale di Canosa, dedicata a S. Pietro, ubicata fuori le mura della città.
Ai tempi delle razzie dei Saraceni, tra 1'870 e 1'875, la vecchia Cattedrale fu abbandonata e ne fu costruita una nuova, in città, dedicata ai SS. Giovanni e Paolo, dove, sotto l'altare, fu deposto il corpo di S. Sabino.
Sempre in questo periodo si attribuisce l’unificazione della sede vescovile di Canosa a quella di Bari dove, in seguito, nel secolo XI, anche le reliquie di S. Sabino vennero traslate, al tempo del vescovo Angelario.
L'unione delle due sedi vescovili non fu, a quanto risulta, del tutto pacifica e a Canosa i Normanni difesero a lungo la sede vescovile, ampliarono e abbellirono la Cattedrale che fu nuovamente dedicata da papa Pasquale II, nel 1101. Ma nonostante questo rivivere, a partire dagli ultimi anni dell'epoca sveva, Canosa entrò nell'ombra, pur rimanendo sempre viva con Bari la polemica sul possesso delle reliquie di S.Sabino. Canosa, infatti, vanta di possedere reliquie insigni come il cranio e un braccio, custodite nell'attuale Cattedrale, e venera S. Sabino come protettore, lo celebra nella liturgia due volte all'anno: per il transito il 9 febbraio, e il 1 agosto per la traslazione delle ossa.
Bari, a sua volta, tributa al santo grande venerazione, celebrandone la festa liturgica il 9 febbraio e conservando altre sue reliquie sotto l’altare principale della cripta della Cattedrale, che è a luì dedicato.
A lui è dedicato il largo dell’arcivescovado ove, al centro, è collocata una sua statua.
Altro documento
ATTI CONVEGNO DI STUDI del 29 30 Marzo 1982
CANOSA E S. SABINO:
L'UOMO, IL TEMPO, LA CITTÀ
Sta in
http://dload.comune.canosa.bt.it/biblioteca/pdf/Canosa%20e%20San%20Sabino.pdf
Saint SABIN, premier évêque d'Avellino en Italie et martyr sous Trajan (109).
Saint ALEXANDRE et ses TRENTE-HUIT compagnons, martyrs à Rome.
Saint RUFIN, évêque de la ville disparue de Canosa (Canusium) en Apulie (500).
Saint MEMOIRE (MEMOR, MEMORIUS), évêque de Canosa en Apulie (514). (Office et acathiste composés en français par l'évêque Paul (Alderson) de Tracheia et publiés par le monastère Saint-Antoine-le-Grand de Saint-Laurent-en-Royans .)
Saint SABIN, évêque de Canosa en Apulie, thaumaturge et patron de la ville de Bari (566)
Saint PIERRE, archevêque de Canosa (VIIIème siècle).
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