giovedì 15 febbraio 2018

15 Febbraio santi italici ed italo greci



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Santo Faustino e Santo Giovita  martiri a Brescia sotto Adriano (verso il 121)

Tratto dal Quotidiano Avvenire

Di storico vi è l'esistenza dei due giovani cavalieri, convertiti al cristianesimo, tra i primi evangelizzatori del Bresciano e morti martiri tra il 120 e il 134 al tempo dell'imperatore Adriano. La tradizione arricchisce di particolari il loro martirio. La loro conversione viene attribuita al vescovo Apollonio, lo stesso che poi ordina Faustino presbitero e Giovita diacono. Il loro successo nella predicazione, però, li espone all'odio dei maggiorenti di Brescia che invitano il governatore della Rezia Italico a eliminare i due col pretesto del mantenimento dell'ordine pubblico. La morte di Traiano, promotore della persecuzione, ritarda però i piani del governatore, che approfittando della visita del nuovo imperatore Adriano a Milano denuncia i due predicatori come nemici della religione pagana. Diversi eventi miracolosi li risparmiano dalla morte e spingono numerosi pagani - tra cui anche la moglie di Italico, Afra - a convertirsi. Portati a Milano, Roma e Napoli verranno decapitati infine a Brescia. 



Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/41000
La “legenda maior” ci racconta che entrambi erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. Entrarono presto nell'ordine equestre e divennero cavalieri. Attratti dal Cristianesimo, dopo lunghi colloqui con il vescovo sant'Apollonio, chiedono e ottengono il battesimo.
Si dedicano subito all'evangelizzazione delle terre bresciane e per il loro zelo il vescovo Apollonio nomina Faustino presbitero e Giovita diacono. Il successo della loro predicazione li rende invisi ai maggiorenti di Brescia che approfittando della persecuzione voluta da Traiano (la terza) invitano il governatore della Rezia Italico ed eliminare i due col pretesto del mantenimento dell'ordine pubblico. La morte di Traiano ritarda però i piani del governatore, che approfittando però della visita del nuovo imperatore Adriano a Milano denuncia i due predicatori come nemici della religione pagana. L'imperatore preoccupato da l'autorizzazione a Italico per la loro persecuzione. Questi dapprima minacciandoli di decapitazione chiede ai due giovani di abiurare e di sacrificare agli dei, ma i due si rifiutano e per questo vengono carcerati. Nel frattempo l'imperatore Adriano conduce una campagna militare nelle Gallie e rientrando in Italia si ferma a Brescia, Italico lo coinvolge direttamente nella questione ed è l'imperatore stesso a chiedere ai giovani il sacrificio al dio sole. I giovani non solo si rifiutano ma danneggiano la statua del dio. L'imperatore ordina allora che siano dati in pasto alle belve del circo, ma le bestie si accovacciano mansuete ai piedi dei giovani e Faustino approfitta dell'occasione per chiedere la conversione degli spettatori dello spettacolo circense e molti proclameranno la loro fede al Cristo, tra questi Afra, la moglie del governatore Italico, che conoscerà ella stessa il martirio e la santità. La conversione del ministro del palazzo imperiale nonché comandante della corte pretoria, Calocero, irrita ancor più l'imperatore che ordina che i giovani siano scorticati vivi e messi al rogo, ma le fiamme non lambiscono nemmeno le vesti dei giovani, che vengono condotti in carcere a Milano, perché le conversioni a Brescia continuano ad aumentare. A Milano sono nuovamente torturati e subiscono il supplizio dell'eculeo, ma anche in questa prigionia succedono eventi miracolosi, come l'uscita dal carcere dei due per incontrare e battezzare san Secondo.
Trasferiti a Roma vengono portati al Colosseo dove nuovamente le belve si ammansiscono ai loro piedi. Inviati a Napoli per nave, durante il viaggio sedano una tempesta. A Napoli sono nuovamente torturati e abbandonati in mare su una barchetta, ma gli angeli li riportano a riva. L'imperatore ordina allora il loro rientro a Brescia dove il nuovo prefetto eseguirà la sentenza di decapitazione il 15 febbraio poco fuori di porta Matolfa. Saranno sepolti nel vicino cimitero di San Latino dove il vescovo san Faustino (ecco un altro santo con nome Faustino) costruirà la chiesa di San Faustino ad sanguinem, poi Sant'Afra e oggi Sant'Angela Merici. Alcune reliquie sono oggi conservate nella basilica dedicata ai due martiri. I due martiri sono raffigurati spesso in veste militare romana con la spada in un pugno e la palma del martirio nell'altra, in altre raffigurazioni sono in vesti religiose, Faustino da presbitero, Giovita da diacono.
Di storico vi è l'esistenza dei due giovani cavalieri, convertitosi al cristianesimo, tra i primi evangelizzatori delle terre bresciane e morti martiri tra il 120 e il 134 al tempo di Adriano, che molto probabilmente non li conobbe mai e che da quanto risulta non ordinò mai direttamente una persecuzione, ma semplicemente non intervenne mai per impedire quelle che nascevano nei vari angoli dell'impero. Il loro culto si diffuse verso l'VIII secolo, periodo in cui fu scritta la leggenda, prima a Brescia e poi per mezzo dei longobardi in tutta la penisola ed in particolare a Viterbo. Il loro patronato su Brescia fu confermato anche a causa di una visione dei due santi che combattevano a fianco dei bresciani contro i milanesi nello scontro decisivo che fece togliere l'assedio alla città, il 13 dicembre 1438
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Sainte AGAPE, vierge et martyre à Terni (vers 273). 
 
Saint CRATON l'Athénien, professeur de rhétorique, baptisé par saint Valentin de Terni et martyr avec toute sa famille à Rome sous Aurélien (vers 273). 
 
Saint SATURNIN, CASTULE, MAGNE et LUCIUS, martyrs à Terni (vers 273).
 Saint GOTHARD (GOTTARDO), ermite dans le massif alpin d'Adula (aux sources du Rhône, du Tessin et du Rhin) qui porte aujourd'hui son nom.

 
Santo Severo presbitero e Taumaturgo In Abruzzo (verso il 530)
Martirologio Romano Nella valle di Antrodoco, oggi nel Lazio, san Severo, sacerdote, di cui fa memoria il papa san Gregorio Magno.

Uno studio su questo scritto di San Gregorio Magno verso San Severo presbitero si trova in

“Severo di Interocrium.Modello di Santità Rustica nei DIALOGI  di Gregorio Magno”   
http://bazhum.muzhp.pl/media//files/Saeculum_Christianum_pismo_historyczne/Saeculum_Christianum_pismo_historyczne-r2014-t21/Saeculum_Christianum_pismo_historyczne-r2014-t21-s28-41/Saeculum_Christianum_pismo_historyczne-r2014-t21-s28-41.pdf

 

Santo Fausto compagno e biografo di Santo Mauro,morto a Roma verso il 620

Tratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-fausto_(Dizionario-Biografico)/

Secondo l'antichissima tradizione, che risale al sec. IX, F., agiografo e santo connesso con le origini del monachesimo benedettino, si sarebbe segnalato come discepolo prediletto di s. Benedetto e per aver partecipato alla missione del santo monaco cassinese Mauro in Gallia (543) ed alla fondazione dell'abbazia di Glanfeuil nell'attuale diocesi di Angers (Anjou). Tornato a Roma, dove sarebbe morto in tarda età, vi avrebbe composto una Vita sancti Mauri (Bibl. hagiogr. Latina..., II, Bruxellis 1900-01, p. 845, nn. 5772-73), nella quale avrebbe, come testimone oculare e coprotagonista, narrato le vicende della missione di s. Mauro, intrecciando ad essa fatti e dati relativi alla propria biografia. Però la stessa tradizione, che attribuisce a F. la Vita sancti Mauri, ci informa anche che quest'ultima è stata conservata non nella sua forma originale ma per il tramite di un rimaneggiamento compiuto dal monaco Oddone, che fu abate di Glanfeuil tra l'862 e l'869. In una sua lettera prefatoria, che nei codici è preposta all'opera, infatti, lo stesso Oddone riferisce di essere entrato in possesso del testo di F. in circostanze fortunose e di averlo in un secondo tempo riordinato e riscritto al fine di renderlo più facilmente intellegibile e promuoverne così la diffusione.
Racconta infatti Oddone che una volta, mentre era in viaggio con altri monaci alla volta della Borgogna per scampare dai Normanni, gli accadde di incontrare lungo la Saona un pellegrino che portava nella bisaccia una vetusta e lacera pergamena contenente le biografie di alcuni santi monaci. L'autore prosegue dicendo di essere riuscito a farsi consegnare, pagandolo a caro prezzo, il prezioso manoscritto, nel quale si trovava, fra l'altro, la Vita sancti Mauri di F., appunto l'opera che egli sostiene di riprodurre sia pure con qualche modificazione. Tuttavia, nei primi anni del nostro secolo L. Halphen, sulla scorta di una teoria di A. Molinier, dimostrò che il testo della Vita, comunemente utilizzato, anche se messo in dubbio sin dal XVII secolo. è un collage di dati erronei o inaffidabili - sostanzialmente un apocrifo - così che, in ultima analisi, la notizia della spedizione benedettina di s. Mauro e di F. risulta inverosimile e frutto di pura fantasia. È evidente che in tale ottica l'opera attribuita a F. viene ad essere radicalmente ridimensionata, ma soprattutto prende corpo l'ipotesi che lo stesso personaggio - non altrimenti noto se non da opere recenziori che discendono da Oddone - manchi di qualsiasi consistenza storica. Non è da escludere che a monte della Vita sancti Mauri, con cui si intese dare lustro a Glanfeuil e al nome benedettino, vi possa essere stato (a caso o ad arte) un equivoco da omonimia, in quanto il monastero di Glanfeuil, come riferisce Oddone, fondandosi sulla memoria storica di quella comunità, custodiva il corpo di un pio religioso, Mauro, che vi sarebbe stato traslato il 12 marzo 845 (Mirac. sancti Mauri, ibid., n. 5775). La notizia non è isolata e sembrerebbe ricevere conferma da scavi archeologici compiuti sul finire dell'Ottocento, che hanno portato alla luce un oratorio del sec. VI ed un sepolcro vuoto. Resta fermo comunque che il Mauro di Glanfeuil non è identificabile con il monaco Mauro che il papa Gregorio Magno presenta nei Dialogi come uno tra i primi e prediletti discepoli del santo di Norcia. La questione si complica poi per l'esistenza di una Vita di s. Severino di Agaune (morto nel 507), la più antica redazione della quale (ibid., nn. 7643-7645), scritta nella prima metà del IX secolo, è attribuita ad un omonimo di F., il presbitero Fausto, discepolo dello stesso s. Severino. Essa sembra assai vicina sotto i profili stilistico e strutturale alla Vita sancti Mauri. Il confronto tra le due opere denuncia un preciso legame tra i loro rispettivi referenti, il monastero di S. Maurizio di Agaune nel Vallese, dove Mauro ed i suoi confratelli sarebbero stati ospiti, ed il monastero di Glanfeuil, dove Mauro avrebbe eretto una chiesa dedicandola allo stesso s. Severino.
Nel complesso, le iniziative di intraprendenti falsari ci propongono di decifrare un itinerario agiografico largamente fittizio, in cui la vicenda personale di F. - o meglio dello Pseudo-F. - collaboratore di s. Mauro si ricostruisce dal resoconto delle gesta di quest'ultimo.
L'arco della vita di F. coprì, secondo la Vita sancti Mauri, un periodo di tempo di circa novant'anni: F. venne, vi si afferma infatti, portato ancora bimbo di sette anni dai genitori presso Benedetto a Montecassino, dove visse un ventennio; passò quindi con Mauro in Gallia, dove rimase quantadue-quarantatré anni; e rientrò in Italia press'a poco due anni dopo la morte di Mauro (584), quando il cenobio cassinese era stato già distrutto dai Longobardi beneventani. Perciò F. si fermò a Roma, presso il monastero lateranense, dove visse per un altro ventennio circa sino alla morte. A Roma, appunto nel monastero lateranense, su sollecitazione dell'abate Teodoro e degli altri confratelli, scrisse la Vita sancti Mauri, che offrì a "papa Bonifacio". Dunque il terminus ante quem per la composizione dell'opera dovrebbe essere il 607, data della morte di Bonifacio III se l'autore della Vita intendeva riferirsi a questo pontefice (ma J. Mabillon, in Acta sanctorum Ord. S. Benedieti, saec. I, Lutetiae Parisiorum 1688, pp. 274-278, pensa che si debba scendere sino al pontificato di Bonifacio IV, morto nel 615).
A Montecassino F. si era formato nella disciplina e negli ideali monastici - narra la Vita sancti Mauri - sottoponendosi con slancio alla "regularis institutio". Generoso nell'assecondare il richiamo della Grazia ed attratto dall'"observatio" di s. Benedetto al punto da non staccarsene mai, il giovane monaco veniva ricambiato dal santo con la più grande stima e benevolenza e messo a parte dei suoi reconditi disegni. F. era a conoscenza che Benedetto aveva avuto dal cielo la rivelazione della futura distruzione del cenobio. Si trattava per lui di una prova specialmente dolorosa che tuttavia non sarebbe venuta se non per una crescita futura della fondazione ("in ampliorem ... gradum") e, nel tempo immediato, per la propagazione Oltralpe della "religiositas" benedettina. Si presentarono infatti al monastero due legati - Flodegario ed Arderado - del vescovo di Le Mans (all'epoca Innocenzo, e non Bertrando, come afferma l'agiografo), con il compito di chiedere al patriarca l'invio di una missione benedettina in Gallia. Il patriarca non esitò a dare il suo assenso ed investì dell'importante incarico alcuni discepoli fidati con i quali i messi ripartirono. Il gruppo dei monaci cassinesi era guidato da Mauro e composto da Simplicio, Antonio, Costanziano e dallo stesso F., che avrebbe poi lasciato memoria scritta della fondazione dell'abbazia di Glanfeuil.
F. e Simplicio furono gli unici a rientrare in Italia in obbedienza ad una precisa disposizione impartita loro da Mauro il giorno medesimo del trapasso.
F. è ricordato il 15 0 il 13 febbraio nei tardivi martirologi benedettini a partire dal Supplemento di Usuardo, che fu edito nel 1515 da H. Greven. Non abbiamo testimonianze che gli sia stato dedicato un ufficio liturgico né che egli sia stato mai oggetto di culto. Gli viene talvolta attribuita anche una Vita di s. Benedetto.
 
 
Santo Decoroso vescovo di Capua(verso il 695)
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/41090
Esiste una brevissima Vita di Decoroso (BHL, I, p. 319, n. 2117), dalla quale appaiono pochissimi elementi. L'autore, dopo aver detto che Decoroso, nato a Capua, fu vescovo della stessa città nella seconda metà del sec. VII, si dilunga su un miracolo ottenuto dietro suo consiglio: una donna che cercava la guarigione del figlio dal martire san Rufo, fu condotta presso il sepolcro di san Rufino ottenendo la grazia. Un documento agiografico (BHL, IT, p. 1069, n. 7371), posteriore al sec. VII, ci fa sapere che Decoroso leggendo nel Martirologio Geronimiano al 25 agosto «natale s. Rufini confessoris» e al 27 dello stesso mese «natale s. Rufi martyris» credette che si trattasse di due santi distinti. Ma né Decoroso, né i suoi diocesani sapevano dove fosse sepolto san Rufino confessore. Il vescovo si diede quindi da fare per la sua invenzione e ritrovatolo, in forma solenne, lo trasportò nella basilica dei SS. Stefano e Agata, che corrisponderebbe ad una chiesa edificata a Capua dall'imperatore Costantino. Probabilmente Rufo e Rufino sono la stessa persona. Decoroso assisté nel 680 al concilio tenuto a Roma da papa Agatone. Morì nel 695.
La città di Capua lo festeggia il 15 febbraio e da un calendario locale passò nel Martirologio Romano.
Nella cappella del tesoro di Capua, in un'urna d'argento, si conservano le sue reliquie

San Wilfrido (Walfredo) della Gherardesca Abate fondatore di Palazzolo
Pisa, VIII sec.
Walfredo, ritenuto il capostipite della famiglia della Gherardesca, dopo essersi sposato e aver avuto 5 figli, decise di ritirarsi a vita eremitica con due compagni, Forte proveniente dalla Corsica e Gundoaldo di Lucca. A Palazzolo, nell'alta val di Cornia, eressero un monastero intitolato a san Pietro chiamando un monaco da S. Vincenzo al Volturno per apprendere la regola benedettina. Successivamente fondarono nelle vicinanze anche un monastero per le loro spose e per quelle dei figli di Walfredo che avevano risolto di seguire il padre nella vita monastica. Uno di loro, però, Ginfrido, dopo essere stato ordinato prete, fuggì dal monastero e Walfredo gli profetizzò una punizione che lo colse con l'amputazione di una falange di un dito: Ginfrido pentito ritornò allora nel monastero distinguendosi per pietà, tanto che, alla morte del padre che era stato eletto primo abate, fu chiamato a succedergli.


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