Santa Agata vergine e martire in
Sicilia a Catania durante la persecuzione di Decio(verso il 251)
Martirologio
Romano: Memoria di sant’Agata, vergine e martire, che a Catania, ancora
fanciulla, nell’imperversare della persecuzione conservò nel martirio illibato
il corpo e integra la fede, offrendo la sua testimonianza per Cristo Signore.
Tratto
dal quotidiano Avvenire
Nacque
nei primi decenni del III secolo a Catania in una ricca e nobile famiglia di
fede cristiana. Verso i 15 anni volle consacrarsi a Dio. Il vescovo di Catania
accolse la sua richiesta e le impose il velo rosso portato dalle vergini
consacrate. Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l'occasione di vederla, se
ne invaghì, e in forza dell'editto di persecuzione dell'imperatore Decio,
l'accusò di vilipendio della religione di Stato, quindi ordinò che la
portassero al Palazzo pretorio. I tentativi di seduzione da parte del
proconsole non ebbero alcun risultato. Furioso, l'uomo imbastì un processo
contro di lei. Interrogata e torturata Agata resisteva nella sua fede:
Quinziano al colmo del furore le fece anche strappare o tagliare i seni con
enormi tenaglie. Ma la giovane, dopo una visione, fu guarita. Fu ordinato
allora che venisse bruciata, ma un forte terremoto evitò l'esecuzione. Il
proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in
cella, dove morì qualche ora dopo. Era il 251.
Tratto
da http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/02-Febbraio/Sant_Agata_di_Catania.html
Fonte d’informazione sulla Nostra
Santa è la Passio Sanctae Agathae (c’è anche una redazione in greco), che
risale alla seconda metà del V secolo, ma che ha la struttura particolare di
una narrazione edificante e parenetica, pur contenendo probabilmente anche
alcuni elementi propriamente storici.
Agata (che significa Buona)
apparteneva ad una ricca e nobile famiglia di Catania. Fu educata nella fede
cristiana dai genitori, che ne curarono anche la preparazione e istruzione.
Ancora molto giovane fece voto di verginità a Cristo, dedicando a Lui tutta se
stessa, presente e avvenire, buona e cattiva sorte. Pare anche che fosse
diventata diaconessa perché nel mosaico di Sant’Apollinare in Ravenna (VI sec.)
appare con l’abito del suo stato.
l procuratore romano della Sicilia,
Quintiano, funzionario imperiale potente, prepotente e arrogante, se ne era
invaghito. E fin qui niente di male. Ma siccome non riusciva nel suo intento di
conquistarla con mezzi e proposte non indecenti, usò anzi abusò del proprio
potere politico. Forzando un editto dell’imperatore Decio l’accusò allora di
vilipendio della religione dello Stato.
Era un’accusa generica e non
circostanziata, che si faceva contro tutti i cristiani. Prima mossa: la fece
sottoporre a custodia preventiva. Venne cioè affidata ad una “maitresse” di
nome Afrodisia e alle sue figlie, di non sani costumi e dalla morale molto
rilassata e andante che “lavoravano” naturalmente nel suo bordello.
La prova fu durissima. Ma Agata non
cedette. Afrodisia la riconsegnò sconsolata e sconfitta, dicendo al focoso
governatore: “Questa ha la testa più dura della lava dell’Etna”.
Ma il Quintiano non si arrese. E
così arriviamo al processo contro di lei. Il seguente colloquio, come viene
riferito dalla Passio di Sant’Agata, vuole rispecchiare quale erano i
sentimenti dei veri martiri dei primi secoli che affrontavano con coraggio e
costanza il martirio per il nome di Cristo Signore.
Eccone qualche passo.
Il giudice: “Di che condizione sei?”.
Agata: “Sono libera e nobile di
nascita, come dimostra tutta la mia parentela”.
E lui: “Ma se sei libera e nobile, perché conduci una vita bassa come una schiava?”.
Agata: “Io sono serva di Cristo e solo per questo di condizione servile”.
“Se tu fossi libera e nobile davvero, non ti umilieresti fino a prendere il titolo di schiava”.
Agata: “È nobiltà suprema essere schiavi di Cristo”.
E lui: “Ma se sei libera e nobile, perché conduci una vita bassa come una schiava?”.
Agata: “Io sono serva di Cristo e solo per questo di condizione servile”.
“Se tu fossi libera e nobile davvero, non ti umilieresti fino a prendere il titolo di schiava”.
Agata: “È nobiltà suprema essere schiavi di Cristo”.
Tutto
sembrava inutile per convincerla. Con le buone maniere. Ma con la maniera
forte, condita di crudeltà raffinata? Come avrebbe resistito? E
cominciarono così le varie torture, con elementi comuni e simili alla passione
di altri martiri. Un particolare nella tortura di Agata è che ad un certo punto
il governatore, rabbioso e spazientito per tanta resistenza, ordinò che le
venissero strappati i seni.
Al che la giovane Agata rispose:
“Sei un crudele tiranno, perché non ti vergogni di mutilare così una donna in
quello che anche tu hai succhiato da bambino”.
Elemento questo molto presente e
caratterizzante la sua iconografia. La Passio racconta inoltre che, riportata
in carcere, durante la notte le apparve un angelo e San Pietro che la guarì.
Quando poi il governatore le chiese come aveva fatto a guarire, Agata rispose:
“Mi ha guarito Cristo”.
Quintiano ormai sconfitto da tanta
resistenza, ordinò che fosse posta su un letto di carboni ardenti, con lamine e
punte arroventate. Narra la tradizione, che Agata mentre bruciava, il velo che
portava non bruciava affatto. È per questo che il cosiddetto “Velo di
Sant’Agata” diventò da subito la reliquia più preziosa della santa di Catania.
Usata anche per fermare la lava dell’Etna, quando minacciava di distruggere i
paesi alle pendici.
Durante questo supplizio però ci fu
un terremoto. I catanesi spaventati si ribellarono contro il governatore.
Allora questi la fece togliere da quel tormento di fuoco e riportare, già
agonizzante, in carcere. Dove morì poco dopo.
Le sue reliquie sono conservate nel
duomo di Catania in una cassa argentea, opera di celebri artisti catanesi; vi è
anche il busto argenteo della “Santuzza”, opera del 1376, che reca sul capo una
corona, dono secondo la tradizione, di re Riccardo Cuor di Leone.
Tratto da
http://www.cassiciaco.it/navigazione/iconografia/tematiche/santi/42_agata.html
Sant'Agata nacque a morì a Catania
(230 circa - 251).
Agata si consacrò a Dio in età
giovanile come diaconessa
Per la sua fede cristiana venne
sottoposta a un processo, durante il quale fu applicata la Lex Laetoria, una
legge che proteggeva i giovani d'età compresa tra i 20 e i 25 anni, soprattutto
giovani donne. Il processo di Agata si chiuse con un'insurrezione popolare
contro Quinziano, che fu costretto a fuggire per sottrarsi al linciaggio della
folla catanese. Si tramanda il proconsole Quinziano, giunto a Catania per far
rispettare l'editto dell'imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di
abiurare pubblicamente la loro fede, si sia innamorato di Agata e abbia cercato
inutilmente di farla abiurare. Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la
affidò ad Afrodisia e alle sue figlie, sacerdotesse di Venere o di Cerere. Ma
Agata resistette alle lusinghe e alle pressioni psicologiche e morali cui era
sottoposta, per cui Quinziano fu costretto ad istruire un processo. Memorabili
sono i dialoghi tra il proconsole e la santa, capace di rispondere senza paure
e con fermezza.
Agata venne tradotta in carcere dove
subì violenze che avevano lo scopo di piegare la giovinetta. Fustigata e
sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie, Agata
non cedette. La tradizione indica che nella notte venne visitata da san Pietro
che la rassicurò e le risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio
dei carboni ardenti. La notte seguente all'ultima violenza, il 5 febbraio 251,
Agata morì nella sua cella.
Dalla Chiesa Cattolica e dalla
Chiesa Ortodossa viene venerata come santa, vergine e martire. Il suo nome
compare nel Martirologio da tempi antichissimi; è patrona, tra l'altro, di
Catania, di San Marino e di Malta.
Saints LEGONTIEN et DOMITIEN, martyrs à Chiéti dans les Abruzzes.
Saint
GENUIN (INGENUINUS), évêque de Sabione (aujourd'hui Siben, près de
Brixen dans le Tyrol), exilé par les Lombards (vers 640).
Nel Martirologio Romano al 5 Febbraio si fa memoria
del nostro Padre tra i Santi Luca di Demenna o d'Armento
San
Luca nacque in Sicilia, a Demenna (Castrogiovanni oggi Enna ), e fu avviato
all'ascesi nel monastero di S. Filippo d'Agira dove si formarono anche altri
famosi monaci greci del sec. X.
Per sfuggire alle vessazioni dei Saraceni, che avevano conquistato l'isola attraversò lo stretto e andò a mettersi sotto la disciplina di s. Elia Speleota di Reggio. Ma ben presto anche la zona dell'Aspromonte divenne meta delle incursioni saracene, per cui egli prese la via del Nord fino a raggiungere la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini tra Calabria e Lucania, meta di tutti i santi italo-greci del sec. X.
Fondò una laura nel territorio di Noia (Noepoli), dove restaurò la cadente chiesa di S. Pietro e dimorò con i suoi discepoli per sette anni, praticando il piú rigoroso ascetismo e dandosi ai lavori dei campi, sí da cambiare il deserto in giardino. Desideroso di maggiore solitudine, passò nel territorio di Agromonte, presso il fiume Agri, dove restaurò il monastero di S. Giuliano. Prestò la sua opera di cristiana carità ai soldati feriti nel conflitto tra i Saraceni e i Tedeschi di Ottone II; fortificò il castello di Armento e la chiesa della Madre di Dio, lasciandone la custodia ai propri discepoli. Di qui ebbe origine intorno al 971 il celebre monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, che divenne il quartiere generale di s. Luca sia come baluardo fortificato contro le incursioni dei Saraceni, sia come palestra dei molti miracoli, che egli vi operò.
Qui Luca morí assistito da s. Saba di Collesano il 5 febbraio 995 e fu sepolto nella chiesa del monastero, dove ebbe culto pubblico.
Per sfuggire alle vessazioni dei Saraceni, che avevano conquistato l'isola attraversò lo stretto e andò a mettersi sotto la disciplina di s. Elia Speleota di Reggio. Ma ben presto anche la zona dell'Aspromonte divenne meta delle incursioni saracene, per cui egli prese la via del Nord fino a raggiungere la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini tra Calabria e Lucania, meta di tutti i santi italo-greci del sec. X.
Fondò una laura nel territorio di Noia (Noepoli), dove restaurò la cadente chiesa di S. Pietro e dimorò con i suoi discepoli per sette anni, praticando il piú rigoroso ascetismo e dandosi ai lavori dei campi, sí da cambiare il deserto in giardino. Desideroso di maggiore solitudine, passò nel territorio di Agromonte, presso il fiume Agri, dove restaurò il monastero di S. Giuliano. Prestò la sua opera di cristiana carità ai soldati feriti nel conflitto tra i Saraceni e i Tedeschi di Ottone II; fortificò il castello di Armento e la chiesa della Madre di Dio, lasciandone la custodia ai propri discepoli. Di qui ebbe origine intorno al 971 il celebre monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, che divenne il quartiere generale di s. Luca sia come baluardo fortificato contro le incursioni dei Saraceni, sia come palestra dei molti miracoli, che egli vi operò.
Qui Luca morí assistito da s. Saba di Collesano il 5 febbraio 995 e fu sepolto nella chiesa del monastero, dove ebbe culto pubblico.
Tratto da https://noepolidettieusanze.files.wordpress.com/2015/10/san-luca-di-armento.pdf
VITA DI SAN LUCA DI ARMENTO
Forse pochi tra noi sanno che a Noepoli, in un'epoca
molto lontana dalla nostra, ha soggiornato per ben sette anni un grande santo
del medioevo il quale in seguito, per la vita frenetica che allora caratterizzava
il nostro piccolo borgo e per la gran quantità di gente che abitava quei luoghi
divenuti oggi silenziosi e scarsamente abitati, ha deciso di allontanarsene,
cercando rifugio altrove. Il suo
nome era Luca.
Ma conosciamolo meglio attraverso uno scritto di un
certo Gaetani di Caltanissetta che ha elaborato
una piccola biografia sul santo. Luca nacque intorno
al 910 a Demenna (l'attuale Enna), centro fortificato della Val Demone, regione
nordorientale della Sicilia,
da una famiglia di nobile stirpe. Il
padre si chiamava Giovanni e la madre Ietibia. Su
fratello Fantino fu uno dei maestri di san Nilo di Rossano. Fin dalla giovane
età Luca avvertì forte il desiderio di seguire il Cristo, divenendo monaco
basiliano sotto la guida dell'abate san Saba del
convento di san Filippo di Agria. Già all'inizio del noviziato si distinse per
il suo zelo ed anche per una certa vena artistica che apprese da un pittore
suo amico. Non rimase a lungo in Sicilia perché,
conosciuta la fama di un monaco eremita di nome Elia lo Speleota
2
che viveva nei pressi di Reggio Calabria, volle
raggiungerlo e mettersi alla sua
sequela. Il giovane novizio, con grande impegno e
fatica, iniziò ad imitare le eroiche virtù del maestro: profonda umiltà, carità
ardente, rigidissima astinenza. Intorno al 950 abbandonò la terra di
Calabria e si diresse verso la Basilicata,
stabilendosi a Noja (Noepoli), luogo insalubre e selvaggio,dove trovò una
chiesetta in rovina dedicata a san Pietro che restaurò e dipinse. Non sappiamo
oggi
di quale chiesa si tratti, né possiamo essere certi
del luogo in cui Luca risiedette, ma possiamo
supporre, e ci piace pensare, che i volti di quegli
affreschi emersi dai restauri degli ultimi anni nella nostra Chiesa Madre,
portino la sua impronta o,quantomeno, siano i vestigi di una presenza viva e attiva
del monachesimo bizantino nei nostri luoghi. A Noepoli Luca fondò anche una
“laura”, ossia
un cenobio di monaci pii, tutti dediti alla preghiera
e al lavoro nei campi grazie al quale bonificarono molti luoghi paludosi,
rendendo la zona più ricca di colture e più prospera. La fama del monaco presto
si sparse in tutta l'area, tanto che la solitudine con Dio alla quale era
votato,
fu interrotta e disturbata dalle visite di tanti
fedeli che, conosciuta la sua santità, accorrevano a lui per
impetrare grazie. Accade spesso che il monaco,
rifuggendo il mondo, finisca per attirare il mondo asé. Luca, a causa di ciò,
fu costretto a lasciare la castellania di Noja, per recarsi in zone più
solitarie
e meno frequentate, dove la sua celebrità era ancora
sconosciuta. Spinto dall'esigenza della solitudine, il sant'uomo si recò nei
pressi di Grumento, dove trovò un convento diroccato, detto di
san Giuliano, che subito provvide a restaurare e nel
quale raccolse molti eremiti della zona,fondando un nuovo cenobio con l'intento
di aiutare i poveri e di soccorrere i diseredati. Come
sempre capita a quelli che elargiscono i loro averi
agli altri senza curarsi di accumulare tesori su questa terra, più Luca e i
suoi monaci dispensavano beni ai poveri, più la prosperità del cenobio
cresceva. Un arrogante principe di nome Landolfo,
proprietario di molti possedimenti nei pressi di
Grumento, infastidito dalla prosperità dei monaci,
decise di attaccare il convento e distruggerlo. Ma il superbo signore non
realizzò mai il suo esecrabile disegno perché, prima che fosse messo in
opera, morì (956). Nel 970, in seguito alle incursioni
saracene che, dopo la Calabria, raggiunsero anche parte della Basilicata, il
beato asceta lasciò Grumento e si trasferì nei pressi di Carbone dove
era ubicato un altro monastero basiliano intitolato a
sant'Anastasio Persiano, un monaco martire.
Giunto nel nuovo sito, Luca dovette subito provvedere
sia alla ricostruzione del convento, sia alla riedificazione degli animi dei
monaci ivi residenti che, ormai abbandonati a se stessi, presi dall'accidia e
dai piaceri della carne, avevano smarrito la via evangelica per seguire i loro
istinti.Luca riuscì, con l'ardore della sua parola e del suo esempio, ad
infervorare i monaci, ridando lustro al cenobio. Ma le incursioni saracene si
fecero sempre più frequenti e presto raggiunsero anche
Carbone. Così, il povero archimandrita dovette
provvedere a mettere in salvo se stesso e i suoi seguaci. Si spostò quindi verso Armento
(972), dove trovò un castello arroccato, detto di Palombaro, ben fortificato e
perciò difficile da espugnare. Qui l'abate sistemò i suoi monaci e costruì una
chiesetta dedicata alla Vergine Maria e a san Pietro. La fiamma della carità
che gli ardeva nel petto si diffuse attraverso la sua opera di soccorritore:
sovveniva ai bisogni dei poveri,consolava gli afflitti, sanava gli infermi da
molte malattie con l'utilizzo di erbe medicinali allora ben conosciute dai
monaci che, per questo, possono essere considerati i primi farmacisti o
speziali della storia; con le loro conoscenze in campo erboristico, infatti,
riuscivano a curare molte infermità e ad alleviare le sofferenze di chi ad essi
accorreva. I saraceni, che intanto avevano occupato molti territori della
Basilicata, non tardarono ad arrivare alla rocca di Palombaro. Giunti lì,
assediarono la
torre in cui si era rifugiato Luca insieme ai suoi
monaci. Il beato padre, non avendo i mezzi necessari per rigettare gli arabi
oltre la fortezza, ricorse all'arma della preghiera per ottenere da Dio
il soccorso sperato. La storia narra che mentre Luca
pregava incessantemente, il Signore gli apparve, incitandolo a non temere i
saraceni, ma a sfidarli perché Egli sarebbe stato con lui.
Rincuorato dalla visione, il coraggioso monaco, con
alcuni confratelli scelti tra i più vigorosi, decise di affrontare i
Selgiuchidi inferociti e, armato di spada e cavallo, li sconfisse
miracolosamente,
ridonando quiete al proprio convento e agli armentani.
Qualche tempo dopo, il valoroso asceta venne raggiunto presso Armento dalla
sorella Caterina che, rimasta vedova, divenne monaca basiliana e abadessa di un
convento sito presso la chiesa di santa Maria, poco fuori dal centro
abitato, precedentemente edificata dal fratello.
Caterina portò con sé anche i suoi figli Antonio e Teodoro che divennero entrambi
monaci Sono molti i miracoli compiuti in vita da Luca, a testimonianza delle
meraviglie che Dio aveva operato in lui.
Ritornando un giorno dalla consueta visita ai
monasteri, l'archimandrita, stanco e
ormai molto anziano, venne rapito in un'estasi durante
la quale un angelo gli rivelò il giorno della sua morte dicendogli:
<<Luca, uomo di Dio, presto cammina, sollecita i passi perché Dio vuole
che tu lasci questa vita mortale e passi agli eterni godimenti; hai abbastanza
patito per amor suo, già vuole che riposi per sempre >>. Giunto al
convento, il pio anacoreta si pose nel letto e, recitando
sacri inni, rese l'anima al suo Signore il 13 ottobre
993.
Raffaele Carlomagno
.
Per ulteriori approfondimenti sull'argomento si
consiglia la bibliografia di segito riportata:
FONTI BIBLIOGRAFICHE.
–Vita s. Lucae abbatis Armenti, in
Vitae sanctorum Siculorum , a cura di O. Gaetani,
Panormi 1657, II, pp. 96-99;
Idem , in Acta sanctorum Octobris , VI, Parisiis-Romae
1868, pp. 337-342;
D.G. Lancia di Brolo,
Storia della Chiesa in Sicilia , II, Palermo 1884, pp.
414-417;
G. Da Cost–Louillet,Saints de Sicile et d'Italie
méridionale aux VIII e Ix et X
Siècles , in Byzantion, XXIX-XXX (1959-60), pp.
142-146;
–
S. Borsari,
Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell'Italia
meridionale prenormanne ,
Napoli 1963, pp. 50 s.;
–
A. Acconcia Longo,
Santi greci della Calabria meridionale, in
Calabria bizantina.
Testimonianze d'arte e strutture di territori. Atti
dell'VIII e IX Incontro di studi, Reggio Calabria( 1985 e 1988, Soveria
Mannelli 1991, pp. 211-230;
Santi monaci italogreci alle origini del monastero di
S. Elia di Carbone
In Boll. Della Badia
greca di Grottaferrata , n.s., XLIX-L (1995-96), pp. 132-138;
S. Caruso,
Sicilia e Calabria nell'agiografia storica italo-greca
, in Calabria cristiana. Atti
del Convegno di studi, Palmi-Cittanova( 1994, a cura
di S. Leanza, Soveria Mannelli 1999, pp.572-581;
"Crucisque signo munitus". L. da Dèmena e l'epopea
antisaracena italo-greca,in
Byzantion, LXXIII (2003), 2, pp. 319-338
Santo Sabba asceta di Sicilia e si addormenta in
Cristo Dio a Roma
A Roma nel monastero di San Cesario,
san Saba, detto il Giovane, monaco, che insieme al fratello san Macario, al
tempo delle devastazioni saracene, diffuse
instancabilmente per la Magna Grecia
la vita cenobitica.
Tratto da
http://www.ortodossia.it/w/media/com_form2content/documents/c17/a1640/f255/Alessio.pdf
Saba
fu una delle figure più rappresentative del monachesimo siculo-greco nel
mercurion. Fu ctitor di molti monasteri ed esicastirion. Ebbe importanti
incarichi diplomatici-politici , tra cui una missione a Roma, su incarico del
catepano Romano ( circa 982 d.c) e quella di implorare
presso l’imperatore germanico Ottone III la liberazione
del figlio del principe di Salerno e del patrizio di Amalfi .
Durante questul’ultima missione mori a Roma, nel monastero di San Cesario il 5
febbraio 995, lasciando il governo dei monasteri da lui fondati al fratello San
Macario, che lil patriarca Oreste, autore della sua biografia, definisce uomo
di profonda umiltà e di grande purezza, che non assomiglia ad un uomo di carne,
ma ad uno spirito senza corpo.
http://www.johnsanidopoulos.com/2016/02/saint-savvas-younger-of-sicily-995.html
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