sabato 10 febbraio 2018

10 febbraio santi italici ed italo greci




DIX SOLDATS martyrs sur la Via Lavicana à Rome (vers 250).

 
Santi ZOTICO, GIACINTO, IRENEO, AMANZIO Martiri di Roma

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92789

Nella lingua italiana, il termine zotico identifica una persona grossolana, rozza nei modi, incivile; ma al tempo dell’Impero Romano, era un nome di persona molto diffuso, prova che non aveva il significato attribuitogli in seguito; portano il nome di Zotico ben dieci santi, tutti martiri dell’epoca delle persecuzioni anticristiane.
Il gruppo di cui si parla in questa scheda, è celebrato nel ‘Martirologio Romano’ il 10 febbraio, senza alcuna precisa indicazione topografica cimiteriale.
Essi subirono il martirio a Roma, fra la fine del III secolo e l’inizio del IV, probabilmente sotto l’Impero di Diocleziano, che emise il decreto persecutorio nel 303 e sepolti sulla Via Labicana.
Chi fossero veramente non si sa, di loro non esiste alcuna ‘Passio’, comunque sin dall’VIII secolo, i quattro martiri erano considerati dei semplici fedeli cristiani.
Un errore di traduzione portò a credere a torto, che fossero dei soldati (milites), ma l’indicazione latina riportata dal Martirologio Geronimiano, dice “Via Labicana mil. X hirene”, dove ‘mil.’ deve essere inteso come abbreviazione di ‘miliare’, quindi i loro corpi furono sepolti al X miglio della Via Labicana.
Su questo punto occorre ancora specificare, giacché le indicazioni del luogo dove furono sepolti, sono diverse nei vari Martirologi e codici, che pur li nominano, come il Martirologio Geronimiano, il Martirologio Romano, il Sacramentario Gelasiano, i codici Bernense, Wisseburgense, Eptermacense, di Reichenau, queste fonti portano i quattro martiri Zotico, Ireneo, Giacinto e Amanzio, a volte uniti tutti e quattro, a volte accoppiati a due, a tre o singolarmente e celebrati in giorni diversi, perché ritrovati anche in luoghi diversi.
Comparando tutte queste divergenti indicazioni, gli studiosi più recenti hanno tratto la conclusione, che i martiri erano sepolti in due diversi cimiteri posti nella stessa Via Labicana, Zotico, Ireneo e Amanzio al X miglio e Giacinto al XIV miglio; quindi i primi agiografi li unirono in un’unica celebrazione al 10 febbraio, sebbene morti in diverse date.
Dei due cimiteri non esiste più nulla, tranne delle misere rovine di quello del X miglio; papa Leone III (795-816) fece dei restauri proprio in questo cimitero, segno che nel IX secolo la venerazione dei fedeli locali per questi martiri, era ancora viva.
Ma il suo successore papa Pasquale I (817-824), se ne ignora i motivi, fece trasportare il loro corpi dal cimitero o dai cimiteri di Via Labicana, nella rinnovata Basilica di Santa Prassede a Roma.
San Zotico martire, è raffigurato in una superstite immagine con il nome identificativo, nella conca absidale della Chiesa di S. Maria in Pallara a Roma, ed è mostrato come un uomo di mezza età e di aspetto devoto.
L’immagine faceva parte di un interessante ciclo di affreschi del X secolo, composto da 14 episodi, inerenti alla prigionia e al martirio di Zotico e compagni, andati distrutti nell’originale e di cui esiste una copia in un codice vaticano.


 
Santa Sotere  vergine e martire a Roma sotto Diocleziano (304)
Proveniente da una nobile famiglia romana, fu parente del vescovo di Milano Sant'Ambrogio, che di lei parla nelle sue opere De virginibus e Exhortatio virginis dicendo che «ai consolati e alle prefetture dei parenti preferì la fede»
Rinunciando agli onori della nobiltà romana, si consacrò a Dio e in seguito agli editti contro i cristiani emanati da Diocleziano e Massimiano venne arrestata e condotta dinnanzi ai magistrati. Dopo avere rifiutato di rinnegare la fede cristiana, venne torturata e quindi decapitata. Secondo altre ipotesi, solo la sua esecuzione avvenne durante il regno di Diocleziano, mentre l'arresto e l'interrogatorio sarebbero avvenuti sotto l'imperatore Decio  
Seppellita (stando al Martirologio Romano) sulla via Appia, solo successivamente il suo corpo sarebbe stato spostato nella chiesa di San Martino ai Monti da papa Sergio II 


Di lei riporta il Martirologio Romano
« A Roma sulla Via Appia, nel Cimitero a lei intitolato, ricordo di S. Sotere, vergine e martire, che, come racconta S. Ambrogio, posposti gli onori e le nobili origini alla fede cristiana, non acconsentì all'imposizione di sacrificare agli idoli, né piegò il capo dinanzi ai rozzi oltraggi che dovette patire, né, infine, condannata alla decapitazione, indietreggiò di fronte al martirio. »


tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/40430
La vergine e martire Santa Sotere, oggi festeggiata, fu parente di Sant’Ambrogio, stando a quanto afferma con orgoglio il celebre pastore della Chiesa milanese nelle sue opere “De virginibus” ed “Exhortatio virginis”. Dal Martirologio Geronimiano apprendiamo inoltre che Sotere fu inizialmente seppellita sulla Via Appia, e solo in seguito Papa Sergio II ne avrebbbe traslato le reliquie nella chiesa di San Martino ai Monti.
Santa Sotere, graziosa fanciulla consacratasi a Dio, venne condotta dinnanzi ai magistrati in seguito agli editti contro i cristiani promulgati dagli imperatori Diocleziano e Massimiano: venne dunque oltraggiata, torturata ed infine decapitata. Non è però tuttavia da escludere che l’interrogatorio e la tortura abbiano avuto luogo già in un periodo precedente, sotto l’imperatore Decio, e che quindi solo la sua esecuzione sarebbe avvenuta regnante Diocleziano



 

Santo Silvano(in altri codici Silviano)  vescovo di Terracina
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/40400

Silvano fuggì dall Africa del Nord assieme al padre Eleuterio, a causa della persecuzione dei Vandali, stabilendosi a Terracina, l ™antica ˜Anxur dei Volsci.
Nel 443, morto il vescovo Giovanni, Silvano (Silviano) fu chiamato a succedergli, ma rimase in vita solo nove mesi e dopo di lui fu eletto il padre Eleuterio.
Un latercolo del Martirologio Geronimiano ™ al 10 febbraio, porta In Terracina il natale (cioè la morte) di s. Silvano vescovo e confessore ; questo titolo di confessore  inizialmente era dato ai confessori della fede, cioè ai martiri, questo ci fa pensare che s. Silvano sia morto martire, tenuto conto anche della brevità del suo episcopato e la sua ancora giovane età.
Unico ricordo del santo sono i resti di un antichissima chiesa e monastero, molto famosi nel secolo X, intitolati a S. Silvano, che si trovano fuori Terracina, alle falde del monte Leano di fronte alla via Appia Nuova.






Tratto da http://www.sansilviano.it/Home.htm
Durante la persecuzione degli Ariani fomentata dall’imperatore Valente e l’invasione dell’africa da parte dei vandali di Genserico seguaci anch’essi di quell’eresia, Silviano, illustre in cartagine per integrità di vita, per profondo zelo religioso e per l’attaccamento alla fede ortodossa subì impavido incarcerazioni e tormenti.
Dopo che, per divino volere, i persecutori ebbero tentato invano di suppliziarlo, lo misero sopra una nave “lacera et cariosa” insieme con il padre Eleuterio, la madre Silvia, la sorella Rufina ed il vescovo Castrense, sicuri che l’imbarcazione sarebbe in breve affondata. Ma protetta dal Signore, la nave approdò sulle coste della campania e gli scampati si recarono a Terracina. Qui non presero dimora entro le mura della città, ma si stabilirono ai piedi del monte di Ferocia (Leano), dove vissero in umiltà e preghiera. Ben presto la presenza di Silviano fu conosciuta in seguito ad una serie di miracoli da lui operati, e tutta la popolazione “viri cum mulieribus senes cum iunioribus” accorrono presso il Santo di cui baciano la vestigia. Era vescovo di Terracina in quel periodo un certo Giovanni e quando questo morì (443 ca.), il clero ed il popolo innalzarono al soglio episcopale Silviano che governò la Chiesa di Terracina soltanto per nove mesi. Alla sua morte fu eletto vescovo il padre Eleuterio che guidò i fedeli terracinesi per alcuni anni e morì in età molto avanzata. I corpi dei due santi furono seppelliti presso una chiesa dedicata al SS Salvatore, che successivamente assunse il titolo di San Silviano.
In epoca imprecisata, ma che si può riferire al secolo X, il santo apparve più volte in sogno ad un giovane di Terracina di nome Giovanni, indicandogli il luogo della sua sepoltura ed invitandolo ad informare il vescovo. Poiché nonostante altre apparizioni Giovanni trascurò di eseguire l’incarico, Silviano apparve ad un cittadino di Gaeta, pure di nome Giovanni dandogli il medesimo incarico. Questi si recò subito dal suo vescovo il quale immediatamente convocò il popolo. “Concurrunt illico ad rei famam omnis generis viri vicinarum urbium atque castrorum totius Caietae ducatus, commeatus et arma parantur, atque B. Silviani corpus auferre confidunt”. Ma il Santo, che voleva rimanere a Terracina, finalmente riesce a convincere il vescovo della città, il quale seguito da immensa moltitudine di popolo, si reca al luogo indicato, ritrova il corpo di Silviano con quelli di Silvia e di Rufina e, postili sopra un carro si affrettano a portarli a Terracina. Ma giunti in un luogo “qui hortus balnei dicitur” (ai quattro lampioni), s’incontrarono con la moltitudine armata dei Gaetani. Intorno alle sante reliquie sta per scoppiare un sanguinoso conflitto, quando per intervento divino, gli animi si placano, ed i Gaetani, essendosi convinti che il Santo vescovo aveva prescelto Terracina, dopo aver ottenuto dai Terracinesi un braccio di Silviano, lo portarono in patria dove anche oggi è venerato. La memoria e la venerazione di Terracina verso il San Silviano è tutt’ora sempre viva e profondamente radicata. Comunque San Silviano è un Santo nel luogo fin dalla metà del secolo V quando venne citato nel Martirologio Geroliniano “…iuxta Terracinam in Campania natale Silvani Episcopi et confessorum…” Al IX secolo poi risale la prima citazione di una chiesa dedicata al Santo “…ecclesia beati Silviani in territorio terracinensi” (Codex Diplomaticus Caietanus).
La venerazione per San Silviano da parte dei concittadini rimonta ad epoca remotissima, ed è stata grande sempre anche quella di tutta la popolazione. Nella cattedrale, sul prospetto anteriore dell’altare posto a sinistra di quello maggiore, vi è una lastra marmorea con su graffita la figura di San Silviano in mezzo a quella della madre Silvia e della sorella Rufina.
L’attribuzione di Sylvanus o Sylvinus a Terracina ha per essa il Martirologio Romano che va sotto il nome di San Girolamo dove è detto che il 10 febbraio si celebra “ in Terracina natale San Siriani Episcopi et confessoris”. Resta assai incerta l’epoca in cui il Santo vescovo sarebbe vissuto, ma deve essere all’incirca quella delle invasioni barbariche

 Saint PEREGRIN, confesseur à Plaisance en Italie (vers 400). 

 
 


Santa Scolastica sorella di San Benedetto da Norcia e badessa di un monastero situato sotto Monte Cassino(543)
Martirologio Romano: Memoria della deposizione di santa Scolastica, vergine, che, sorella di san Benedetto, consacrata a Dio fin dall’infanzia, ebbe insieme con il fratello una tale comunione in Dio, da trascorrere una volta all’anno a Montecassino nel Lazio un giorno intero nelle lodi di Dio e in sacra conversazione

Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/22750

Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già "fuggendo dal mondo" verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.

La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all  ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.

Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all  anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra.  L'italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma  arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza...

Viene l  ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s  infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po ' ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.

Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l  alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all  anno 547.

Tratto da
http://ora-et-labora.net/scolastica.html
Estratto da "Monachesimo benedettino femminile" a cura di Anna Maria Cànopi
- edito dall'Abbazia San Benedetto - Seregno (MI)
La sua sorella di nome Scolastica, consacrata al Signore onnipotente fin dalla più tenera età, soleva fargli visita una volta all'anno. L'uomo di Dio scendeva ad incontrarla in una dipendenza del monastero, non molto lontano dalla porta. Un giorno, dunque, come di consueto ella venne, e il suo venerabile fratello, accompagnato da alcuni discepoli, scese da lei. Trascorsero l'intera giornata nella lode divina e in colloqui spirituali, e quando ormai stava per calare l'oscurità della notte, presero cibo insieme. Sedevano ancora a mensa conversando di cose sante, e ormai s'era fatto tardi, quando la monaca sua sorella lo supplicò dicendo: «Ti prego, non lasciarmi questa notte; rimaniamo fino al mattino a parlare delle gioie della vita celeste». Ma egli le rispose: «Che dici mai, sorella? Non posso assolutamente trattenermi fuori dal monastero».
Il cielo era di uno splendido sereno: non vi si scorgeva neppure una nuvola.
Udito il rifiuto del fratello, la monaca pose sulla mensa le mani intrecciando le dita e reclinò il capo su di esse per invocare il
Signore onnipotente. Quando rialzò la testa, si scatenarono tuoni e lampi cosi violenti e vi fu un tale scroscio di pioggia, che né il venerabile Benedetto, né i fratelli che erano con lui poterono metter piede fuori della casa in cui si trovavano. La vergine consacrata, reclinando il capo sulle mani, aveva sparso sulla mensa un tale fiume di lacrime da volgere in pioggia, con esse, il sereno del cielo. E la pioggia torrenziale non seguì di qualche tempo la sua preghiera, ma fu ad essa simultanea, a tal punto che mentre ancora la donna alzava il capo dalla tavola, già scoppiava il tuono; tutto avvenne nel medesimo istante; col sollevare del capo la pioggia incominciò a scrosciare.
L'uomo di Dio, vedendo che in mezzo a tali lampi, tuoni e tanta inondazione d'acqua non poteva affatto ritornare al monastero, cominciò a rammaricarsene e, rattristato, le disse:
«Dio onnipotente ti perdoni, sorella. Che hai fatto?». Ma ella rispose: «Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore, ed egli mi ha esaudita. Ora esci, se puoi; lasciami pure e torna al monastero».
Ma egli, non potendo uscire dal coperto, fu costretto a rimanere suo malgrado là dove non aveva voluto fermarsi di sua spontanea volontà.
Passarono cosi tutta la notte vegliando e saziandosi reciprocamente di sante conversazioni concernenti la vita dello spirito.
Per questo ti avevo detto che vi fu qualcosa che l'uomo di Dio, pur volendolo, non poté ottenere. Se infatti consideriamo la sua intenzione, appare in tutta evidenza il suo desiderio che il cielo si mantenesse sereno come quando era sceso dal suo monastero. Ma contrariamente a quanto desiderava, egli si trovò davanti a un miracolo operato per la potenza di Dio dal cuore ardente di una donna. E non c'è da meravigliarsi se in quell'occasione poté di più la sorella, che desiderava trattenersi più a lungo con lui. Secondo la parola di Giovanni, infatti, Dio è amore; per giustissimo giudizio, dunque, poté di più colei
che amò di più (SAN GREGORIO MAGNO, Dialoghi, libro II, c. 33).
Il volto di santa Scolastica è per sempre scolpito da queste ultime parole del racconto di san Gregorio Magno: «... quia enim juxta Johannis vocem, Deus caritas est, justo valde judicio illa plus potuit, quae amplius amavit». Poté di più, presso Dio, colei che amò di più. Amore e preghiera e desiderio del Cielo costituiscono il fascino spirituale di questa donna che, secondo la tradizione, fu sorella gemella del grande patriarca dei monaci d'Occidente, Benedetto da Norcia.
«Consacrata a Dio onnipotente fin dall'infanzia», la troviamo - al tramonto della sua santa esistenza - in un monastero di sanctimoniales nelle vicinanze di Montecassino, all'ombra, quindi, del grande fratello di cui certamente osservano la Regola.
Null'altro sappiamo al di fuori di questo e di quanto san Gregorio Magno dice nel capitolo 34° del secondo libro dei Dialoghi, cioè che dopo tre giorni da quel prolungato incontro (c. 33), san Benedetto, stando alla finestra della sua cella, vide l'anima della sorella Scolastica, in forma di colomba, penetrare nelle altezze dei cieli.
L'esordio della vita e della vocazione di Scolastica lo si può, quindi, rintracciare seguendo le orme del fratello. Se veramente furono gemelli anche per nascita naturale, quale sarà stato il loro crescere insieme nell'ambito della famiglia, in quella cittadina umbra, dolcemente adagiata nel verde e tutta pervasa di religioso senso della vita?
Nata verso il 480, Scolastica è - come il fratello - fin dalla fanciullezza attratta verso la vita interamente consacrata a Dio. E' probabile che la risoluta partenza di Benedetto l'abbia spinta a seguirlo in una forma di vita consona alla sua indole e al suo ideale cristiano. Perciò l'indistruttibile legame di sangue esistente tra lei e Benedetto divenne ancor più forte e definitivo nella comune vocazione che li rendeva uno in Cristo per l'eternità.
La nativa Norcia, dunque, la famiglia satura di fede e aperta ai progetti di Dio plasmarono l'animo diScolastica, preparandola a quell'austera e insieme serena vita monastica che san Benedetto propone con la sua Regola ai più generosi seguaci di Cristo.
Per questo non ci sembra arbitrario fare in certo modo una rilettura della «santa Regola» attraverso la figura stessa di santa Scolastica quale traspare dall'unico episodio - unico, ma assai emblematico! - che della sua vita ci è rimasto.
Notiamo anzitutto la «consuetudine» dei due fratelli di vedersi una volta all'anno. Forse - e ci piace pensarlo - nel tempo pasquale per la gioia di incontrarsi nella luce del Signore risorto.
In quest'ultimo incontro, la sorella è quanto mai avida di stare con il fratello per parlare delle gioie del cielo; ma deve premere su Benedetto ligio alla norma che prevedeva il rientro in monastero prima di sera. Scolastica compie un prodigio in forza dell'intensità del suo amore e della sua preghiera. E' un miracolo che si iscrive sotto il segno della gratuità, quasi come quello ottenuto da Maria alle nozze di Cana, per prolungare la gioia conviviale.
San Benedetto nella Regola per i monaci dà il primato alla ricerca di Dio - Si revera Deum quaerit...(Se veramente cercano Dio) (RB 5 8, 7), all'amore di Cristo - Nihil amori Christi praeponere (Nulla anteporre all'amore di Cristo) (RB 4, 2 1), e conseguentemente alla preghiera - Nihil Operi Dei praeponatur (Niente venga anteposto all'Opera di Dio) (RB 43, 3). Scolastica realizza pienamente la sua vita in questo senso. Giunta ormai in vista della meta, altro non desidera che Dio, la comunione con lui nella luce del suo Regno. E' di questo che desidera ardentemente parlare con il santo fratello supplicandolo: «Ti prego... rimaniamo fino al mattino a parlare delle gioie della vita celeste».
Non stava forse anche scritto nella Regola: «Desiderare con tutto l'ardore dell'animo la vita eterna»? (RB 4, 46). Il forte affiato escatologico che caratterizza la spiritualità della Regola benedettina raggiunge in questa santa monaca la massima intensità. Traspare inoltre da questo unico episodio la consuetudine che Scolastica aveva alle sante veglie di meditazione e di preghiera. Proprio la preghiera, sgorgante da un cuore puro e ardente, è la forza con la quale la sorella vince.. la sfida con il fratello, più attento all'austera disciplina. Ma anche questa, anche la preghiera di Scolastica è la realizzazione splendida e fedele di quanto Benedetto ha proposto nella sua Regola: «... non dobbiamo forse elevare con tutta umiltà e sincera devozione la nostra supplica a Dio, Signore dell'universo? E rendiamoci ben consapevoli che non saremo esauditi per le nostre molte
parole, ma per la purezza del nostro cuore e la compunzione fino alle lacrime» (RB 20, 2-3). Con l'intensità della sua supplica e l'abbondanza delle sue lacrime, Scolastica ottiene dal Signore dell'universo un repentino mutamento di atmosfera. La pioggia scrosciante impedisce a Benedetto di ripartire e dona a Scolastica la gioia di rimanere più a lungo con lui per pregustare, nella contemplazione, le gioie del cielo.
Per essere pervenuta a tale intensità di vita interiore e di preghiera da poter essere esaudita dal Signore all'istante e oltre misura, la santa sorella del patriarca dei monaci aveva certamente compiuto un generoso e alacre cammino di fede, di umiltà, di povertà, di obbedienza, di carità, di essenzialità e di unificazione interiore. Aveva vissuto fedelmente la vocazione monastica secondo le direttive della Regola di Benedetto e «per ducatum evangelii» si era lasciata condurre là dove l'unica legge è quella dello Spirito che è amore e libertà.
Colpisce, nel racconto dei Dialoghi, la personalità di Scolastica. E' veramente donna, con tutte le caratteristiche della femminilità: dolcezza e affettività, costanza e persino audacia nell'intento di ottenere quanto desidera; ma presenta anche una vena di simpatica ilarità, quando dal fiume di lacrime passa al radioso sorriso per il miracolo avvenuto: «Vedi - risponde al fratello rammaricato per il temporale - io ti ho pregato e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore, ed egli mi ha esaudita. Ora esci, se puoi; lasciami pure e torna al monastero». E' una rivincita che non dispiace certamente a Benedetto, poiché proprio lui le aveva insegnato a rivolgersi - nelle difficoltà - a Colui cui tutto è possibile (cfr. Prologo 4, 4 1; RB 68, 5). Per coloro che servono il Signore con totale dedizione si realizza la promessa: «I miei occhi saranno su di voi, le mie orecchie si faranno attente al vostro grido, e ancor prima che mi invochiate, dirò: Eccomi!» (Prol. 18). Dio obbedisce prontamente a coloro che gli hanno totalmente sottomessa la loro propria volontà.
Scolastica ha consumato la sua esistenza in assoluta fedeltà alla vocazione che le era sbocciata nel cuore fin dall'infanzia; ora, giunta alla piena maturità, dimostra di avere conservato la stessa fede semplice e sicura in un animo fresco come polla d'acqua sorgiva.
In lei si incarna splendidamente la tensione escatologica che percorre tutta la Regola benedettina. Dire Scolastica è immergere lo sguardo nelle azzurre «misteriose profondità del cielo» dove la sua anima, sotto la candida sembianza della colomba, è penetrata, attratta dalla forza dell'Eterno Amore. Così la poté contemplare - con quali occhi? - il santo padre Benedetto mentre pregava affacciato alla finestra della sua cella, specola del cielo. L'itinerario tracciato dalla Regola si era concluso per Scolastica con il «miracolo» segno della «perfetta carità» raggiunta. Carità verso Dio ardentemente desiderato, e carità verso i fratelli teneramente amati (cfr. RB 72). La preghiera - subito esaudita dal Signore - appare come il puro ed efficace linguaggio dell'Amore.
Non è forse questo il messaggio essenziale che ci viene, ancora oggi, dalla santa sorella del patriarca dei monaci d'Occidente? Perché rammaricarci di non avere di lei altre notizie per poterne scrivere una biografia? Tutto quello che ella visse prima della «santa notte» del fraterno colloquio e dell'ora del suo altissimo «volo» non poteva che essere cammino decisamente orientato alla meta, così come tutto il lavoro della radice, dello stelo e delle foglie è ordinato allo sbocciare del fiore.
Scolastica, la prima monaca benedettina, è una docilissima «scolara» alla scuola del divino servizio nella quale apprende la sapienza del cuore a tal punto da... vincere il Maestro ed arrivare prima là dove insieme, correndo, erano diretti.
San Gregorio riferisce che Benedetto volle deporre il corpo della sorella «nel sepolcro che aveva preparato per sé» sulla santa montagna di Cassino. «E così, essendo sempre stati un solo spirito in Dio, neppure i loro corpi furono separati nella sepoltura» (Dialoghi, II, 34). La comunione dei Santi inizia sulla terra, nel tempo, e si compie in cielo, nell'eternità.
Chi sale oggi - dopo quindici secoli di storia -, alla maestosa abbazia di Montecassino, non può non essere preso da un fremito di commozione nel trovarsi davanti alla tomba dei Santi fratelli che stanno all'origine di una numerosa stirpe di cercatori di Dio.
(voce di A. Lentini, in Bibliotheca Sanctorum, XI, Roma 1968, col. 742-749; B. Fiore, Santa Scolastica, Montecassino 1981).


 

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