mercoledì 21 febbraio 2018

21 Febbraio santi italici ed italo greci



Saint ANTHIME, évêque de Terni et de Spolète, invoqué contre la grêle (vers 176).

SEPTANTE-NEUF martyrs crucifiés en Sicile sous Dioclétien (303).
 





Saints CLAUDE, SABIA et MAXIME, martyrs en Sicile (303).

Sainte IRENE, vierge à Rome, soeur du pape Damase (379).

 
San Massimiano Vescovo di Ravenna (verso il 556)
Martirologio Romano: A Ravenna, san Massimiano, vescovo, che svolse con fedeltà il suo ufficio pastorale e difese l’unità della Chiesa contro l’eresia.

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San Massimiano fu il ventottesimo vescovo di Ravenna, anzi primo vescovo d’Occidente a portare il titolo di arcivescovo in quanto titolare di una diocesi metropolitana. Aveva ricevuto la consacrazione episcopale dal papa Vigilio nel 546 e resse la sede per dieci anni. Grazie alla sua solida condizione finanziaria e sfruttando con il suo grande intuito l’eminente posizione di vicario del pontefice Vigilio e dell’imperatore Giustiniano, egli divenne una delle più importanti figure nell’Italia del VI secolo. Sul suo conto sono state tramendate notizie abbastanza precise grazie alla biografia redatta dal sacerdote Agnello, il quale pur essendo vissuto ben due secoli dopo fu profondo conoscitore degli scritti del santo pastore.
Massiamiano nacque nel 498 a Pola, in Istria, oggi in territorio croato, e divenne diacono della Chiesa locale. Il fortunato ritrovamento di un “tesoro” per mano sua o del padre gli permise di approdare alla corte imperiale di Costantinopoli, ove poté guadagnarsi la stima dell’imperatore San Giustiniano (santo per le Chiese ortodosse). Nel 545, alla morte del vescovo di Ravenna, i fedeli della città chiesero all’imperatore di insignire del pallio un candidato da loro proposto, ma questi consigliò invece a papa Vigilio di destinare alla sede vacante proprio Massimiano. Così fu ed il nuovo vescovo fu consacrato il 14 ottobre 546, ma ciò inevitabilmente causò un forte attrito con la popolazione ravennate, che considerava la sua nomina nulla più che un’indebita interferenza nella vita cittadina. A Massimiano non restò che accamparsi fuori delle mura, ospite del vescovo ariano dei goti, ma con tatto e diplomazia riuscì gradualmente ad accattivarsi la simpatia dei suoi fedeli e ad ottenere il permesso di prendere possesso della sede episcopale.
Il suo episcopato rappresentò l’età d’oro della Chiesa di Ravenna: infatti furono completate e consacrate le basiliche di San Michele e San Vitale, molte altre furono abbellite, e sempre a lui si devono interamente San Giovanni, Santo Stefano e varie chiese nella natia Pola, decorate con splendidi mosaici. Elevata fu la quantità di libri di cui fu autore: cronache, descrizioni di Ravenna, cataloghi dei vescovi della città e dodici volumi di suoi sermoni. Preparò anche un’accurata edizione della Bibbia corredata da note a margine e redasse un sacramentario sul quale presumibilmente si basò in seguito quello leonino. Le sue attività si estesero a tutta l’Italia, di cui a tutti gli effetti fu primate durante le lunghe assenza da Roma di papa Vigilio, ed i suoi sforzi furono incentrati in particolar modo sul ripristino dell’armonia e dell’unità all’interno delle chiese divise dallo scisma detto dei “Tre capitoli”. Il suo biografo Agnello ebbe a descriverlo anche come pastore che “accoglieva gli stranieri, richiamava coloro che cadevano in errore, dava ai poveri ciò di cui necessitavano e consolava i sofferenti”.
Massimiano morì a Ravenna il 22 febbraio 556 e le sue spoglie furono tumulate nella basilica di Sant’Andrea, ove rimasero sino al 1809 per poi essere trasferite in cattedrale, in seguito alla sconsacrazione della chiesa da parte dell’amministrazione napoleonica della città. Nella basilica di San Vitale, inaugurata in pompa magna alla presenza degli imperatori Giustiniano e Teodora, San Massimiano è raffigurato accanto all’imperatore nel grandioso mosaico sul lato nord del santuario, con in mano una croce tempestata di genne preziose.

Tratto da https://giovannigardini.com/2016/11/07/massimiano-arcivescovo-di-ravenna/
Il 14 ottobre del 546, a Patrasso, Massimiano fu consacrato vescovo da Papa Vigilio per volontà dell’imperatore Giustiniano.
L’arcivescovo Massimiano, il ventisettesimo successore di Apollinare, sedette sulla cattedra episcopale ravennate tra il 546 e il 556 e, come ebbe a scrivere Giovanni Lucchesi, «divenne per le sue qualità uno dei personaggi di maggior rilievo in Italia nel sec. IV»[1].
Andrea Agnello, nel Liber Pontificalis della chiesa ravennate, ci restituisce una biografia articolata, una delle più ampie e ricche di notizie, probabilmente ricavata da ricerche d’archivio, dagli scritti dello stesso Massimiano, senza dimenticare i monumenti e le iscrizioni che, al tempo dello Storico, nel IX secolo, erano maggiori di quanti non se ne siano conservati oggi[2]. Egli è presentato come buon pastore del gregge: «Mai dilaniò le sue pecore, mai le morse, mai le percosse, ma le incoraggiò con la parola, le nutrì con gli alimenti, ammonì gli incerti, richiamò gli erranti, raccolse i dispersi, servì il povero, partecipò al dolore del tribolato (…); con la sua mansuetudine fece umili i cuori dei suoi nemici, per realizzare quanto sta scritto: Non farti vincere dal male, ma vinci col bene il male, e in altro luogo: Nella vostra pazienza possederete le anime vostre»[3].
«Massimiano era di alta statura, di corporatura esile, macilento in volto, calvo sul capo, con pochi capelli e occhi azzurri, bello nell’aspetto generale»[4]. Con queste parole prende avvio il testo agnelliano, una descrizione, questa, che non può non ricordare il volto solenne di Massimiano come ancora oggi si può ammirare nel presbiterio della Basilica di San Vitale dove è raffigurato accanto all’imperatore Giustiniano, un’immagine corredata dall’iscrizione musiva Maximianus; Mazzotti, a commento di questo straordinario mosaico, spende parole profonde: Massimiano «ha in mano la croce gemmata, lo precedono i suoi diaconi, lo segue Giustiniano, che sta per trasmettergli le offerte liturgiche. È raffigurato nella pienezza della sua dignità e delle sue funzioni vescovili (…). Ha di contro l’Augusta e sopra il Cristo trionfatore. Credo si possa affermare, che in questa raffigurazione è in sintesi tutta l’attività svolta da quest’uomo, la cui figura si staglia ancora gigante nella storia di Ravenna che pure è così ricca di uomini di eccezionale valore ed i cui nomi, attraverso i secoli, rimangono indelebilmente uniti alle glorie nostre e non solo nostre»[5].
Andrea Agnello, fin da subito, ricorda inoltre che «era pecora estranea proveniente dalla chiesa di Pola», un’affermazione che darà la possibilità allo Storico di aprire un’ampia narrazione nella quale raccontare il suo profondo legame con l’imperatore.
Il suo episcopato è caratterizzato da un’ampia attività edilizia: «La sua operosità costruttiva – scrive Mazzotti – è semplicemente gigantesca tanto più se si tien conto che il suo episcopato non ha raggiunto il decennio pieno. I più meravigliosi capolavori dell’arte nostra ravennate del secolo VI sono opere sue»[6]. A questo tema Mazzotti dedica uno studio ampio e puntuale nel quale individua le chiese che Massimiano completò e consacrò, gli edifici cui portò modifiche o restauri e infine i monumenti da lui costruiti ex novo sia in ambito ravennate sia istriano.
Tra gli edifici interessati dall’opera di Massimiano trovano un posto d’onore la già citata Basilica di San Vitale e la straordinaria Basilica di Sant’Apollinare in Classe dove il suo nome, ancor oggi, è visibile nell’iscrizione di VI secolo, un testo epigrafico importantissimo che cita Massimiano in due passaggi cruciali: è lui a introdurre il sarcofago con le reliquie del Santo protovescovo all’interno della Basilica, è lui a dedicare la Basilica il 9 maggio del 549[7].
Se questi due straordinari monumenti ancora oggi custodiscono il suo nome, e altri andrebbero giustamente ricordati – solo per citarne alcuni si pensi a San Michele in Africisco, a Sant’Agnese, alla Basilica Probiana, ai lavori in Episcopio… – non possiamo non parlare, seppur come accenno, della Basilica di Sant’Andrea Maggiore. Questo edificio di culto appartiene a quella serie di chiese che durante il suo episcopato furono oggetto di interventi: «con ogni cura la fece sostenere da colonne di marmo e, tolte le vecchie strutture di legno di noce, la decorò di marmo del Proconneso» leggiamo nel Liber Pontificalis[8]. Questa chiesa fu scelta da Massimiano come luogo della sua sepoltura e lì rimasero le sue spoglie mortali fino a che, sconsacrata, non fu ridotta a usi civili e le sue reliquie portate in Cattedrale; di questo antichissimo edificio rimangono alcune tracce, alcune visibili anche dalla strada – via Ercolana -, altre sono notizie desunte dalle Guide o da studi che sono stati dedicati a questo edificio o area[9].
In questa Basilica Massimiano depose una reliquia dell’apostolo Andrea e lì, come accennato, desiderò essere sepolto, vicino all’altare. Andrea Agnello non solo è testimone oculare del fatto che ancora ai suoi tempi lì fossero custodite le spoglie mortali del santo vescovo, ma anche della ricognizione della sua sepoltura: «Nell’anno quindicesimo dell’arcivescovo Petronace, mentre noi singolarmente lo esortavamo con le nostre parole a togliere da sottoterra e collocare più in alto il corpo predetto del beato Massimiano, un giorno, rientrando in sè, ordinò che tutti noi sacerdoti andassimo con lui nella chiesa di Sant’Andrea; detta una preghiera nei nostri cuori, egli ordinò ai muratori di sollevare la lapide (…). Sollevata la pietra che chiudeva l’arca, apparvero le ossa del beato Massimiano in mezzo all’acqua perché l’urna era piena d’acqua. Quando vedemmo, cominciammo a piangere intensamente insieme col nostro vescovo, e piangendo dicevamo tra di noi: «Dove sono, pastore Massimiano, le tue pecore, dove il tuo gregge e il tuo popolo, che acquisti per il Signore? Dove sono i tuoi moniti, le tue dolci parole, la tua santa predicazione, la tua dottrina? (…) Se ti cerchiamo e ti amiamo noi, quanto più sarai stato amabile per tutti coloro che ti conobbero?»[10].
Dal 1809 le sue reliquie sono custodite in Cattedrale all’interno di un bellissimo sarcofago, proveniente dalla Basilica di Sant’Agnese e datato al V secolo; esso costituisce l’altare della Cappella del Santissimo Crocifisso.
Un’iscrizione posta alla base dell’urna ricorda la consacrazione dell’altare e la reposizione delle reliquie dei santi vescovi Massimiano ed Esuperanzio al suo interno a opera dell’arcivescovo Antonio Codronchi[11].
Da ultimo va ricordata la cattedra di Massimiano che il Museo Arcivescovile di Ravenna custodisce come uno tra i suoi tesori più preziosi; il suo monogramma, scolpito nell’avorio, ancora oggi ci parla di questo santo vescovo della chiesa ravennate e del suo instancabile annuncio della parola buona del Vangelo[12].
Prof. Giovanni Gardini
Conservatore Museo Arcivescovile
Consulente Diocesano per i Beni Culturali

[1] G. Lucchesi, Massimiano, in Bibliotheca Sanctorum, Vol. IX, Città Nuova 1967, coll. 16-20. M. Mazzotti, Massimiano di Pola, in Pagine istriane, A. 1, n. 4 (nov. 1950), Editoriale libraria, Trieste 1950, pp. 14-21; G. Montanari, Massimiano arcivescovo di Ravenna (546-556) come committente in Ravenna. L’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, Longo Editore, Ravenna 2002, pp. 11-53; sempre in questa raccolta miscellanea di testi di Montanari si veda alle pp. 139-148: Giuseppe l’Ebreo della Cattedra di Massimiano: prototipo del Buon governo?
[2] D. Mauskopf Deliyannis (a cura di), Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, in Corpus Christianorum cxcix, Cambridge 2006, pp. 238-251. Per la traduzione italiana si veda: M. Pierpaoli (traduzione e note di), Il libro di Agnello Istorico. Le vicende di Ravenna antica fra storia e realtà, Diamond Byte, Ravenna 1988, pp. 95-104.
[3] Pierpaoli 1988, p. 103.
[4] Pierpaoli 1988, p. 95. Il Liber Pontificalis ricorda altri ritratti dell’arcivescovo Massimiano.
[5] Mazzotti 1950, p. 14.
[6] Mazzotti 1950, p. 17.
[7] «In hoc loco stetit arca beati Apolenaris sacerdotis et confessoris a tempore transitus sui usque dia e qua per virum beat. Maximianum Episcopum translata est et introducta in Basilica quam Iulianus Argentarius a fundamentis aedificavit et dedicata ad eodem viro beatissm. D. VII. Id. maiarum ind. Duodec. octies pc. Basili Iun.»; In questo luogo stette l’arca del beato Apollinare sacerdote e confessore dal tempo del suo trapasso fino al giorno in cui per mezzo del Beato Massimiano vescovo fu trasportata e introdotta nella basilica che Giuliano Argentario edificò dalle fondamenta e fu dedicata dal medesimo beatissimo uomo il 9 maggio nella indizione XII, l’anno XIII dopo il consolato di Basilio Iunior, cf. A. Benini, La Basilica di S. Apollinare in Classe. Storia ed Arte, Ravenna Arti Grafiche 1950, II edizione, p. 62.
«Anche se alla sua venuta le due basiliche, che ancora sussistono, erano strutturalmente complete o quasi, a lui si deve non solo la consacrazione ufficiale dei templi, ma, quel che più conta, a Massimiano si deve nel suo concetto e nella sua esecuzione, la grande decorazione musiva», Mazzotti 1950, p. 17.
[8] Pierpaoli 1988, p. 99.
[9] Riporto, giusto a titolo esemplificativo, due brevi testi: «Dopo ch’era stata rimaneggiata nel sec. XI e nel XVII, fu anch’essa sconsacrata agli inizi del secolo scorso ed i miseri avanzi di essa sono oggi incorporati in una casa di civile abitazione», M. Mazzotti, L’attività edilizia di Massimiano di Pola, in Felix Ravenna, Terza Serie, agosto 1956, fasc. 50 (LXXI), Ravenna 1956, p. 15; «Era una chiesa a tre navate di cui rimangono alcun parti dell’XI secolo, incorporate nei muri delle case al n. 31 di via Ercolana. Nel magazzino al n. 33 c’è un pulvino della navata destra e sono disegnate le linee degli archi; nell’andito della casa al n. 29 c’è un altro pulvino, e così pure nell’orto dei Cappuccini. La chiesa fu demolita agli inizi del secolo scorso», W. Bendazzi – R. Ricci, Ravenna. Mosaici, arte, storia, archeologia, monumenti, musei, Edizioni Sirri, Ravenna 1987, p. 179.
[10] Pierpaoli 1988, p. 104.
[11] Per notizie più approfondite sulle reliquie di San Massimiano e l’ultima ricognizione avvenuta al tempo dell’arcivescovo Giacomo Lercaro si veda: G. Gardini, I Sarcofagi della basilica metropolitana, in Libro aperto, Annali Romagna 2014, pp. 37-40. La secentesca urna lignea che l’arcivescovo Torreggiani commissionò per le reliquie di San Massimiano quando ancora erano nella Basilica di Sant’Andrea e successivamente collocata nel 1809 all’interno del sarcofago in cattedrale, dal 1961 si trova all’interno dell’altare maggiore del Duomo.
[12] Nella stessa sala dove è presente la Cattedra è custodito un pulvino con sopra inciso il monogramma di Massimiano.
PDF tratto da RisVeglio Duemila:


 
San Paterio vescovo di Brescia (verso il 606)

Tratto da

Nella cronologia dei santi Vescovi di Brescia, agli inizi del VII secolo, è menzionato San Paterio (o Paterius).
Tutti gli storici concordemente affermano che il suo fu un episcopato molto breve tra il 604 e il 606, mentre alcuni Annuari diocesani lo collocano tra il 630 e 642.
Anche se alcuni, lo indicano quale benedettino romano discepolo di San Gregorio Magno, sia P. Guerrini che F. Lanzoni lo escludono categoricamente; inoltre viene anche escluso che il santo bresciano si possa identificare con l’omonimo vescovo ricordato nel calendario napoletano del XII secolo.
Di lui non sappiamo nulla.
Il nome di S. Paterio è riportato in sei manoscritti dei secoli XI-XV e in due corsi di litanie monastiche primitive.
Nel martirologio romano la sua festa è riportata il 21 febbraio, mentre in quello bresciano la sua memoria è fissata il 25 febbraio a ricordo della traslazione del suo corpo avvenuta nel 1479. Dal 1962 la sua festa è stata conglobata al 20 aprile insieme a tuti i santi bresciani.
Secondo alcuni, S, Paterio venne sepolto in San Fiorano, sul colle Degno in territorio bresciano. A questa prima sepoltura sarebbe seguita una traslazione delle reliquie che posero i suoi resti sotto l’altare maggiore della chiesa monastica di Sant’Eufemia della Fonte. Successivamente, il 25 febbraio 1479, i monaci trasportarono il corpo del vescovo, in una cappella a lui dedicata. Nel XVII secolo, nel corso di alcuni importanti restauri alla chiesa venne costruito un altare, il primo a destra presso il battistero, dedicato a San Paterio. E, nel 1616, il corpo del presule venne collocato  in quella sede. Nel 1787, nel corso di un’ultima ristrutturazione della chiesa, le reliquie vennero riportate sotto l’altare maggiore e racchiuse in un’urna marmorea con l’indicazione dedicatoria.
Infine, le spoglie furono accolte in una nuova arca realizzata appositamente, e collocata nella cripta della chiesa.
Dalla seconda metà dell'Ottocento l’arca di San Paterio si trova esposta nel museo cittadino di Santa Giulia.
Al santo è stata dedicata la chiesa parrocchiale di Paisco Loveno in valle Canonica.

Tratto da http://www.silvanodanesi.info/?p=629
Gli storici, quasi concordemente, assegnano a S.Paterio un episcopato breve. Gli annuari diocesani lo collocano tra il 630 e il 643.
In un discorso del vescovo Ramperto, Paterio figura come il sedicesimo vescovo di Brescia dopo S. Filastrio, quindi il venticinquesimo nei dittici della Chiesa bresciana, tra Paolo III e Anastasio.
Il suo nome, di sapore esotico, ha fatto pensare ad una probabile origine orientale, ma si tratta solo di una congettura senza alcuna solida prova.
L’epoca del suo episcopato cade nel periodo del pontificato di Gregorio Magno e forse per questo viene erroneamente identificato in quel discepolo Paterio che il pontefice dice essere suo notaio secondicerio.
Il Martirologio bresciano assegna al santo un posto in più nelle sue pagine al 25 febbraio, per ricordarne la traslazione del corpo, nel 1478, da S. Eufemia della Fonte a S. Eufemia entro le mura.
Il vescovo Landolfo II aveva trasportato il corpo del santo dalla prima sepoltura in S. Fiorano, alla chiesa abaziale di S. Eufemia della Fonte, dove rimase sepolto, nella cripta del monastero, fino al 1478. Dopo che i monaci ebbero costruito il nuovo monastero in città, il 25 febbraio 1478 il venerato corpo del Santo fu traslato nella grande chiesa di S. Eufemia dentro le mura.
Nella Diocesi di Brescia a S.Paterio è dedicata la chiesa parrocchiale di Paisco, piccolo paese della Valle Camonica.
 



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