Santo Eleucadio vescovo di Ravenna(verso
la metà del II secolo )
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/40880
Secondo
l'autorevolissima lista episcopale di Ravenna trasmessaci da Agnello, Eleucadio
fu il secondo successore di sant'Apollinare e quindi il suo episcopato si sarà
probabilmente svolto verso la metà del II secolo. Non morì martire, tuttavia
attorno al suo sepolcro in Classe si sviluppò una piccola area cimiteriale che
da lui prendeva il nome. Sono questi i soli dati sicuri su di lui. Nel VI
secolo la passio di sant'Apollenaris dice che Eleucadio era un filosofo e che
venne ordinato diacono dallo stesso protovescovo; nel secolo IX Agnello
aggiunse che era di origine orientale, che morì un 14 febbraio, e che scrisse
molte opere sull’Antico e Nuovo Testamento e sull’Incarnazione e Morte di
Nostro Signore; nel secolo XI san Pier Damiani lamenta la perdita di tali
opere, mentre nel secolo XIII, la Vita san Eleuchadii sa dirci che sua è la
passio San Apollenaris. Tra queste ed altre notizie offerteci da fonti
letterarie medievali potremmo tutt’al più piamente accettare quanto ci dice san
Pier Damiani su di una vasta ed illuminata attività pastorale svolta dal santo.
Tutte queste testimonianze valgono tuttavia a provare quanto vivo fosse il suo
culto in quell’età: tra i vescovi ravennati, oltre ad Apollinare ed a Severo,
san Pier Damiani non dedica che a Eleucadio un sermone, il VI, il quale, pur
essendo compilato anche con brani tolti da altre opere del santo avellanita, è
tuttavia un’insigne testimonianza della celebrazione del 14 febbraio, l'odierna
solemnitas nella quale «venerandi confessoris Eleuchadii sollemnia celebramus».
È interessante a questo proposito notare con quanta precisione il Damiani
determina i criteri con cui stabilire l’autenticità del culto reso al santo,
l’esistenza, cioè, di una chiesa in suo onore e quella di una celebrazione
annuale: «vel basilicam in eius honorem construxit vel eius obitum annuae
sollemnitatis honoribus dedicavit».La chiesa di S. Eleucadio è ora scomparsa:
unica reliquia rimasta è il magnifico ciborio con iscrizione datata (807-810),
che dal 1433, almeno, si trova in fondo alla navata nord di S. Apollinare in
Classe.
L’elogio del santo appare anche nel Martirologio Romano alla data tradizionale del 14 febbraio
L’elogio del santo appare anche nel Martirologio Romano alla data tradizionale del 14 febbraio
Chiesa di Sant'Eleucadio
Tratto da
http://www.romagnamania.com/2017/03/chiesa-di-santeleucadio.html
Si pensa fosse del sec. V, si trovava nella zona di Classe di
Ravenna. Nella basilica di S.Apollinare in Classe all'estremità della navata
sinistra è collocato il ciborio proveniente dalla chiesa di S. Eleucadio, dalla
quale fu tolto dopo l'anno mille, capolavoro assoluto della scultura ad
intrecci di età carolingia e scolpito all'inizio del IX secolo in onore del
terzo vescovo di Ravenna. Perfettamente integro, ha quattro colonne in parte
baccellate e in parte scanalate a spire, sormontate da quattro capitelli finemente
lavorati, che a loro volta sostengono archivolti decorati con intrecci viminei,
pavoni, centauri, colombe, croci e motivi vegetali.
Il 14 di questo mese, memoria dei santi martiri Modestino, Fiorentino e Flaviano, di Antiochia, predicatori itineranti nella Grande Grecia
tratto da
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2184908818272616&id=100002605583903
Il 14 di questo mese, memoria dei santi martiri Modestino, Fiorentino e Flaviano, di Antiochia, predicatori itineranti nella Grande Grecia
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https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2184908818272616&id=100002605583903
La Chiesa di Locri-Gerace, il 14 del mese di febbraio, celebra la memoria dei Santi Modestino, vescovo, Florentino sacerdote e Flaviano diacono, primi martiri locresi (III secolo).
Di loro si sa ben poco. E quel che si conosce, trova non poche difficoltà ad essere documentato sufficientemente. Supplisce la tradizione circa il loro attaccamento alla fede ed il loro martirio.
La vita e il martirio di san Modestino sono narrati in un manoscritto duecentesco, conservato nell'Archivio Capitolare di Avellino, e ben compendiato dal Fiore e dal Martire come leggiamo ne I Vescovi di Gerace-Locri di Enzo D'Agostino.
La passio medievale relativa ai tre martiri racconta che: Modestino nacque nel 245 circa ad Antiochia, divenendone vescovo nel 302. Fu arrestato, poiché infuriavano le persecuzioni contro i cristiani decretate da Diocleziano. Liberato dal carcere per intervento divino, giunse insieme ai due compagni: il presbitero Fiorentino e il diacono Flaviano, a Locri in Calabria, dove fu di nuovo incarcerato (a Sibari) dal governatore. Dopo essere stato liberato miracolosamente dall'Arcangelo Michele, e aver guarito da una malattia la figlia del governatore di Locri, provocando la conversione del governatore stesso, sbarcò a Pozzuoli e, guidato dall'arcangelo Michele, Modestino arrivò con i suoi compagni nel territorio di Avellino dove esercitò il suo ministero di evangelizzatore e di vescovo, e dove operò numerosi miracoli.
Essendo ancora in atto la persecuzione contro i cristiani, i tre compagni furono arrestati, processati e martirizzati con vesti arroventate nella località Pretorio di Mercogliano. La morte del vescovo Modestino avvenne il 14 febbraio del 311, mentre il presbitero Fiorentino con il diacono Flaviano morirono il giorno dopo. I loro corpi furono raccolti dai cristiani abellinati e sepolti, sui corpi furono poggiate un insegna con i nomi e le dignità, inoltre a San Modestino fu poggiata, sul corpo, una scultura argentea raffigurante una colomba.
Nella città campana, il Santo è molto venerato: gli è stata dedicata una chiesa ed è il patrono del luogo.
Alcuni nostri storici, come il Fragomeni e l'Oppedisano, hanno incluso il nome di Modestino nell'elenco dei Vescovi locresi. A quel tempo, Gerace non aveva ancora la consistenza di un centro abitato, ne è, almeno al momento, documentabile l'esistenza, a Locri di una Sede vescovile, canonicamente organizzata.
Si può, perciò parlare di Modestino come di un Vescovo itinerante che, soggiornando a Locri (Lucridum), dopo aver lasciato Antiochia, ebbe il grande merito di aver salvato, con le sue preghiere, i corpi di molti infermi; ma, ancor di più, con la sua fede ed il suo esempio, di aver associato, al suo martirio, quello dei suoi due discepoli, Florentino e Flaviano, che lo avevano seguito fino ad Avellino, dove avevano offerto, in supremo olocausto, la propria vita a Cristo e alla causa del Vangelo, "usque ad effusionem sanguinis".
Di loro si sa ben poco. E quel che si conosce, trova non poche difficoltà ad essere documentato sufficientemente. Supplisce la tradizione circa il loro attaccamento alla fede ed il loro martirio.
La vita e il martirio di san Modestino sono narrati in un manoscritto duecentesco, conservato nell'Archivio Capitolare di Avellino, e ben compendiato dal Fiore e dal Martire come leggiamo ne I Vescovi di Gerace-Locri di Enzo D'Agostino.
La passio medievale relativa ai tre martiri racconta che: Modestino nacque nel 245 circa ad Antiochia, divenendone vescovo nel 302. Fu arrestato, poiché infuriavano le persecuzioni contro i cristiani decretate da Diocleziano. Liberato dal carcere per intervento divino, giunse insieme ai due compagni: il presbitero Fiorentino e il diacono Flaviano, a Locri in Calabria, dove fu di nuovo incarcerato (a Sibari) dal governatore. Dopo essere stato liberato miracolosamente dall'Arcangelo Michele, e aver guarito da una malattia la figlia del governatore di Locri, provocando la conversione del governatore stesso, sbarcò a Pozzuoli e, guidato dall'arcangelo Michele, Modestino arrivò con i suoi compagni nel territorio di Avellino dove esercitò il suo ministero di evangelizzatore e di vescovo, e dove operò numerosi miracoli.
Essendo ancora in atto la persecuzione contro i cristiani, i tre compagni furono arrestati, processati e martirizzati con vesti arroventate nella località Pretorio di Mercogliano. La morte del vescovo Modestino avvenne il 14 febbraio del 311, mentre il presbitero Fiorentino con il diacono Flaviano morirono il giorno dopo. I loro corpi furono raccolti dai cristiani abellinati e sepolti, sui corpi furono poggiate un insegna con i nomi e le dignità, inoltre a San Modestino fu poggiata, sul corpo, una scultura argentea raffigurante una colomba.
Nella città campana, il Santo è molto venerato: gli è stata dedicata una chiesa ed è il patrono del luogo.
Alcuni nostri storici, come il Fragomeni e l'Oppedisano, hanno incluso il nome di Modestino nell'elenco dei Vescovi locresi. A quel tempo, Gerace non aveva ancora la consistenza di un centro abitato, ne è, almeno al momento, documentabile l'esistenza, a Locri di una Sede vescovile, canonicamente organizzata.
Si può, perciò parlare di Modestino come di un Vescovo itinerante che, soggiornando a Locri (Lucridum), dopo aver lasciato Antiochia, ebbe il grande merito di aver salvato, con le sue preghiere, i corpi di molti infermi; ma, ancor di più, con la sua fede ed il suo esempio, di aver associato, al suo martirio, quello dei suoi due discepoli, Florentino e Flaviano, che lo avevano seguito fino ad Avellino, dove avevano offerto, in supremo olocausto, la propria vita a Cristo e alla causa del Vangelo, "usque ad effusionem sanguinis".
Santo Valentino prete
martire a Roma sotto Claudio il Gotico(verso il 269)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/97180
Di Di lui
parla nella voce omonima della “Bibliotheca sanctorum”, vol. 12, Roma, 1969,
coll. 896-897, padre Agostino Amore, il quale mette fortemente in dubbio, anzi
esclude addirittura l’esistenza di questo santo. Le prime notizie su di lui le
troviamo nella “passione di Mario e Marta” dove le lesse anche il monaco
inglese Beda (673 c.-735): vi si racconta del prete Valentino, che aveva
guarito dalla cecità la figlia di un giudice, di nome Asterio, poi fatto uccidere
sulla via Flaminia ai tempi di Claudio il gotico (268-270). Ma già il nome di
Asterio ci porterebbe ai tempi di papa Vigilio (VI secolo) probabile
committente della stesura della Passione. Sul luogo del martirio intanto era
stata già costruita da papa Giulio I (337-352) una basilica, successivamente
abbellita da papa Teodoro (642-649). Valentino è ricordato anche nel
Sacramentario Gregoriano. Nonostante tutte queste notizie però il Valentino
prete e martire romano nacque forse da un’errata interpretazione di una pagina
del “Catalogo Liberiano” dove si legge appunto che papa Giulio I costruì al
secondo miglio della via Flaminia una basilica quae appellatur Valentini
(chiamata di Valentino) dove il Valentino nominato non era un martire, ma
soltanto il benefattore che aveva offerto forse il terreno, oppure i mezzi
economici necessari alla costruzione, benefattore che poi nei secoli
successivi, come molti altri, venne venerato come “santo”.
Di questo Valentino prete e martire abbiamo anche diverse testimonianze iconografiche: da quella in S. Maria Antiqua, a Roma, databile al secolo VIII dove, accanto alla figura in abiti sacerdotali, compare il nome scritto in caratteri greci (Bαλεντινος); al medaglione musivo nella chiesa pure romana di S. Prassede (secolo IX). E la devozione verso di lui era ben presto giunta anche lontano da Roma se nel 714 i vescovi di Siena ed Arezzo si incontrarono proprio presso la pieve di san Valentino di Torrita (SI) per determinare i confini delle loro diocesi. Nei secoli successivi tale devozione si allargò molto anche in diverse regioni dell’Italia settentrionale, ma spesso vi giunse attraverso “reliquie” estratte dalle catacombe romane tra il tardo Cinquecento e il Seicento, “reliquie” appartenute a personaggi cristiani ivi sepolti, che però erano soltanto degli omonimi del presunto martire del III secolo, martire che continua ad essere venerato anche a Roma, dove è titolare di una parrocchia al Villaggio Olimpico, sorto nel 1960 a poche centinaia di metri dall’antica basilica fatta costruire da papa Giulio I.
Di questo Valentino prete e martire abbiamo anche diverse testimonianze iconografiche: da quella in S. Maria Antiqua, a Roma, databile al secolo VIII dove, accanto alla figura in abiti sacerdotali, compare il nome scritto in caratteri greci (Bαλεντινος); al medaglione musivo nella chiesa pure romana di S. Prassede (secolo IX). E la devozione verso di lui era ben presto giunta anche lontano da Roma se nel 714 i vescovi di Siena ed Arezzo si incontrarono proprio presso la pieve di san Valentino di Torrita (SI) per determinare i confini delle loro diocesi. Nei secoli successivi tale devozione si allargò molto anche in diverse regioni dell’Italia settentrionale, ma spesso vi giunse attraverso “reliquie” estratte dalle catacombe romane tra il tardo Cinquecento e il Seicento, “reliquie” appartenute a personaggi cristiani ivi sepolti, che però erano soltanto degli omonimi del presunto martire del III secolo, martire che continua ad essere venerato anche a Roma, dove è titolare di una parrocchia al Villaggio Olimpico, sorto nel 1960 a poche centinaia di metri dall’antica basilica fatta costruire da papa Giulio I.
Tratto
da http://www.enrosadira.it/santi/v/valentinos.htm
Valentino, era sacerdote a Roma e
amico dell'imperatore Claudio il Gotico. Accusato pubblicamente, venne
arrestato e interrogato dallo stesso imperatore, che colpito dalla predicazione
del santo, lo lodò pubblicamente per la saggezza della sua dottrina. Venne
quindi messo agli arresti domiciliari nella casa del prefetto Asterio, dove
restituì la vista alla figlia del suo ospite, della quale si innamorò
platonicamente, ma volle tener fede al suo ministero. Valentino convertì
l'intera famiglia del prefetto e per questo motivo fu condannato a morte. Prima
di morire scrisse una lettera alla ragazza che consegnò al padre di lei. Il 14
febbraio 286 fu condotto sulla via Flaminia, dove fu prima percosso con i
bastoni e quindi decapitato.
Valentino, presbitero, santo, martire di Roma,
ricordato dagli itinerari del VII secolo in una basilica sopraterra al II
miglio della via Flaminia, dove oggi è il viale Pilsudski, edificata da Giulio
I (336-352) sul luogo della sepoltura. Venne ricostruita da Onorio I (625-638),
ampliata da Benedetto II (684-685) ed ebbe un monastero annesso al tempo di
Niccolò II (1059-1061). Nel XIII secolo S. Valentino, molto probabilmente, fu
portato a S. Prassede nell’Oratorio di S. Zenone. Qui le reliquie di Zenone e
Valentino erano in un’arca marmorea dalla quale vennero rimosse nel 1699. Il
presbitero Valentino viene indicato dal De Locis come fratello di S. Zenone. Il
Diario Romano (1926) ricorda l’esposizione delle reliquie nell’attigua cappella
della Colonna. Nella cappella dedicata a S. Nicola da Tolentino a S. Agostino
in Campo Marzio sono visibili, presso l’altare, parte delle spoglie di un
presbitero di nome Valentino.
Martirologio Romano 14 febbraio - A Roma, sulla via Flaminia, il natale di san Valentino, Prete e Martire, il quale, glorioso per guarigioni e dottrina, fu percosso con bastoni e decapitato sotto Claudio Cesare.
Santo Valentino I vescovo
di Terni martire sotto Aurelinao(verso il 273)
La Passione di sai Valentino
martire, ora pubblicata in edizione critica da Edoardo D’Angelo nel volume “San
Valentino e il suo culto …” edito a Spoleto nel 2012, era già stata studiata da
padre Agostino Amore (Bibliotheca sanctorum, XII, Roma, 1969, col. 899) e da
numerosi altri studiosi, soprattutto nel tentativo di risolvere il problema di
identificazione tra i due santi omonimi venerati nello stesso giorno, il prete
romano e il vescovo di Terni; le conclusioni cui oggi sono giunti gli storici
parlano di un unico martire, il vescovo di Terni, mentre il prete romano sembra
non essere mai esistito e la sua figura sembra essere frutto soltanto di un
equivoco.
La vita
La Passione del santo di Terni ci parla di tre nobili ateniesi, Proculo, Efebo e Apollonio giunti a Roma per studiare presso il retore Cratone, maestro di lingua greca e latina; questi aveva un figlio, di nome Cheremone, affetto da una deformità fisica che lo costringeva a stare rannicchiato su se stesso, e nessun medico era riuscito a guarirlo. Un tale Fonteio, inserito qui nel racconto, dichiara a Cratone che anche un suo fratello era stato a lungo affetto dalla medesima patologia ed era stato guarito da Valentino, vescovo di Terni. Cratone, manda allora a chiamare il vescovo, gli promette addirittura la metà di tutti i suoi beni se gli avesse guarito il figlio, ma Valentino, in un lunghissimo colloquio notturno gli spiega che non saranno certo le sue ricchezze a guarire il ragazzo, quanto piuttosto la fede nell’unico Dio che appunto lo stesso vescovo adora. Cratone, ormai convinto, promette che si farà battezzare non appena suo figlio avrà riacquistato la salute. Valentino allora si ritira in una stanza dove fa distendere il ragazzo sul proprio cilicio; si immerge poi nella preghiera per tutta la notte finché una luce abbagliante avvolge il luogo e Cheremone balza in piedi completamente risanato. Di fronte al miracolo, Cratone e tutta la famiglia si fanno battezzare dal vescovo, così pure fanno i tre studenti greci, Proculo, Efebo e Apollonio, ma abbraccia il cristianesimo anche Abbondio altro studente e figlio del Praefetto di Roma, Furioso Placido, documentato in questa carica negli anni 346-347: è questa la data storica da attribuire al martirio di Valentino e non quelle che finora avevano parlato del II secolo, e di S. Feliciano di Foligno. Quanto poi a Furioso Placido egli era uno dei rappresentanti di quella classe senatoria che, almeno nella sua maggioranza, pur dopo l’Editto costantiniano del 313, continuava a seguire gli antichi culti della città; proprio su mandato del Senato, Furioso, un nome che finora era stato tradotto con «adirato», un attributo riferito a Placido, arresta Valentino e lo fa decapitare al secondo miglio della via Flaminia, ma lo fa quasi di nascosto, durante la notte, per evitare la reazione della ormai numerosa componente cristiana della città. Dopo una prima sommaria sepoltura sul luogo del martirio, Proculo, Efebo ed Apollonio portano il corpo del martire a Terni e qui lo seppelliscono poco fuori della città. Ma a Terni il consolare Lucenzio (altrove chiamato Leonzio), informato del fatto, fa catturare i tre e, ancora durante la notte, per paura che la popolazione li liberasse, li fa decapitare e si sottrae all’eventuale rabbia popolare fuggendo dalla città insieme ai funzionari del suo ufficio; la popolazione intanto, sollecitata proprio da Abbondio, seppellisce anche i nuovi martiri presso la tomba di Valentino.
Il culto
I tre sono i primi cristiani sepolti presso la tomba del vescovo a Terni, seguiti poi da molti altri fino al secolo IX, periodo in cui vengono datate le tombe più recenti scoperte nella necropoli; ma molti altri cristiani, come una ternana di nome Veneriosa (359), per diversi secoli, scelgono di essere sepolti presso la tomba primitiva sulla via Flaminia. Qui a pochi anni dal martirio, papa Giulio I (337-352) aveva fatto costruire una basilica, abbellita in seguito da papa Teodoro (642-649), e venerata per molti secoli.
Anche a Terni era sorta una «memoria» sul luogo della tomba definitiva del martire, circondata dalle sepolture di numerosi altri cristiani. Abbiamo invece poche notizie storiche su questa seconda chiesa: la più conosciuta si riferisce al 742 quando proprio qui avvenne un incontro tra papa Zaccaria ed il re longobardo Liutprando. Ma quale patrono della città venne a lungo venerato sant’Anastasio. Solo dopo il 1605, data in cui vennero ritrovate le reliquie del vescovo martire, assistiamo ad un vero rilancio del culto di san Valentino, nominato ben presto unico patrono della città, ed in suo onore venne edificata la nuova chiesa, affidata alla cura dei padri Carmelitani scalzi, che la officiano ancora oggi.
La vita
La Passione del santo di Terni ci parla di tre nobili ateniesi, Proculo, Efebo e Apollonio giunti a Roma per studiare presso il retore Cratone, maestro di lingua greca e latina; questi aveva un figlio, di nome Cheremone, affetto da una deformità fisica che lo costringeva a stare rannicchiato su se stesso, e nessun medico era riuscito a guarirlo. Un tale Fonteio, inserito qui nel racconto, dichiara a Cratone che anche un suo fratello era stato a lungo affetto dalla medesima patologia ed era stato guarito da Valentino, vescovo di Terni. Cratone, manda allora a chiamare il vescovo, gli promette addirittura la metà di tutti i suoi beni se gli avesse guarito il figlio, ma Valentino, in un lunghissimo colloquio notturno gli spiega che non saranno certo le sue ricchezze a guarire il ragazzo, quanto piuttosto la fede nell’unico Dio che appunto lo stesso vescovo adora. Cratone, ormai convinto, promette che si farà battezzare non appena suo figlio avrà riacquistato la salute. Valentino allora si ritira in una stanza dove fa distendere il ragazzo sul proprio cilicio; si immerge poi nella preghiera per tutta la notte finché una luce abbagliante avvolge il luogo e Cheremone balza in piedi completamente risanato. Di fronte al miracolo, Cratone e tutta la famiglia si fanno battezzare dal vescovo, così pure fanno i tre studenti greci, Proculo, Efebo e Apollonio, ma abbraccia il cristianesimo anche Abbondio altro studente e figlio del Praefetto di Roma, Furioso Placido, documentato in questa carica negli anni 346-347: è questa la data storica da attribuire al martirio di Valentino e non quelle che finora avevano parlato del II secolo, e di S. Feliciano di Foligno. Quanto poi a Furioso Placido egli era uno dei rappresentanti di quella classe senatoria che, almeno nella sua maggioranza, pur dopo l’Editto costantiniano del 313, continuava a seguire gli antichi culti della città; proprio su mandato del Senato, Furioso, un nome che finora era stato tradotto con «adirato», un attributo riferito a Placido, arresta Valentino e lo fa decapitare al secondo miglio della via Flaminia, ma lo fa quasi di nascosto, durante la notte, per evitare la reazione della ormai numerosa componente cristiana della città. Dopo una prima sommaria sepoltura sul luogo del martirio, Proculo, Efebo ed Apollonio portano il corpo del martire a Terni e qui lo seppelliscono poco fuori della città. Ma a Terni il consolare Lucenzio (altrove chiamato Leonzio), informato del fatto, fa catturare i tre e, ancora durante la notte, per paura che la popolazione li liberasse, li fa decapitare e si sottrae all’eventuale rabbia popolare fuggendo dalla città insieme ai funzionari del suo ufficio; la popolazione intanto, sollecitata proprio da Abbondio, seppellisce anche i nuovi martiri presso la tomba di Valentino.
Il culto
I tre sono i primi cristiani sepolti presso la tomba del vescovo a Terni, seguiti poi da molti altri fino al secolo IX, periodo in cui vengono datate le tombe più recenti scoperte nella necropoli; ma molti altri cristiani, come una ternana di nome Veneriosa (359), per diversi secoli, scelgono di essere sepolti presso la tomba primitiva sulla via Flaminia. Qui a pochi anni dal martirio, papa Giulio I (337-352) aveva fatto costruire una basilica, abbellita in seguito da papa Teodoro (642-649), e venerata per molti secoli.
Anche a Terni era sorta una «memoria» sul luogo della tomba definitiva del martire, circondata dalle sepolture di numerosi altri cristiani. Abbiamo invece poche notizie storiche su questa seconda chiesa: la più conosciuta si riferisce al 742 quando proprio qui avvenne un incontro tra papa Zaccaria ed il re longobardo Liutprando. Ma quale patrono della città venne a lungo venerato sant’Anastasio. Solo dopo il 1605, data in cui vennero ritrovate le reliquie del vescovo martire, assistiamo ad un vero rilancio del culto di san Valentino, nominato ben presto unico patrono della città, ed in suo onore venne edificata la nuova chiesa, affidata alla cura dei padri Carmelitani scalzi, che la officiano ancora oggi.
Tratto da http://www.lastampa.it/2013/02/13/vaticaninsider/ita/ogni-giorno-i-suoi-santi/san-valentino-bZK6CVaOEHU2TltE4IxEMK/pagina.html
La più antica notizia di san Valentino è contenuta in un documento ufficiale della Chiesa dei secoli V-VI, dove compare il suo anniversario di morte. Poi nell’VIII secolo un altro testo narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura per opera dei discepoli, il successivo martirio di questi. Altre fonti del VI secolo completano per quanto possibile la cronologia: Vescovo di Terni dal 197, fu invitato a Roma da un certo Cratone, oratore greco e latino, perché gli guarisse il figlio malato di epilessia. Guarito il giovane – dopo una notte di veglia e preghiera al suo fianco - san Valentino lo convertì al Cristianesimo, insieme alla famiglia e ai greci studiosi di lettere latine Proculo, Efebo e Apollonio. Ma in seguito, sotto l’impero di Aureliano, Valentino pagò a caro prezzo la sua fama di guaritore e il suo carisma fonte di conversioni al Cristianesimo: i pagani incitarono il prefetto a farlo imprigionare, e poi a giustiziarlo per decapitazione. Tutto questo avvenne il 14 febbraio 273, a Roma, al LXIII miglio della via Flaminia; poco dopo, i tre giovani diventati suoi discepoli, Procolo, Efebo e Apollonio, riportarono la salma a Terni, dove venne sepolta in un’area cimiteriale nei pressi dell’attuale Basilica.
Tratto da
http://www.sanvalentinoterni.it/storia-di-san-valentino-v-m/123-san-valentino-vescovo-martire
San Valentino visse tra il 175 d.C. e il 245 d.C.
Rilevare notizie attendibili circa la sua biografia è un’impresa ardua, dal
momento che le fonti storiche a noi giunte non sono perfettamente affidabili.
Per questo gli storici si mostrano cauti nel valutare il materiale a noi
pervenuto. Le fonti più credibili sono i Martirologi, le Passioni, i Libri
Liturgici, le tombe, le chiese e l’iconografia.
La notizia più antica si rileva nel Martirologio Geronimiano che fu
compilato in Italia probabilmente tra il 460 e il 544 d.C. In questo prezioso
documento compare il 14 febbraio come data della morte di San Valentino di
Terni
Il valore storico del Geronimiano è di primo ordine, sia perché è considerato una
raccolta riassuntiva delle notizie riguardanti i Santi dei primi secoli, sia
perché non è stato quasi mai smentito dalle scoperte archeologiche.
Nel libro Il
culto di San Valentino Pompeo De Angelis riporta la traduzione di un
ulteriore Martirologio Romano, compilato dal cardinale Cesare Baronio e
pubblicato nel 1592.
Alla data corrispondente al 14 Febbraio troviamo due
latercoli scritti in latino e così traducibili: «In Terni San Valentino dopo
essere stato a lungo percosso, fu imprigionato e non potendosi vincere la sua
resistenza, a metà notte infine, segretamente trascinato fuori dal carcere, fu
decollato per ordine del prefetto di Roma Placido».
Nel secondo si legge: «In Roma, sulla via Flaminia,
natale di San Valentino Presbitero e Martire, il quale dopo una vita santa in
cui dimostrò una dottrina insigne, a bastonate fu ucciso e decollato sotto
Claudio».
Altre informazioni ci giungono dalle Passioni che,
rispetto ai Martirologi, hanno subito manipolazioni nel corso del tempo.
Tuttavia, anche da simili documenti si possono raccogliere preziosi elementi
ricostruttivi della storia del Martire.
Dal resoconto di Angeloni sembra che egli appartenesse
a una nobile famiglia, si dedicò fin da giovane allo studio e
all’approfondimento delle nuove idee religiose che subito lo influenzarono e il
suo ardore lo portò a dedicarsi alla diffusione della fede cristiana.
Nella Passione di San Feliciano, Vescovo Flaminii, si
legge che San Valentino sarebbe stato ordinato Vescovo di Terni nel 197 dallo
stesso San Feliciano. Subito Valentino manifestò la sua attenzione e devozione
verso i bisognosi. Ma egli non era conosciuto solo per questo. La sua
popolarità era dovuta anche al fatto di riuscire a guarire malati incurabili
compiendo innumerevoli miracoli.
Durante il Concilio tenuto a Roma nel 250 da Papa
Fabiano, Valentino restituì la salute a un figlio di Fonteglio, il quale si
presentava muto e storpio e con la testa tra le ginocchia.
Si impegnava nel servizio ai poveri, nel conforto alle
vedove, nelle cure agli orfani, nelle afflizioni dei carcerati, nel portare
consolazione ai peccatori. Sperava di convertire le anime a Dio e di recare
felicità al prossimo.
Nel 1888, al Primo Miglio della Via Flaminia, in un
cimitero detto di San Valentino dove secondo la tradizione il Santo sarebbe
stato sepolto temporaneamente, tornarono alla luce alcuni reperti. Fra le molte
iscrizioni che si recuperarono nello scavo, Orazio Marucchi studiò alcuni
frammenti appartenenti a un’iscrizione metrica composta dal Papa Damaso in
onore a San Valentino
In uno di questi frammenti si legge: «Damaso avrebbe
rivolto al martire una preghiera onde egli estendesse la sua protezione,
rendendo salvi tanto coloro che erano presenti nel suo santuario, quanto quelli
che da lungi si raccomandavano a lui».
Sembra inoltre che Valentino «fosse accusato di magia
per le guarigioni che operava, e potrebbe perciò sospettarsi che egli fosse un
medico» e la stessa cosa sembra pure rilevare nel Martirologio Romano, dove si
legge di lui che «post multa sanitatum et dotrinae insigna».
Numerosi sono i Passionari che narrano le capacità di
San Valentino di curare i malati e la sua volontà di diffondere le nuove idee
del Cristianesimo tra i fedeli.
Dalla Passio
Sancti Valentini, compilata a Roma tra il V e il VI secolo, si racconta
che San Valentino, divenuto famoso per la sua gran carità e umiltà, fu
martirizzato a Roma. Un Passionario o Leggendario di Vite de’ Santi, risalente
al XI secolo e appartenuto all’Abbazia di San Anastasio di Roma, senza pretese
storiche, riporta l’ultimo miracolo compiuto dal Santo, a causa del quale fu
martirizzato.
I seguaci di Valentino, Proculo, Efebo e Apollonio,
dopo il martirio, trasportarono probabilmente il Santo Corpo lungo la Via
Flaminia. Giunti in prossimità della città di Interamna (attuale Terni )a circa
LXIII miglia dalla città di Roma, diedero degna sepoltura al Santo alla
presenza di alcuni parenti e concittadini di fede cristiana.
Alcuni racconti riportano che la sentenza di morte per
decapitazione fu eseguita a Roma durante la notte per evitare tumulti e
rappresaglie del popolo ternano, che tanto amava e venerava il suo Vescovo e
illustre cittadino. Nel luogo della sua sepoltura i fedeli costruirono un
oratorio e vicino alla tomba del Santo si moltiplicarono le richieste dei
fedeli e di altri martiri di essere tumulati in quel luogo.
Saints PROCULE, EPHEBE et APOLLONIUS, martyrs à Terni (273).
Saints VITAL, FELICULA et ZENON, martyrs à Rome.
Santo Vitale martire a
Spoleto con Santo Vitaliano e quarantatré soldati
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/40900
Per questo martire notizie non ve ne sono, tranne
l’iscrizione su una lapide del IV secolo posta dal vescovo di Spoleto, Spes,
quando nell’ultimo ventennio di detto secolo si ritrovò il sepolcro nel
villaggio Terzo della Pieve, distante 15 km da Spoleto, lo stesso vescovo gli
dedicò un altare.
Nel “Sacramentario Gelasiano” antico e nella stessa iscrizione della lapide, Santo . Vitale è accomunato nella celebrazione ai santi Valentino e Felicola e lo studioso Delahaye, interpretando la frase “Christi passio” iscritta sulla lapide dice che il martire fu crocifisso.
Nel “Sacramentario Gelasiano” antico e nella stessa iscrizione della lapide, Santo . Vitale è accomunato nella celebrazione ai santi Valentino e Felicola e lo studioso Delahaye, interpretando la frase “Christi passio” iscritta sulla lapide dice che il martire fu crocifisso.
Tratto da https://www.piazzaduomo.org/progetto-spoleto/cenni-storici.pdf
Spoleto
dal IV secolo conta la presenza di un Vescovo e citiamo l’area archeologica
della Chiesa dei Santi Apostoli costruita
intorno alla seconda metà del IV sec., ove fu sepolto il vescovo Spes, che
scrisse il carme in onore di S. Vitale, martire di Terzo
la Pieve (a pochi chilometri da Spoleto) ove fu ritrovato il
sepolcro del. Santo. Di questo episodio si
conserva una lapide , nel Museo Diocesano di Spoleto, in
cui vi è il carme.
Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Spes_di_Spoleto
L'iscrizione per san Vitale
menziona anche la vergine Calvenzia (Caluentia),
probabilmente figlia di Spes per la quale il vescovo chiede l'intercessione
del martire. Calvenzia, fatto voto di castità, condusse vita religiosa e
contribuì alla diffusione del movimento eremitico femminile sul Monteluco nel
VI secolo
Saints ANTHIME, MARCIEN, TIAN, CELERIN, MAGNE et JULIEN, martyrs à Rome sur la Via Flaminiana.
Santo Nostriano vescovo di Napoli e
confessore della fede (verso il 450)
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/40890
È il quindicesimo nella
lista episcopale di Giovanni diacono. Si distinse nel difendere il suo gregge
dall'insidia dell'eresia serpeggiante alle porte di Napoli. Nell'ottobre .
del 439, caduta Cartagine in mano ai Vandali di Genserico, una grandissima
moltitudine di ecclesiastici — maxima turba clericorum, scrisse lo storico di
quelle vicende, Vittore di Vita (Hist. persec. Afric. prov.) — fu costretta a
lasciare la terra natale.
Spogliati di tutto, furono posti su imbarcazioni assai precarie, ma alcuni riuscirono a salvarsi miracolosamente e ad approdare sulla costa napoletana, accolti con premurosa sollecitudine dal vescovo Nostriano. Tra i profughi furono i ss. vescovi Gaudioso di Abitine e Quodvultdeus di Cartagine. Quest'ultimo, dimorando in Napoli, smascherò la propaganda che del pelagianesimo faceva « non lontano da Napoli » Floro, imbevuto anche di manicheismo. Quasi certamente Floro è lo stesso vescovo pelagiano, condannato nel concilio di Efeso (431) assieme a Celestio, Pelagio e Giuliano d'Eclano e che rivolse premure allo stesso Giuliano perché riprendesse la penna contro s. Agostino per confutare il II libro del De Nuptiis et concupiscentia. Pare che si fosse stabilito a Miseno, giacché predicava e praticava cose illecite attribuendosi il merito e la virtù di Santo Sosso, un martire venerato appunto in quella cittadina flegrea.
Nel del De promissionibus et praedictionibus Dei, che si attribuisce ormai a Quodvultdeus, si narra che il vescovo di Napoli mandò il proprio « germano » — evidentemente magistrato della città — il prete Herio ed altri chierici ad arrestare ed espellere il predicatore eretico.
Nostriano si rese, inoltre, benemerito verso la propria città per un'opera di pubblica utilità: le terme ad uso del clero e dei fedeli, costruite nella regione augustale, nelle immediate adiacenze del Foro, nella via che documenti dei secc. X-XIII chiamano vicus Nostrianus e platea Nostriana, e altri, di epoca posteriore, S. Ianuarii ad diaconiam. In questa chiesa, detta pure di S. Gennaro all'Olmo, i suoi resti furono trasferiti dalla catacomba di S. Gaudioso, ove ebbero sepoltura almeno fino al sec. X.
Nostriano sarebbe morto tra il 452 e il 465, dopo diciassette anni di episcopato: tanti gliene attribuisce la Cronaca dei vescovi. Il 16 ag. 1612, venne in luce, sotto l'altare maggiore della chiesa di S. Gennaro all'Olmo, un'antica urna di marmo, sul cui bordo erano incise le parole: Corpus S. Nostriani Episcopi. Nel luglio, del 1945 l'urna fu trasferita e sistemata nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. Sconosciuto agli antichi calendari napoletani, Nostriano ebbe culto ufficiale dopo l'invenzione delle reliquie. Il Calendario del card. arcivescovo Decio Carafa, del 1619, ne fissava la festa al 16 ag., ma nel 1633 il nome di Nostriano era già scomparso dal calendario diocesano. La festa fu ripristinata al 14 febb. per la sola diocesi di Napoli, con decreto della S. Congregazione dei Riti del 2 magg. 1878. In quest'ultima data Nostriano figura nel Martirologio Romano, iscrittovi in epoca recente.
Spogliati di tutto, furono posti su imbarcazioni assai precarie, ma alcuni riuscirono a salvarsi miracolosamente e ad approdare sulla costa napoletana, accolti con premurosa sollecitudine dal vescovo Nostriano. Tra i profughi furono i ss. vescovi Gaudioso di Abitine e Quodvultdeus di Cartagine. Quest'ultimo, dimorando in Napoli, smascherò la propaganda che del pelagianesimo faceva « non lontano da Napoli » Floro, imbevuto anche di manicheismo. Quasi certamente Floro è lo stesso vescovo pelagiano, condannato nel concilio di Efeso (431) assieme a Celestio, Pelagio e Giuliano d'Eclano e che rivolse premure allo stesso Giuliano perché riprendesse la penna contro s. Agostino per confutare il II libro del De Nuptiis et concupiscentia. Pare che si fosse stabilito a Miseno, giacché predicava e praticava cose illecite attribuendosi il merito e la virtù di Santo Sosso, un martire venerato appunto in quella cittadina flegrea.
Nel del De promissionibus et praedictionibus Dei, che si attribuisce ormai a Quodvultdeus, si narra che il vescovo di Napoli mandò il proprio « germano » — evidentemente magistrato della città — il prete Herio ed altri chierici ad arrestare ed espellere il predicatore eretico.
Nostriano si rese, inoltre, benemerito verso la propria città per un'opera di pubblica utilità: le terme ad uso del clero e dei fedeli, costruite nella regione augustale, nelle immediate adiacenze del Foro, nella via che documenti dei secc. X-XIII chiamano vicus Nostrianus e platea Nostriana, e altri, di epoca posteriore, S. Ianuarii ad diaconiam. In questa chiesa, detta pure di S. Gennaro all'Olmo, i suoi resti furono trasferiti dalla catacomba di S. Gaudioso, ove ebbero sepoltura almeno fino al sec. X.
Nostriano sarebbe morto tra il 452 e il 465, dopo diciassette anni di episcopato: tanti gliene attribuisce la Cronaca dei vescovi. Il 16 ag. 1612, venne in luce, sotto l'altare maggiore della chiesa di S. Gennaro all'Olmo, un'antica urna di marmo, sul cui bordo erano incise le parole: Corpus S. Nostriani Episcopi. Nel luglio, del 1945 l'urna fu trasferita e sistemata nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo. Sconosciuto agli antichi calendari napoletani, Nostriano ebbe culto ufficiale dopo l'invenzione delle reliquie. Il Calendario del card. arcivescovo Decio Carafa, del 1619, ne fissava la festa al 16 ag., ma nel 1633 il nome di Nostriano era già scomparso dal calendario diocesano. La festa fu ripristinata al 14 febb. per la sola diocesi di Napoli, con decreto della S. Congregazione dei Riti del 2 magg. 1878. In quest'ultima data Nostriano figura nel Martirologio Romano, iscrittovi in epoca recente.
Santo ANTONINO, monaco a Sorrento (vers 830).
Tratto dal quotidiano
Avvenire
Vissuto nel IX secolo, nato forse a Campagna d'Eboli, Antonino
si fece benedettino a Cassino. Quando il monastero fu devastato dai Longobardi,
vagò per la Campania, finché non si fermò a Stabia, l'odierna Castellammare,
dove fu amico del vescovo san Catello. Questi gli lasciò la guida della
diocesi, ma presto anche Antonino si ritirò con lui, eremita sui monti. Ai due
apparve l'arcangelo Michele, chiedendo la costruzione di una chiesa sul Monte
Faito (in una località che oggi si chiama Monte Sant'Angelo o Punta San
Michele). Essa divenne meta di pellegrini, soprattutto pastori e contadini.
Antonino si stabilì poi a Sorrento e divenne abate del monastero di
Sant'Agrippino. È patrono di Sorrento e della sua penisola. Tra i miracoli a
lui attribuiti figura il salvataggio di un bambino inghiottito da un mostro
marino
MARTIROLOGIO ROMANO Presso Sorrento in Campania,
sant’Antonino, abate, che si ritirò in solitudine dopo che il suo monastero fu
distrutto dai Longobardi.
Tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/90528
Sant'Antonino nacque probabilmente a
Campagna d'Eboli. Lasciò ben presto il suo paese per recarsi a Cassino dove
divenne monaco benedettino. In quel tempo l'Italia era devastata dalle
invasioni barbariche ed anche il monastero di Montecassino fu saccheggiato dai
longobardi, i monaci dovettero fuggire e si recarono a Roma presso il papa
Pelagio II. Sant'Antonino, invece, vagò per la Campania finché non arrivò a
Stabia l'attuale Castellammare. Qui conobbe san Catello che ne era vescovo
diventandone amico. San Catello desiderava dedicarsi alla vita contemplativa e,
quando decise di ritirarsi sul Monte Aureo, affidò a Sant'Antonino la diocesi
di Stabia.
Durante il periodo di reggenza della diocesi il richiamo alla vita monastica fu così forte che Antonino chiese a Catello di ritornare in sede. Antonino a sua volta si ritirò sul Monte Aureo; visse in una grotta naturale in solitudine cibandosi di erbe. Fu infine raggiunto da san Catello che decise nuovamente di ritirarsi sul monte e di dedicarsi alle cure della diocesi sporadicamente.
Un giorno ai due apparve l'arcangelo Michele che chiese che fosse costruita una chiesa in quel posto da dove si dominava il golfo e si ammirava il Vesuvio. Così i due santi cominciarono a costruire una chiesa in pietra e legno nel punto del Faito che ora si chiama Monte S. Angelo o Punta S. Michele. Dapprima vi salirono pastori, poi agricoltori finché san Catello fu accusato di stregoneria da un cattivo prete di Stabia, tale Tibeio, e fu richiamato dal papa a Roma e tenuto prigioniero finché ad un nuovo papa apparve in sogno Sant'Antonino che gli intimò di liberare l'amico. San Catello ritornò a Stabia e si dedicò ad ampliare la chiesa sul monte che divenne meta di pellegrini. Fra tanti che si recavano sul monte vi erano moltissimi sorrentini che invitarono Antonino che già aveva fama di santo a stabilirsi a Sorrento. Fu accolto dall'abate Bonifacio nel monastero benedettino di S. Agrippino che si trovava dove sorge ora la basilica. Alla morte di Bonifacio, Antonino divenne suo successore.
Si racconta che un giorno un fanciullo che giocava sulla spiaggia di Sorrento fu inghiottito da una balena. La mamma disperata chiese aiuto a Sant'Antonino che si recò sulla spiaggia ed intimò ai pescatori di cercare il mostro marino e di condurlo in sua presenza. Quando ciò avvenne fu aperto il ventre del mostro e ne uscì sano e salvo il fanciullo. Quest'episodio costituisce uno dei miracoli più importanti compiuti in vita dal santo che diventò un riferimento per tutta la città.
Dopo la sua morte avvenuta 13 secoli fa i sorrentini eressero la cripta e la basilica sul luogo della sua sepoltura, sul bastione della cinta muraria perché per suo volere fu sepolto né dentro, né fuori la città ma nelle mura della stessa. Ammirando i dipinti della basilica si intuisce l'amore di Sorrento per il santo ed i miracoli compiuti: la vittoria navale contro i saraceni, nell'assedio del terribile generale Grillo, la preservazione dalla peste, la liberazione dal colera, la liberazione degli indemoniati. Si racconta che quando Sorrento fu saccheggiata dai turchi e la statua trafugata, non avendo denaro a sufficienza per farne un'altra i sorrentini vi avevano rinunciato, ma ecco che avvenne il miracolo: sant'Antonino si presentò in carne ed ossa allo scultore al quale pagò direttamente la statua.
Durante il periodo di reggenza della diocesi il richiamo alla vita monastica fu così forte che Antonino chiese a Catello di ritornare in sede. Antonino a sua volta si ritirò sul Monte Aureo; visse in una grotta naturale in solitudine cibandosi di erbe. Fu infine raggiunto da san Catello che decise nuovamente di ritirarsi sul monte e di dedicarsi alle cure della diocesi sporadicamente.
Un giorno ai due apparve l'arcangelo Michele che chiese che fosse costruita una chiesa in quel posto da dove si dominava il golfo e si ammirava il Vesuvio. Così i due santi cominciarono a costruire una chiesa in pietra e legno nel punto del Faito che ora si chiama Monte S. Angelo o Punta S. Michele. Dapprima vi salirono pastori, poi agricoltori finché san Catello fu accusato di stregoneria da un cattivo prete di Stabia, tale Tibeio, e fu richiamato dal papa a Roma e tenuto prigioniero finché ad un nuovo papa apparve in sogno Sant'Antonino che gli intimò di liberare l'amico. San Catello ritornò a Stabia e si dedicò ad ampliare la chiesa sul monte che divenne meta di pellegrini. Fra tanti che si recavano sul monte vi erano moltissimi sorrentini che invitarono Antonino che già aveva fama di santo a stabilirsi a Sorrento. Fu accolto dall'abate Bonifacio nel monastero benedettino di S. Agrippino che si trovava dove sorge ora la basilica. Alla morte di Bonifacio, Antonino divenne suo successore.
Si racconta che un giorno un fanciullo che giocava sulla spiaggia di Sorrento fu inghiottito da una balena. La mamma disperata chiese aiuto a Sant'Antonino che si recò sulla spiaggia ed intimò ai pescatori di cercare il mostro marino e di condurlo in sua presenza. Quando ciò avvenne fu aperto il ventre del mostro e ne uscì sano e salvo il fanciullo. Quest'episodio costituisce uno dei miracoli più importanti compiuti in vita dal santo che diventò un riferimento per tutta la città.
Dopo la sua morte avvenuta 13 secoli fa i sorrentini eressero la cripta e la basilica sul luogo della sua sepoltura, sul bastione della cinta muraria perché per suo volere fu sepolto né dentro, né fuori la città ma nelle mura della stessa. Ammirando i dipinti della basilica si intuisce l'amore di Sorrento per il santo ed i miracoli compiuti: la vittoria navale contro i saraceni, nell'assedio del terribile generale Grillo, la preservazione dalla peste, la liberazione dal colera, la liberazione degli indemoniati. Si racconta che quando Sorrento fu saccheggiata dai turchi e la statua trafugata, non avendo denaro a sufficienza per farne un'altra i sorrentini vi avevano rinunciato, ma ecco che avvenne il miracolo: sant'Antonino si presentò in carne ed ossa allo scultore al quale pagò direttamente la statua.
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