Santa Sofia Martire venerata
insieme alle figlie Pistis, Elpis, Agape, nomi greci che tradotti sono
Sapienza, Fede, Speranza, Carità. Tutte e quattro martiri sotto Traiano;
la più antica notizia sulla loro esistenza e venerazione risale alla
fine del sec. VI, come autore il presbitero Giovanni, il quale raccolse
gli olii sui sepolcri dei martiri romani al tempo di s. Gregorio Magno
(590-604);
Tropaire de sainte Sophie et ses 3 Filles ton 4
L'Eglise célèbre et se réjouit
En la Fête des 3 filles : Foi, Espérance et Charité
Et leur mère Sophie, nommée d'après sa sagesse :
Car en elles, c'est aux 3 vertus divines qu'elle donna naissance.
A présent elles demeurent à jamais auprès de leur Epoux, le Verbe de Dieu.
Réjouissons-nous spirituellement en leur mémoire et crions :
O vous nos 3 célestes Protectrices,
Etablissez, confirmez et renforcez nous
Dans la Foi, l'Espérance et la Charité.
Kondak de sainte Sophie et ses 3 Filles ton 1
Les enfants, Foi, Espérance et Charité,
Etaient comme 3 promesses de sainteté pour la vénérable Sophie.
A travers la divine grâce, elles confondirent la philosophie Grecque :
Elles combattirent et obtinrent une courone incorruptible de la part du Christ, le Maître de tout!
Ces Saintes Martyres vivaient en Italie sous le règne d'Hadrien
(117-138). Elles étaient originaires d'une riche et pieuse famille, et
leur mère Sophie les élevait dans la foi, l'espérance et la charité,
dont elle leur avait donné les noms. Un jour qu'elles s'étaient rendu à
Rome, les jeunes filles et leur mère furent capturées par les troupes de
l'empereur, aux oreilles duquel était parvenue la renommée de leur
piété et de leur vertu. Stupéfait de constater leur fermeté dans la foi
malgré leur jeune âge, l'empereur les fit comparaître séparément,
pensant que c'était par émulation mutuelle qu'elles osaient ainsi lui
tenir tête.
Pistis, qui était âgée de douze ans, fut la première à paraître
devant le tyran. A ses flatteries, elle répondit audacieusement,
condamnant son impiété et ses vaines machinations envers les Chrétiens.
Furieux, l'empereur fit mettre à nue la jeune fille et la fit flageller
sans pitié. On lui arracha ensuite les seins, d'où sortit du lait au
lieu de sang. Les autres tortures qu'il fit subir à la Sainte restèrent
sans effet, protégée qu'elle était par le puissance de Dieu. Enfin,
c'est encouragée par sa mère à supporter avec joie la mort qui devait
l'unir au Christ, qu'elle eut la tête tranchée.
L'empereur fit ensuite venir Elpis, qui était âgée de dix ans.
Tout aussi ferme pour confesser le Christ que sa soeur, elle fut
flagellée puis jetée dans une fournaise ardente qui s'éteignit à son
contact: tant l'amour de Dieu qui était en elle était plus brûlant que
toute flamme sensible. Après bien d'autres inutiles tortures, elle
mourut, elle aussi, par le glaive, en rendant grâce à Dieu.
Hadrien, dont la colère tournait à la folie, fit venir la troisième
soeur, Agapée, qui n'était âgée que de neuf ans. Mais il trouva chez
l'enfant la même fermeté virile que chez ses soeurs. Il la fit suspendre
à un gibet et entraver si étroitement que ses membres se rompaient sous
les liens. Jetée dans une fournaise, elle fut elle aussi délivrée par
un Ange, et eut la tête tranchée. Leur mère, Sophie, exultant
spirituellement de voir ses filles rejoindre si glorieusement les
demeures des Saints, mais accablée par la douleur humaine, rendit
quelques jours plus tard son âme à Dieu, sur le tombeau de ses filles
Santi NARCISO
et CRESCENZIONE , martiri a Rome sotto
Valeriano
Santo Giustino presbitero martire a Roma sotto
Claudio II il Gotico nel 269 ,
A Roma, sulla via
Tiburtina, il natale di san Giustino, Prete e Martire, il quale, nella
persecuzione di Valeriano e Gallieno, fu celebre per la gloria della
confessione di fede . Questi seppellì i corpi del beato Pontefice Sisto
secondo, di Lorenzo, Ippolito e moltissimi altri Santi, e finalmente, sotto
Claudio, compì il martirio.
Sainti
LUCIA , vedova , et suo figlio
spirituale GEMINIANO , martiri a Roma
sotto Dioceziano (vers
303).
16
settembre - A Roma i santi Martiri Lucia, nobile matrona, e Geminiano, i quali
dall'Imperatore Diocleziano, afflitti con gravissime pene e per lungo tempo
tormentati, dopo l'onorata vittoria del martirio, furono fatti uccidere colla
spada.
memoria dei santi martiri Lucia e Geminiano.
memoria dei santi martiri Lucia e Geminiano.
Il giovane Geminiano, colpito dalla gioiosa serenità della
vecchia Lucia, che veniva deportata, volle seguirla per assisterla e,
convertito dalle sue parole, abbracciò la fede cristiana. Probabilmente i
due furono deportati in Sicilia dove Lucia si addormentò in pace, dopo
molti tormenti, mentre Geminiano fu decapitato. Un successivo ritocco
diede un pizzico di colore a questa storia, e così si disse che Lucia e
Geminiano, prodigiosamente liberati, furono trasportati dagli angeli a
Taormina dove operarono miracoli finché, alla morte di Lucia, Geminiano
fu decapitato a Mendola di Siracusa. Un’altra versione della stessa
storia racconta invece che i due furono decapitati a Roma, e che le loro
reliquie furono deposte in seguito nella chiesa di Santa Lucia in
Selce, sul colle Esquilino (e quindi solo dopo trasportate in Sicilia
Archimandrita Antonio Scordino
http://www.johnsanidopoulos.com/2016/09/saints-lucy-widow-and-geminianus-her.html
SANTO
SATIRO Fratello di Santo Ambrogio ed asceta (vers il383)
Le
uniche fonti a nostra disposizione circa la vita di Uranio Satiro, fratello dei
santi Aurelio Ambrogio di Milano e Marcellina, sono i due discorsi “De excessu
fratris” (“Sulla dipartita del fratello”) che il santo vescovo pronunciò, uno
il giorno della sua morte e l’altro una settimana dopo. Paolino, nella sua Vita
di Ambrogio, non ne fa alcuna menzione.
Satiro nacque probabilmente nel 330 o nel 332 d. C. ed era il secondo dei tre
fratelli, preceduto da Marcellina. Il luogo che gli diede i natali è discusso:
forse Treviri, dove certamente nacque Ambrogio, o forse Roma, dove la famiglia
si trasferì perché appartenente all’aristocrazia senatoria. In giovane età, i
due fratelli maschi intrapresero la carriera forense e divennero governatori di
due province dell’impero romano: quella di Emilia-Liguria per il minore, mentre
per l’altro non è precisato quale fosse. Ciò che più conta è che fu, per i suoi
sottoposti, «un padre piuttosto che un giudice», come è attestato nel primo dei
due discorsi sopra citati.
Quando, nel 374, Ambrogio divenne vescovo di Milano, Satiro lasciò i suoi
incarichi pubblici, con un intento preciso: sollevare il fratello dalle
incombenze relative all’amministrazione della Diocesi, difendere Marcellina e
il suo proposito di verginità e occuparsi del patrimonio di famiglia. Dato che,
fra le virtù menzionate nei due discorsi funebri, risalta in maniera
particolare la sua castità, pare certo che non si sia mai sposato, proprio per
essere più libero nel sostenere i suoi congiunti.
A dimostrazione del suo operato attento, Ambrogio cita un fatto avvenuto
probabilmente fra l’autunno del 377 e l’inverno del 378. Un certo Prospero, a
cui erano stati affidati dei possedimenti in Africa, si era appropriato di una
somma di denaro che non gli spettava e non intendeva restituirla; Satiro
intervenne e risolse la situazione.
In ogni caso, non era nuovo a comportamenti del genere: quando, come in tutte
le famiglie, sorgevano dissidi fra il fratello vescovo e la sorella vergine
consacrata, veniva da loro scelto come arbitro e riusciva sempre a non
scontentare nessuno dei due. L’armonia e l’accordo erano in realtà
predominanti, a tal punto che, quando Ambrogio veniva scambiato per Satiro in
base ad una particolare somiglianza fisica fra di loro, gioiva se gli venivano
rivolte delle lodi che in realtà andavano a suo fratello.
Di ritorno dall’Africa, fatta tappa in Sicilia, l’uomo avvertì i sintomi di una
non ben precisata malattia. Forse a quell’epoca risale un episodio che avrebbe
poi goduto di una certa fortuna in campo iconografico: durante il ritorno a
casa, la nave di Satiro incappò in una tempesta. Lui non aveva ancora
completato il cammino dei sacramenti cristiani, ma richiese con insistenza ai
compagni di viaggio un frammento di pane eucaristico: se lo legò al collo con
un fazzoletto e poi si gettò in mare, «ritenendosi in tal modo – afferma
Ambrogio – protetto e difeso a sufficienza». Giunto a riva, quasi certamente in
Sardegna, avrebbe voluto ricevere il Battesimo, ma, una volta appreso che il
vescovo locale aderiva allo scisma di Lucifero, vescovo di Cagliari, decise di
rimandare finché non avrebbe trovato un suo pari, fedele però alla Santa Fede Finalmente «ricevette la sospirata grazia di
Dio e, ricevutala, la conservò integra», vivendo in maniera sobria e trattando
il denaro senza attaccarsi troppo ad esso.
Non visse molto a lungo dopo quell’incidente: la malattia ricomparve e lo
condusse alla morte nel 378. Ambrogio, come detto, lo ricordò pubblicamente e
volle che i suoi resti mortali riposassero accanto a quelli del martire
Vittore, nel sacello detto di San Vittore in Ciel d’Oro. Da lì furono traslati,
insieme a quelli dell’altro santo, in un sarcofago pagano riadattato ad uso
cristiano, e vi rimasero anche quando le ossa di Vittore furono portate nella
basilica detta appunto di San Vittore in Corpo, retta dai Benedettini
Olivetani. Intorno al 1560, però, i monaci del luogo affermarono di possedere
gli autentici resti del fratello di Ambrogio: sorse una disputa che si concluse
definitivamente solo nel 1941, quando, sotto l’episcopato del cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, una
relazione storica, archeologica ed anatomica stabilì che nel sarcofago
conservato nella Basilica Ambrosiana c’erano i resti di un uomo sui
quarant’anni, di corporatura normale, molto simili a quelli del santo vescovo
milanese. Dal 1980 sono collocati in un’urna di cristallo, nella prima cappella
a destra per chi entra in sant’Ambrogio.
Il culto di san Satiro è attestato per la prima volta intorno al IX secolo,
quando l’arcivescovo Ansperto da Biassono fece costruire una piccola basilica
dedicata ai santi Satiro, Ambrogio e Silvestro, ponendola sotto la
giurisdizione del monastero benedettino di sant’Ambrogio. Consacrata forse nel
1036 dall’arcivescovo Ariberto d’Intimiano, fu poi inglobata nella chiesa di
Santa Maria presso San Satiro, progettata dal Bramante.
Dal X secolo il nome del santo compare in alcuni calendari e libri liturgici
ambrosiani alla data del 18 settembre, forse per confusione con un altro
personaggio omonimo. La sua memoria liturgica è stata poi fissata al giorno
precedente.
In base al suo amore per l’Eucaristia e al ruolo rivestito accanto al fratello
vescovo, i sacrestani dell’Arcidiocesi di Milano considerano san Satiro il loro
patrono. Come però osserva monsignor Marco Navoni, Dottore della
Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana, il suo patrocinio andrebbe esteso su tutti
quei laici che spendono tempo ed energie per aiutare i sacerdoti ad essere più
liberi nel compiere la loro missione fondamentale.
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