http://www.lavocedelvolturno.com/sessa-aurunca-processione-della-madonna-del-carmelo-si-rinnova-la-tradizione/#.WzjJpal9iYU
Santi
Casto e Secondino vescovi e martiri
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/92329
I santi martiri Casto e Secondino, oggi
venerati come patroni della cittadina di Mondragone, in provincia di Caserta,
subirono in realtà il martirio nella vicinissima città romana di Sinuessa di
cui non restano che pochi resti archeologici.
Su di essi non vi sono purtroppo notizie storiche attendibili, nonostante l’esistenza dei loro “Atti” che paiono assolutamente leggendari e li identificano come vescovi. Ciò non vuol assolutamente dire però che i due personaggi non siano mai esistiti, ma lascia invece lo spazio per poter supporre che la loro vicenda terrena non si sia neppure svolta nell’antica Sinuessa. La devozione nei loro confronti avrebbe potuto piuttosto essere stata importata probabilmente dall’Africa, per attecchire sul terreno fertile della fede della popolazione locale. In seguito il loro culto venne trasferito dunque nell’odierna Mondragone ed il fatto che questo paese fu sede di un importante castello dei Re di Napoli fece sì che la popolarità e la venerazione nei loro confronti potesse estendersi anche fuori delle mura di Mondragone nei comuni vicini. Ancora oggi infatti sopravvive a Sessa Aurunca, Gaeta, Calvi, Capua, Sora, Trivento e Benevento.
Su di essi non vi sono purtroppo notizie storiche attendibili, nonostante l’esistenza dei loro “Atti” che paiono assolutamente leggendari e li identificano come vescovi. Ciò non vuol assolutamente dire però che i due personaggi non siano mai esistiti, ma lascia invece lo spazio per poter supporre che la loro vicenda terrena non si sia neppure svolta nell’antica Sinuessa. La devozione nei loro confronti avrebbe potuto piuttosto essere stata importata probabilmente dall’Africa, per attecchire sul terreno fertile della fede della popolazione locale. In seguito il loro culto venne trasferito dunque nell’odierna Mondragone ed il fatto che questo paese fu sede di un importante castello dei Re di Napoli fece sì che la popolarità e la venerazione nei loro confronti potesse estendersi anche fuori delle mura di Mondragone nei comuni vicini. Ancora oggi infatti sopravvive a Sessa Aurunca, Gaeta, Calvi, Capua, Sora, Trivento e Benevento.
Tratto da
http://lebellezzedelmassico.blogspot.com/2012/02/i-martiri-casto-e-secondino-storia-e.html
Questo
studio nasce dal desiderio di conoscere più a fondo le vicende dei due vescovi
martirizzati a Sinuessa nel 292, Casto e Secondino, gloria e forza della
diocesi di Sessa Aurunca.
Primitivamente essi furono scelti quali patroni del
territorio aurunco, ma gIi eventi, purtroppo, li vollero lontani dal popolo
sessano per ben 1015 anni, facendo diminuire l’interesse per le loro vicende e
per quanta custodiva la loro memoria.
Cosi sono andate perdute molte prove delle loro
esistenza e del loro martirio; poco resta della basilichetta di S. Casto e
dell’intera area catacombale. Esse, pur essendo artisticamente e culturalmente
notevoli, furono abbandonate all’erosione del tempo e alla vandalica azione
dell’uomo.
Poche le fonti storiche riguardanti i due martiri.
Di essi hanno scritto alcuni storici locali: Mons. Francesco Granata, il De
Masi, Mons. Giovanni Maria Diamare, Lucio Sacco ed altri.
Opera più recente è l’opuscolo di Mons. Francesco
Borrelli scritto in occasione del ritorno a Sessa Aurunca delle reliquie dei
due Santi già asportate e conservate nella cattedrale di Gaeta per 1015 anni.
LA STORIA
1.1. Presenza Petrina in
Sessa e Sinuessa
Sessa
e Sinuessa, citta consorelle, come le definisce il Tommasino nella sua opera Aurunci Patres, erano situate
sull’Appia, regina viarum, e
collegate tra loro da una fitta rete di vie principali e secondarie che
attraversavano vari villaggi, tra cui gli odierni Piedimonte di Sessa, Cellole
e Carano.
Esse, citta molto fiorenti e conosciute
nell’Impero, erano prospicienti l’Appia e la Domiziana, passaggi obbligati per
chi da Pozzuoli si recava a Roma.
Infatti:
“partendo
dal punto occidentale di PozzuoIi, (la strada) seguiva il lido del mare,
lasciava i laghi Lucrino ed Averno a sinistra, per l’Arco Felice scendeva nella
pianura di Cuma a sinistra, si rimetteva sulla spiaggia avendo a manco la selva
gallinaro (pineta), e a dritta il monte Massico; passava il Volturno presso la
foce su di un ponte e, pervenuta a Rocca di Mondragone, correva a congiungersi
con la medesima Appia a Sessa, la Quale seconda traversa fu poi detta
Domiziana, perché rifatta da Domitiano, come è presso Stazio ed altri scrittori
di quel tempo, e come denunziava ai viandanti l’iscrizione posta sull’ Arco
Felice”.
II
Pratilli, che descrive in “Della via Appia riconosciuta e descritta da Roma a
Brindisi, Napoli, 1745” la strada partendo da Roma, afferma:
“Cominciava
dunque la via Domiziana da Sinuessa allato al mare, come si scorge anche di
presente dagli sparsi, e sepolti avanzi, e terminava in Pozzuoli; dopo aver
passato per tre ponti, prima il fiumicello Saone, indi il Volturno, e
finalmente il Clanio, presso Literno”.
E
più avanti:
“Si
dipartiva la Via Domiziana dall’Appia poco lontano dalla punta del Monte
Massico, dove è al presente la Rocca di Mondragone: nel qual luogo l’Appia
torcendo alquanto a sinistra, conduceva per diritto cammino in Casilino, ove è
la nuova Capua; e la Domiziana piegando a destra verso il mare prende il suo
sentiero verso il fiumicello Saone”.
Dal
Pratilli sappiamo, inoltre, che l’Appia passava per Minturno e che attraversava
il Campo Vescino che si estendeva dal mare fino alle falde del Monte Massico e
a Sinuessa, comprendendo dunque, l’odierno demanio della citta di Sessa.
Quindi,
niente di più facile che gli Apostoli, provenienti dall’Oriente, nel recarsi a
Roma, siano passati per le nostre contrade, evangelizzando e fondando chiese.
Lo
stesso Scherillo, Della venuta di S. Pietro apostolo nella città di Napoli
nella Campania, Napoli, 1859, dice:
“Che
S. Pietro in una delle volte che venne dall’Oriente in Roma, facesse la via
Appia da Brindisi a Roma, e fuori di dubbio”.
Più
avanti:
“Le
Chiese che voglionsi fondate da S. Pietro sono appunto nella Campania e nella
Puglia, dove Brindisi era uno dei consueti approdi di coloro che, come S.
Pietro, venivano dall’Oriente; e sull’Appia, che era la via che da Brindisi
menava a Roma dove egli si dirigeva”.
Ancora
afferma:
"Pietro
stando a Romane usciva, come appreso da S. Epifanio, per l’esercizio del suo
apostolato. Che alcune delle sue corse avesse a scopo l’Italia Cistiberina, si
raccoglie dalla vita greca dell’Apostolo riportata dai Bollandisti, ove si dice
che di Roma andò a stabilire primo vescovo di Terracina S. Epafrodito discepolo
degli Apostoli, che dal beato apostolo Pietro fu ordinato vescovo di quella
città.Da ciò possiamo far
ragione agli scrittori che lo conducono a predicare poco più giù anche a
Sinuessa ed a Minturna, città ora distrutte”.
OItre
allo Scherillo, altri storici attestano la presenza del Principe degli Apostoli
in queste nostre contrade, Giuseppe Carbone, afferma:
“ ...
Dum Petrus ex Antiochia per Campaniam Romam petiit in quo itinere ut habetur ex
monumentis plurium scriptorum, caeteris quoque Campaniae civitatibus ilIo
tempore famosis, Pastores et Episcopos posuit”.
Anche
monumenti storici concorrono a convalidare la veridicità di tale affermazione:
il Duomo di Sessa con i rilievi delle gesta di S. Pietro nell’arco principale
del Vestibolo come ricorda il Diamare Memorie critico storiche della Chiesa di
Sessa Aurunca, Napoli, 1906, “fu innalzato appunto in onore del Principe degli
Apostoli, Pietro”.
OItre
questa testimonianza risalente al XII secolo, il Diamare ricorda ancora che nel
1860 fu rinvenuta una lapide presso il fiume Garigliano che, scritta in
caratteri antichi romani, testimonia la presenza in quel luogo di un tempio
dedicato a Giove, poi convertito in Chiesa cristiana dedicata a S. Pietro.
Anche
da ricordare il ciclo pittorico presente nella chiesa di S. Marco a Cellole,
senz’altro dedicato a S. Pietro.
Dei
monumenti non esistenti, molti sicuramente erano dedicati al Principe degli
Apostoli: l’antichissima chiesa di S. Maria a Valogno, l’antica Cattedrale di
Sessa, una chiesa situata nella zona di Centore, nonché le attuali parrocchie
di Falciano e Casanova dedicate, appunto a S.Pietro.
Tutte
queste sono testimonianze che dimostrano come il culto di S. Pietro fosse
radicato in più zone della mostra diocesi.
E
poiché il culto di un santo nasce soprattutto dove questi ha operato, si può
concludere, sulla scorta delle prove addotte e della bimillenaria tradizione
che l’annuncio delle fede nelle città di Sessa e Sinuessa fu portato dal
Principe degli Apostoli: Pietro.
1.2.
Casto, primo vescovo di Sessa
Il
primo pastore della Chiesa sessana, di cui abbiamo notizia, fu S. Casto.
Sicuramente
Casto, vissuto nel III secolo d.C., non fu il primo vescovo di questa Chiesa.
Il
Grana, nel suo Ragguaglio storico della città di Sessa, afferma che dalle sue
ricerche fatte nell’Archivio del Duomo, nella Cronica Cassinese, nell’Italia Sacra dell’Ughelli e nelle
Storie della medesima citta di Sessa, risulta che primo vescovo di Sessa fu S.
Simisio, consacrato dal Principe degli Apostoli e martirizzato nella persecuzione
di Nerone.
Dopo
di questo, i documenti succitati pongono S. Casto, cittadino sessano, vescovo e
martire, patrono meno principaIe della città, la cui festa era celebrata il 22
maggio.
II
Diamare asserisce, però, che contrariamente a quanto dice Mons. Granata, suo
predecessore, e Lucio Sacco, S. Simisio non fu inviato da S. Pietro a reggere
la Chiesa di Sessa, bensì quella di Soisson in Francia, per cui i suddetti
autori avevano finito col confondere, insieme ad altri ed allo stesso Ughelli,
il nome delle due diocesi.
E’
questa un’affermazione che apporta vantaggio alla tesi che vuole il primo
Vescovo di Sessa ordinato da S. Pietro.
E’
impossibile avere notizia certa di predecessori di S. Casto, poiché Ie
persecuzioni erano violente e i primi cristiani ben si guardavano dallo
scrivere registri o documenti riportanti nomi o atti.
Primo
vescovo di cui danno notizia accreditati scrittori fu Casto, cittadino sessano,
martirizzato a Sinuessa nel 292 dal preside Curco, insieme a S. Secondino,
vescovo di Sinuessa, Aristone, Crescenza, Eutichiano, Urbano, Vitale, Giusto,
Felicissimo, Felice, Marta e Sinforosa.
Secondo
il Diamare ciò è attestato nella Storia del De Masi e del Baronio.
Moltre
Ie controversie riguardo la reale presenza di questo vescovo nella nostra
Chiesa: Calvi e Trivento nel Molise, come Sessa, vantano come loro primo
vescovo S. Casto.
Inoltre
il corpo di S. Casto e venerato nelle Chiese di Capua, il 22 maggio, di
Benevento il 6 maggio ed il 22 ottobre ad Acquaviva, Calvi, Sora e Troia di Apulia.
I
Bollandisti sostengono che il culto di S. Casto si diffuse in più zone della
Campania e che non ci sono prove dimostranti il martirio del Santo in questa
regione, per cui tutte le reliquie, che in più posti si venerano,
apparterrebbero ad un solo S. Casto, il cui corpo ci pervenne dall’Africa
durante la persecuzione dei Vandali.
Per
sostenere questa tesi, come ricorda la Mazzeo, i Bollandisti si rifacevano a
varie testimonianze storiche riguardanti un Cassio, vescovo di Cedias, e un
Secondino, vescovo di Macomedes, sacrificati insieme ad un altro martire e
celebrati tutti da Cipriano ed Agostino e ricordati nel calendario cartaginese
del VI secolo.
Ma
a smentire questa tesi concorrono alcuni dati certi:
1
- la Biblioteca Sanctorum, che pure confonde S. Casto di Sessa con quello di
Calvi, ci dimostra che i nostri Casto e Secondino erano autoctoni,
distinguendoli da altre due coppie di Martiri: Casto ed Emilio, ricordati da
Cipriano nel De Lapsis, anch’essi
vittime della grande persecuzione di Decio in Africa, e Casto e Cassio venerati
in Campania e nel Lazio; nelle leggende che narrano dell’arrivo dei vescovi
africani nelle nostre zone non si fa mai menzione di S. Casto;
3
- è impossibile confondere S. Casto di Sessa con S. Casto di Calvi, in quanto
del primo si dice che fosse cittadino sessano martirizzato nel 292 sotto
Diocleziano con S. Secondino a Sinuessa, mentre del secondo si dice che fosse
cittadino e vescovo di Calvi, martirizzato non sotto Diocleziano, ma sotto
Nerone con S. Cassio, anch’egli di Sinuessa.
Quindi,
attenendoci alle più antiche tradizioni, possiamo affermare che S. Casto fu
veramente vescovo di Sessa.
A
riprova di ciò abbiamo la zona catacombale su cui sorse la Chiesa di S. Casto,
che custodiva oltre al corpo di S. Casto anche quello di S. Secondino.
Per
quanto riguarda S. Casto, non si può pensare che un martire di importazione,
abbia potuto lasciare tracce cosi profonde nella devozione popolare.
1.3. Secondino, Vescovo di
Sinuessa
Molto
più difficile è avere notizie riguardanti S. Secondino, per il fatto che la
città di cui era vescovo, Sinuessa, andò del tutto distrutta, e con essa ogni
tipo di documento.
Da
fonti illustri, sappiamo che Sinuessa, la greca Sinope, fu una citta molto
fiorente e assai conosciuta per la fertilità del suo suolo e per le sue acque
termali.
Anch’essa,
al pari di Sessa, ricevette la fede da Pietro che qui consacrò il primo
vescovo, Cassio, martirizzato poi, sotto Nerone insieme a S. Casto di Calvi.
Tra
i successori di Cassio è annoverato solo S. Secondino, martirizzato con S.
Casto ed altri, nel 292, dal preside Curco (0 Curvo), nella stessa Sinuessa e
poi, sepolto a Sessa, in un luogo chiamato Suti, insieme a S. Casto presso le
catacombe nella omonima Chiesa.
A
testimoniare la storicità dell’esistenza di S. Secondino valgono le fonti già
addotte riguardo a S. Casto, di cui è sempre menzionato come compagno, e la
tradizione vivente nel popolo sessano.
Anche
gli Atti del processo sebbene molto posteriori e certamente rimaneggiati,
parlano chiaramente di S. Casto e S. Secondino, imprigionati insieme, insieme
operanti miracoli e infine insieme martirizzati.
Inoltre,
il sarcofago ritrovato nella Chiesa di S. Casto a Sessa riportava la seguente
chiara iscrizione:
Corpora
S. S. Martyrum Casti civis et E. pi
Suessani et Secundini E. pi
Sinuessani heic requiscunt
in Domino
ed
è tradizione che in questo sarcofago, formato da due urne, riposassero appunto
i corpi di S. Casto e di S. Secondino.
Si
aggiunga a ciò che il popolo sessano ha sempre unito nel culto questi due
vescovi le cui reliquie si continuano tutt’oggi a venerare nella chiesa ad essi
dedicata presso il nuovo Seminario di Sessa Aurunca.
A
rafforzare la storicità di queste notizie, comuni tra l’altro a tutti gli
storici che hanno trattato questo argomento, e una lapide collocata, come
ricorda il Menna nel suo Saggio
Storico della città di Carinola, nel vescovado edificato in Carinola da
S. Bernardo, nel 1100 circa.
Egli
cosi si esprime: ‘Si entra dunque nel suddetto Atrio salendo due gradi di marmo
(... ) e su uno dei detti gradi di marmo pervenuti da Sinuessa esistono incise
due iscrizioni, che riguardo il Martirio dei due vescovi di detta Sinuessa per
nome Cassio e Secondino, e martirizzati, il primo nella persecuzione di Nerone,
al riferir di M. Monaco, ed il secondo nella persecuzione di Diocleziano verso
il III secolo di Cristo, come riferisce il Baronio in Martirol. Kal. lunii, e le iscrizioni da noi trascritte sono le
seguenti
OSSA. MARTYRIS. CASSII
EPISCOPI.
SINUESSANI HIC IN PACE
QUIESCUNT
CORPUS. MARTYRIS.
SECUNDINI
EPISCOPI. SINUESSANI. HEIC.
REQUIESCIT. IN. DOMINO
Sorge,
dunque, spontaneo chiedersi perché S. Bernardo abbia voluto queste due lapidi
per la costruzione del suo vescovado: certamente non le ha scelte per la
pregiatezza del marmo, bensì perché recanti testimonianze tanto evidenti di due
dei più illustri pastori che guidarono la primitiva Chiesa sorella di Sinuessa,
confinante con quella di Carinola.
IL CULTO
2.1. II sarcofago dei Santi
Casto e Secondino
Circa
le testimonianze monumentali - cultuali che attestano l’esistenza e il martirio
dei Santi Casto e Secondino, oltre che dal Diamare e dai vari storici locali,
abbiamo notizie qualificate e dettagliate sia dal Prof. Cosimo Stornaiolo,
Sarcofago nella Basilichetta dei S.S. Casto e Secondino in Sessa Aurunca, in
Solenne Praeconium Januario Asprenati Galante ab amicis quiquagesimo recurrente
anno ad initio eius sacerdotio, Tributum, Napoli, 1920, che dalla Prof.ssa
Felicia Mazzeo, Il complesso cimiteriale dei Santi Casto e Secondino in Sessa
Aurunca, in Fede e Cultura n. 1, Sessa Aurunca, 1990, che ci fornisce una
dettagliata ed ampia descrizione dell’intero antico complesso cimiteriale di
Sessa Aurunca, conosciuto col nome di ‘Catacombe di S. Casto’.
Dal
codice riguardante il processo dei Martiri Casto e Secondino, pubblicato dal
Borrelli nel suo opuscolo, si apprende che i due vescovi, dopo il martirio
furono seppelliti in un luogo chiamato ‘Suti’ presso il quale la popolazione li
venera a lungo, fino a quando, i loro corpi non furono trasportati a Gaeta
nella seconda meta del X secolo, ai tempi di Pandolfo Capodiferro, principe di
Capua.
Detta
località, come dice la Mazzeo, e ancora oggi denominata nelle carte catastali,
‘campo di S. Casto’ o ‘Campo dei Morti’.
Non
c’è dubbio che in questa zona collinare, a nord-est di Sessa, vi sia stato un
cimitero paleocristiano, riconosciuto dallo Stornaiolo per le evidenti
gallerie, loculi infranti e soprattutto per un piccolo oratorio, posto dietro
le gallerie, le cui pareti mostravano affreschi con l’immagine del Redentore e
dei Santi.
Tale
sito, dovette perdere il suo aspetto cimiteriale quando, nel 1590, fu donato ai
frati Carmelitani che vi edificarono il loro convento, con la Chiesa del
Carmine.
Questi
monaci che si trovarono ad occupare tutta la zona catacombale, ne utilizzarono
i resti secondo le loro esigenze, e gli ambulacri ed i cubicoli furono
utilizzati come cantine.
II
Diamare ci ricorda ancora che i preti del clero di Sant’Eustacchio fecero
distruggere le urne, scoperchiare il tetto e murare ogni apertura, per evitare
quella vecchia tradizione popolare secondo la quale i bambini fatti sedere sul
sarcofago guarivano dal mal di ventre, cosa da essi considerata sacrilega.
Questi
luoghi restarono nel più completo abbandono, fino a quando, il vescovo Diamare,
non invia delle fotografie ad Orvieto, nel 1897, e a Torino, nel 1901,
invitando lo Stornaiolo che, nel suo articolo fa una dettagliata descrizione
del sarcofago o meglio, come egli stesso dice, di una parte di esso, in quanto
l’altra era ancora incassata nel muro.
Attualmente
una parte di tale sarcofago, precisamente i tre quarti, come afferma la Mazzeo,
e andata completamente perduta.
In
seguito, la parte restante fu trasportata, per volere del vescovo
Costantini, prima nella Cattedrale e successivamente, nel 1973, nella Chiesa di
S. Casto e S. Secondino, presso il nuovo seminario, nelle vicinanze delle
catacombe.
Lo
Stornaiolo afferma che, sebbene il sarcofago non presenti alcun segno della
fede cristiana, si può considerare cristiano per il luogo del suo ritrovamento,
e perché contenente, senza dubbio, le ossa di S. Casto vescovo e martire.
Esso
è ad altorilievo e a sinistra presenta un genio alato seminudo con le braccia
alzate, particolare, questo, che si può ancora parzialmente vedere nel
rimanente frammento che fa da base all’altare del Santuario di S. Casto e S.
Secondino.
Lo
Stornaiolo ipotizza che a destra doveva esservi di sicuro, un altro genio
simile ma in diverso atteggiamento a cui piedi erano accovacciati un cane e un
vitello.
Egli
stesso conclude che, più che di due geni lottatori doveva trattarsi di una
scena campestre in cui i geni portavano, ad indicare le stagioni, corone e
cesti di fiori o frutta e data lo stesso alla fine del III secolo d.C., epoca
artistica di transizione, in quanto dibattuta fra le rappresentazioni pagane di
sarcofaghi e quelle più tarde che si ispireranno ai temi biblici.
Lo
Stornaiolo conclude che, lavorando nelle stesse officine, pagani e cristiani
erano propensi spesso a scegliere rappresentazioni tombali tipiche, ma comunque
suscitatrici di più sentimenti.
II
Diamare, invece, sostiene che il sarcofago poteva anche essere una parte di
qualunque mausoleo dell’antica Sessa, che, rimosso, fu successivamente
adoperato per custodire i corpi dei due martiri.
Dal
punto di vista artistico esso ha un modesto valore, ma è da mettere in evidenza
che fu imitato dalla maggior parte dei marmorari del XIII secolo e scelto dallo
scuoltore Peregrino nel bassorilievo dell’ambone del Duomo di Sessa Aurunca,
anch’esso dei XIII secolo.
Al
centro del sarcofago, poi, si nota un tipico medaglione: è opinabile il
sarcofago fosse stato preparato per due sposi che volevano riposare uniti, nel
sonno della morte. In effetti, in esso furono composti proprio i due corpi dei
Santi Martiri, per evidenti esigenze cultuali.
L’intero
attuale complesso cimiteriale estato accuratamente studiato dalla Mazzeo, che,
nell’articolo succitato, da un’esauriente descrizione dei resti delle Catacombe
di S. Casto e S. Secondino.
II
vescovo Diamare parla di una basilichetta di cui restava l’abside e dalla quale
si accedeva ai piani sotterranei che, creduti delle gallerie abbandonate, si
rilevarono, poi, delle Catacombe che, per la loro struttura, vennero avvicinate
a quelle di S. Valentino a Roma, e definite ‘una bella riproduzione’ di quelle.
La
Mazzeo, partendo dal testo citato del Diamare, non descrive questi luoghi, ma
precisa che il complesso sopraterra si presenta come un ambiente di forma
irregolare con pianta più o meno quadrata che, chiaramente dimostra l’esistenza
di precedenti costruzioni che oggi si possono solo immaginare o ricostruire dai
resti, poiché andate quasi interamente distrutte.
Le
fonti dicono che il sarcofago si trovava in un ambiente sotto il pavimento, cui
si accedeva, come nelle altre catacombe, per mezzo di cinque gradini di pietra;
il che, osserva la Mazzeo, fa pensare che questo fosse un Martyrium.
Del
nicchione, in cui furono
certamente scavate delle tombe, ci resta solo il lato sinistro in cui è
presente una struttura che permetteva la sepoltura a piani sovrapposti, in
quanto ad un primo piano costituito da tegoloni ne seguiva un altro contenente
delle ossa, per far si che i fedeli fossero sepolti accanto alla tomba dei
Martiri.
La
parte di fondo presenta all’estrema destra un nicchione ornamentale,
successivamente murato; sul lato destro della ghiera una nicchietta, ed al
centro una nicchietta rettangolare a cielo aperto.
Attualmente
si accede aile catacombe dall’estremo angolo sinistro, per mezzo di una rottura
di pareti.
Nel
nicchione, dalla pianta ottagonale, si aprono sei picco Ie absidi sovrastate,
nella parte superiore, da una piu grande che, a sua volta, sovra- sta la parte
sotterra che esegnata da lunghi cunicoIi in cui si rinvengono ancora loculi
successivamente tagliati per ampIiare i cunicoli stessi.
Alia
destra del cunicolo una porta sicuramente metteva in comunicazione questo
ambiente e quello della ‘memoria’.
II
cunicolo, dopo un arco, apre in una cripta coperta a botte dalla quale continua
il cunicolo principale e se ne apre uno secondario, in cui si possono osservare
tombe a semicappuccina.
La
ricognizione completa della zona fa scoprire anche nuovi cunicoli e nuovi
ambienti che dimostrano come tutta la collina di S. Casto fosse stata
trasformata in catacombe.
A
conforto di tale tesi, si ricorda che nel 1972 furono rinvenute altre tombe a
semicappuccina fittile che testimoniano ‘in loco’ la presenza di un cimitero
sopraterra di cui parla anche lo Stornaiolo.
L’insieme
monumentale, anche se abbandonato e sconosciuto ai più, ha importanza perché è
una delle pochissime testimonianze della chiesa primitiva locale e dell’antica
fede delle genti aurunche.
Inoltre,
l’intero complesso, che si può datare al massimo tra il IV e il V secolo dell’
era cristiana, e rimasto intatto nella sua struttura, in quanto la distruzione
di Sinuessa in epoca tardo-romana e la decadenza della stessa Sessa impedirono
che esso fosse inglobato in una basilica o altro monumento cristiano, come è
avvenuto per altri edifici catacombali.
2.3. Eventi storici delle
reliquie
In
riferimento alle reliquie dei martiri Casto e Secondino, il Diamare riporta
un’antica leggenda assai nota presso il popolo sessano. Essa racconta che,
essendo la basilichetta di S. Casto visibile fino a Gaeta, gli abitanti di
questa citta spesso vedevano uscirne delle fiamme.
Spinti
da questa visione, alcuni di essi di nascosto vennero a Sessa e rubarono i
corpi di S. Casto e S. Secondino.
II
De Masi, che descrive il sarcofago contenente i corpi dei due Santi e ne
riporta l’iscrizione, ne attesta la presenza nella basilichetta .
Ma
a parte la leggenda, una sorta di ‘rapina’ da parte dei cittadini di Gaeta è
anche attestata storicamente.
Lo
stesso De Masi, come riporta il Diamare, dice che i corpi dei due Martiri, dopo
che riposarono a lungo nella basilichetta di S. Casto ‘neIl’anno 966, come dice
il Capaccio, secondo il computo del Baronio, nel 967, oppure, come vuole
Michele Monaco, nell’anno 969, ritrovandosi in Capua il Papa Giovanni XIII e
Pandolfo, Principe dei Longobardi, furono trasportati in Gaeta ad istanza di
Landone, duca di quella citta, co’ corpi de’ Santi Cassio e Casto, l’uno
Vescovo di Sinuessa, l’altro di Calvi, i quali al riferire di Cerbone,
costituiti vescovi da S. Pietro, furono martirizzati nella prima persecuzione
mossa dall’imperatore Nerone, e riposavano in Calvi.
E
cosi riposti vennero questi sacri pegni nel succorpo della Cattedrale di Gaeta
insieme a quello di Sant’Erasmo, Vescovo e Martire, dal riferito Sommo
Pontefice che vi intervenne’.
II
Diamare, perciò, conclude che se già nel 969 il principe dei Longobardi volle
le spoglie dei due Santi nella Cattedrale di Gaeta, ciò vuol dire che già
allora si stimavano moltissimo le sacre spoglie custodite dai Sessani.
Inoltre,
anche il Prof. Luigi lzzo nel suo articolo S. Casto e S. Secondino a Sessa,
contenuto nell’opuscolo del Borrelli, ricorda che nel libro Degli antichi Duchi e Consoli Ipati della
città di Gaeta, Giovanni Battista Federici, monaco cassinese del 1791,
scrive che nelle pergamene conservate a Montecassino si legge che nel 966 era
duca di Gaeta Landone o Lando, che aderì alle richieste di Pandolfo I
Capodiferro, Principe di Calvi, e concesse un braccio di S. Casto al vescovo di
questa citta, Andrea, eletto, nel 944, proprio da Pandolfo.
In
un primo tempo i corpi dei nostri Martiri furono riposti nell’altare a destra
dell’altare maggiore della Cattedrale, e quando, verso la fine del XVI secolo,
il vescovo di Gaeta Idelfonso Lassodegno, decise di costruire un succorpo per
deporvi le reliquie dei Santi, gli altari laterali furono demoliti, e Ie sacre
reliquie composte in una terza cassa, a parte, furono provvisoriamente poste in
un altro luogo della Cattedrale 53.
II
9 aprile 1620, completati i lavori del succorpo, vi furono traslate le sacre
reliquie e deposte sotto l’altare insieme a quelle di S. Europia e di altri
Santi, dove tuttora si venerano.
In
riferimento a tale avvenimento il Prof. Izzo scrive che ‘nell’archivio
Capitolare di Gaeta, esiste una pergamena del 1720 di mm. 720x445, che
ricorda tale solenne avvenimento essendovi il vescovo D’Ona, assistito da tutto
il capitolo, seguito dai Giudici e dal popolo numeroso’.
I
loro crani vennero, invece, venerati in diversi reliquiari, fino a quando, nel
1982, furono di nuovo riportati a Sessa Aurunca e restituiti alla venerazione
del loro popolo.
prof.ssa Antonia Caputo
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