Santo Eutropio martire con le Sante
Bonosa e Zosima (sorelle secondo la carne)
a Porto nel Lazio sotto Aureliano verso il 273)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/62710
Bonosa, nobildonna
romana, fu martirizzata per la fede cristiana con la sorella Zosima ed
Eutropio, sotto l’imperatore Settimio Severo.
Nel 1256 alcune sue reliquie furono traslate da Porto, località presso Roma, nell’abbazia di Clairvaux in Francia dal monaco Goffredo; all’epoca la martire godeva di grande venerazione in una chiesa dedicata a Lei nel quartiere Trastevere. Fino al 1888 la chiesa di Santa Bonosa a Roma custodì il suo corpo; dopo che questa fu demolita, oggi la vergine riposa nella parrocchia romana di Santa Maria della Mercede e Sant’Adriano. Fino al XIX secolo Bonosa nell’Urbe era invocata dai pastori, che ne custodivano l’immagine negli ambienti infetti delle stalle, perché li preservasse dalla varicella e dal vajolo; il Suo culto giunse a Martina Franca (Taranto) nel ‘700 in seguito alle epidemie che funestarono il Regno di Napoli in quegli anni, a cui in valle d’Itria fecero fronte efficace le invocazioni del popolo anche a San Martino di Tours e a San Rocco. Il suo quadro, che rappresenta la Santa nell’atto di benedire una popolana che Le raccomanda il suo bambino chiazzato di macchioline tipiche della varicella, si trova a Martina Franca nella chiesa dei Cappuccini oggi sede dei Padri Somaschi, immersa nell’incantato paesaggio della valle dei trulli.
Santa Bonosa è invocata contro il vajolo, la varicella e le malattie infettive in genere.
Nel 1256 alcune sue reliquie furono traslate da Porto, località presso Roma, nell’abbazia di Clairvaux in Francia dal monaco Goffredo; all’epoca la martire godeva di grande venerazione in una chiesa dedicata a Lei nel quartiere Trastevere. Fino al 1888 la chiesa di Santa Bonosa a Roma custodì il suo corpo; dopo che questa fu demolita, oggi la vergine riposa nella parrocchia romana di Santa Maria della Mercede e Sant’Adriano. Fino al XIX secolo Bonosa nell’Urbe era invocata dai pastori, che ne custodivano l’immagine negli ambienti infetti delle stalle, perché li preservasse dalla varicella e dal vajolo; il Suo culto giunse a Martina Franca (Taranto) nel ‘700 in seguito alle epidemie che funestarono il Regno di Napoli in quegli anni, a cui in valle d’Itria fecero fronte efficace le invocazioni del popolo anche a San Martino di Tours e a San Rocco. Il suo quadro, che rappresenta la Santa nell’atto di benedire una popolana che Le raccomanda il suo bambino chiazzato di macchioline tipiche della varicella, si trova a Martina Franca nella chiesa dei Cappuccini oggi sede dei Padri Somaschi, immersa nell’incantato paesaggio della valle dei trulli.
Santa Bonosa è invocata contro il vajolo, la varicella e le malattie infettive in genere.
Santo
Terenzio Vescovo di Luni- San Terenzio, vescovo dell'antica Luni
(SP), noto per la sua carità verso i poveri, fu martirizzato ad Avenza
(Carrara) e poi le sue spoglie vennero traslate a San Terenzo Monti in
Lunigiana, dove ancora oggi sono venerate nell'altar maggiore della chiesa
parrocchiale. Le diocesi di La Spezia - Sarzana - Brugnato e Massa Carrara -
Pontremoli, eredi di Luni, celebrano la sua memoria il 15 luglio.
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/95924
Svariate
leggende fanno del vescovo Terenzo un presule scozzese, trucidato dai predoni
presso la fortezza di Avenza, nei pressi di Carrara (MS). In realtà questa
leggenda confonde tra loro la vicenda del vescovo San Ceccardo, ucciso dai
Vichinghi di Hastein un secolo dopo, e quella del vescovo Terenzo che,
conosciuto per la sua carità verso i poveri, venne martirizzato da briganti
presso il torrente Lavenza. Entrambi furono vescovi dell’antica Luni (SP).
Terenzo aveva probabilmente cercato di convertire i numerosi longobardi ariani
stanziati tra i monti della Lunigiana e qui in effetti il suo culto comparve
tra la fine del VII secolo e l’inizio di quello successivo.
È Ubaldo Formentini, celebre studioso, ad analizzare la figura di Terenzo, sul quale il tempo aveva depositato varie leggende, provvedendo a spogliarlo delle vesti scozzesi che gli erano state attribuite, per ricondurlo nel filone dei primi vescovi martiri lunensi. Pertanto, Terenzo sarebbe stato originario del territorio, in quanto i Terenzi erano una famiglia romana di Luni. Il suo martirio si collocherebbe all’inizio del VII secolo. Recenti studi confermano il suo episcopato tra i vescovi Venanzio e Lucio.
Verso un sito più protetto dal vandalismo normanno e saraceno, si diressero, verso la fine del IX secolo, gli indomiti giovenchi che trasportavano, secondo un modello narrativo simile a quello della leggenda del Volto Santo di Lucca, le spoglie del vescovo martire. Narra la leggenda che la montagna si aprì affinché potessero raggiungere l’odierna San Terenzo Monti, nel comune di Fivizzano (MS), dove il longobardo Transuald tra il 728 ed il 729 aveva edificato una chiesa in suo onore, e che le bestie sfinite dopo essersi abbeverate ad una fonte che si trovava nei pressi morirono, indicando così che quello era proprio il luogo al quale erano destinate le sacre spoglie. Queste ultime durante i restauri del secolo XVII, in seguito ad un terremoto, furono ritrovate sotto l’altare di Santa Croce e trasferite per sicurezza a Reggio Emilia.
Oggi le reliquie del martire, che ritornarono a San Terenzo Monti, sono conservate nell’altare maggiore della chiesa parrocchiale. Le diocesi di La Spezia – Sarzana - Brugnato, nel cui territorio si trovava l’antica sede vescovile di Luni, e di Massa Carrara – Pontremoli, in cui si svolsero gli eventi narrati, hanno posto al 15 luglio la memoria di San Terenzo.
È Ubaldo Formentini, celebre studioso, ad analizzare la figura di Terenzo, sul quale il tempo aveva depositato varie leggende, provvedendo a spogliarlo delle vesti scozzesi che gli erano state attribuite, per ricondurlo nel filone dei primi vescovi martiri lunensi. Pertanto, Terenzo sarebbe stato originario del territorio, in quanto i Terenzi erano una famiglia romana di Luni. Il suo martirio si collocherebbe all’inizio del VII secolo. Recenti studi confermano il suo episcopato tra i vescovi Venanzio e Lucio.
Verso un sito più protetto dal vandalismo normanno e saraceno, si diressero, verso la fine del IX secolo, gli indomiti giovenchi che trasportavano, secondo un modello narrativo simile a quello della leggenda del Volto Santo di Lucca, le spoglie del vescovo martire. Narra la leggenda che la montagna si aprì affinché potessero raggiungere l’odierna San Terenzo Monti, nel comune di Fivizzano (MS), dove il longobardo Transuald tra il 728 ed il 729 aveva edificato una chiesa in suo onore, e che le bestie sfinite dopo essersi abbeverate ad una fonte che si trovava nei pressi morirono, indicando così che quello era proprio il luogo al quale erano destinate le sacre spoglie. Queste ultime durante i restauri del secolo XVII, in seguito ad un terremoto, furono ritrovate sotto l’altare di Santa Croce e trasferite per sicurezza a Reggio Emilia.
Oggi le reliquie del martire, che ritornarono a San Terenzo Monti, sono conservate nell’altare maggiore della chiesa parrocchiale. Le diocesi di La Spezia – Sarzana - Brugnato, nel cui territorio si trovava l’antica sede vescovile di Luni, e di Massa Carrara – Pontremoli, in cui si svolsero gli eventi narrati, hanno posto al 15 luglio la memoria di San Terenzo.
Santo
Atanasio Vescovo di Napoli(verso anno 872)
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/62790
Le
notizie sulla figura e sull'attività di Atanasio, uno dei più insigni vescovi
della Chiesa napoletana, sono tramandate principalmente dalla biografia
contenuta nella cronaca del contemporaneo Giovanni Diacono e nella più ampia
Vita di autore anonimo, del sec. X. Nato verso l'832 da Sergio I, duca di
Napoli e dalla nobile Drosa, Atanasio fu ammesso giovanissimo tra i chierici
della chiesa di Santa Maria Maggiore. Fu quindi posto direttamente alle
dipendenze vescovo Giovanni IV (843-849) che, lo prese grandemente a cuore.
Completò la sua formazione letteraria e spirituale e fu successivamente elevato
agli ordini del suddiaconato e del diaconato. Giovanni Diacono rileva che fin
da allora, a causa delle sue virtù, «quasi iam Episcopus venerabatur». Alla
morte del vescovo Giovanni, nell'849, Atanasio appena diciottenne fu eletto
vescovo concordemente dal clero, dai duchi e dal popolo, e fu consacrato a Roma
da Leone IV nella basilica vaticana il 22 dicembre dello stesso anno.
Condusse una vita molto austera, dedicando alla preghiera, allo studio e alle penitenze il tempo libero dagli impegni pastorali. Sembra che ogni giorno celebrasse due Messe: una per i suoi particolari bisogni, l'altra per il suo popolo. Ebbe grande cura dell'istruzione letteraria e teologica del suo clero, impegnandolo anche nella trascrizione dei codici; istituì pure scuole per cantori e lettori. Giovanni Diacono precisa che Atanasio fece dono alla biblioteca dell'episcopato di tre codici delle opere di Giuseppe Flavio. Perché le funzioni sacre fossero celebrate in maniera degna, stabilì che da parte di un gruppo di sacerdoti ebdomadari, ogni giorno nella sua cattedrale fosse cantata la Messa, ad imitazione di quanto si faceva a Roma nella basilica lateranense. Incaricò vari chierici (custodes) della cura di diverse chiese e cappelle. Restituì alla disciplina religiosa il monastero del Santissimo Salvatore nell'Isola Megaride, affidando a quei monaci la chiesa di Santa Lucia a Mare con le sue rendite. Fondò un monastero benedettino vicino alla basilica di San Gennaro extra moenia. Restaurò varie chiese ed in particolare nelle adiacenze della cattedrale rinnovò un oratorio (cubiculum) dedicato a San Gennaro, ornandolo splendidamente. Arricchì la cattedrale di numerosa e preziosa sacra suppellettile e di arazzi di gran pregio. Curò i bisogni temporali del suo clero, dei monaci e del popolo e fu munifico verso i poveri: eresse, infatti, per essi e per i pellegrini un ospizio presso il vestibolo della stessa cattedrale; e molti signori napoletani spronati dal suo esempio concorsero a dotarlo. Aveva, inoltre, ottenuto dal padre che i possedimenti della estinta diocesi di Miseno fossero uniti alla mensa episcopale.
Partecipò al sinodo romano dell'861, ove tenne il terzo posto tra i padri conciliari. In quel tempo si recò più volte alla corte dell'imperatore Ludovico II, che conduceva una campagna militare contro i Saraceni che infestavano l'Italia meridionale, e vi si fece apprezzare grandemente. I rapporti con l'autorità civile, che erano stati ottimi durante il governo del padre Sergio I e del fratello Gregorio, divennero molto tesi sotto il nipote Sergio II. Dopo aver spogliato di suppellettili preziose varie chiese, e forse perché rimproverato per l'alleanza con i Saraceni, motivo al quale accenna Ludovico II in una lettera dell'871 all'imperatore Basilio (Baronio, Annales, XV, pp. 225 sg.), il duca giunse ad arrestare Atanasio e gli altri zii. In seguito alla reazione del clero, il duca dopo alcuni giorni liberò il vescovo, continuando tuttavia a controllarlo, e dopo essersi fatto promettere che non si sarebbe allontanato dalla città. Ma Atanasio, dopo aver sigillato il tesoro della cattedrale ed aver lanciato l'anatema a chi avesse osato violarlo, si rifugiò con alcuni chierici nel monastero del Santissimo Salvatore nell'Isola Megaride. Sergio II giunse a proporre ad Atanasio di rinunziare al vescovado, e di farsi monaco. Al rifiuto del vescovo, il duca ingiunse alle truppe di espugnare l'isola. Atanasio allora mandò un chierico a chiedere aiuto a Ludovico II che era accampato nei pressi di Benevento. Per ordine dell'imperatore, Marino, duca di Amalfi, giunse con la sua flotta nel golfo di Napoli, liberò Atanasio e lo portò a corte. Sergio allora saccheggiò il tesoro della cattedrale, perseguitando al tempo stesso numerosi ecclesiastici. Il papa Adriano II, dopo lettere indirizzate al duca e al clero, e dopo un vano tentativo di conciliazione tramite Anastasio Bibliotecario e l'abate Cesario, lanciò l'interdetto sulla città e scomunicò Sergio II. Allorché il duca di Benevento imprigionò a sorpresa Ludovico II, Atanasio poté rifugiarsi a Sorrento, dove era vescovo suo fratello Stefano, quindi si recò a Roma per ottenere l'assoluzione del suo popolo dall'interdetto. Assieme a Landolfo di Capua ed agli apocrisari papali, Atanasio raggiunse in Sabina Ludovico Il, che era stato liberato, e lo convinse a riprendere la difesa dell'Italia meridionale. Adriano II, a sua volta, invitò l'imperatore a riportare Atanasio sulla sede napoletana. Ma sulla via del ritorno Atanasio si ammalò gravemente nei pressi di Veroli; accolto nel monastero di San Quirico, dipendente da Montecassino, vi morì il 15 luglio 872. Fu sepolto nell'oratorio di San Pietro dell'abbazia di Montecassino. Solo nell'876 papa Giovanni VIII assolse dalla scomunica il duca Sergio II e ne promosse all'episcopato il fratello Atanasio II. L'anno seguente si procedette alla solenne traslazione delle venerate spoglie di Atanasio a Napoli, dove il 31 luglio furono collocate nell'atrio della basilica di San Gennaro extra moenia, nell'oratorio del vescovo San Lorenzo, vicino al sarcofago di Giovanni IV. Nel sec. XIII le sue reliquie furono traslate nella cattedrale, dove furono poste sotto l'altare della cappella del Santissimo Salvatore. Tale traslazione è ricordata il 5 aprile. Il capo, invece, è custodito in un prezioso reliquiario nel Tesoro della Cattedrale. La sua festa è celebrata il 15 luglio. In tale data figura anche nel Martirologio Romano.
Condusse una vita molto austera, dedicando alla preghiera, allo studio e alle penitenze il tempo libero dagli impegni pastorali. Sembra che ogni giorno celebrasse due Messe: una per i suoi particolari bisogni, l'altra per il suo popolo. Ebbe grande cura dell'istruzione letteraria e teologica del suo clero, impegnandolo anche nella trascrizione dei codici; istituì pure scuole per cantori e lettori. Giovanni Diacono precisa che Atanasio fece dono alla biblioteca dell'episcopato di tre codici delle opere di Giuseppe Flavio. Perché le funzioni sacre fossero celebrate in maniera degna, stabilì che da parte di un gruppo di sacerdoti ebdomadari, ogni giorno nella sua cattedrale fosse cantata la Messa, ad imitazione di quanto si faceva a Roma nella basilica lateranense. Incaricò vari chierici (custodes) della cura di diverse chiese e cappelle. Restituì alla disciplina religiosa il monastero del Santissimo Salvatore nell'Isola Megaride, affidando a quei monaci la chiesa di Santa Lucia a Mare con le sue rendite. Fondò un monastero benedettino vicino alla basilica di San Gennaro extra moenia. Restaurò varie chiese ed in particolare nelle adiacenze della cattedrale rinnovò un oratorio (cubiculum) dedicato a San Gennaro, ornandolo splendidamente. Arricchì la cattedrale di numerosa e preziosa sacra suppellettile e di arazzi di gran pregio. Curò i bisogni temporali del suo clero, dei monaci e del popolo e fu munifico verso i poveri: eresse, infatti, per essi e per i pellegrini un ospizio presso il vestibolo della stessa cattedrale; e molti signori napoletani spronati dal suo esempio concorsero a dotarlo. Aveva, inoltre, ottenuto dal padre che i possedimenti della estinta diocesi di Miseno fossero uniti alla mensa episcopale.
Partecipò al sinodo romano dell'861, ove tenne il terzo posto tra i padri conciliari. In quel tempo si recò più volte alla corte dell'imperatore Ludovico II, che conduceva una campagna militare contro i Saraceni che infestavano l'Italia meridionale, e vi si fece apprezzare grandemente. I rapporti con l'autorità civile, che erano stati ottimi durante il governo del padre Sergio I e del fratello Gregorio, divennero molto tesi sotto il nipote Sergio II. Dopo aver spogliato di suppellettili preziose varie chiese, e forse perché rimproverato per l'alleanza con i Saraceni, motivo al quale accenna Ludovico II in una lettera dell'871 all'imperatore Basilio (Baronio, Annales, XV, pp. 225 sg.), il duca giunse ad arrestare Atanasio e gli altri zii. In seguito alla reazione del clero, il duca dopo alcuni giorni liberò il vescovo, continuando tuttavia a controllarlo, e dopo essersi fatto promettere che non si sarebbe allontanato dalla città. Ma Atanasio, dopo aver sigillato il tesoro della cattedrale ed aver lanciato l'anatema a chi avesse osato violarlo, si rifugiò con alcuni chierici nel monastero del Santissimo Salvatore nell'Isola Megaride. Sergio II giunse a proporre ad Atanasio di rinunziare al vescovado, e di farsi monaco. Al rifiuto del vescovo, il duca ingiunse alle truppe di espugnare l'isola. Atanasio allora mandò un chierico a chiedere aiuto a Ludovico II che era accampato nei pressi di Benevento. Per ordine dell'imperatore, Marino, duca di Amalfi, giunse con la sua flotta nel golfo di Napoli, liberò Atanasio e lo portò a corte. Sergio allora saccheggiò il tesoro della cattedrale, perseguitando al tempo stesso numerosi ecclesiastici. Il papa Adriano II, dopo lettere indirizzate al duca e al clero, e dopo un vano tentativo di conciliazione tramite Anastasio Bibliotecario e l'abate Cesario, lanciò l'interdetto sulla città e scomunicò Sergio II. Allorché il duca di Benevento imprigionò a sorpresa Ludovico II, Atanasio poté rifugiarsi a Sorrento, dove era vescovo suo fratello Stefano, quindi si recò a Roma per ottenere l'assoluzione del suo popolo dall'interdetto. Assieme a Landolfo di Capua ed agli apocrisari papali, Atanasio raggiunse in Sabina Ludovico Il, che era stato liberato, e lo convinse a riprendere la difesa dell'Italia meridionale. Adriano II, a sua volta, invitò l'imperatore a riportare Atanasio sulla sede napoletana. Ma sulla via del ritorno Atanasio si ammalò gravemente nei pressi di Veroli; accolto nel monastero di San Quirico, dipendente da Montecassino, vi morì il 15 luglio 872. Fu sepolto nell'oratorio di San Pietro dell'abbazia di Montecassino. Solo nell'876 papa Giovanni VIII assolse dalla scomunica il duca Sergio II e ne promosse all'episcopato il fratello Atanasio II. L'anno seguente si procedette alla solenne traslazione delle venerate spoglie di Atanasio a Napoli, dove il 31 luglio furono collocate nell'atrio della basilica di San Gennaro extra moenia, nell'oratorio del vescovo San Lorenzo, vicino al sarcofago di Giovanni IV. Nel sec. XIII le sue reliquie furono traslate nella cattedrale, dove furono poste sotto l'altare della cappella del Santissimo Salvatore. Tale traslazione è ricordata il 5 aprile. Il capo, invece, è custodito in un prezioso reliquiario nel Tesoro della Cattedrale. La sua festa è celebrata il 15 luglio. In tale data figura anche nel Martirologio Romano.
Leggere
ATANASIO, santo
Santo Felicissimo eremita presso Nocera
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/95220
Nato nel villaggio di Mosciano,
presso le sorgenti del Topino, in diocesi di Nocera Umbra, verso il 1070, entrò
giovanetto nel monastero benedettino di S. Eutizio presso Norcia, ma ne fu
richiamato dal padre, che voleva custodisse il bestiame. Felicissimo continuò
tuttavia negli esercizi di pietà e carità verso i poveri fino a suscitare le
ire paterne per aver dato in elemosina una vacca. Allora fuggì e si ritirò in
una non lontana località solitaria, detta Pulcano, dove condusse vita di
penitenza e attese alla conversione dei peccatori, operando molti miracoli.
Quivi morì, a ventidue anni, il 15 luglio1092.
Sul luogo, frequentemente visitato dalle popolazioni vicine, il vescovo di Nocera, Anselmo, nel 1164 fece costruire una chiesa in onore di Felicissimo. Il culto si estese a tutta la diocesi e particolarmente viene celebrato il 15 luglio nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni a Mosciano, dove è venerata una immagine del santo. Un'altra immagine, che lo rappresenta in veste di pastore, è sulla porta maggiore della città insieme con quella del protettore principale s. Rinaldo, ed una analoga è nella cattedrale. Nel 1618 il vescovo Virgilio Florenzi procedette alla ricognizione del corpo.
Sul luogo, frequentemente visitato dalle popolazioni vicine, il vescovo di Nocera, Anselmo, nel 1164 fece costruire una chiesa in onore di Felicissimo. Il culto si estese a tutta la diocesi e particolarmente viene celebrato il 15 luglio nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni a Mosciano, dove è venerata una immagine del santo. Un'altra immagine, che lo rappresenta in veste di pastore, è sulla porta maggiore della città insieme con quella del protettore principale s. Rinaldo, ed una analoga è nella cattedrale. Nel 1618 il vescovo Virgilio Florenzi procedette alla ricognizione del corpo.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.