Santi Mauro
Vescovo Pantaleimon e Sergio martiri a Bisceglie sotto Traiano
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Mauro,_Sergio_e_Pantaleone
Un giorno, mentre faceva una delle omelie nella sua città episcopale, Mauro venne ascoltato da due alti funzionari dell'imperatore Traiano (98-117): Sergio, governatore della città e Pantaleone, ufficiale delle guardie. Colpiti dalle parole del vescovo, entrambi si convertirono e vennero battezzati, divenendo i suoi più intimi collaboratori.[1]
Nel frattempo, il proconsole romano di Venosa, avvertito della conversione dei suoi funzionari, ordinò l'arresto del vescovo e di Sergio e Pantaleone; una volta che essi rifiutarono di abiurare, vennero gettati in una tetra prigione dove rimasero per dieci anni. Il 27 luglio 117, il proconsole li condannò a morte: Mauro venne decapitato, Sergio fu scarnificato e poi trafitto da una spada, mentre Pantaleone venne crocifisso e finito anch'esso con una pugnalata.[1]
Dopo la loro morte, i corpi vennero gettati in pasto alle fiere le quali, benché affamate, rifiutarono di divorarli. Fu così una cristiana del posto, Tecla de Fabis, a raccoglierli amorevolmente e a seppellirli a Sagina, dove fece costruire un sepolcro e un altare dedicati a Sergio, forse suo parente.[1]
Note
2. ^ (EN) Mauro, Sergio e Pantaleone, St. Patrick
Catholic Church, 1998.
TRATTO da
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/485761/mauro-sergio-e-pantaleone-i-tre-santi-di-bisceglie.html
Un
vescovo e due soldati romani accomunati il 27 luglio del 117 secolo dopo Cristo
dalla stessa tragica condanna del martirio, l’uno per aver predicato il Vangelo
e gli altri due per aver tradito l’imperatore convertendosi al Cristianesimo.
Mauro vescovo, Sergio e Pantalone, senza le lunghe ed approfondite cause di
beatificazione di oggi, divennero Santi a furor di popolo e protettori di
Bisceglie. Le reliquie, custodite in contrada Sagina nel territorio di
Bisceglie, divennero oggetto di culto con l’assenso del vescovo di Bisceglie,
Amando, che nel 1167 ne descrisse il loro ritrovamento. A ricostruire le
alterne vicende storiche del culto che si protrae da oltre otto secoli, con
tutti i risvolti sacri e profani dei festeggiamenti e delle rievocazioni, è
stato il giornalista Luca De Ceglia nel libro: “Il culto dei tre Santi Martiri
Mauro, Sergio e Pantaleone tra curiosità e festa popolare” edito dall’associazione
Borgo Antico nell’ambito della collana di storia locale, che sarà presentato il
30 agosto, alle ore 20.30 in piazza Duomo, per la rassegna “Libri nel Borgo
Antico”. Interverrà, oltre all’autore, don Mauro Camero, rettore della
Cattedrale di Bisceglie, che ha curato la prefazione. Moderatrice della
conversazione sarà la dott.ssa Annamaria Natalicchio, esperta in comunicazione.
Uno degli inni dedicati ai tre santi sarà cantato dal coro della basilica
Concattedrale, diretto da Carmela Rocco. Il libro, frutto di lunghe e
meticolose ricerche in vari archivi pubblici e privati, raccoglie anche un
notevole apparato iconografico a colori: dipinti (tra i quali l’af fresco
quattrocentesco realizzato nella chiesa di Santa Caterina a Galatina), ex voto,
edicole votive e fotografie e cartoline d’epoca dei riti e della festa popolare
che si protrae nel tempo. Tra questi sono valorizzati anche due spartiti
inediti risalenti ai primi del ’900 di inni dedicati ai tre santi e venuti alla
luce nell’a rchiv io diocesano di Bisceglie. Una delle prime notizie di questo
singolare culto “trig emino” è contenuta nel prezioso Evangeliario risalente al
XII secolo rinvenuto nell’archivio capitolare della Cattedrale biscegliese ed
oggi custodito nel locale museo diocesano. Seguono nel libro le vicende delle
due “in - ve n z i o n i ” delle ossa dei tre santi, che trasudavano una manna
ritenuta da tutti miracolosa da devoti e viaggiatori di passaggio.
Leggere
Leggere
La scoperta delle ossa dei tre santi
Santo
Ecclesio vescovo di Ravenna(tra il 532 e il 534)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/64580
E'
il ventiquattresimo vescovo di Ravenna, secondo il catalogo episcopale di
questa Chiesa tramandatoci da Agnello nel secolo IX, ma di età antica.
Succedette ad Aureliano, morto il 26 maggio 521, e nel 523 ricevette la
donazione da una certa Ildevara; possiamo quindi supporlo eletto nello stesso
anno 521 o poco dopo, e siccome il suo pontificato, secondo la testimonianza di
Agnello, durò dieci anni, cinque mesi e sette giorni, si può ritenerlo morto
nel 532. Sono gli anni, assai gravi per le Chiese d’Italia, nei quali il
vecchio re Teodorico, in seguito ad una riappacificazione tra Roma e
Costantinopoli dopo lo scisma di Acacio, diviene sospettoso e crudele contro i
romani, fa uccidere i senatori Albino e Boezio (523-24), costringe Giovanni I a
recarsi a Costantinopoli (525-26) per patrocinare la causa degli ariani, contro
i quali l’imperatore Giustino aveva emanato severi provvedimenti; poi al
ritorno lo fa chiudere in carcere a Ravenna, dove il santo pontefice muore il
18 maggio 526. Ma pochi mesi dopo muore anche Teodorico e gli succede la
reggenza della conciliativa Amalasunta. Il vescovo Ecclesio Celio, che aveva
accompagnato il papa a Costantinopoli, al suo ritorno, o almeno dopo la morte
del re goto, potè godere di un periodo di relativa tranquillità e con l’aiuto
finanziario di Giuliano Argentario (probabilmente una longa manus della corte
bizantina in Ravenna) innalzò la grande basilica di Santa Maria Maggiore,
continuò la costruzione del Tricolì ed iniziò quella di san Vitale. Non meno
operosa fu la sua attività volta a ristabilire la disciplina ecclesiastica,
gravemente pregiudicata dalle vicissitudini politiche di cui era stata teatro
la città. Alcune misure particolarmente energiche, che egli prese a questo
scopo, incontrarono serie opposizioni da parte del clero ravennate e classense,
ma l’intervento di Felice IV (526-30), il cui Constitutum è riportato da
Agnello, pure accettando le rivendicazioni economiche presentate dai chierici
dissidenti, nel campo disciplinare ed amministrativo non fece che approvare la
linea di condotta di Ecclesio Celio.
La tradizione ravennate fissa la memoria del santo al 27 luglio, ma tale nota non appare nel Liber Pontificalis di Agnello. Il Testi Rasponi spiega questo silenzio con l’ipotesi che Ecclesio Celio venisse sepolto sottoterra nel monasterium Santi Nazarii et Celsi (e cioè nella protesi della basilica di san Vitale) e solo nel secolo IX venisse esumato e collocato nel sarcofago dove rimase fino al 1731 e che da questa esumazione del secolo IX, ma posteriore ad Agnello, avesse origine il culto e la memoria eortologica di Ecclesio Celio. Senonché lo studio di M. Mazzotti sul sarcofago di san Ecclesio nella Basilica di san Vitale ha dimostrato che il sarcofago in cui rimasero le reliquie del santo sino al secolo XVIII è del secolo VI e che quindi esse vi furono collocate fin dal principio. Riteniamo dunque più probabile che la mancanza della data obituale in Agnello sia dovuta a difetto di trascrizione (il codice estense del Liber Pontificalis non è che del secolo XV e quello Vat. lat. 5834 del secolo XVIII); conferma l’ipotesi la constatazione che di tutti i vescovi della sede ravennate (e cioè escludendo quelli classificati fino a Liberio) Agnello riporta la data obituale, all’infuori dei due, Ecclesio Celio ed Ursicino, di cui peraltro conosce l’esatta durata di pontificato: e tale silenzio non poteva certamente essere dovuto ad ignoranza, quando sappiamo che di tutti, anche di quelli non venerati, la Chiesa ravennate conservava ricordo liturgico. Le reliquie di san Ecclesio Celio ebbero una ricognizione nel 1581 e almeno da questa data il sepolcro del santo costituisce la mensa dell’altare del Sancta Sanctorum, ma nel 1731, come si è detto, esse vennero tolte dal sarcofago originario e, con quelle di san Ursicino, collocate nell’arca di san Vittore. Nel 1903 furono traslate provvisoriamente in arcivescovado, dove però si trovano tuttora. L’immagine del santo appariva frequentemente nei mosaici ravennati: sono purtroppo rimasti distrutti quelli di Santa Maria Maggiore e del Tricolì, che lo riguardavano, ma sono tuttavia rimasti quelli splendidi dell’abside di san Vitale (dove Ecclesio Celio è raffigurato nell’atto di offrire una chiesa a Cristo) e dell’abside di sant'Apollinare in Classe, ambedue di poco posteriori alla sua morte e con spiccate caratteristiche di ritratto.
La tradizione ravennate fissa la memoria del santo al 27 luglio, ma tale nota non appare nel Liber Pontificalis di Agnello. Il Testi Rasponi spiega questo silenzio con l’ipotesi che Ecclesio Celio venisse sepolto sottoterra nel monasterium Santi Nazarii et Celsi (e cioè nella protesi della basilica di san Vitale) e solo nel secolo IX venisse esumato e collocato nel sarcofago dove rimase fino al 1731 e che da questa esumazione del secolo IX, ma posteriore ad Agnello, avesse origine il culto e la memoria eortologica di Ecclesio Celio. Senonché lo studio di M. Mazzotti sul sarcofago di san Ecclesio nella Basilica di san Vitale ha dimostrato che il sarcofago in cui rimasero le reliquie del santo sino al secolo XVIII è del secolo VI e che quindi esse vi furono collocate fin dal principio. Riteniamo dunque più probabile che la mancanza della data obituale in Agnello sia dovuta a difetto di trascrizione (il codice estense del Liber Pontificalis non è che del secolo XV e quello Vat. lat. 5834 del secolo XVIII); conferma l’ipotesi la constatazione che di tutti i vescovi della sede ravennate (e cioè escludendo quelli classificati fino a Liberio) Agnello riporta la data obituale, all’infuori dei due, Ecclesio Celio ed Ursicino, di cui peraltro conosce l’esatta durata di pontificato: e tale silenzio non poteva certamente essere dovuto ad ignoranza, quando sappiamo che di tutti, anche di quelli non venerati, la Chiesa ravennate conservava ricordo liturgico. Le reliquie di san Ecclesio Celio ebbero una ricognizione nel 1581 e almeno da questa data il sepolcro del santo costituisce la mensa dell’altare del Sancta Sanctorum, ma nel 1731, come si è detto, esse vennero tolte dal sarcofago originario e, con quelle di san Ursicino, collocate nell’arca di san Vittore. Nel 1903 furono traslate provvisoriamente in arcivescovado, dove però si trovano tuttora. L’immagine del santo appariva frequentemente nei mosaici ravennati: sono purtroppo rimasti distrutti quelli di Santa Maria Maggiore e del Tricolì, che lo riguardavano, ma sono tuttavia rimasti quelli splendidi dell’abside di san Vitale (dove Ecclesio Celio è raffigurato nell’atto di offrire una chiesa a Cristo) e dell’abside di sant'Apollinare in Classe, ambedue di poco posteriori alla sua morte e con spiccate caratteristiche di ritratto.
Leggere
ECCLESIO, santo.
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-ecclesio_(Dizionario-Biografico)/
http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-ecclesio_(Dizionario-Biografico)/
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