Santa Serafina Vergine e Martire di Antiochia
Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2011/12/saint-seraphima-virgin-martyr-of.html
Traduzione a cura di Giovanni Fumusa.
La Santa Vergine e Martire Serafina, nativa di Antiochia, visse a Roma durante il regno dell’Imperatore Adriano (117-138) con l’illustre patrizia romana Sabina, convertita al Cristianesimo. Durante la persecuzione contro i cristiani iniziata per ordine dell’imperatore, il governatore Berillo ordinò che Santa Serafina fosse portata a giudizio. Desiderosa di ricevere la corona del martirio dal Signore, alla prima citazione, si diresse senza timore verso il boia. L’accompagnava la devota Sabina. Notando la donna illustre, Berillo inizialmente lasciò libera la giovane, ma qualche giorno dopo riconvocò Santa Serafina e il processo ebbe inizio.
Il governatore invitò la santa ad onorare gli dei pagani e ad offrire loro sacrifici, ma confessò coraggiosamente la sua vede nell’Unico Vero Dio – Gesù Cristo. Quindi Berillo la consegnò a due giovani spudorati affinché la deflorassero. La santa martire supplicò il Signore di difenderla. Improvvisamente vi fu un terremoto ed I due giovani caddero paralizzati al suolo. Il giorno successivo, il governatore apprese che il suo piano era fallito. Pensando che la santa fosse esperta nella magia, Berillo la implorò di far tornare i due giovani in salute e di ridare loro il dono della parola, affinché potessero essi stessi raccontare il miracolo. La Santa, pregando il Signore, ordinò ai giovani di alzarsi ed essi immediatamente si alzarono e raccontarono al giudice che un Angelo del Signore aveva protetto la santa, impedendo loro di avvicinarsi a lei. Il feroce governatore non credette ai suoi servi e continuò ad insistere su Santa Serafina, affinché offrisse sacrifici agli idoli. Ma la santa martire rimase irremovibile, anche mentre la bruciavano con candele accese e la percuotevano spietatamente con delle canne. Una severa punizione colpì il crudele governatore: delle schegge dai bastoni con cui veniva picchiata la santa, lo colpirono negli occhi e, dopo tre giorni, il tormentatore divenne cieco. Impotente di fronte all’irremovibile cristiana, il giudice ordinò che venisse decapitata. Sabina, con riverenza, seppellì il corpo della sua santa maestra.
Santi Lucilla, Flora,
Eugenio e compagni Martiri a Roma verso il 262
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/65000
Il Martirologio Romano li ricorda il
29 luglio e attesta che perirono a Roma al tempo dell'imperatore Gallieno. La
passio, scritta probabilmente nel sec. IX, non è altro che un plagio di quella
dei santi Luceia e Auceia con qualche insignificante variazione. Con molta
verosimiglianza essa fu composta nel monastero di S. Fiora sul monte Amiata,
perché, in appendice, si racconta che i loro corpi, seppelliti dapprima in un
suburbio di Ostia, al tempo del papa Benedetto III sarebbero stati trasferiti
ad Arezzo; durante il viaggio però la giumenta che li trainava si fermò sul
monte Titano, a due miglia da Arezzo ed ivi sorsero una basilica ed un
monastero che, insieme col paesetto vicino, presero il nome di S. Fiora.
Da quel luogo il culto dei nostri santi si diffuse non soltanto in Italia, ma anche in Germania, Svizzera, Francia e Spagna, dove parecchie città dicono di possederne alcune reliquie.
Da quel luogo il culto dei nostri santi si diffuse non soltanto in Italia, ma anche in Germania, Svizzera, Francia e Spagna, dove parecchie città dicono di possederne alcune reliquie.
Un’antica
tradizione narra che Flora e Lucilla erano sorelle, cittadine romane, vissute
nel terzo secolo. Si distinsero a Roma per fede, amore alla castità e disprezzo
del mondo. Un giorno, ad Ostia, furono rapite da un africano di nome Eugenio
che in seguito, commosso dal loro esempio, si convertì. Quando l’imperatore
Gallieno pubblicò l’editto di condana dei cristiani, Flora e Lucilla diedero
prova di straordinario coraggio, sacrificando per Cristo la propria vita. Era
circa l’anno 260. La tradizione aggiunge che nel secolo IX le loro reliquie
vennero portate ad Arezzo, nel monastero benedettino che sorgeva nei pressi dell’Olmo.
Nel 1196 i monaci dovettero lasciare il colle della Torrita (che ancora si
chiama S. Flora). Costruirono il monastero ad Arezzo, portando in badia le
preziose reliquie, oggi custodite nell’altare dedicato a s. Rita. La festa
locale di Flora e Lucilla è fissata al 29 luglio.
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Viatrice_di_Roma
Durante le persecuzioni di Diocleziano, Viatrice (in latino Viatrix) recuperò nell'ansa del Tevere “iuxta locum qui appellatur sextus Philippi” i corpi dei fratelli Simplicio e Faustino, che avevano sofferto il martirio e che erano stati gettati nel fiume Tevere all'altezza dell'isola Tiberina. Viatrice diede sepoltura dei fratelli in quel luogo (ora catacombe di Generosa) aiutata dai presbiteri Crispo e Giovanni, ma fu denunciata per la sua fede cristiana da un parente di nome Lucrezio, che aspirava alla sua eredità. Pertanto, fu imprigionata e nonostante le minacce dei giudici, perseverò nella sua fede. Fu condannata a morte e morì a Roma tra il 303 e 304[2]
Viatrice in seguito fu deposta accanto ai suoi fratelli da una pia matrona romana e cristiana, Lucina che, dopo aver preso i corpi dei martiri, decise di dar loro sepoltura in sua cava di pozzolana, trasformandola così in un cimitero cristiano. La catacomba detta "di Generosa" sorgeva al VI miglio della via Campana/Portuense, per questo i santi furono detti Martiri Portuensi.
Le reliquie della santa e dei fratelli Simplicio e Faustino furono traslate nel piccolo Oratorio dedicato a San Paolo della chiesa di Santa Bibiana all'Esquilino intorno al 682 da Papa Leone II. Il Papa Urbano VIII fece restaurare questa antichissima chiesa: l'opera fu affidata a Gianlorenzo Bernini che decise di abbattere l'antico Oratorio per cui l'arca marmorea del VII secolo fu portata nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove si conserva ancor oggi murata al primo piano della canonica in via Liberiana.
Un "corpo santo", venerato con il nome di santa Beatrice vergine e martire, è custodito nella chiesa di San Nicola dei Greci ad Altamura. La parte più significativa delle reliquie si trova però in Germania, nelle città di Fulda, Lauterbach, Amorbach e Hainzell[3][4]. Reliquie dei santi si trovano anche nelle chiese di San Nicola in Carcere a Monte Savello, in un santuario delle Marche e nella cappella di San Lorenzo all'Escorial di Madrid
La ricorrenza liturgica della santa e dei suoi fratelli si celebra nel giorno in cui furono uccisi Simplicio e Faustino, ovvero l’ante diem IV kalendæ augustæ, cioè il 29 luglio. La stessa data è ripresa dal Martirologio Romano:
« Sempre
a Roma nel cimitero di Generosa, santi Simplicio, Faustino, Viatrice e Rufo,
martiri. |
1. ^ Matthiae G.,Pittura romana del Medioevo
2. ^ Nouveau
dictionnaire des prénoms de Jean-Maurice Barbé, 1985, Ouest-France
Nominis, Sainternet.
3. ^ Via dei
Martiri su Arvalia Stori
tratto da
http://www.arvaliastoria.it/public/post/via-dei-martiri-297.asp
La tradizione agiografica,
attraverso una Passio
altomedievale, riporta la vicenda dei Martiri
Portuensi - i fratelli Simplicio, Faustino e Beatrice (in latino Simplicius, Faustinus e Viatrix)
-, la cui prima sepoltura avvenne lungo la Via Portuense (dice il De locis sanctis: «ii qui dormiunt iuxta viam Portuensem»)
nella cava di tufo.
Il racconto colloca l’arresto di
Simplicio e Faustino durante l’ultima grande e feroce persecuzione contro i
cristiani, nell’anno 303. Scrive Emilio Venditti: «I tempi di Diocleziano sono i più duri per i cristiani, accusati di
essere colpevoli di tutti i mali dell’Impero. E quindi, anche se pacifici
predicatori della non-violenza, considerati da eliminare drasticamente e con la
forza. In genere agli arresti seguiva un sommario processo, durante il quale il
cristiano che non avesse abiurato subiva la pena di morte». Succede che
Simplicio e Faustino rifiutano di spargere l’incenso di fronte alla statua
dell’Imperatore - gesto simbolico che li avrebbe scagionati da ogni accusa -,
opponendo il sovversivo messaggio dell’uguaglianza cristiana: «Non più schiavi, ma liberi e fratelli,
perché figli dello stesso Padre». I due vengono quindi torturati e
gettati a fiume: è il giorno ante diem
IV kalendæ augustæ, cioè il 29 luglio, che verrà assunto dalla Chiesa
come loro giorno di festa liturgica.
Non si conosce il luogo esatto del
loro sacrificio, se non attraverso un versetto che accenna a un ponte «lapideo»
(«per pontem qui vocatur lapideum»).
Per alcuni ponte lapideo
significa Ponte Lepido all’Isola Tiberina, ed il fiume è quindi il Tevere; per
altri invece il ponte lapideo è
un generico ponticello di pietra, e il corso d’acqua potrebbe essere il
torrente Affogalasino, affluente del Tevere. Peraltro una suggestiva memoria
del martirio trebbe essere contenuta proprio nel nome Affogalasino: asini era infatti lo spregiativo
epiteto che i pagani davano ai cristiani, e dar loro la morte per annegamento
era consuetudine.
Una volta gettate al fiume, le salme
dei due giovani martiri, sospinte dalla corrente, raggiungono l’Ansa della
Magliana, dove si arenano «in loco qui
appellatur Sextum Philippi», cioè sul possedimento di un tale Filippo al
VI miglio, all’interno dell’area sacra del Lucus dei Fratelli Arvali. Qui una terza sorella, Beatrice,
aiutata dai presbiteri Crispo e Giovanni, ne cura pietosamente la sepoltura,
sebbene in segreto e in gran fretta. Un testo, citato dall’archeologo Giovanni
Battista De Rossi, racconta quel momento: «Viatrice, con i preti Crispo e Giovanni / salita per la paurosa via
entro i sentieri del bosco / giunse tosto al vicino campicello della cristiana
Generosa / E quivi, entro spelonche arenarie / nascose alla meglio il Santo
deposito». Il testo contiene un paio di informazioni importanti. La
prima sono le spelonche arenarie: da essa colleghiamo il futuro cimitero cristiano
alla preesistente cava di tufo. La seconda è la prima apparizione del nome
Generosa, che non è un appellativo reale: la prassi ecclesiastica attribuisce
infatti, ai personaggi di cui non si conosce esplicitamente il nome, un nome di
fantasia che ne indica le virtù cristiane. Generosa è il semplice attributo
della coraggiosa matrona, disposta ad accogliere nel suo possedimento le
spoglie mortali dei pericolosi santi sovversivi, rischiando ovviamente la
propria vita.
Peraltro, anche il nome di Viatrix
(Beatrice) sembrerebbe un nome attributivo: da Viatrix, colei che
percorre la via, ad indicare il ruolo di pietosa curatrice del percorso
dal Tevere alla tomba, e ad evocare anche potenti significati cristiani.
Riportiamo le parole di Emilio Venditti: «Il nome vero della Santa era senza alcun dubbio Viatrice, la cui radice Via è chiaramente di origine cristiana - Cristo
è Via, Verità, Vita -. Viatrix,
femminile di Viator, colei o
colui che va, che è in cammino, non è forse anche la condizione di ogni uomo
nella vita terrena, quale passeggero in viaggio verso il suo fine ultimo che è
il ritorno a Dio? La ragione della trasformazione di Viatrice in Beatrice fu
dovuta molto verosimilmente ai tardi trascrittori degli atti dei Santi, i
quali, credendo bene di correggere un vecchio errore, corruppero invece il vero
nome».
Beatrice segue poco dopo il tragico
destino dei due fratelli. Arrestata e condotta di fronte al tiranno Lucrezio,
confessa fermamente la sua fede in Cristo, finendo anch’ella uccisa, in un luogo
imprecisato. Un’altra matrona, la nobile Lucina, provvede alla sua sepoltura
vicino ai fratelli, nella stessa cava della Magliana. Da quel momento il sito,
vuole la tradizione, cessa di essere utilizzato come cava, per diventare
esclusivo luogo di sepoltura di altri cristiani, e di venerazione delle spoglie
dei Martiri.
La dispersione delle
reliquie
Le spoglie dei Martiri rimarranno lì
fino al 682, anno della traslazione in Santa Bibiana all’Esquilino, accanto
alla quale il Papa fece costruire un piccolo Oratorio dedicato ai Santi
Martiri.
Da questa traslazione alla
dispersione delle reliquie il passo è breve, tanto è vero che, nella canonica
della Basilica di Santa Maria Maggiore, murata alla parete del primo piano,
esiste il coperchio, ormai vuoto, di un sarcofago risalente al VII secolo che
contenne i sacri corpi sul quale, con caratteri molto semplici, si legge la
seguente dedica:
MARTYRES SIMPLICIVS ET FAVSTINVS
QVI PASSI SVNT IN FLVMEN TIBERE
ET POSITI SVNT IN CIMITERIVM
GENEROSES SVPER FILIPPI
Loro reliquie si trovano anche nelle
chiese di San Nicola in Carcere a Monte Savello, in un santuario delle Marche e
nella Cappella di San Lorenzo all’Escorial di Madrid. La parte più
significativa delle reliquie si trova però in Germania, nelle città di Fulda,
Lauterbach, Amorbach e Hainzell.
Una breve appendice è utile a questo
punto, per dare notizie della memoria dei Santi Martiri quale attualmente viene
celebrata nella Chiesa di Roma e fuori dai confini di questa; è necessario
pertanto seguire l’ordine cronologico delle notizie che conosciamo. Come già
accennato in precedenza, gli atti del Liber Pontificalis narrano della
traslazione delle reliquie in Santa Bibiana ai tempi di Leone Il dove, in un
piccolo Oratorio dedicato a San Paolo, tenuto dalle monache Benedettine, si
continuò a celebrare il culto ai Santi che, per forza maggiore, era stato
interrotto alla Magliana. Ma, anche in questa sede, la sistemazione non fu
definitiva.
C’era nella Chiesa la norma che
stabiliva di deporre alcune reliquie di martiri incastonandole nella pietra di
ogni altare dove si officiava la Santa Messa. Si rese, pertanto, necessario ai
Vescovi di attingere presso tutti i reliquiari dei Martiri esistenti in Roma,
per fornire di reliquie il sempre crescente numero di altari che si
consacravano.
Fu questa la causa del quasi totale
frazionamento delle venerate spoglie dei Santi fratelli in piccole particole
che finirono in moltissime chiese di Roma, d’Italia ed anche all’estero.
Il fenomeno di questa dispersione
dei resti dei Santi Simplicio, Faustino e Beatrice, se da un lato portò alla
quasi disgregazione delle reliquie, dall’altra, in compenso, allargò enorme
mente la notorietà ed il culto dei Martiri a tutta la Chiesa, arricchendo di
profondi valori spirituali le comunità toccate dal contatto con questi sacri
avanzi.
L’Arca di Santa Maria
Maggiore
Si aggiunse, attorno alla metà del
1600, un fatto che cambiò la storia della venerata tomba conservata in Santa
Bibiana.
Il Pontefice Urbano VIII Barberini
decise di restaurare questa antichissima chiesa, ormai fatiscente, e di
affidarne l’incarico a Gianlorenzo Bernini. Questo grande artista che lavorò
per oltre 30 anni a completare ed abbellire la Basilica di San Pietro e che
affermava esplicitamente di voler lavorare unicamente per opere grandiose,
decise di abbattere l’antico Oratorio dei Santi Martiri, per cui l’arca
marmorea che vi si conservava fin dal VII secolo fu portata nella basilica di
S. Maria Maggiore, dove si può ancor oggi vedere murata al primo piano della
canonica in via Liberiana.
Questo documento marmoreo (riferito
alo frontone con l’epigrafe “stino Viatrici”) conferma dunque che il complesso
cimiteriale dell’Oratorio e delle Catacombe sono effettivamente il luogo
storico della primitiva sepoltura dei Martiri Portuensi. Conclude Venditti: “La
soluzione del rebus, ricercata da secoli, era stata finalmente trovata. Questo
cimitero è effettivamente il «Coemeterium Generoses super Filippi» vanamente
cercato per secoli sulla riva destra del Tevere seguendo l’incerta traccia
della dedica che copriva l’antico sarcofago”.
L’Arca di San Nicola in
carcere
Le notizie sul frazionamento di
queste reliquie datano, comunque, da tempi molto più remoti, anche se la
tradizione che ci è tramandata dal Medio Evo è abbastanza complessa e confusa.
A Roma su molti altari furono
depositate piccole particelle delle sacre ossa, mentre la parte più consistente
delle reliquie è attualmente conservata nella chiesa di S. Nicola in Carcere a
Monte Savello.
Sotto l’altare maggiore di questa
piccola e graziosa chiesina, costruita sui resti del «carcere tulliano» al Foro
Olitorio, proprio accanto al Teatro di Marcello, in un prezioso sarcofago di
porfido si conservano i resti mortali dei nostri Santi, raffigurati in un
dipinto all’interno dell’arco absidale, dominato dall’affresco riproducente il
Concilio di Nicèa.
I reliquiari delle Marche
Parte dei resti di S. Simplicio,
sono ripartiti in altri reliquiari fuori Roma, in special modo nelle Marche.
Le reliquie dell’Escorial
Non soltanto a Roma ed in Italia si
sparsero comunque queste venerate reliquie, ma anche all’estero, con risvolti
di grande interesse storico-civile, oltreché religioso.
I Santi fratelli sono noti da molti
secoli in Spagna; sappiamo che, fin dal 1483, Innocenzo VIII, famoso alla
Magliana per aver fatto costruire la prima ala della villa papale per gli usi
di caccia, ancora esistente, fece dono a Milano di alcune reliquie alla
imperatrice Anna d’Austria, madre di Carlo V, che le depose in seguito nella
Cappella dedicata a San Lorenzo, presso l’Escuriàl, il palazzo reale di Madrid.
La scelta di questo, che è forse il più prestigioso palazzo della intera
Spagna, completamente costruito in granito ed arricchito di preziose
decorazioni di grandi pittori italiani quali il Tintoretto, il Tiziano ed il
Veronese, dimostrano quanto riguardo e venerazione si ebbe per i Santi romani
del Cimitero di Generosa.
Le reliquie a Fulda
Altre reliquie finirono in Germania
dove il culto che vi si instaurò, arrivò ad incarnarsi nella vita stessa della
regione dell’Assia.
I martiri delle catacombe della
Magliana divennero, infatti, i compatroni della nobile città di Fulda, già
capoluogo e splendido insieme barocco, carico di storia e ricco di millenari
monumenti, testimonianti la anti chissima fede cristiana del popolo tedesco.
La tradizione parla dell’arrivo di
alcune reliquie dei Santi Martiri in questa città portate nell’VIII secolo, in
seguito all’arrivo di San Bonifacio, evangelizzatore della Germania e
proclamato, poi, patrono di questa grande nazione. La leggenda narra che,
all’arrivo dei venerati resti, dono del Papa ad una comunità di monaci
Benedettini che avevano qui il loro monastero, l’omonimo fiume Fulda, che
scorre in questa regione e che all’epoca non aveva ponti, arrestò improvvisamente
il suo flusso e, aprendosi, come il mar Rosso si dischiuse dinnanzi a Mosé,
permise l’attraversamento a piedi dell’alveo del fiume ai latori del prezioso
dono, evitando a questi di bagnarsi perfino i calzari.
Attraverso i secoli si hanno
ininterrotte notizie di culto per i nostri Santi, oltre che a Fulda, anche
nelle altre città di Lauterbach, Amorbach e nel paesino di Hainzell a 15
chilometri da Fulda dove, attualmente, le reliquie sono conservate nella chiesa
parrocchiale dedicata appunto ai Santi Simplicio, Faustino e Beatrice.
Singolarissima è l’impronta lasciata
da questi Santi nel tessuto stesso della storia, oltreché religiosa, anche
civile di questa regione, tanto che, ad esempio, per molti secoli i sigilli
dello Stato, della Magistratura e degli Uffici pubblici riportavano tre gigli,
nei quali la tradizione popo lare vedeva il simbolo dei tre Martiri romani.
Nell’interessante studio del tedesco Ludwig Weth dal titolo: «I Santi Simplicio
Faustino e Beatrice e loro importanza per l’Abbazia ed il territorio di Fulda»,
si elencano moltissime monete coniate a Fulda ed in altri centri dell’Assia,
alcune delle quali risalenti fin dall’anno 1019, con sovraimpressi i tre gigli.
Alcune città come Lauterbach, Geisa, Hammelburg e soprattutto Fulda, notevoli per
la loro storia e per la loro bellezza, riportano tutt’ora sullo stemma
cittadino (Stadtwappen), uniti ad altri elementi, i tre gigli. Lo stemma di
Fulda, ad esempio, diviso in due campi, unisce ai gigli la croce, simbolo
cristiano per eccellenza ed emblema della celebre Abbazia Benedettina di Fulda.
Interessanti contatti hanno
ravvivato di recente il messaggio di fede trasmessoci da quegli antichi
autentici testimoni del credo cristiano; tra le comunità di Magliana e di Fulda
sono state allacciate iniziative culturali e religiose che, unite a scambi di
visite, non mancheranno di dare frutti copiosi di fraternità, fioriti dalla
comune radice ideale che è quella del culto degli eroici martiri romani.
Il 29 luglio 1999 si è tenuta una
solenne celebrazione, la quale ha aperto un intero anno di festeggiamenti
dedicati ai Santi Martiri, alla presenza di monsignor Ludwig Schick, vescovo di
Fulda.
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