domenica 29 luglio 2018

29 luglio santi italici ed italo greci

 


Santa Serafina Vergine e Martire di Antiochia

 Tratto da: https://www.johnsanidopoulos.com/2011/12/saint-seraphima-virgin-martyr-of.html
Traduzione a cura di Giovanni Fumusa.



La Santa Vergine e Martire Serafina, nativa di Antiochia, visse a Roma durante il regno dell’Imperatore Adriano (117-138) con l’illustre patrizia romana Sabina, convertita al Cristianesimo. Durante la persecuzione contro i cristiani iniziata per ordine dell’imperatore, il governatore Berillo ordinò che Santa Serafina fosse portata a giudizio. Desiderosa di ricevere la corona del martirio dal Signore, alla prima citazione, si diresse senza timore verso il boia. L’accompagnava la devota Sabina. Notando la donna illustre, Berillo inizialmente lasciò libera la giovane, ma qualche giorno dopo riconvocò Santa Serafina e il processo ebbe inizio.
Il governatore invitò la santa ad onorare gli dei pagani e ad offrire loro sacrifici, ma confessò coraggiosamente la sua vede nell’Unico Vero Dio – Gesù Cristo. Quindi Berillo la consegnò a due giovani spudorati affinché la deflorassero. La santa martire supplicò il Signore di difenderla. Improvvisamente vi fu un terremoto ed I due giovani caddero paralizzati al suolo. Il giorno successivo, il governatore apprese che il suo piano era fallito. Pensando che la santa fosse esperta nella magia, Berillo la implorò di far tornare i due giovani in salute e di ridare loro il dono della parola, affinché potessero essi stessi raccontare il miracolo. La Santa, pregando il Signore, ordinò ai giovani di alzarsi ed essi immediatamente si alzarono e raccontarono al giudice che un Angelo del Signore aveva protetto la santa, impedendo loro di avvicinarsi a lei. Il feroce governatore non credette ai suoi servi e continuò ad insistere su Santa Serafina, affinché offrisse sacrifici agli idoli. Ma la santa martire rimase irremovibile, anche mentre la bruciavano con candele accese e la percuotevano spietatamente con delle canne. Una severa punizione colpì il crudele governatore: delle schegge dai bastoni con cui veniva picchiata la santa, lo colpirono negli occhi e, dopo tre giorni, il tormentatore divenne cieco. Impotente di fronte all’irremovibile cristiana, il giudice ordinò che venisse decapitata. Sabina, con riverenza, seppellì il corpo della sua santa maestra.


 
Santi Lucilla, Flora, Eugenio e compagni Martiri a Roma verso il 262

Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/65000
Il Martirologio Romano li ricorda il 29 luglio e attesta che perirono a Roma al tempo dell'imperatore Gallieno. La passio, scritta probabilmente nel sec. IX, non è altro che un plagio di quella dei santi Luceia e Auceia con qualche insignificante variazione. Con molta verosimiglianza essa fu composta nel monastero di S. Fiora sul monte Amiata, perché, in appendice, si racconta che i loro corpi, seppelliti dapprima in un suburbio di Ostia, al tempo del papa Benedetto III sarebbero stati trasferiti ad Arezzo; durante il viaggio però la giumenta che li trainava si fermò sul monte Titano, a due miglia da Arezzo ed ivi sorsero una basilica ed un monastero che, insieme col paesetto vicino, presero il nome di S. Fiora.
Da quel luogo il culto dei nostri santi si diffuse non soltanto in Italia, ma anche in Germania, Svizzera, Francia e Spagna, dove parecchie città dicono di possederne alcune reliquie.

Un’antica tradizione narra che Flora e Lucilla erano sorelle, cittadine romane, vissute nel terzo secolo. Si distinsero a Roma per fede, amore alla castità e disprezzo del mondo. Un giorno, ad Ostia, furono rapite da un africano di nome Eugenio che in seguito, commosso dal loro esempio, si convertì. Quando l’imperatore Gallieno pubblicò l’editto di condana dei cristiani, Flora e Lucilla diedero prova di straordinario coraggio, sacrificando per Cristo la propria vita. Era circa l’anno 260. La tradizione aggiunge che nel secolo IX le loro reliquie vennero portate ad Arezzo, nel monastero benedettino che sorgeva nei pressi dell’Olmo. Nel 1196 i monaci dovettero lasciare il colle della Torrita (che ancora si chiama S. Flora). Costruirono il monastero ad Arezzo, portando in badia le preziose reliquie, oggi custodite nell’altare dedicato a s. Rita. La festa locale di Flora e Lucilla è fissata al 29 luglio.


Santi Simplicio, Faustino, Viatrice e Rufo Martiri a Roma sotto Diocleziano  nel 302
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Viatrice_di_Roma
 Durante le persecuzioni di Diocleziano, Viatrice (in latino Viatrix) recuperò nell'ansa del Tevere “iuxta locum qui appellatur sextus Philippi” i corpi dei fratelli Simplicio e Faustino, che avevano sofferto il martirio e che erano stati gettati nel fiume Tevere all'altezza dell'isola Tiberina. Viatrice diede sepoltura dei fratelli in quel luogo (ora catacombe di Generosa) aiutata dai presbiteri Crispo e Giovanni, ma fu denunciata per la sua fede cristiana da un parente di nome Lucrezio, che aspirava alla sua eredità. Pertanto, fu imprigionata e nonostante le minacce dei giudici, perseverò nella sua fede. Fu condannata a morte e morì a Roma tra il 303 e 304[2]
Viatrice in seguito fu deposta accanto ai suoi fratelli da una pia matrona romana e cristiana, Lucina che, dopo aver preso i corpi dei martiri, decise di dar loro sepoltura in sua cava di pozzolana, trasformandola così in un cimitero cristiano. La catacomba detta "di Generosa" sorgeva al VI miglio della via Campana/Portuense, per questo i santi furono detti Martiri Portuensi.
Le reliquie della santa e dei fratelli Simplicio e Faustino furono traslate nel piccolo Oratorio dedicato a San Paolo della chiesa di Santa Bibiana all'Esquilino intorno al 682 da Papa Leone II. Il Papa Urbano VIII fece restaurare questa antichissima chiesa: l'opera fu affidata a Gianlorenzo Bernini che decise di abbattere l'antico Oratorio per cui l'arca marmorea del VII secolo fu portata nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove si conserva ancor oggi murata al primo piano della canonica in via Liberiana.
Un "corpo santo", venerato con il nome di santa Beatrice vergine e martire, è custodito nella chiesa di San Nicola dei Greci ad Altamura. La parte più significativa delle reliquie si trova però in Germania, nelle città di Fulda, Lauterbach, Amorbach e Hainzell[3][4]. Reliquie dei santi si trovano anche nelle chiese di San Nicola in Carcere a Monte Savello, in un santuario delle Marche e nella cappella di San Lorenzo all'Escorial di Madrid
La ricorrenza liturgica della santa e dei suoi fratelli si celebra nel giorno in cui furono uccisi Simplicio e Faustino, ovvero l’ante diem IV kalendæ augustæ, cioè il 29 luglio. La stessa data è ripresa dal Martirologio Romano:
« Sempre a Roma nel cimitero di Generosa, santi Simplicio, Faustino, Viatrice e Rufo, martiri.
1.       ^ Matthiae G.,Pittura romana del Medioevo
2.       ^ Nouveau dictionnaire des prénoms de Jean-Maurice Barbé, 1985, Ouest-France Nominis, Sainternet.
3.       ^ Via dei Martiri su Arvalia Stori
4.       ^ [1] su Comitato Catacombe di Generosa





tratto  da
http://www.arvaliastoria.it/public/post/via-dei-martiri-297.asp
La tradizione agiografica, attraverso una Passio altomedievale, riporta la vicenda dei Martiri Portuensi - i fratelli Simplicio, Faustino e Beatrice (in latino Simplicius, Faustinus e Viatrix) -, la cui prima sepoltura avvenne lungo la Via Portuense (dice il De locis sanctis: «ii qui dormiunt iuxta viam Portuensem») nella cava di tufo.
Il racconto colloca l’arresto di Simplicio e Faustino durante l’ultima grande e feroce persecuzione contro i cristiani, nell’anno 303. Scrive Emilio Venditti: «I tempi di Diocleziano sono i più duri per i cristiani, accusati di essere colpevoli di tutti i mali dell’Impero. E quindi, anche se pacifici predicatori della non-violenza, considerati da eliminare drasticamente e con la forza. In genere agli arresti seguiva un sommario processo, durante il quale il cristiano che non avesse abiurato subiva la pena di morte». Succede che Simplicio e Faustino rifiutano di spargere l’incenso di fronte alla statua dell’Imperatore - gesto simbolico che li avrebbe scagionati da ogni accusa -, opponendo il sovversivo messaggio dell’uguaglianza cristiana: «Non più schiavi, ma liberi e fratelli, perché figli dello stesso Padre». I due vengono quindi torturati e gettati a fiume: è il giorno ante diem IV kalendæ augustæ, cioè il 29 luglio, che verrà assunto dalla Chiesa come loro giorno di festa liturgica.
Non si conosce il luogo esatto del loro sacrificio, se non attraverso un versetto che accenna a un ponte «lapideo» («per pontem qui vocatur lapideum»). Per alcuni ponte lapideo significa Ponte Lepido all’Isola Tiberina, ed il fiume è quindi il Tevere; per altri invece il ponte lapideo è un generico ponticello di pietra, e il corso d’acqua potrebbe essere il torrente Affogalasino, affluente del Tevere. Peraltro una suggestiva memoria del martirio trebbe essere contenuta proprio nel nome Affogalasino: asini era infatti lo spregiativo epiteto che i pagani davano ai cristiani, e dar loro la morte per annegamento era consuetudine.
Una volta gettate al fiume, le salme dei due giovani martiri, sospinte dalla corrente, raggiungono l’Ansa della Magliana, dove si arenano «in loco qui appellatur Sextum Philippi», cioè sul possedimento di un tale Filippo al VI miglio, all’interno dell’area sacra del Lucus dei Fratelli Arvali. Qui una terza sorella, Beatrice, aiutata dai presbiteri Crispo e Giovanni, ne cura pietosamente la sepoltura, sebbene in segreto e in gran fretta. Un testo, citato dall’archeologo Giovanni Battista De Rossi, racconta quel momento: «Viatrice, con i preti Crispo e Giovanni / salita per la paurosa via entro i sentieri del bosco / giunse tosto al vicino campicello della cristiana Generosa / E quivi, entro spelonche arenarie / nascose alla meglio il Santo deposito». Il testo contiene un paio di informazioni importanti. La prima sono le spelonche arenarie: da essa colleghiamo il futuro cimitero cristiano alla preesistente cava di tufo. La seconda è la prima apparizione del nome Generosa, che non è un appellativo reale: la prassi ecclesiastica attribuisce infatti, ai personaggi di cui non si conosce esplicitamente il nome, un nome di fantasia che ne indica le virtù cristiane. Generosa è il semplice attributo della coraggiosa matrona, disposta ad accogliere nel suo possedimento le spoglie mortali dei pericolosi santi sovversivi, rischiando ovviamente la propria vita.
Peraltro, anche il nome di Viatrix (Beatrice) sembrerebbe un nome attributivo: da Viatrix, colei che percorre la via, ad indicare il ruolo di pietosa curatrice del percorso dal Tevere alla tomba, e ad evocare anche potenti significati cristiani. Riportiamo le parole di Emilio Venditti: «Il nome vero della Santa era senza alcun dubbio Viatrice, la cui radice Via è chiaramente di origine cristiana - Cristo è Via, Verità, Vita -. Viatrix, femminile di Viator, colei o colui che va, che è in cammino, non è forse anche la condizione di ogni uomo nella vita terrena, quale passeggero in viaggio verso il suo fine ultimo che è il ritorno a Dio? La ragione della trasformazione di Viatrice in Beatrice fu dovuta molto verosimilmente ai tardi trascrittori degli atti dei Santi, i quali, credendo bene di correggere un vecchio errore, corruppero invece il vero nome».
Beatrice segue poco dopo il tragico destino dei due fratelli. Arrestata e condotta di fronte al tiranno Lucrezio, confessa fermamente la sua fede in Cristo, finendo anch’ella uccisa, in un luogo imprecisato. Un’altra matrona, la nobile Lucina, provvede alla sua sepoltura vicino ai fratelli, nella stessa cava della Magliana. Da quel momento il sito, vuole la tradizione, cessa di essere utilizzato come cava, per diventare esclusivo luogo di sepoltura di altri cristiani, e di venerazione delle spoglie dei Martiri.

La dispersione delle reliquie
Le spoglie dei Martiri rimarranno lì fino al 682, anno della traslazione in Santa Bibiana all’Esquilino, accanto alla quale il Papa fece costruire un piccolo Oratorio dedicato ai Santi Martiri.
Da questa traslazione alla dispersione delle reliquie il passo è breve, tanto è vero che, nella canonica della Basilica di Santa Maria Maggiore, murata alla parete del primo piano, esiste il coperchio, ormai vuoto, di un sarcofago risalente al VII secolo che contenne i sacri corpi sul quale, con caratteri molto semplici, si legge la seguente dedica:
MARTYRES SIMPLICIVS ET FAVSTINVS
QVI PASSI SVNT IN FLVMEN TIBERE
ET POSITI SVNT IN CIMITERIVM
GENEROSES SVPER FILIPPI
Loro reliquie si trovano anche nelle chiese di San Nicola in Carcere a Monte Savello, in un santuario delle Marche e nella Cappella di San Lorenzo all’Escorial di Madrid. La parte più significativa delle reliquie si trova però in Germania, nelle città di Fulda, Lauterbach, Amorbach e Hainzell.
Una breve appendice è utile a questo punto, per dare notizie della memoria dei Santi Martiri quale attualmente viene celebrata nella Chiesa di Roma e fuori dai confini di questa; è necessario pertanto seguire l’ordine cronologico delle notizie che conosciamo. Come già accennato in precedenza, gli atti del Liber Pontificalis narrano della traslazione delle reliquie in Santa Bibiana ai tempi di Leone Il dove, in un piccolo Oratorio dedicato a San Paolo, tenuto dalle monache Benedettine, si continuò a celebrare il culto ai Santi che, per forza maggiore, era stato interrotto alla Magliana. Ma, anche in questa sede, la sistemazione non fu definitiva.
C’era nella Chiesa la norma che stabiliva di deporre alcune reliquie di martiri incastonandole nella pietra di ogni altare dove si officiava la Santa Messa. Si rese, pertanto, necessario ai Vescovi di attingere presso tutti i reliquiari dei Martiri esistenti in Roma, per fornire di reliquie il sempre crescente numero di altari che si consacravano.
Fu questa la causa del quasi totale frazionamento delle venerate spoglie dei Santi fratelli in piccole particole che finirono in moltissime chiese di Roma, d’Italia ed anche all’estero.
Il fenomeno di questa dispersione dei resti dei Santi Simplicio, Faustino e Beatrice, se da un lato portò alla quasi disgregazione delle reliquie, dall’altra, in compenso, allargò enorme mente la notorietà ed il culto dei Martiri a tutta la Chiesa, arricchendo di profondi valori spirituali le comunità toccate dal contatto con questi sacri avanzi.

L’Arca di Santa Maria Maggiore
Si aggiunse, attorno alla metà del 1600, un fatto che cambiò la storia della venerata tomba conservata in Santa Bibiana.
Il Pontefice Urbano VIII Barberini decise di restaurare questa antichissima chiesa, ormai fatiscente, e di affidarne l’incarico a Gianlorenzo Bernini. Questo grande artista che lavorò per oltre 30 anni a completare ed abbellire la Basilica di San Pietro e che affermava esplicitamente di voler lavorare unicamente per opere grandiose, decise di abbattere l’antico Oratorio dei Santi Martiri, per cui l’arca marmorea che vi si conservava fin dal VII secolo fu portata nella basilica di S. Maria Maggiore, dove si può ancor oggi vedere murata al primo piano della canonica in via Liberiana.
Questo documento marmoreo (riferito alo frontone con l’epigrafe “stino Viatrici”) conferma dunque che il complesso cimiteriale dell’Oratorio e delle Catacombe sono effettivamente il luogo storico della primitiva sepoltura dei Martiri Portuensi. Conclude Venditti: “La soluzione del rebus, ricercata da secoli, era stata finalmente trovata. Questo cimitero è effettivamente il «Coemeterium Generoses super Filippi» vanamente cercato per secoli sulla riva destra del Tevere seguendo l’incerta traccia della dedica che copriva l’antico sarcofago”.

L’Arca di San Nicola in carcere
Le notizie sul frazionamento di queste reliquie datano, comunque, da tempi molto più remoti, anche se la tradizione che ci è tramandata dal Medio Evo è abbastanza complessa e confusa.
A Roma su molti altari furono depositate piccole particelle delle sacre ossa, mentre la parte più consistente delle reliquie è attualmente conservata nella chiesa di S. Nicola in Carcere a Monte Savello.
Sotto l’altare maggiore di questa piccola e graziosa chiesina, costruita sui resti del «carcere tulliano» al Foro Olitorio, proprio accanto al Teatro di Marcello, in un prezioso sarcofago di porfido si conservano i resti mortali dei nostri Santi, raffigurati in un dipinto all’interno dell’arco absidale, dominato dall’affresco riproducente il Concilio di Nicèa.

I reliquiari delle Marche
Parte dei resti di S. Simplicio, sono ripartiti in altri reliquiari fuori Roma, in special modo nelle Marche.

Le reliquie dell’Escorial
Non soltanto a Roma ed in Italia si sparsero comunque queste venerate reliquie, ma anche all’estero, con risvolti di grande interesse storico-civile, oltreché religioso.
I Santi fratelli sono noti da molti secoli in Spagna; sappiamo che, fin dal 1483, Innocenzo VIII, famoso alla Magliana per aver fatto costruire la prima ala della villa papale per gli usi di caccia, ancora esistente, fece dono a Milano di alcune reliquie alla imperatrice Anna d’Austria, madre di Carlo V, che le depose in seguito nella Cappella dedicata a San Lorenzo, presso l’Escuriàl, il palazzo reale di Madrid. La scelta di questo, che è forse il più prestigioso palazzo della intera Spagna, completamente costruito in granito ed arricchito di preziose decorazioni di grandi pittori italiani quali il Tintoretto, il Tiziano ed il Veronese, dimostrano quanto riguardo e venerazione si ebbe per i Santi romani del Cimitero di Generosa.

Le reliquie a Fulda
Altre reliquie finirono in Germania dove il culto che vi si instaurò, arrivò ad incarnarsi nella vita stessa della regione dell’Assia.
I martiri delle catacombe della Magliana divennero, infatti, i compatroni della nobile città di Fulda, già capoluogo e splendido insieme barocco, carico di storia e ricco di millenari monumenti, testimonianti la anti chissima fede cristiana del popolo tedesco.
La tradizione parla dell’arrivo di alcune reliquie dei Santi Martiri in questa città portate nell’VIII secolo, in seguito all’arrivo di San Bonifacio, evangelizzatore della Germania e proclamato, poi, patrono di questa grande nazione. La leggenda narra che, all’arrivo dei venerati resti, dono del Papa ad una comunità di monaci Benedettini che avevano qui il loro monastero, l’omonimo fiume Fulda, che scorre in questa regione e che all’epoca non aveva ponti, arrestò improvvisamente il suo flusso e, aprendosi, come il mar Rosso si dischiuse dinnanzi a Mosé, permise l’attraversamento a piedi dell’alveo del fiume ai latori del prezioso dono, evitando a questi di bagnarsi perfino i calzari.
Attraverso i secoli si hanno ininterrotte notizie di culto per i nostri Santi, oltre che a Fulda, anche nelle altre città di Lauterbach, Amorbach e nel paesino di Hainzell a 15 chilometri da Fulda dove, attualmente, le reliquie sono conservate nella chiesa parrocchiale dedicata appunto ai Santi Simplicio, Faustino e Beatrice.
Singolarissima è l’impronta lasciata da questi Santi nel tessuto stesso della storia, oltreché religiosa, anche civile di questa regione, tanto che, ad esempio, per molti secoli i sigilli dello Stato, della Magistratura e degli Uffici pubblici riportavano tre gigli, nei quali la tradizione popo lare vedeva il simbolo dei tre Martiri romani. Nell’interessante studio del tedesco Ludwig Weth dal titolo: «I Santi Simplicio Faustino e Beatrice e loro importanza per l’Abbazia ed il territorio di Fulda», si elencano moltissime monete coniate a Fulda ed in altri centri dell’Assia, alcune delle quali risalenti fin dall’anno 1019, con sovraimpressi i tre gigli. Alcune città come Lauterbach, Geisa, Hammelburg e soprattutto Fulda, notevoli per la loro storia e per la loro bellezza, riportano tutt’ora sullo stemma cittadino (Stadtwappen), uniti ad altri elementi, i tre gigli. Lo stemma di Fulda, ad esempio, diviso in due campi, unisce ai gigli la croce, simbolo cristiano per eccellenza ed emblema della celebre Abbazia Benedettina di Fulda.
Interessanti contatti hanno ravvivato di recente il messaggio di fede trasmessoci da quegli antichi autentici testimoni del credo cristiano; tra le comunità di Magliana e di Fulda sono state allacciate iniziative culturali e religiose che, unite a scambi di visite, non mancheranno di dare frutti copiosi di fraternità, fioriti dalla comune radice ideale che è quella del culto degli eroici martiri romani.
Il 29 luglio 1999 si è tenuta una solenne celebrazione, la quale ha aperto un intero anno di festeggiamenti dedicati ai Santi Martiri, alla presenza di monsignor Ludwig Schick, vescovo di Fulda.





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