giovedì 19 luglio 2018

19 Luglio Santi Italici ed Italo greci


Santo Felice Vescovo di Verona
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/63550

Occupa il diciassettesimo posto nella serie dei vescovi veronesi quale ci è fornita dall'autorevolissimo Velo di Classe. Tale nome si trova anche in una iscrizione (sec. XI o XII) dell'antica pieve di S. Stefano in Verona insieme con il nome di altri presuli veronesi, autentici o no; le sue reliquie riposerebbero nella stessa chiesa. L'Ordo veronese del sec. XI, detto Carpsum, nel calendario porta: "Iulius a IIII Natalis sancti Felicis confessoris" cui da mano del sec. XIII fu aggiunto il predicato et martiris. Molto probabilmente si volle identificare il vescovo con un omonimo martire veronese quale ci è riferito dal Martirologio Geronimiano al 2 agosto.
La tradizione locale pone l'episcopato di s. Felice contemporaneamente al dominio ostrogoto in Italia e precisamente quando Teodorico amava soggiornare lungamente a Verona di cui aveva fatto la sua residenza preferita tanto da essere chiamato, nelle saghe germaniche, Teodorico di Verona (Dietrich von Bern).
Una chiesa sui colli della città sarebbe stata dedicata a s. Felice, ed il nome rimase al castello fortificato in seguito costruito, anche dopo la distruzione della chiesa stessa (1407).
Il nome di Felice è nel Martirologio Romano al 19 luglio.

Autperto
Santo Ambrogio Autperto di nazionalità francese ed igumeno in località monastica San Vincenzo al Volturno nel territorio di Benevento (verso il 778)

Tratto da
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20090422.html

 Oggi vorrei parlare di Ambrogio Autperto, un autore piuttosto sconosciuto: le sue opere infatti erano state attribuite in gran parte ad altri personaggi più noti, da sant’Ambrogio di Milano a sant’Ildefonso, senza parlare di quelle che i monaci di Montecassino hanno ritenuto di dover rivendicare alla penna di un loro abate omonimo, vissuto quasi un secolo più tardi. A prescindere da qualche breve cenno autobiografico inserito nel suo grande commento all’Apocalisse, abbiamo poche notizie certe sulla sua vita. L’attenta lettura delle opere di cui via via la critica gli riconosce la paternità consente però di scoprire nel suo insegnamento un tesoro teologico e spirituale prezioso anche per i nostri tempi.
Nato in Provenza, da distinta famiglia, Ambrogio Autperto – secondo il suo tardivo biografo Giovanni – fu alla corte del re franco Pipino il Breve ove, oltre all’incarico di ufficiale, svolse in qualche modo anche quello di precettore del futuro imperatore Carlo Magno. Probabilmente al seguito di Papa Stefano II, che nel 753-54 si era recato alla corte franca, Autperto venne in Italia ed ebbe modo di visitare la famosa abbazia benedettina di san Vincenzo, alle sorgenti del Volturno, nel ducato di Benevento. Fondata all’inizio di quel secolo dai tre fratelli beneventani Paldone, Tatone e Tasone, l’abbazia era conosciuta come oasi di cultura classica e cristiana. Poco dopo la sua visita, Ambrogio Autperto decise di abbracciare la vita religiosa ed entrò in quel monastero, dove poté formarsi in modo adeguato, soprattutto nel campo della teologia e della spiritualità, secondo la tradizione dei Padri. Intorno all’anno 761 venne ordinato sacerdote e il 4 ottobre del 777 fu eletto abate col sostegno dei monaci franchi, mentre gli erano contrari quelli longobardi, favorevoli al longobardo Potone. La tensione a sfondo nazionalistico non si acquietò nei mesi successivi, con la conseguenza che Autperto l’anno dopo, nel 778, pensò di dare le dimissioni e di riparare con alcuni monaci franchi a Spoleto, dove poteva contare sulla protezione di Carlo Magno. Con ciò, tuttavia, il dissidio nel monastero di S. Vincenzo non venne appianato, e qualche anno dopo, quando alla morte dell’abate succeduto ad Autperto fu eletto proprio Potone (a. 782), il contrasto tornò a divampare e si giunse alla denuncia del nuovo abate presso Carlo Magno. Questi rinviò i contendenti al tribunale del Pontefice, il quale li convocò a Roma. Chiamò anche come testimone Autperto che, però, durante il viaggio morì improvvisamente, forse ucciso, il 30 gennaio 784.
Ambrogio Autperto fu monaco ed abate in un’epoca segnata da forti tensioni politiche, che si ripercuotevano anche sulla vita all’interno dei monasteri. Di ciò abbiamo echi frequenti e preoccupati nei suoi scritti. Egli denuncia, ad esempio, la contraddizione tra la splendida apparenza esterna dei monasteri e la tiepidezza dei monaci: sicuramente con questa critica aveva di mira anche la sua stessa abbazia. Per essa scrisse la Vita dei tre fondatori con la chiara intenzione di offrire alla nuova generazione di monaci un termine di riferimento con cui confrontarsi. Uno scopo simile perseguiva anche il piccolo trattato ascetico Conflictus vitiorum et virtutum (“Conflitto tra i vizi e le virtù”), che ebbe grande successo nel Medioevo e fu pubblicato nel 1473 a Utrecht sotto il nome di Gregorio Magno e un anno dopo a Strasburgo sotto quello di sant’Agostino. In esso Ambrogio Autperto intende ammaestrare i monaci in modo concreto sul come affrontare il combattimento spirituale giorno per giorno. In modo significativo egli applica l’affermazione di 2 Tim 3,12: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” non più alla persecuzione esterna, ma all’assalto che il cristiano deve affrontare dentro di sé da parte delle forze del male. Vengono presentate in una specie di disputa 24 coppie di combattenti: ogni vizio cerca di adescare l’anima con sottili ragionamenti, mentre la rispettiva virtù ribatte tali insinuazioni servendosi preferibilmente di parole della Scrittura.
In questo trattato sul conflitto tra vizi e virtù, Autperto contrappone alla cupiditas (la cupidigia) il contemptus mundi (il disprezzo del mondo), che diventa una figura importante nella spiritualità dei monaci. Questo disprezzo del mondo non è un disprezzo del creato, della bellezza e della bontà della creazione e del Creatore, ma un disprezzo della falsa visione del mondo presentataci e insinuataci proprio dalla cupidigia. Essa ci insinua che “avere” sarebbe il sommo valore del nostro essere, del nostro vivere nel mondo apparendo come importanti. E così falsifica la creazione del mondo e distrugge il mondo. Autperto osserva poi che l’avidità di guadagno dei ricchi e dei potenti nella società del suo tempo esiste anche nell’interno delle anime dei monaci e scrive perciò un trattato intitolato De cupiditate, in cui, con l’apostolo Paolo, denuncia fin dall’inizio la cupidigia come la radice di tutti i mali. Scrive: “Dal suolo della terra diverse spine acute spuntano da varie radici; nel cuore dell’uomo, invece, le punture di tutti i vizi provengono da un’unica radice, la cupidigia” (De cupiditate 1: CCCM 27B, p. 963). Rilievo, questo, che alla luce della presente crisi economica mondiale, rivela tutta la sua attualità. Vediamo che proprio da questa radice della cupidigia tale crisi è nata. Ambrogio immagina l’obiezione che i ricchi e i potenti potrebbero sollevare dicendo: ma noi non siamo monaci, per noi certe esigenze ascetiche non valgono. E lui risponde: “È vero ciò che dite, ma anche per voi, nella maniera del vostro ceto e secondo la misura delle vostre forze, vale la via ripida e stretta, perché il Signore ha proposto solo due porte e due vie (cioè la porta stretta e quella larga, la via ripida e quella comoda); non ha indicato una terza porta ed una terza via” (l. c., p. 978). Egli vede chiaramente che i modi di vivere sono molto diversi. Ma anche per l’uomo in questo mondo, anche per il ricco vale il dovere di combattere contro la cupidigia, contro la voglia di possedere, di apparire, contro il concetto falso di libertà come facoltà di disporre di tutto secondo il proprio arbitrio. Anche il ricco deve trovare l’autentica strada della verità, dell’amore e così della retta vita. Quindi Autperto, da prudente pastore d’anime, sa poi dire, alla fine della sua predica penitenziale, una parola di conforto: “Ho parlato non contro gli avidi, ma contro l’avidità, non contro la natura, ma contro il vizio” (l. c., p. 981).
L’opera più importante di Ambrogio Autperto è sicuramente il suo commento in dieci libri all’Apocalisse: esso costituisce, dopo secoli, il primo commento ampio nel mondo latino all’ultimo libro della Sacra Scrittura. Quest’opera era frutto di un lavoro pluriennale, svoltosi in due tappe tra il 758 ed il 767, quindi prima della sua elezione ad abate. Nella premessa, egli indica con precisione le sue fonti, cosa assolutamente non normale nel Medioevo. Attraverso la sua fonte forse più significativa, il commento del Vescovo Primasio Adrumetano, redatto intorno alla metà del VI secolo, Autperto entra in contatto con l’interpretazione che dell’Apocalisse aveva lasciato l’africano Ticonio, che era vissuto una generazione prima di sant’Agostino. Non era cattolico; apparteneva alla Chiesa scismatica donatista; era tuttavia un grande teologo. In questo suo commento egli vede soprattutto nell’Apocalisse riflettersi il mistero della Chiesa. Ticonio era giunto alla convinzione che la Chiesa fosse un corpo bipartito: una parte, egli dice, appartiene a Cristo, ma c’è un’altra parte della Chiesa che appartiene al diavolo. Agostino lesse questo commento e ne trasse profitto, ma sottolineò fortemente che la Chiesa è nelle mani di Cristo, rimane il suo Corpo, formando con Lui un solo soggetto, partecipe della mediazione della grazia. Sottolinea perciò che la Chiesa non può mai essere separata da Gesù Cristo. Nella sua lettura dell’Apocalisse, simile a quella di Ticonio, Autperto non s’interessa tanto della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi, quanto piuttosto delle conseguenze che derivano per la Chiesa del presente dalla sua prima venuta, l’incarnazione nel seno della Vergine Maria. E ci dice una parola molto importante: in realtà Cristo “deve in noi, che siamo il suo Corpo, quotidianamente nascere, morire e risuscitare” (In Apoc. III: CCCM 27, p. 205). Nel contesto della dimensione mistica che investe ogni cristiano, egli guarda a Maria come a modello della Chiesa, modello per tutti noi, perché anche in noi e tra noi deve nascere Cristo. Sulla scorta dei Padri che vedevano nella “donna vestita di sole” di Ap 12,1 l’immagine della Chiesa, Autperto argomenta: “La beata e pia Vergine … quotidianamente partorisce nuovi popoli, dai quali si forma il Corpo generale del Mediatore. Non è quindi sorprendente se colei, nel cui beato seno la Chiesa stessa meritò di essere unita al suo Capo, rappresenta il tipo della Chiesa”. In questo senso Autperto vede un ruolo decisivo della Vergine Maria nell’opera della Redenzione (cfr anche le sue omelie In purificatione s. Mariae e In adsumptione s. Mariae). La sua grande venerazione e il suo profondo amore per la Madre di Dio gli ispirano a volte delle formulazioni che in qualche modo anticipano quelle di san Bernardo e della mistica francescana, senza tuttavia deviare verso forme discutibili di sentimentalismo, perché egli non separa mai Maria dal mistero della Chiesa. Con buona ragione quindi Ambrogio Autperto è considerato il primo grande mariologo in Occidente. Alla pietà che, secondo lui, deve liberare l’anima dall’attaccamento ai piaceri terreni e transitori, egli ritiene debba unirsi il profondo studio delle scienze sacre, soprattutto la meditazione delle Sacre Scritture, che qualifica “cielo profondo, abisso insondabile” (In Apoc. IX). Nella bella preghiera con cui conclude il suo commento all’Apocalisse sottolineando la priorità che in ogni ricerca teologica della verità spetta all’amore, egli si rivolge a Dio con queste parole: “Quando da noi sei scrutato intellettualmente, non sei scoperto come veramente sei; quando sei amato, sei raggiunto”.


Immagine correlata
 L'abate Josue e la basilica di S. Vincenzo Maggiore alle sorgenti del Volturno Franco Valente (da F. VALENTE, S. Vincenzo al Volturno - Architettura ed arte -

Tratto  con annessa bibliografia da
http://www.treccani.it/enciclopedia/ambrogio-autperto_(Dizionario-Biografico)/
AMBROGIO Autperto. - Originario della Provenza, entrò assai giovane nel monastero di S. Vincenzo al Volturno, nel quale iniziò anche la sua istruzione. Era già prete prima del 761, come si rileva dalla sua sottoscrizione a un atto di vendita fra l'abbazia di S. Vincenzo e quella di Farfa.
Queste notizie, che provengono da indicazioni autobiografiche di A. e da un documento sicuro, relegano fra le invenzioni il racconto del cronista del monastero Giovanni, secondo cui A. sarebbe stato di nobile nascita e avrebbe formato la sua cultura nel secolo, raggiungendo anche la dignità di arcicancelliere, anacronisticamente, presso la corte di Carlo Magno. Sarebbe poi divenuto monaco in occasione di una visita compiuta, già stanco del mondo, all'abbazia di S. Vincenzo. Le critiche al suo commento all'Apocalisse di s. Giovanni da parte dei suoi confratelli, forse gelosi del successo che l'opera si riprometteva di avere o troppo zelanti dell'antica tradizione patristica che A., secondo loro, pretendeva di emulare senza avere né le doti né la preparazione letteraria, lo spinsero a ricorrere al pontefice Stefano III, che lo incoraggiò invece a continuare e portare a termine il suo lavoro. Maggiori contrarietà lo attendevano per la sua elezione abbaziale alla quale egli si rassegnò a malincuore, il 4 ott. 777. L'inasprirsi infatti dei contrasti fra monaci longobardi e franchi per motivi politici, all'indomani della caduta del regno dei Longobardi, indusse A. a dimettersi appena un anno dopo (28 dic. 778). Né pare che egli vedesse la conclusione di quelle lotte interne del monastero. Si recava nel 784 a Roma con una delegazione di monaci per testimoniare nel processo contro il suo successore, il longobardo Potone, accusato di insubordinazione a Carlo Magno, il quale aveva rinviata la causa al papa Adriano I, quando lo colse la morte durante il viaggio, il 30 gennaio. La salma, trasportata a S. Vincenzo, fu sepolta nell'oratorio di S. Pietro.
Incluso dal Mabillon fra i santi dell'ordine benedettino e dai bollandisti negli Acta Sanctorum, Iul, IV, Antverpiae 1725, pp. 646-651, A. non ebbe però mai culto, neppure nella sua stessa abbazia di S. Vincenzo, anche se ebbe gran fama di vita santa e pia.
Di A. A., confuso spesso con l'omonimo Autperto abate di Montecassino, si conservano alcuni scritti, tutti di carattere esegetico e ascetico. Pur non avendo nessuna cultura profana, come egli stesso ci attesta, mostra nei suoi lavori una discreta conoscenza dei Padri, dai quali il suo pensiero non si discosta mai. Intento allo studio della Bibbia, egli non si preoccupa solo della spiegazione testuale, ma, sempre sull'esempio dei Padri, si preoccupa di elevarsi a un simbolismo che ha indotto qualche studioso a pensare a Gioacchino da Fiore, senza però volervi trovare alcuna relazione di dipendenza. Particolarmente notevole sotto questo aspetto è l'amplissimo commento all'Apocalisse di s. Giovanni (ed. in Maxima Bibliotheca Patrum, t. XIII, Lugduni 1677, pp. 403-657) in dieci libri, in cui continua la tradizione di Primasio e di Ticonio, servendosi anche delle opere di Gregorio Magno. Anche opere esegetiche erano i commenti al Levitico,ai Salmi e al Cantico dei Cantici,ricordati dal cronista di S. Vincenzo al Volturno e ora perduti. La perfetta ortodossia dottrinale e una profonda pietà sono le caratteristiche degli altri suoi scritti destinati alla edificazione spirituale: Vita beatorum Patrum Paldonis, Tatonis et Tasonis (in Chronicon Vulturnense, I, pp. 101-123), interessante per la storia primitiva dei monastero volturnese e in parte anche per quella dell'Italia meridionale; Conflictus vitiorum atque virtutum (Migne, Patr. Lat., XL, coll. 1091-1106), che ebbe straordinaria divulgazione nei monasteri medievali, come provano i numerosi manoscritti che l'hanno conservato, poiché, oltre il modo vivace della contrapposizione tra vizio e virtù, vi si trova in breve l'esposizione dell'ascetica cristiana basata sulla conoscenza della S. Scrittura e dei Padri; Oratio in partes divisa contra septies septena vitia (Migne, Patr. Lat., XVII, coll. 755-762; Chronicon Vulturnense, I, pp. 3-15), che si può considerare un'appendice dello scritto precedente; i Sermones de Cupiditate (Migne, Patr. Lat., LXXXIX, coll. 1277-1292), In Transfiguratione Domini (ibid.,coll. 1305-1320), In Purificatione B. M. V.(ibid.,coll. 1291-1304), In Assumptione (Migne, Patr. Lat.,XXXIX, coll. 2129-2134), In Nativitate B.M.V.(Migne, Patr. Lat.,CI, coll. 1300-1308; già attribuito allo Pseudo-Alcuino), De S. Mathia (Migne, Patr. Lat.,CXXIX, coll. 1023-1034, attribuito prima ad Autperto di Montecassino), De S. Luca (Migne, Patr. Lat.,XCV, coll. 1530-1535; è l'omelia 59 dell'Omeliario di Paolo Diacono), In Solemnitate Omnium Sanctorum (Migne, Patr. Lat.,XC IV, coll. 452-455; tra le opere di Beda), e in fine un sermone sulla dedicazione della chiesa, ancora inedito nel codice Vat. Lat.1269 (fol. 157v-159v), che però è solo un estratto dal commento all'Apocalisse.Va ricordata in ultimo anche una lettera di A., quella diretta al papa Stefano III, già ricordata, che è conservata all'inizio del già citato commento dell'Apocalisse.
Per questa sua produzione vasta, anche se non originale, A. occupa un posto notevole nella storia letteraria del suo secolo prima della rinascita carolingia, sia perché mette in mostra le componenti della cultura ecclesiastica del suo tempo, sia perché attesta la continuità della tradizione patristica negli studi sacri. Del resto proprio il fatto dell'attribuzione dei suoi scritti a nomi di primo piano dimostra il loro valore e l'importanza, quindi, che in realtà ebbe il loro autore fra gli scrittori dell'alto Medioevo.

Tratto da
http://www.latheotokos.it/modules.php?name=News&file=print&sid=1596

Quando il 22 aprile 2009, nel corso dell'Udienza generale del mercoledì, papa Benedetto pronunciò il nome di Ambrogio Autperto, molti si chiesero che santo fosse, dal momento che ai più appare una figura sconosciuta. E questo anche in passato, dal momento che, se il volume LXXXIX della celebre Patrologia Latina gli dedica solo poche colonne, in realtà le sue opere occuperebbero almeno due tomi della preziosa raccolta. Solo che sono stati attribuiti ora ad Ambrogio di Milano, ora a sant'Ildefonso, ora all'abate Ambrogio di Montecassino.

Nato da una distinta famiglia sul principio dell'VIII secolo in Francia, venuto in Italia, visitò Roma e si spinse fino a Benevento. Qui nel vicino monastero benedettino di S. Vincenzo al Volturno abbracciò la vita religiosa e nel 776 fu eletto abate dai suoi connazionali, mentre gli italiani eleggevano Potone. Chiamato a Roma in seguito a tale contesa, morì durante il viaggio; e qualcuno insinua assassinato. Benché la sua figura non risulti ancora del tutto chiara, Autperto è considerato teologo di grande importanza, eccezionale per la sua età.

La sua dottrina e la teologia rivestono particolare interesse nello studio di alcune problematiche mariologiche, come quella che riguarda 1'Assunzione di Maria, la sua maternità spirituale e la sua santità. Sono soprattutto due le omelie assai significative:
In Purificationem S. Mariae e In Assumptionem che per lungo tempo è stata ritenuta opera di Agostino. Il giorno dell'Assunzione della Vergine sorpassa le solennità di tutti i santi e dall'intera cristianità deve essere celebrato con il massimo onore perché Maria ha dato alla luce l'Autore della vita. Ambrogio afferma senza esitazioni che la Chiesa ha accolto la festa dell'Assunzione al cielo di Maria sull'esempio di Cristo, risorto e asceso al Padre. «Ma la storia cattolica non narra il modo in cui ella è passata da questa terra nel regno celeste. Si dice che la stessa Chiesa di Dio non solo respinge le narrazioni apocrife, ma le ignora perfino. Infatti ve ne sono alcune senza il nome dell'autore che trattano della sua assunzione. Ma queste, come ho detto, non offrono alcuna garanzia di autenticità, in quanto non consentono affatto di dimostrare la veridicità dell'evento in ordine al precetto. Da questo ne consegue che alcuni manifestano delle perplessità, sia perché il suo corpo non si trova sulla terra, sia perché nella storia cattolica non si parla della sua assunzione con la carne, come invece si legge negli apocrifi. A costoro bisogna rispondere che, se l'uomo non trova sulla terra il corpo di Mosè [...] allora il cercarlo è proprio di quella stoltezza a causa della quale lo stesso Dio della maestà, incarnato, rifulse sulla terra. D'altronde non è neppure degno che uno si mostri sollecito nell'indagare sulla condizione del corpo di colei della quale non dubita che, elevata al di sopra degli angeli, regna insieme a Cristo. Agli uomini deve essere sufficiente soltanto sapere che la Vergine è veramente creduta regina del cielo, perché essa ha generato il Re degli Angeli». Allora non resta che ritenere come vero questo pensiero: noi cristiani crediamo che la Vergine è stata assunta al di sopra degli angeli, pur non sapendo se con il corpo o senza corpo.

Certo Ambrogio Autperto non si pronuncia sulla questione del corpo di Maria dopo la sua morte. E solo preoccupato di offrire le ragioni della glorificazione della madre di Dio. E da questo punto di vista imposta il problema in modo corretto. E riflettendo sulla missione di madre del Redentore, di colui che è risorto dai morti che la Chiesa raggiunge la certezza della piena glorificazione di Maria. Ed è interessante che in questo contesto sia introdotto accanto a quello di "madre" anche quello di "sposa". Sposa di chi? Autperto, nell'ambito del confronto con Eva, dice che Maria è la sola che ha meritato di essere chiamata madre e sposa. E poi dice che Maria è così bella che Dio l'ha eletta sua sposa. Due possono essere le spiegazioni: la prima, più teologica, mette in parallelo Adamo con Cristo nuovo Adamo e Eva con Maria nuova Eva; la seconda, più liturgica, dovuta, in quegli anni, all'utilizzo dei testi della festa della Dedicazione della chiesa anche per la festa dell'Assunzione.

Maria è la Regina dei cieli: ha infatti riparato i danni provocati dalla prima madre, Eva, e ha donato la redenzione all'uomo ormai perduto. Eva è l'autrice del peccato, Maria è l'autrice del merito. Come per gli altri Padri di questo periodo, anche Ambrogio si sofferma sull'umiltà di Maria e sulla sua pienezza di grazia. La Vergine dona all'uomo la grazia della riconciliazione, perché è lei ad impetrare ciò che domandiamo, a placare l'ira del Giudice, a soccorrere i miseri, ad aiutare i pusillanimi, ad infondere forza ai deboli e a pregare per tutto il popolo cristiano.

Maria è figura della Chiesa, la nuova Gerusalemme: la madre dei credenti, la redentrice. Nell'Omelia sulla Purificazione, Autperto spiega: «
Se ci si chiede quale sia stato il motivo mistico per cui il nostro Redentore volle essere portato dalla propria città a Gerusalemme nel tempio del Signore dalla madre e dai parenti, noi scopriamo che la stessa gloriosa Madre e Vergine, nonché i familiari hanno rappresentato la figura di quella Chiesa che, a partire dalla Giudea, ha creduto negli Apostoli. Del resto quando mai non è stata vergine la Chiesa della quale l'Apostolo, parlando delle sue membra dice: Vi ho promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo? Quando mai non è stata madre, se per bocca del salmista si dice: Sion sarà chiamata madre; e il Signore nel Vangelo precisa: Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, padre e madre?».



Leggere

II Commentario all' Apocalisse di Ambrogio Autperto: l'autore, le fonti, il metodo esegetico.


https://revistas.ucm.es/index.php/CFCL/article/viewFile/CFCL9696220115A/34727

leggere
Storia del Monastero di San Vincenzo al Volturno
http://www.sanvincenzoalvolturno.it/pg/sez1_0.htm

Leggere anche
Ambrogio Autperto e la Cripta di Epifanio nella storia dell’arte medievale.

https://www.academia.edu/9489373/Ambrogio_Autperto_e_la_Cripta_di_Epifanio_nella_storia_dell_arte_medievale._In_F._Marazzi_ed._La_cripta_dellabate_Epifanio_a_San_Vincenzo_al_Volturno._Cento_anni_di_studi_e_ricerche._Studi_Vulturnensi_3_Cerro_a_Volturno_Volturnia_Edizioni_2013_pp._27-47

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