Basilica Sant'Ambrogio Il redentore tra i ss. gervasio e protasio, IV-VIII secolo, con restauri del XVIII secolo,
Santa
Marcellina sorella di Santo Ambrogio e
monaca a Monza(tra il 398 e il 399(
Tratto dal quotidiano Avvenire
Marcellina
nacque a Roma (o, secondo altre fonti, a Treviri) da famiglia patrizia verso il
327 e si convertì in gioventù al cristianesimo. Fu maestra di fede per i
fratelli minori, Satiro e Ambrogio, soprattutto dopo la morte della madre. Il
secondo sarebbe divenuto il celebre santo vescovo di Milano. Nel giorno di
Natale del 353 la donna ricevette il velo verginale da Papa Liberio in San
Pietro in vaticano. Nel 374, all'elezione del fratello, si trasferì con lui e
Satiro a Milano. Nella città lombarda Marcellina continuò la vita comunitaria
con le compagne venute da Roma. Morì nel 397, pochi mesi dopo Ambrogio, e fu
sepolta nella basilica ambrosiana. Nel 1838 il milanese monsignor Luigi Biraghi
fondò l'Istituto religioso femminile delle suore di santa Marcellina, impegnate
per vocazione nell'educazione culturale e morale della gioventù femminile
Tratto
da
Autore: Emilia Flocchini
Santa
Marcellina era sorella di sant’Ambrogio di Milano e di san Satiro, che del
primo fu fedele collaboratore nel ministero episcopale. I dati storici sulla
sua figura sono desunti dalle menzioni che di lei fa Ambrogio nelle sue lettere
e, anzitutto, nella sua prima opera letteraria, il trattato «De virginibus»
(“Le vergini”).
Il luogo e l’anno della nascita di Marcellina sono incerti: potrebbe essere nata a Treviri, dove il padre Aurelio Ambrogio aveva un incarico presso la prefettura delle Gallie dell’impero romano, o a Roma, dove la famiglia aveva vissuto in precedenza e dove tornò ad abitare in un secondo tempo. Sicuramente era la maggiore dei tre fratelli, quindi è venuta alla luce prima del 334, data in cui si ritiene comunemente sia nato Ambrogio. Il biografo Paolino nella «Vita Ambrosii» attesta che lei fu testimone, insieme ai genitori, di un singolare prodigio: nella bocca del neonato andavano a posarsi delle api, che lo nutrivano col loro miele senza pungerlo. Al cessare dell’incarico del padre, fece ritorno a Roma col resto della famiglia.
L’evento più importante della sua vita è raccontato da Ambrogio all’inizio del libro III del già citato «De virginibus»: «Nel Natale del Salvatore presso l’apostolo Pietro suggellavi la professione della verginità anche con il mutamento della veste – e quale giorno migliore di quello nel quale la Vergine fu arricchita della prole? – alla presenza anche di moltissime fanciulle di Dio che facevano a gara a vicenda per esserti compagna».
Anche in questo caso, la datazione oscilla, non solo per quanto riguarda l’anno: doveva essere tra il 352 e il 354, o il 25 dicembre o il 6 gennaio. Il dubbio sul giorno è originato dal fatto che non c’è certezza se all’epoca fosse già stata adottata, come data del Natale, quella che oggi è festeggiata in Occidente o quella in uso tra i cristiani d’Oriente. Di certo c’è il luogo, la basilica costantiniana di San Pietro, una delle prime chiese edificate dopo l’editto di Costantino del 313, e la presenza di papa Liberio, che Ambrogio e famiglia conoscevano perché frequentava la loro abitazione.
Lo studioso Raymond D’Izarny afferma che, contrariamente a quanto si pensa, è poco sicuro che Marcellina abbia effettivamente preso il velo: nel testo non si fa menzione tanto di questo (citato invece in altre opere ambrosiane sulla verginità consacrata), quanto del cambio d’abito. Nel latino classico, “mutare vestem” significava prendere il lutto, indossare abiti di colore scuro come quelli dei poveri. Inoltre, l’usanza della velazione delle vergini pare essere stata importata dall’Africa da san Zeno, vescovo di Verona, che di lì era originario. Comunque sia, l’episodio della velazione ha avuto una certa fortuna in campo iconografico.
La nuova vita della vergine si svolse quindi a Roma e, in seguito all’elezione episcopale del fratello minore, a Milano. Il suo genere di vita non doveva essere dissimile da quello che il vescovo milanese descrisse nel «De virginibus» a proposito delle consacrate di Bologna, che trascorrevano il tempo nella preghiera e procurandosi il vitto con le proprie mani, in modo da poter distribuire il superfluo ai poveri. Più che a quello delle suore di oggi, questo stile appare più vicino a quello delle aderenti agli istituti secolari o delle consacrate dell’“Ordovirginum”.
Nella sua prima opera, Ambrogio si protrae in un’appassionata difesa della verginità consacrata cristiana, contrapposta a quella, temporanea e poco fruttuosa, delle Vestali romane. A chi lo rimprovera di tessere continuamente le lodi delle vergini, risponde che è anche grazie a loro se lui, vescovo e veramente cristiano da poco più di tre anni, ha imparato la fede. Per questo ha dedicato loro quel trattato, interamente percorso da esempi di vita verginale, a partire da quello della Madonna fino a quello della vergine Sotere, martire sotto Diocleziano e sua parente.
Lo spunto per alcuni paragrafi sembra arrivargli proprio da Marcellina, per tre volte chiamata “sancta soror”: ad esempio, risponde a una sua domanda circa la scelta di quelle donne che, per conservarsi integre e scampare ai persecutori, si sono suicidate gettandosi da un palazzo o annegando in un fiume.
Un anno dopo la composizione del trattato, Ambrogio e Marcellina persero il fratello Satiro per malattia. Nei due discorsi «De excessu fratris» (“Per la dipartita del fratello”), il vescovo mette in luce come lei abbia trovato conforto in ciò che già animava la sua esistenza: preghiere, digiuni – che, non limitandosi ai giorni prestabiliti, lo preoccupavano particolarmente – e la meditazione della Parola di Dio, lasciandosi andare alle lacrime solo quando nessuno poteva interromperla.
Satiro per lei non era solo un fratello, ma un difensore tangibile della sua verginità, quasi a ricambiare il compito di mediatrice che lei spesso svolgeva, quando sorgevano contrasti familiari.
Marcellina è inoltre scelta come interlocutrice privilegiata in tre punti dell’epistolario ambrosiano, a cominciare dall’epistola 76 del decimo libro, in cui il fratello l’aggiorna sull’andamento del conflitto con l’imperatrice Giustina, circa l’attribuzione di una basilica al culto degli ariani, e da cui si deduce la sua preoccupazione per l’andamento della Chiesa milanese.
Nell’epistola 77, invece, le dà una notizia che lo ha rallegrato non poco: il ritrovamento dei corpi dei martiri Gervaso e Protaso. Quel brano è utile anche per un indizio che ha portato a dedurre che all’epoca lei vivesse non molto lontano dal fratello, a Milano o in un luogo più adatto a condurre una vita appartata.
Fu anche sua consigliera per dirimere il caso della vergine Indicia, accusata di infanticidio e da lei ritenuta irreprensibile per averla ospitata nella propria casa romana.
Ambrogio morì nel 397, mentre la sorella gli sopravvisse di poco, nell’ordine di mesi o anche anni, sicuramente sotto l’episcopato di san Simpliciano, suo immediato successore. Un epitaffio metrico, attribuito a Simpliciano stesso, fissa il giorno della morte “alla metà di luglio”. La sua memoria liturgica, infatti, è stata fissata al 17 luglio.
Il suo corpo venne sepolto nella basilica che oggi porta il nome di sant’Ambrogio, non molto lontano dalle spoglie dei suoi cari fratelli. Nel 1607 il cardinal Federico Borromeo chiese ufficialmente che venisse traslato dalla cripta, bisognosa di rifacimento, in un luogo più degno. Dopo un passaggio nella sacrestia della basilica ad opera del cardinal Benedetto Erba Odescalchi, nel 1722, venne infine sistemato, nel 1812, nella terza cappella della navata destra della basilica, precedentemente dedicata a santa Caterina.
Da lì ogni anno, il 2 febbraio, comincia la Messa nella festa della Presentazione del Signore, presieduta dall’arcivescovo di Milano in occasione della Giornata mondiale per la Vita Consacrata, con la benedizione delle candele e la processione. Appare quasi un ringraziamento a Dio per aver donato un simile esempio alla Chiesa che di Ambrogio porta il nome. Al primo compito di Marcellina come educatrice dei suoi fratelli minori si è inoltre ispirato monsignor Luigi Biraghi (Beato dal 2006) fondando nel 1838, con madre Marina Videmari, l’Istituto delle Suore di Santa Marcellina.
Il luogo e l’anno della nascita di Marcellina sono incerti: potrebbe essere nata a Treviri, dove il padre Aurelio Ambrogio aveva un incarico presso la prefettura delle Gallie dell’impero romano, o a Roma, dove la famiglia aveva vissuto in precedenza e dove tornò ad abitare in un secondo tempo. Sicuramente era la maggiore dei tre fratelli, quindi è venuta alla luce prima del 334, data in cui si ritiene comunemente sia nato Ambrogio. Il biografo Paolino nella «Vita Ambrosii» attesta che lei fu testimone, insieme ai genitori, di un singolare prodigio: nella bocca del neonato andavano a posarsi delle api, che lo nutrivano col loro miele senza pungerlo. Al cessare dell’incarico del padre, fece ritorno a Roma col resto della famiglia.
L’evento più importante della sua vita è raccontato da Ambrogio all’inizio del libro III del già citato «De virginibus»: «Nel Natale del Salvatore presso l’apostolo Pietro suggellavi la professione della verginità anche con il mutamento della veste – e quale giorno migliore di quello nel quale la Vergine fu arricchita della prole? – alla presenza anche di moltissime fanciulle di Dio che facevano a gara a vicenda per esserti compagna».
Anche in questo caso, la datazione oscilla, non solo per quanto riguarda l’anno: doveva essere tra il 352 e il 354, o il 25 dicembre o il 6 gennaio. Il dubbio sul giorno è originato dal fatto che non c’è certezza se all’epoca fosse già stata adottata, come data del Natale, quella che oggi è festeggiata in Occidente o quella in uso tra i cristiani d’Oriente. Di certo c’è il luogo, la basilica costantiniana di San Pietro, una delle prime chiese edificate dopo l’editto di Costantino del 313, e la presenza di papa Liberio, che Ambrogio e famiglia conoscevano perché frequentava la loro abitazione.
Lo studioso Raymond D’Izarny afferma che, contrariamente a quanto si pensa, è poco sicuro che Marcellina abbia effettivamente preso il velo: nel testo non si fa menzione tanto di questo (citato invece in altre opere ambrosiane sulla verginità consacrata), quanto del cambio d’abito. Nel latino classico, “mutare vestem” significava prendere il lutto, indossare abiti di colore scuro come quelli dei poveri. Inoltre, l’usanza della velazione delle vergini pare essere stata importata dall’Africa da san Zeno, vescovo di Verona, che di lì era originario. Comunque sia, l’episodio della velazione ha avuto una certa fortuna in campo iconografico.
La nuova vita della vergine si svolse quindi a Roma e, in seguito all’elezione episcopale del fratello minore, a Milano. Il suo genere di vita non doveva essere dissimile da quello che il vescovo milanese descrisse nel «De virginibus» a proposito delle consacrate di Bologna, che trascorrevano il tempo nella preghiera e procurandosi il vitto con le proprie mani, in modo da poter distribuire il superfluo ai poveri. Più che a quello delle suore di oggi, questo stile appare più vicino a quello delle aderenti agli istituti secolari o delle consacrate dell’“Ordovirginum”.
Nella sua prima opera, Ambrogio si protrae in un’appassionata difesa della verginità consacrata cristiana, contrapposta a quella, temporanea e poco fruttuosa, delle Vestali romane. A chi lo rimprovera di tessere continuamente le lodi delle vergini, risponde che è anche grazie a loro se lui, vescovo e veramente cristiano da poco più di tre anni, ha imparato la fede. Per questo ha dedicato loro quel trattato, interamente percorso da esempi di vita verginale, a partire da quello della Madonna fino a quello della vergine Sotere, martire sotto Diocleziano e sua parente.
Lo spunto per alcuni paragrafi sembra arrivargli proprio da Marcellina, per tre volte chiamata “sancta soror”: ad esempio, risponde a una sua domanda circa la scelta di quelle donne che, per conservarsi integre e scampare ai persecutori, si sono suicidate gettandosi da un palazzo o annegando in un fiume.
Un anno dopo la composizione del trattato, Ambrogio e Marcellina persero il fratello Satiro per malattia. Nei due discorsi «De excessu fratris» (“Per la dipartita del fratello”), il vescovo mette in luce come lei abbia trovato conforto in ciò che già animava la sua esistenza: preghiere, digiuni – che, non limitandosi ai giorni prestabiliti, lo preoccupavano particolarmente – e la meditazione della Parola di Dio, lasciandosi andare alle lacrime solo quando nessuno poteva interromperla.
Satiro per lei non era solo un fratello, ma un difensore tangibile della sua verginità, quasi a ricambiare il compito di mediatrice che lei spesso svolgeva, quando sorgevano contrasti familiari.
Marcellina è inoltre scelta come interlocutrice privilegiata in tre punti dell’epistolario ambrosiano, a cominciare dall’epistola 76 del decimo libro, in cui il fratello l’aggiorna sull’andamento del conflitto con l’imperatrice Giustina, circa l’attribuzione di una basilica al culto degli ariani, e da cui si deduce la sua preoccupazione per l’andamento della Chiesa milanese.
Nell’epistola 77, invece, le dà una notizia che lo ha rallegrato non poco: il ritrovamento dei corpi dei martiri Gervaso e Protaso. Quel brano è utile anche per un indizio che ha portato a dedurre che all’epoca lei vivesse non molto lontano dal fratello, a Milano o in un luogo più adatto a condurre una vita appartata.
Fu anche sua consigliera per dirimere il caso della vergine Indicia, accusata di infanticidio e da lei ritenuta irreprensibile per averla ospitata nella propria casa romana.
Ambrogio morì nel 397, mentre la sorella gli sopravvisse di poco, nell’ordine di mesi o anche anni, sicuramente sotto l’episcopato di san Simpliciano, suo immediato successore. Un epitaffio metrico, attribuito a Simpliciano stesso, fissa il giorno della morte “alla metà di luglio”. La sua memoria liturgica, infatti, è stata fissata al 17 luglio.
Il suo corpo venne sepolto nella basilica che oggi porta il nome di sant’Ambrogio, non molto lontano dalle spoglie dei suoi cari fratelli. Nel 1607 il cardinal Federico Borromeo chiese ufficialmente che venisse traslato dalla cripta, bisognosa di rifacimento, in un luogo più degno. Dopo un passaggio nella sacrestia della basilica ad opera del cardinal Benedetto Erba Odescalchi, nel 1722, venne infine sistemato, nel 1812, nella terza cappella della navata destra della basilica, precedentemente dedicata a santa Caterina.
Da lì ogni anno, il 2 febbraio, comincia la Messa nella festa della Presentazione del Signore, presieduta dall’arcivescovo di Milano in occasione della Giornata mondiale per la Vita Consacrata, con la benedizione delle candele e la processione. Appare quasi un ringraziamento a Dio per aver donato un simile esempio alla Chiesa che di Ambrogio porta il nome. Al primo compito di Marcellina come educatrice dei suoi fratelli minori si è inoltre ispirato monsignor Luigi Biraghi (Beato dal 2006) fondando nel 1838, con madre Marina Videmari, l’Istituto delle Suore di Santa Marcellina.
Tratto
da
autore
Antonio Rimoldi
Sorella
maggiore di s. Satiro e di s. Ambrogio, probabilmente nacque a Treviri circa l'anno
330 quando il padre vi si trovava come alto funzionario imperiale.
S. Ambrogio attesta che la sorella Marcellina ricevette il velo verginale dalle mani del papa Liberio nella basilica di S. Pietro in Vaticano nel Natale di un anno che sembra essere il 353: nel De virginibus dà il testo de] discorso pronunciato dal papa in quella circostanza. La santa, che aveva seguito a Milano i suoi fratelli per essere loro collaboratrice, sopravvisse a s. Ambrogio (m. 397).
Morta il 17 luglio di un anno non ben precisato (sembra però ca. il 400) fu sepolta nella cripta della basilica di S. Ambrogio, presso la tomba del fratello. Un'antica Vita la dice morta ai tempi del vescovo s. Simpliciano (397-401), il quale sarebbe l'autore dell'iscrizione sepolcrale che, tuttavia, non contiene dati biografici di particolare interesse. Nel 1812 i resti mortali di Marcellina, tolti dal sepolcro nel 1722 dall'arcivescovo card. Benedetto Erba-Odescalchi e custoditi temporaneamente in sacrestia, furono solennemente traslati nell'apposita cappella eretta in suo onore nella basilica di S. Ambrogio dalla pietà dei fedeli di Milano.
Oltre al De virginibus, scritto dietro sua richiesta e a lei dedicato, ci sono rimaste tre lettere indirizzate alla sorella dal santo sul suo conflitto con Giustina, sulla invenzione dei corpi dei ss. Gervasio e Protasio e sulla questione della sinagoga di Callinico. Nel discorso funebre per la morte del fratello Satiro, inoltre, Ambrogio accenna anche al grande dolore provato, in quella circostanza, dalla sorella Marcellina. La festa di Marcellina viene celebrata il 17 luglio. In onore della santa sorella di Ambrogio, nel 1838, mons. Luigi Biraghi, direttore spirituale del Seminario maggiore di Milano e successivamente dottore della Biblioteca Ambrosiana, cor l'aiuto di suor Marina Videmari, fondava a Cernusco sul Naviglio (Milano), l'Istituto religioso femminile delle " Marcelline", per l'educazione culturale e morale della gioventú femminile, soprattutto di condizione distinta (con l'impegno però di educare gratuitamente anche le fanciulle povere).
Nella Certosa di Pavia si trova un dipinto di Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone (notizie 1481-1510), l'ultimo buon pittore della generazione di Vincenzo Foppa, che lavorò molto e a lungo per conto dei Certosini; in esso s. Marcellina figura in piedi con s. Satiro e i ss. Gervasio e Protasio, patroni di Milano, davanti al trono vescovile su cui siede s. Ambrogio. Il dipinto si riferisce al carattere piú noto della santa, quello cioè di educatrice dei due fratelli minori Satiro e Ambrogio.
Agli Invalides di Parigi esisteva inoltre una statua in marmo della santa, scomparsa durante la Rivoluzione francese.
S. Ambrogio attesta che la sorella Marcellina ricevette il velo verginale dalle mani del papa Liberio nella basilica di S. Pietro in Vaticano nel Natale di un anno che sembra essere il 353: nel De virginibus dà il testo de] discorso pronunciato dal papa in quella circostanza. La santa, che aveva seguito a Milano i suoi fratelli per essere loro collaboratrice, sopravvisse a s. Ambrogio (m. 397).
Morta il 17 luglio di un anno non ben precisato (sembra però ca. il 400) fu sepolta nella cripta della basilica di S. Ambrogio, presso la tomba del fratello. Un'antica Vita la dice morta ai tempi del vescovo s. Simpliciano (397-401), il quale sarebbe l'autore dell'iscrizione sepolcrale che, tuttavia, non contiene dati biografici di particolare interesse. Nel 1812 i resti mortali di Marcellina, tolti dal sepolcro nel 1722 dall'arcivescovo card. Benedetto Erba-Odescalchi e custoditi temporaneamente in sacrestia, furono solennemente traslati nell'apposita cappella eretta in suo onore nella basilica di S. Ambrogio dalla pietà dei fedeli di Milano.
Oltre al De virginibus, scritto dietro sua richiesta e a lei dedicato, ci sono rimaste tre lettere indirizzate alla sorella dal santo sul suo conflitto con Giustina, sulla invenzione dei corpi dei ss. Gervasio e Protasio e sulla questione della sinagoga di Callinico. Nel discorso funebre per la morte del fratello Satiro, inoltre, Ambrogio accenna anche al grande dolore provato, in quella circostanza, dalla sorella Marcellina. La festa di Marcellina viene celebrata il 17 luglio. In onore della santa sorella di Ambrogio, nel 1838, mons. Luigi Biraghi, direttore spirituale del Seminario maggiore di Milano e successivamente dottore della Biblioteca Ambrosiana, cor l'aiuto di suor Marina Videmari, fondava a Cernusco sul Naviglio (Milano), l'Istituto religioso femminile delle " Marcelline", per l'educazione culturale e morale della gioventú femminile, soprattutto di condizione distinta (con l'impegno però di educare gratuitamente anche le fanciulle povere).
Nella Certosa di Pavia si trova un dipinto di Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone (notizie 1481-1510), l'ultimo buon pittore della generazione di Vincenzo Foppa, che lavorò molto e a lungo per conto dei Certosini; in esso s. Marcellina figura in piedi con s. Satiro e i ss. Gervasio e Protasio, patroni di Milano, davanti al trono vescovile su cui siede s. Ambrogio. Il dipinto si riferisce al carattere piú noto della santa, quello cioè di educatrice dei due fratelli minori Satiro e Ambrogio.
Agli Invalides di Parigi esisteva inoltre una statua in marmo della santa, scomparsa durante la Rivoluzione francese.
Leggere
anche
Santa
Marcellina
Nel
XVI centenario della Velatio di Santa Marcellina
http://www.marcelline.org/aamm/testi/miscellanea-volumi/marcellina-velatio.pdf
Dall’epistolario
di Santa Marcellina-Lettera a Torquato lettore della Chiesa Milanese
Santo
Ennodio(Magno Felice Ennodio-Evodius) nato ad Arles in Provenza e Vescovo di
Pavia (verso il 521)
Tratto
dal quotidiano Avvenire
Magno
Felice Ennodio, di origine gallica, rimase orfano e trascorse la fanciullezza a
Ticinum (Pavia), prima presso una zia e poi, morta questa, presso una famiglia.
Nel 493, dopo un breve fidanzamento, fu accolto dal vescovo sant'Epifanio nel
clero pavese. Nel 514, morto il vescovo Massimo, gli successe sulla cattedra
episcopale di Pavia. Per incarico di Papa Ormisda si recò due volte a
Costantinopoli, cercando di ricomporre lo scisma acaciano. Morì a Pavia nel
521. Le reliquie sono custodite nella basilica di San Michele. Numerosi i suoi
scritti, che per erudizione e profondità ne fanno un Padre della Chiesa
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91282
Sant’Ennodio
o meglio Ennodio Magno Felice (questi è il nome corretto) è una figura assai
importante del secolo V, vescovo ma anche poeta e retore latino, senza ombra di
dubbio una personalità di altissimo valore culturale e spirituale di quel
secolo oscuro e frammentato per certi versi; l’alta stima generale verso la sua
persona e la sua opera gli meritarono l’appellativo di confessore della fede e
padre della Chiesa.
Originario della Gallia, nacque nel 473 o 474, probabilmente ad Arles da una famiglia dell'aristocrazia locale imparentata con la più alta nobiltà di Roma, si pensa potesse discendere da quel Felice Ennodio che fu proconsole d'Africa tra il 408 e il 423. Il padre sembra si chiamasse Firmino, lo stesso Ennodio difatti cita questo nome, accanto a quello di Geronzio, come uno dei due nonni di suo nipote Lupicino, sappiamo inoltre dell’esistenza di due sorelle e due nipoti: una, Euprepia, era madre di Lupicino, l'altra, di cui non conosciamo il nome, era madre di Partenio. Ennodio rimasto orfano in tenera età fu allevato dalla zia paterna nell'Italia settentrionale e piu precisamente a Pavia, città a cui legherà in modo particolare il suo nome e la sua opera, soprattutto più avanti come Vescovo. All'età di sedici anni, dunque verso il 489-490, perse la zia e si ritrovò solo in una regione che all'epoca era preda delle miserie conseguenti agli scontri armati tra Teodorico e Odoacre, tuttavia trovò rifugio presso una famiglia pia e facoltosa e si fidanzò con la figlia, ma per ragioni non troppo chiare (un'ipotesi e che la famiglia andasse in rovina a causa della guerra) il matrimonio non ebbe luogo. Verso il 493 sappiamo che entrò nel clero di Pavia, il cui vescovo era Epifanio, morto quest'ultimo il 21 gennaio del 496 (o 498), passò come diacono alla Chiesa di Milano, il cui vescovo Lorenzo (490-512) era suo parente ed è proprio al periodo milanese che risale la parte essenziale delle sue opere. Noto per il suo talento letterario, fu indotto a scrivere in difesa di papa Simmaco in occasione del lungo conflitto che oppose quest'ultimo al diacono Lorenzo. Questo sarà l’inizio di una visibilità sempre più forte nell’intera chiesa cattolica e occasione per ammirare la sua eloquenza ed erudizione dottrinale. Nel luglio del 511 fu colpito da una grave forma febbrile da cui sarebbe guarito per intercessione di s. Vittore, proprio a questa malattia si accompagnò una crisi morale che lo portò alla rinuncia delle futilità letterarie che sino allora aveva praticato con troppo compiacimento e ad una maturità di fede nel vivere con maggiore determinazione la sua vocazione. Nel 514 divenne vescovo di Pavia, trattandosi della città sede del Regno tutto lascia pensare che a questa nomina non fosse stato estraneo Teodorico, la sua opera di pastore fu intensa e contrassegnata dalla carità e dalla necessità di confermare nella retta dottrina clero e popolo. Nel 515 e nel 517, insieme con altri vescovi italiani, Ennodio prese parte ad alcune missioni inviate da papa Ormisda in Oriente per tentare di regolare il conflitto tra le due Chiese, questo sarà l’apice della sua operazione di diplomazia ecclesiastica a servizio del Papa e per il bene della Chiesa intera. Pochi anni dopo morì e come riporta il suo epitaffio fu inumato il 17 luglio 521.
Di Ennodio si conservano 9 libri di Epistole e Opuscoli, una raccolta di scritti in prosa e in versi di argomento vario, fra cui inni, descrizioni di viaggi, epigrammi, un panegirico a Teodorico (del507) e la biografia del suo predecessore Epifanio.
Originario della Gallia, nacque nel 473 o 474, probabilmente ad Arles da una famiglia dell'aristocrazia locale imparentata con la più alta nobiltà di Roma, si pensa potesse discendere da quel Felice Ennodio che fu proconsole d'Africa tra il 408 e il 423. Il padre sembra si chiamasse Firmino, lo stesso Ennodio difatti cita questo nome, accanto a quello di Geronzio, come uno dei due nonni di suo nipote Lupicino, sappiamo inoltre dell’esistenza di due sorelle e due nipoti: una, Euprepia, era madre di Lupicino, l'altra, di cui non conosciamo il nome, era madre di Partenio. Ennodio rimasto orfano in tenera età fu allevato dalla zia paterna nell'Italia settentrionale e piu precisamente a Pavia, città a cui legherà in modo particolare il suo nome e la sua opera, soprattutto più avanti come Vescovo. All'età di sedici anni, dunque verso il 489-490, perse la zia e si ritrovò solo in una regione che all'epoca era preda delle miserie conseguenti agli scontri armati tra Teodorico e Odoacre, tuttavia trovò rifugio presso una famiglia pia e facoltosa e si fidanzò con la figlia, ma per ragioni non troppo chiare (un'ipotesi e che la famiglia andasse in rovina a causa della guerra) il matrimonio non ebbe luogo. Verso il 493 sappiamo che entrò nel clero di Pavia, il cui vescovo era Epifanio, morto quest'ultimo il 21 gennaio del 496 (o 498), passò come diacono alla Chiesa di Milano, il cui vescovo Lorenzo (490-512) era suo parente ed è proprio al periodo milanese che risale la parte essenziale delle sue opere. Noto per il suo talento letterario, fu indotto a scrivere in difesa di papa Simmaco in occasione del lungo conflitto che oppose quest'ultimo al diacono Lorenzo. Questo sarà l’inizio di una visibilità sempre più forte nell’intera chiesa cattolica e occasione per ammirare la sua eloquenza ed erudizione dottrinale. Nel luglio del 511 fu colpito da una grave forma febbrile da cui sarebbe guarito per intercessione di s. Vittore, proprio a questa malattia si accompagnò una crisi morale che lo portò alla rinuncia delle futilità letterarie che sino allora aveva praticato con troppo compiacimento e ad una maturità di fede nel vivere con maggiore determinazione la sua vocazione. Nel 514 divenne vescovo di Pavia, trattandosi della città sede del Regno tutto lascia pensare che a questa nomina non fosse stato estraneo Teodorico, la sua opera di pastore fu intensa e contrassegnata dalla carità e dalla necessità di confermare nella retta dottrina clero e popolo. Nel 515 e nel 517, insieme con altri vescovi italiani, Ennodio prese parte ad alcune missioni inviate da papa Ormisda in Oriente per tentare di regolare il conflitto tra le due Chiese, questo sarà l’apice della sua operazione di diplomazia ecclesiastica a servizio del Papa e per il bene della Chiesa intera. Pochi anni dopo morì e come riporta il suo epitaffio fu inumato il 17 luglio 521.
Di Ennodio si conservano 9 libri di Epistole e Opuscoli, una raccolta di scritti in prosa e in versi di argomento vario, fra cui inni, descrizioni di viaggi, epigrammi, un panegirico a Teodorico (del507) e la biografia del suo predecessore Epifanio.
Tratto
da
http://ricerca.gelocal.it/laprovinciapavese/archivio/laprovinciapavese/2009/02/28/PT2PN_PI201.html
«Potente
nell'eloquenza, nobile nell'arte dell'insegnamento, vate generoso e sapiente,
erigendo templi a Dio, li ornò di inni e di oro». Tra i santi dottori della
Chiesa le cui reliquie impreziosiscono le chiese di Pavia, la palma del più
colto spetta senza ombra di dubbio, ex-aequo con Sant'Agostino, a Magno Felice
Ennodio, decimo vescovo di Pavia dal 514 al 521, poeta e storico, autore della
'Vita di Epifanio", un'opera fondamentale che colmò il vuoto della
storiografia nei primi cinquant'anni dopo la caduta dell'Impero Romano
d'Occidente nel 476 ed è la biografia di San'Epifanio, ottavo e primo grande
vescovo di Pavia, in carica dal 466 al 497. La Chiesa di Pavia festeggia
Ennodio il 17 luglio. Sepolte dal 1236 nel presbiterio della basilica di San
Michele Maggiore, le reliquie di Ennodio ebbero la prima dimora fino al 17
luglio 521 nella chiesa di San Vittore Martire, che egli stesso aveva fondato
per esservi tumulato. Si racconta che l'avesse fatta edificare in onore del
santo per intercessione del quale era guarito da una malattia mortale. Oggi
quella chiesa non esiste più e nulla la ricorda nel luogo in cui sorgeva, in
Valle Vernasca al Ponte di Pietra, più o meno fra l'attuale rondò dei
Longobardi e lo scalo ferroviario. In un vano della parete di destra
dell'altare marmoreo in San Michele sono scolpiti i venti versi in latino
dell'Epitaffio di Sant'Ennodio, opera del sesto secolo. Sulla parete frontale
dell'altare, a destra e a sinistra di San Michele Arcangelo figurano Ennodio e
Sant'Eleucadio, vescovo di Ravenna, le cui spoglie pure sono custodite nella
basilica. Una statua di Ennodio, poi, sormonta l'ingresso della sacrestia.
«L'importanza storica dell'epitaffio - scriveva nel 1912 il canonico Salvatore
Bertolasio nella 'Cronistoria della basilica di San Michele Maggiore",
pubblicata dalla Pime per iniziativa del compianto parroco don Giuseppe Orticelli
- è si grande che non v'è scrittore grande o piccino che occupandosi di Ennodio
o di epigrafia non lo abbia trascritto». A certificare la data apposta in calce
all'epitaffio - «il giorno sedicesimo avanti le calende d'agosto, essendo
console Valerio», cioè appunto il 17 luglio 521 - fu dall'alto della sua
autorità assoluta il massimo storico della romanità, il tedesco Theodor
Mommsen, venuto appositamente a Pavia a visitare San Michele l'8 ottobre 1867 e
che accertò, senza lasciare adito a dubbi, che Ennodio visse tra il V e VI
secolo, e non nell'VIII come alcuni sostenevano. Ma è tempo di raccontare, sia
pure per sommi capi, la vicenda personale di Ennodio e di ripercorrerne l'opera
letteraria più importante, la 'Vita di Epifanio". Ennodio nasce da una famiglia
originaria di Arles, nella Francia meridionale verso il 473. E' una famiglia di
rango senatorio alla lontana imparentato con la principesca 'gens" romana
degli Anicii. Già a tre anni d'età egli è a Pavia, presso una zia, dopo aver
perso entrambi i genitori. E qui vive il terribile assedio delle orde guidate
dal capo barbaro Odoacre, che mettono a ferro e a fuoco Pavia, inseguono e
uccidono il patrizio Oreste e depongono Romolo Augustolo, suo figlio tredicenne
che per la cronologia è l'ultimo imperatore romano d'Occidente. «Tutta la città
risplende come un rogo», testimonierà pochi anni più tardi Ennodio ancora
traumatizzato da quelle visioni. Questo incendio di Pavia dovette lasciare un
segno profondo nel ricordo delle generazioni che lo vissero, se al tempo della
gioventù di Ennodio, gli allievi delle scuole di retorica di Ticinum, l'antico
nome di Pavia, si esercitavano nelle declamazioni sulle supposte considerazioni
di re Menelao a proposito dell'incendio di Troia. Ennodio a Ticinum frequenta
scuole di grammatica e di retorica. Morta la zia, quand'era sedicenne e il re
degli Ostrogoti Teodorico stava per insediarsi in città, il futuro vescovo si
innamora di una ragazza di nome Speciosa. Poi, mutata la vocazione, si avvia
alla carriera ecclesiastica, è ordinato diacono dal vescovo Epifanio nel 494 e
si reca a Milano dove rimane fino al 513. La fama della sua personalità cresce,
tanto che nel 507 egli viene incaricato di tenere il panegirico di Teodorico in
visita a Pavia. Attorno al 510 lo ritroviamo diacono della chiesa milanese e
collaboratore del vescovo Lorenzo, suo protettore e parente, che lo manda a
Briancon, in Gallia. A Lorenzo ad un certo punto Ennodio spera di succedere, ma
le sue ambizioni ambrosiane sono frustrate ed è cosi che nel 513 accetta
l'investitura a vescovo proposta dal clero e dai fedeli di Pavia, alla morte
del nono presule, San Massimo. Non conosciamo molto della sua opera pastorale,
se non la doppia ambasceria che egli fa, in nome di papa Ormisda, nel 515 e nel
517 a Costantinopoli presso l'imperatore romano d'oriente Anastasio, per
risolvere uno dei frequenti scismi che scuotevano la cristianità. Ennodio non
ottiene l'effetto desiderato, anzi è sottoposto a ogni sorta di angherie e si
salva a stento, rispedito in Italia su quella che oggi chiameremmo una carretta
del mare. Di lui rimangono alcune opere letterarie e liturgiche, tra cui si
ricordano 297 lettere, 10 opuscoli, 28 discorsi, 21 poemetti e 151 epigrammi.
Ennodio non sarebbe diventato Ennodio se non avesse scritto la 'Vita di
Epifanio", composta nel 501-504, che ha sempre goduto e gode di
straordinaria fortuna anche in Francia, che lo considera una sorta di padre
fondatore. Ennodio, convinto collaboratore e sostenitore di Teodorico, esalta
l'azione del vescovo e maestro Epifanio, che il biografo delinea come abile
mediatore diplomatico tra la nobiltà romana e quella barbara in ascesa,
'difensore della pace" e testimone della trasformazione di Pavia. La città
che traspare attraverso il filtro dei fatti narrati da Ennodio emerge come
centro nevralgico per gli equilibri militari, sociali ed economici dell'Italia
settentrionale. E' l'epoca in cui l'asse delle comunicazioni si sposta verso
nord, nella Valle Padana, con la nuova centralità acquisita dalla navigazione
tra Ravenna, la capitale di Teodorico, e la rete fluviale del Po, del Ticino e
degli altri affluenti. Proprio queste circostanze determinano le nuove fortune
di Ticinum, promuovendola a un ruolo ben più preminente. Pavia assume ora una
funzione in proprio: presto sede del 'Palatium", il Palazzo voluto da
Teodorico, centro amministrativo, porto fluviale di rilevanza economica e
militare, nodo di smistamento delle vettovaglie e sede di insegnamenti. Sono le
prove generali della futura capitale d'Italia sotto i Longobardi.
Leggere
anche
ENNODIO, Magno Felice (Magnus Felix Ennodius). - Originario della Gallia,
nacque nel 473 o 474, probabilmente ad Arles.
In
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