~ Affresco con la Vergine Orante del XII secolo, nella grotta sottostante la chiesa di Santa Maria dell’Itria di Marsala
Santo Cresto vescovo di Siracusa nel
Primo secolo
Tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Marciano_di_Siracusa
http://siciliasantiprimomillenni.blogspot.com/2017/07/sikelia-primo-millennio-santi-del-3.html
"
Santo Dato Vescovo di Ravenna (verso
il 190)
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/97368
San Dato è un vescovo
di Ravenna. Nella cronotassi ufficiale della diocesi, è stato inserito
all’ottavo posto, dopo san Probo I e prima di San Liberio.
Dobbiamo rilevare che la cronotassi dei vescovi di Ravenna è incerta per i primi secoli. La tradizione vuole che sant'Apollinare sia considerato il protovescovo. La prima testimonianza di una serie episcopale ravvenate è molto antica risalente al IX secolo ed è attribuita allo storico Agnello ed è chiamata “Codex pontificalis ecclesiae ravennatis” oppure “Liber pontificalis ecclesiae ravennatis”.
Le ipotesi più accreditate indicano che diocesi di Ravenna è stata istituita nella Civitas Classis all'inizio del III Secolo.
Di sicuro sappiamo l’esistenza del primo vescovo, San Severo che partecipò nel 343 al concilio di Sardica.
Sulla figura di San Dato non è stato tramandato nulla.
Sappiamo che fu sepolto nell’area cimiteriale adiacente alla Basilica Probi di Classe. Fu l’arcivescovo Pietro IV che nel 963, riesumò le reliquie e le fece trasportare dentro la cattedrale della città.
Non si sa quando ebbe origine il culto su questo santo. Si presume che tutto abbia avuto inizio, intorno all’XI secolo, dall’estensione a tutti i primi dodici vescovi cittadini, della leggenda dell’elezione colombina di san Severo, vescovo nella prima metà del IV secolo.
Nella Basilica di Sant’Apollinare di Classe nel settecento furono dipinti i ritratti di tutti i vescovi della Città.
Nel martirologio romano la sua festa è stata fissata nel giorno 3 luglio.
Dobbiamo rilevare che la cronotassi dei vescovi di Ravenna è incerta per i primi secoli. La tradizione vuole che sant'Apollinare sia considerato il protovescovo. La prima testimonianza di una serie episcopale ravvenate è molto antica risalente al IX secolo ed è attribuita allo storico Agnello ed è chiamata “Codex pontificalis ecclesiae ravennatis” oppure “Liber pontificalis ecclesiae ravennatis”.
Le ipotesi più accreditate indicano che diocesi di Ravenna è stata istituita nella Civitas Classis all'inizio del III Secolo.
Di sicuro sappiamo l’esistenza del primo vescovo, San Severo che partecipò nel 343 al concilio di Sardica.
Sulla figura di San Dato non è stato tramandato nulla.
Sappiamo che fu sepolto nell’area cimiteriale adiacente alla Basilica Probi di Classe. Fu l’arcivescovo Pietro IV che nel 963, riesumò le reliquie e le fece trasportare dentro la cattedrale della città.
Non si sa quando ebbe origine il culto su questo santo. Si presume che tutto abbia avuto inizio, intorno all’XI secolo, dall’estensione a tutti i primi dodici vescovi cittadini, della leggenda dell’elezione colombina di san Severo, vescovo nella prima metà del IV secolo.
Nella Basilica di Sant’Apollinare di Classe nel settecento furono dipinti i ritratti di tutti i vescovi della Città.
Nel martirologio romano la sua festa è stata fissata nel giorno 3 luglio.
Santa Mustiola e Santo Ireneo diacono
Martiri a Chiusi in Toscana
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/78830
LE ORIGINI DI SANTA MUSTIOLA
Se sono storicamente certi l’esistenza e il martirio di Santa Mustiola, supportati da documenti ufficiali antichissimi, non è altrettanto sicura la sua provenienza ed il modo in cui arrivò a Chiusi.
Anche se, a dire il vero, per quanto riguarda il martirio, esistono due versioni.
C’è chi sostiene che sia avvenuto nel 258 sotto l’imperatore Valeriano e chi, come recita la “Passio”, nel 274, sotto l’imperatore Aureliano.
Molti studiosi nel corso dei secoli hanno tentato di pervenire alla realtà dei fatti e qualcuno ha pensato pure di esserci riuscito.
Purtroppo però le molte teorie scaturite, a volte contrastanti tra loro, hanno di fatto prodotto soltanto ulteriori incertezze ed ancora oggi il modo della sua venuta a Chiusi rimane avvolto nel mistero, o meglio, nella leggenda.
Tra i vari testi che ho potuto consultare ho scelto di trascrivere quello che forse potrebbe avere un tenue fondamento storico.
Si tratta di un piccolo libro pubblicato in Roma nel 1696, con licenza dei superiori (1), dalla stamperia di Marcantonio e Orazio Campana, dal titolo “Breve racconto della prosapia e martirio di Santa Mostiola”.
Naturalmente lo scritto di cui sopra, che narra la storia della parentela con l’imperatore Claudio II il Gotico, è in italiano antico e quindi poco comprensibile.
Ho cercato quindi di riassumerlo e rendere la sua lettura il più scorrevole possibile, pur non alterandone l’originalità. C’è però chi asserisce, forse anche con qualche certezza, che la nobiltà di Mustiola sia derivata dalla gens Asinia, arrivata ai fasti dell’impero Romano con Asinio Volusiano Gallo, figlio dell’imperatore G. Vibio Treboniano Gallo.
La consanguineità con Claudio II, il Gotico si tratterebbe, quasi sicuramente, di pura leggenda e potrebbe aver indotto nell’errore il fatto che un’altra donna, anch’ella della gens Asinia, Gemina Asinia Bebiana, aveva sposato il sopra citato imperatore G. Vibio Treboniano Gallo, del quale Claudio II il Gotico, da giovane, era un ufficiale.
La sua provenienza familiare ce la potrebbe forse confermare un’iscrizione funeraria, proveniente dalla catacomba di Santa Mustiola, oggi custodita in Cattedrale, dove è citata una certa Giulia Asinia Felicissima “ex genere Mustiolae sanctae”.
“L’imperatore Claudio II, il Gotico, ebbe i suoi natali da nobilissimi parenti della Dalmazia.
Fin da giovanissimo entrò a far parte dell’esercito Romano sotto Decio, dal quale ebbe un gran numero di doni in ricompensa del suo coraggio e valore.
Gli arrise sempre favorevole la fortuna e sotto Valeriano fu nominato Tribuno dell’esercito e Prefetto della quinta legione.
La sua prudente condotta lo portò nelle grazie dell’imperatore che non gli lesinò generosità e riconoscimenti, come attesta la lettera scritta al Procuratore della Siria e registrata da Trebèllio Pollione (2).
Fu tanto amato e stimato da Gallieno che spesso lo onorò col titolo di “amico” e “padre”.
Alla sua morte fu eletto imperatore dall’esercito e confermato con grandi acclamazioni anche dal Senato di Roma. Chiamò vicino a se i parenti e distribuì loro cariche, onori e prerogative, come si conviene ai consanguinei dei regnanti.
Aveva due fratelli, Quintilio e Crispo.
Quest’ultimo una figlia di nome Claudia, la quale era sposata a Eutropio (3), nobilissimo cavaliere di Dardania, dai quali nacque Costanzo Cloro, padre del grande Costantino.
Tra le tante sorelle che ebbe, una si chiamava Costantina e si era unita in matrimonio con il Tribuno degli Assiri. Aveva anche una cugina di nome Mostiola.
Fu tanto glorioso per la repubblica, il governo di Claudio, che parve essere venuto al mondo per estirpare i Barbari e gli altri nemici dell’impero.
Uccise e tolse ad Aureolo (4) quanto aveva usurpato.
Combattendo contro i Goti e gli Sciti, sia per terra sia per mare, fece una tale strage che parve prodigioso il numero dei nemici uccisi.
E persino Trebèllio, che ne fece il racconto, durava fatica a crederci se non fosse stata sempre grande la fama delle legioni romane.
Rimase imperatore soltanto due anni perché un’epidemia di peste lo uccise a Sirmio.
Alla sua morte il Senato di Roma diede il titolo di Augusto a Marco Aurelio Claudio Quintilio, suo fratello, che governò alcuni mesi.
Le truppe non lo riconobbero e al suo posto acclamarono Imperatore Aureliano.
La Principessa Mostiola, visti tanti cambiamenti repentini, in così poco tempo all’interno della sua famiglia, abbandonò Roma con pochi familiari e si ritirò in Chiusi, città della Toscana, lontana dalla stessa Roma tre sole giornate.
E’ incerto se partì da Roma battezzata, oppure lo fece Marco, che allora era Vescovo di Chiusi.
E’ in ogni modo sicuro che a Chiusi ella si prodigò molto in opere di carità.
Fu sempre riverita e ossequiata, non solo per la sua condizione di nobiltà, ma soprattutto per le proprie eroiche virtù”.
IL MARTIRIO DI SANTA MUSTIOLA
“Divenuto Imperatore Aureliano, crudele per natura e anche molto superstizioso, non ci volle molta fatica ai rappresentanti dei Patrizi per convincerlo a perseguitare i Cristiani.
Lo persuasero che tutto quello che di male avveniva nell’Impero, come la schiavitù di Valeriano e la dappocaggine di Gallieno, che lasciò proliferare tanti Tiranni, fosse dato dall’ira degli Dei, irritati contro l’Impero e gli Imperatori che non si davano da fare per estirpare la religione cristiana.
E c’è chi crede che tutta quella crudeltà usata in Roma, nel terzo anno del suo Impero, contro tanti nobili e Senatori, prendendo a pretesto la sedizione come racconta Vopisco, perché disobbedirono ai suoi ordini di consultare i libri sibillini (5), fu invece generata dal forte sospetto che questi fossero cristiani.
E se anche nel suo primo anno d’Impero si era prestato per cacciare dalla sua sede Paolo di Samosata, richiestogli dai Padri del Concilio d’Antiochia (6), lo fece solo per accattivarsi la benevolenza di tutti.
In seguito però gettò la maschera ed emise contro i cristiani un editto.
Non appena divulgato tale decreto, che prevedeva oltre alla carcerazione dei medesimi, anche la confisca di tutti i loro beni, in ogni provincia dell’impero e specialmente in Etruria, i ministri della giustizia e gli ufficiali fecero rispettare subito gli ordini, facendo perquisizioni e mettendo in galera e ceppi (7) i cristiani.
La Principessa Mostiola si diede subito da fare, servendosi sia della sua autorità sia delle proprie finanze, corrompendo i custodi delle carceri.
Andava di notte a visitare e confortare quei poveretti, incitandoli a rimanere fedeli alla loro religione.
Faceva loro elemosine e gli dava tutto l’aiuto che poteva.
Giunta a Roma la notizia del gran numero di Cristiani messi in prigione, fu mandato in Toscana Lucio Turcio Aproniano, uomo Consolare e ministro molto rispettato.
Arrivato a Sutri (8), vi trovò un prete di nome Felice che diffondeva nel popolo la fede cristiana.
Lo fece arrestare e durante l’interrogatorio egli confessò di essere un ministro della vera fede di Cristo.
Lo condannò alla lapidazione nel giorno ventitreèsimo del mese di giugno e il suo cadavere fu esposto nella pubblica piazza.
La notte seguente, il suo diacono Ireneo, lo seppellì vicino le mura della città.
Avvertito Turcio di quanto Ireneo aveva fatto, lo fece incatenare e condurre a Chiusi, dove anch’egli arrivò il giorno venticinquesimo del mese di giugno.
Giunto in città, l’uomo mandato da Roma, chiese subito ai ministri una relazione sul numero dei Cristiani che si trovavano in carcere.
Un uomo di nome Torquato, gli riferì anche che si trovava a Chiusi una dama nobilissima di nome Mostiola, cugina dell’imperatore Claudio II di fede cristiana, che nottetempo si recava alle carceri portando aiuti a coloro che vi erano detenuti e confortandoli, diceva loro di soffrire quelle pene nel nome di Cristo.
Turcio, dopo aver eretto un tribunale nella pubblica piazza di Chiusi, il terzo giorno di Luglio, fece chiamare la principessa Mostiola.
Durante l’interrogatorio lei stessa confessò d’essere cristiana e affermò anche la sua convinzione che quella religione, nella quale lei credeva ciecamente, non avrebbe potuto portare nessun nocumento al suo stato di nobile.
Turcio cercò di persuaderla a rinunciare alla sua fede e gli promise che se avesse ubbidito alle leggi dell’impero l’avrebbe lasciata libera.
La principessa però rimase ferma nelle sue convinzioni.
Allora Turcio, frustrato da tanta fermezza di principi esternati da Mostiola, ordinò che fossero condotti alla sua presenza Ireneo e tutti i cristiani chiusini detenuti.
Dopo aver sentito direttamente dalla loro voce quale era la propria Fede, ad uno ad uno li fece decapitare.
Ad Ireneo impose la tortura dell’eculeo (9) e chiese di rinnegare la sua religione facendo i dovuti sacrifici agli Dei. Questi, però, mentre cantando lodi a Dio, gli rispose che tanta grazia gli avrebbe fatto se lo avesse ucciso per la sua Fede.
Allora l’inquisitore romano ordinò di continuare la tortura e così Ireneo spirò, mentre era straziato dagli aguzzini per mezzo di ferri incandescenti.
Turcio pensò che dopo un così cruento spettacolo, la principessa Mostiola si fosse piegata ai suoi voleri, tornando all’adorazione degli Dei.
Ben presto però, si rese conto che questo non era accaduto, anzi, udì dalla voce stessa di Mostiola il desiderio di morire per Cristo.
Così facendo la nobile donna chiusina segnò il proprio destino.
Turcio la condannò ad essere battuta con le piombate, finché l’anima sua non fosse spirata.
Tutto questo accadeva il terzo giorno di luglio dell’anno di Cristo 275, nel secondo mese del pontificato di Eurichiano (10), quando Marco era vescovo di Chiusi ed era in atto la decima persecuzione della chiesa cattolica.
Proprio perché possa essere compreso quanto spietato e crudele fosse questo martirio, affermiamo che ci sono due opinioni a proposito delle piombate.
La prima è che fossero dei bastoni rivestiti di piombo, con cui si battevano le giunture delle ossa dei fedeli, finché per il dolore non morivano.
L’altra, forse la più credibile, è che si trattasse di piccole funi, o catenelle, appese alla testa di un bastone. Nella parte finale di queste vi erano attaccate alcune palle di piombo, con cui erano battuti i corpi fino all’esalazione dell’anima. Non vi è dubbio alcuno che l’uso di tali strumenti fosse proibito contro i nobili, ma pare che tale divieto venisse sospeso, quando si trattava di infliggerlo ad corretionem (per correzione) e non come ultimo supplizio.
Oltre al reato di diffondere la fede di Cristo, era contestato al condannato anche il reato di Lesa Maestà.
Tale reato, secondo l’accusa, rendeva la persona che lo aveva commesso indegna di stima.
A testimonianza di questo, c’è d’esempio il martirio di Santa Bibiana, anche lei nobile dama Romana, uccisa con le piombate.
I corpi di Mostiola e di Ireneo, insieme a quelli di tanti altri martiri, rimasero esposti tutto il giorno sulla pubblica piazza, finché, arrivata la notte, giunsero amici e congiunti per recuperarli e dargli degna sepoltura.
Di Mostiola e di Ireneo si occupò il Vescovo Marco con i suoi chierici.
Le loro salme furono portate fuori le mura della città, in un luogo dove altre volte erano stati seppelliti i cadaveri dei martiri delle precedenti persecuzioni”.
Dopo quaranta anni, Costantino il Grande dette pace alla Chiesa.
A Mustiola sono legate due leggende.
La prima una racconta che la giovane, in fuga dalle guardie romane, avrebbe attraversato miracolosamente il lago di Chiusi navigando sul suo mantello e lasciando una scia che pare si riveda all'alba della sua festa.
L'altra riguarda un anello di onice che la Santa avrebbe portato con sé da Roma; sarebbe l'anello nuziale di Giuseppe e Maria, ed è venerato a Perugia: lo si ritrova spesso come attributo nell'iconografia della Santa.
Esso era una reliquia che si conservava da tempo nella Città di Chiusi nella chiesa di S. Francesco e si riteneva che fosse servito allo sposalizio della Vergine Maria con San Giuseppe.
Il frate agostiniano Wintero nel 1449 rubò la reliquia custodita nel convento dei frati di Chiusi e la depositò in mano dei perugini.
Papa Sisto IV si intromise nella guerra distogliendo l'attenzione dei chiusini con il felice ritrovamento del Corpo di Santa Mustiola.
Giovanni da Filicaja signore del castello di Figline nei pressi di Montaione (1452), rinominato poi "Al Filicaja", Damaso Dei (i Della Dea in questo periodo vengono chiamati Dei) si adoperò diplomaticamente per la restituzione del Santo Anello dalla città di Perugia a quella di Chiusi.
Fu il fratello di questi, Anton Felice Dei, Capitano Generale del Popolo di Chiusi, a muovere guerra a Perugia per il furto dell'Anello.
L'Anello rimase a Perugia dove è tuttora custodito all'interno della Cattedrale.
Se sono storicamente certi l’esistenza e il martirio di Santa Mustiola, supportati da documenti ufficiali antichissimi, non è altrettanto sicura la sua provenienza ed il modo in cui arrivò a Chiusi.
Anche se, a dire il vero, per quanto riguarda il martirio, esistono due versioni.
C’è chi sostiene che sia avvenuto nel 258 sotto l’imperatore Valeriano e chi, come recita la “Passio”, nel 274, sotto l’imperatore Aureliano.
Molti studiosi nel corso dei secoli hanno tentato di pervenire alla realtà dei fatti e qualcuno ha pensato pure di esserci riuscito.
Purtroppo però le molte teorie scaturite, a volte contrastanti tra loro, hanno di fatto prodotto soltanto ulteriori incertezze ed ancora oggi il modo della sua venuta a Chiusi rimane avvolto nel mistero, o meglio, nella leggenda.
Tra i vari testi che ho potuto consultare ho scelto di trascrivere quello che forse potrebbe avere un tenue fondamento storico.
Si tratta di un piccolo libro pubblicato in Roma nel 1696, con licenza dei superiori (1), dalla stamperia di Marcantonio e Orazio Campana, dal titolo “Breve racconto della prosapia e martirio di Santa Mostiola”.
Naturalmente lo scritto di cui sopra, che narra la storia della parentela con l’imperatore Claudio II il Gotico, è in italiano antico e quindi poco comprensibile.
Ho cercato quindi di riassumerlo e rendere la sua lettura il più scorrevole possibile, pur non alterandone l’originalità. C’è però chi asserisce, forse anche con qualche certezza, che la nobiltà di Mustiola sia derivata dalla gens Asinia, arrivata ai fasti dell’impero Romano con Asinio Volusiano Gallo, figlio dell’imperatore G. Vibio Treboniano Gallo.
La consanguineità con Claudio II, il Gotico si tratterebbe, quasi sicuramente, di pura leggenda e potrebbe aver indotto nell’errore il fatto che un’altra donna, anch’ella della gens Asinia, Gemina Asinia Bebiana, aveva sposato il sopra citato imperatore G. Vibio Treboniano Gallo, del quale Claudio II il Gotico, da giovane, era un ufficiale.
La sua provenienza familiare ce la potrebbe forse confermare un’iscrizione funeraria, proveniente dalla catacomba di Santa Mustiola, oggi custodita in Cattedrale, dove è citata una certa Giulia Asinia Felicissima “ex genere Mustiolae sanctae”.
“L’imperatore Claudio II, il Gotico, ebbe i suoi natali da nobilissimi parenti della Dalmazia.
Fin da giovanissimo entrò a far parte dell’esercito Romano sotto Decio, dal quale ebbe un gran numero di doni in ricompensa del suo coraggio e valore.
Gli arrise sempre favorevole la fortuna e sotto Valeriano fu nominato Tribuno dell’esercito e Prefetto della quinta legione.
La sua prudente condotta lo portò nelle grazie dell’imperatore che non gli lesinò generosità e riconoscimenti, come attesta la lettera scritta al Procuratore della Siria e registrata da Trebèllio Pollione (2).
Fu tanto amato e stimato da Gallieno che spesso lo onorò col titolo di “amico” e “padre”.
Alla sua morte fu eletto imperatore dall’esercito e confermato con grandi acclamazioni anche dal Senato di Roma. Chiamò vicino a se i parenti e distribuì loro cariche, onori e prerogative, come si conviene ai consanguinei dei regnanti.
Aveva due fratelli, Quintilio e Crispo.
Quest’ultimo una figlia di nome Claudia, la quale era sposata a Eutropio (3), nobilissimo cavaliere di Dardania, dai quali nacque Costanzo Cloro, padre del grande Costantino.
Tra le tante sorelle che ebbe, una si chiamava Costantina e si era unita in matrimonio con il Tribuno degli Assiri. Aveva anche una cugina di nome Mostiola.
Fu tanto glorioso per la repubblica, il governo di Claudio, che parve essere venuto al mondo per estirpare i Barbari e gli altri nemici dell’impero.
Uccise e tolse ad Aureolo (4) quanto aveva usurpato.
Combattendo contro i Goti e gli Sciti, sia per terra sia per mare, fece una tale strage che parve prodigioso il numero dei nemici uccisi.
E persino Trebèllio, che ne fece il racconto, durava fatica a crederci se non fosse stata sempre grande la fama delle legioni romane.
Rimase imperatore soltanto due anni perché un’epidemia di peste lo uccise a Sirmio.
Alla sua morte il Senato di Roma diede il titolo di Augusto a Marco Aurelio Claudio Quintilio, suo fratello, che governò alcuni mesi.
Le truppe non lo riconobbero e al suo posto acclamarono Imperatore Aureliano.
La Principessa Mostiola, visti tanti cambiamenti repentini, in così poco tempo all’interno della sua famiglia, abbandonò Roma con pochi familiari e si ritirò in Chiusi, città della Toscana, lontana dalla stessa Roma tre sole giornate.
E’ incerto se partì da Roma battezzata, oppure lo fece Marco, che allora era Vescovo di Chiusi.
E’ in ogni modo sicuro che a Chiusi ella si prodigò molto in opere di carità.
Fu sempre riverita e ossequiata, non solo per la sua condizione di nobiltà, ma soprattutto per le proprie eroiche virtù”.
IL MARTIRIO DI SANTA MUSTIOLA
“Divenuto Imperatore Aureliano, crudele per natura e anche molto superstizioso, non ci volle molta fatica ai rappresentanti dei Patrizi per convincerlo a perseguitare i Cristiani.
Lo persuasero che tutto quello che di male avveniva nell’Impero, come la schiavitù di Valeriano e la dappocaggine di Gallieno, che lasciò proliferare tanti Tiranni, fosse dato dall’ira degli Dei, irritati contro l’Impero e gli Imperatori che non si davano da fare per estirpare la religione cristiana.
E c’è chi crede che tutta quella crudeltà usata in Roma, nel terzo anno del suo Impero, contro tanti nobili e Senatori, prendendo a pretesto la sedizione come racconta Vopisco, perché disobbedirono ai suoi ordini di consultare i libri sibillini (5), fu invece generata dal forte sospetto che questi fossero cristiani.
E se anche nel suo primo anno d’Impero si era prestato per cacciare dalla sua sede Paolo di Samosata, richiestogli dai Padri del Concilio d’Antiochia (6), lo fece solo per accattivarsi la benevolenza di tutti.
In seguito però gettò la maschera ed emise contro i cristiani un editto.
Non appena divulgato tale decreto, che prevedeva oltre alla carcerazione dei medesimi, anche la confisca di tutti i loro beni, in ogni provincia dell’impero e specialmente in Etruria, i ministri della giustizia e gli ufficiali fecero rispettare subito gli ordini, facendo perquisizioni e mettendo in galera e ceppi (7) i cristiani.
La Principessa Mostiola si diede subito da fare, servendosi sia della sua autorità sia delle proprie finanze, corrompendo i custodi delle carceri.
Andava di notte a visitare e confortare quei poveretti, incitandoli a rimanere fedeli alla loro religione.
Faceva loro elemosine e gli dava tutto l’aiuto che poteva.
Giunta a Roma la notizia del gran numero di Cristiani messi in prigione, fu mandato in Toscana Lucio Turcio Aproniano, uomo Consolare e ministro molto rispettato.
Arrivato a Sutri (8), vi trovò un prete di nome Felice che diffondeva nel popolo la fede cristiana.
Lo fece arrestare e durante l’interrogatorio egli confessò di essere un ministro della vera fede di Cristo.
Lo condannò alla lapidazione nel giorno ventitreèsimo del mese di giugno e il suo cadavere fu esposto nella pubblica piazza.
La notte seguente, il suo diacono Ireneo, lo seppellì vicino le mura della città.
Avvertito Turcio di quanto Ireneo aveva fatto, lo fece incatenare e condurre a Chiusi, dove anch’egli arrivò il giorno venticinquesimo del mese di giugno.
Giunto in città, l’uomo mandato da Roma, chiese subito ai ministri una relazione sul numero dei Cristiani che si trovavano in carcere.
Un uomo di nome Torquato, gli riferì anche che si trovava a Chiusi una dama nobilissima di nome Mostiola, cugina dell’imperatore Claudio II di fede cristiana, che nottetempo si recava alle carceri portando aiuti a coloro che vi erano detenuti e confortandoli, diceva loro di soffrire quelle pene nel nome di Cristo.
Turcio, dopo aver eretto un tribunale nella pubblica piazza di Chiusi, il terzo giorno di Luglio, fece chiamare la principessa Mostiola.
Durante l’interrogatorio lei stessa confessò d’essere cristiana e affermò anche la sua convinzione che quella religione, nella quale lei credeva ciecamente, non avrebbe potuto portare nessun nocumento al suo stato di nobile.
Turcio cercò di persuaderla a rinunciare alla sua fede e gli promise che se avesse ubbidito alle leggi dell’impero l’avrebbe lasciata libera.
La principessa però rimase ferma nelle sue convinzioni.
Allora Turcio, frustrato da tanta fermezza di principi esternati da Mostiola, ordinò che fossero condotti alla sua presenza Ireneo e tutti i cristiani chiusini detenuti.
Dopo aver sentito direttamente dalla loro voce quale era la propria Fede, ad uno ad uno li fece decapitare.
Ad Ireneo impose la tortura dell’eculeo (9) e chiese di rinnegare la sua religione facendo i dovuti sacrifici agli Dei. Questi, però, mentre cantando lodi a Dio, gli rispose che tanta grazia gli avrebbe fatto se lo avesse ucciso per la sua Fede.
Allora l’inquisitore romano ordinò di continuare la tortura e così Ireneo spirò, mentre era straziato dagli aguzzini per mezzo di ferri incandescenti.
Turcio pensò che dopo un così cruento spettacolo, la principessa Mostiola si fosse piegata ai suoi voleri, tornando all’adorazione degli Dei.
Ben presto però, si rese conto che questo non era accaduto, anzi, udì dalla voce stessa di Mostiola il desiderio di morire per Cristo.
Così facendo la nobile donna chiusina segnò il proprio destino.
Turcio la condannò ad essere battuta con le piombate, finché l’anima sua non fosse spirata.
Tutto questo accadeva il terzo giorno di luglio dell’anno di Cristo 275, nel secondo mese del pontificato di Eurichiano (10), quando Marco era vescovo di Chiusi ed era in atto la decima persecuzione della chiesa cattolica.
Proprio perché possa essere compreso quanto spietato e crudele fosse questo martirio, affermiamo che ci sono due opinioni a proposito delle piombate.
La prima è che fossero dei bastoni rivestiti di piombo, con cui si battevano le giunture delle ossa dei fedeli, finché per il dolore non morivano.
L’altra, forse la più credibile, è che si trattasse di piccole funi, o catenelle, appese alla testa di un bastone. Nella parte finale di queste vi erano attaccate alcune palle di piombo, con cui erano battuti i corpi fino all’esalazione dell’anima. Non vi è dubbio alcuno che l’uso di tali strumenti fosse proibito contro i nobili, ma pare che tale divieto venisse sospeso, quando si trattava di infliggerlo ad corretionem (per correzione) e non come ultimo supplizio.
Oltre al reato di diffondere la fede di Cristo, era contestato al condannato anche il reato di Lesa Maestà.
Tale reato, secondo l’accusa, rendeva la persona che lo aveva commesso indegna di stima.
A testimonianza di questo, c’è d’esempio il martirio di Santa Bibiana, anche lei nobile dama Romana, uccisa con le piombate.
I corpi di Mostiola e di Ireneo, insieme a quelli di tanti altri martiri, rimasero esposti tutto il giorno sulla pubblica piazza, finché, arrivata la notte, giunsero amici e congiunti per recuperarli e dargli degna sepoltura.
Di Mostiola e di Ireneo si occupò il Vescovo Marco con i suoi chierici.
Le loro salme furono portate fuori le mura della città, in un luogo dove altre volte erano stati seppelliti i cadaveri dei martiri delle precedenti persecuzioni”.
Dopo quaranta anni, Costantino il Grande dette pace alla Chiesa.
A Mustiola sono legate due leggende.
La prima una racconta che la giovane, in fuga dalle guardie romane, avrebbe attraversato miracolosamente il lago di Chiusi navigando sul suo mantello e lasciando una scia che pare si riveda all'alba della sua festa.
L'altra riguarda un anello di onice che la Santa avrebbe portato con sé da Roma; sarebbe l'anello nuziale di Giuseppe e Maria, ed è venerato a Perugia: lo si ritrova spesso come attributo nell'iconografia della Santa.
Esso era una reliquia che si conservava da tempo nella Città di Chiusi nella chiesa di S. Francesco e si riteneva che fosse servito allo sposalizio della Vergine Maria con San Giuseppe.
Il frate agostiniano Wintero nel 1449 rubò la reliquia custodita nel convento dei frati di Chiusi e la depositò in mano dei perugini.
Papa Sisto IV si intromise nella guerra distogliendo l'attenzione dei chiusini con il felice ritrovamento del Corpo di Santa Mustiola.
Giovanni da Filicaja signore del castello di Figline nei pressi di Montaione (1452), rinominato poi "Al Filicaja", Damaso Dei (i Della Dea in questo periodo vengono chiamati Dei) si adoperò diplomaticamente per la restituzione del Santo Anello dalla città di Perugia a quella di Chiusi.
Fu il fratello di questi, Anton Felice Dei, Capitano Generale del Popolo di Chiusi, a muovere guerra a Perugia per il furto dell'Anello.
L'Anello rimase a Perugia dove è tuttora custodito all'interno della Cattedrale.
IL CULTO
Le loro reliquie si trovano oggi nella cattedrale di Chiusi, in una tomba del '700, all’interno di un’urna.
In altri tempi però, si trovavano in una tomba assai più antica, celata nell'oscurità delle Catacombe della città.
Alcune di esse, costruite in tempi romani e usate come sepoltura dai cristiani, sono intitolate proprio a Santa Mustiola, ed è qui che il suo corpo è stato conservato nei secoli, in una tomba che ancora si può vedere, con la sua epigrafe, più eloquente di qualsiasi leggenda.
La memoria di Santa Mustiola e Sant'Ireneo viene ricordata nel Martyrologium Romanum al 23 novembre, mentre viene celebrata a Chiusi il 3 luglio e compare per la prima volta nel martirologio di Usuardo. Mustiola è la patrona principale di Chiusi, dove in occasione della sua festa si corre il Palio delle Torri: ai vincitori spetta l'onore di difendere le spoglie della Santa fino all'anno successivo.
Note:
(1) Con l’approvazione delle autorità ecclesiastiche.
(2) Uno dei compilatori dell’Historia Augusta, autore delle vite di Valeriano, di Gallieno, dei “Trenta Tiranni (gli usurpatori del sec. III) e di Claudio II il Gotico.
(3) Ministro dell’impero d’Oriente
(4) Imperatore Romano. Uno dei tanti usurpatori avutisi nel periodo dell’anarchia militare del sec. III. Sconfitto da Gallieno e, successivamente, a Milano da Claudio il Gotico, fu ucciso dai suoi stessi soldati.
(5) Raccolta oracolare che i Romani conservavano nel tempio di Giove Capitolino. I libri erano affidati ad un collegio di pubblici sacerdoti formato da dieci membri, detti dal loro numero decemviri. Questi sacerdoti consultavano i libri sibillini, per richiesta del Senato o di un magistrato. Esaminati i quali, indicavano i riti che avrebbero dovuto eseguire allo scopo di placare gli dei in occasione di una qualunque calamità.
(6) I concili avvennero nel 264 e 268 contro Paolo di Somosata, che negava i misteri della Trinità e dell’incarnazione.
(7) Strumenti di legno in cui venivano stretti i piedi dei carcerati.
(8) Sutri è una cittadina dell’alto Lazio, in provincia di Viterbo. Un Tempo faceva parte del dominio etrusco, poi conquistata dai Romani. In quel tempo era quindi considerata geograficamente nell’Etruria.
(9) Antico strumento di tortura sul quale veniva steso il condannato per essere poi tirato a forza in diverse direzioni.
(10) Papa, santo (sec. III). Successore di San Felice, fu pontefice dal 275 al 283, Secondo il Liber Pontificalis, era etrusco di Luni. Il Martirologio romano ricorda la sua opera di seppellimento di 342 martiri. Subì a sua volta il martirio sotto Numeriano.
Le loro reliquie si trovano oggi nella cattedrale di Chiusi, in una tomba del '700, all’interno di un’urna.
In altri tempi però, si trovavano in una tomba assai più antica, celata nell'oscurità delle Catacombe della città.
Alcune di esse, costruite in tempi romani e usate come sepoltura dai cristiani, sono intitolate proprio a Santa Mustiola, ed è qui che il suo corpo è stato conservato nei secoli, in una tomba che ancora si può vedere, con la sua epigrafe, più eloquente di qualsiasi leggenda.
La memoria di Santa Mustiola e Sant'Ireneo viene ricordata nel Martyrologium Romanum al 23 novembre, mentre viene celebrata a Chiusi il 3 luglio e compare per la prima volta nel martirologio di Usuardo. Mustiola è la patrona principale di Chiusi, dove in occasione della sua festa si corre il Palio delle Torri: ai vincitori spetta l'onore di difendere le spoglie della Santa fino all'anno successivo.
Note:
(1) Con l’approvazione delle autorità ecclesiastiche.
(2) Uno dei compilatori dell’Historia Augusta, autore delle vite di Valeriano, di Gallieno, dei “Trenta Tiranni (gli usurpatori del sec. III) e di Claudio II il Gotico.
(3) Ministro dell’impero d’Oriente
(4) Imperatore Romano. Uno dei tanti usurpatori avutisi nel periodo dell’anarchia militare del sec. III. Sconfitto da Gallieno e, successivamente, a Milano da Claudio il Gotico, fu ucciso dai suoi stessi soldati.
(5) Raccolta oracolare che i Romani conservavano nel tempio di Giove Capitolino. I libri erano affidati ad un collegio di pubblici sacerdoti formato da dieci membri, detti dal loro numero decemviri. Questi sacerdoti consultavano i libri sibillini, per richiesta del Senato o di un magistrato. Esaminati i quali, indicavano i riti che avrebbero dovuto eseguire allo scopo di placare gli dei in occasione di una qualunque calamità.
(6) I concili avvennero nel 264 e 268 contro Paolo di Somosata, che negava i misteri della Trinità e dell’incarnazione.
(7) Strumenti di legno in cui venivano stretti i piedi dei carcerati.
(8) Sutri è una cittadina dell’alto Lazio, in provincia di Viterbo. Un Tempo faceva parte del dominio etrusco, poi conquistata dai Romani. In quel tempo era quindi considerata geograficamente nell’Etruria.
(9) Antico strumento di tortura sul quale veniva steso il condannato per essere poi tirato a forza in diverse direzioni.
(10) Papa, santo (sec. III). Successore di San Felice, fu pontefice dal 275 al 283, Secondo il Liber Pontificalis, era etrusco di Luni. Il Martirologio romano ricorda la sua opera di seppellimento di 342 martiri. Subì a sua volta il martirio sotto Numeriano.
Santo Eliodoro Vescovo di Altino in
Veneto (verso il 410)
Dal quotidiano Avvenire
Eliodoro di Altino,
oggi Quarto d’Altino, in provincia di Venezia. Fu amico e collaboratore di san
Girolamo, che da giovane seguì prima ad Aquileia e poi in Oriente, dedicandosi
alla preghiera e allo studio della Bibbia. Nel 381 era già divenuto primo vescovo
di Altino, allora crocevia di grande importanza (vi partiva la via Claudia
Augusta che arrivava fino in Germania). Ritiratosi da anziano su un’isoletta
deserta della Laguna, morì attorno al 410. Il corpo fu portato ad Altino e,
dopo le invasioni barbariche, a Torcello.
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91153
Eliodoro, nato verso
la metà del IV secolo, fu discepolo del vescovo d’Aquileia S. Valeriano,
compagno di vita ascetica nel "chorus beatorum" aquileiese, cui fece
parte anche S. Cromazio ; accompagnò S. Girolamo nel suo primo viaggio in
oriente, conducendovi una rigorosa vita monastica. Al rientro divenne primo
vescovo di Altino e in tale veste prese parte al Concilio antiariano di
Aquileia del 381. Alcune vicende della sua vita e della sua azione pastorale
sono note attraverso le lettere palestinesi di S. Girolamo che gli dedicò anche
la traduzione di alcuni libri biblici. Morì probabilmente agli inzi del sec.
V°.
Consultare anche
ELIODORO VESCOVO DELLA CHIESA DI ALTINO
http://www.centropattaro.it/images/rivista/APPUNTI_DI_TEOLOGIA_1_2008.pdf
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